Umili per riflettere la bellezza di Dio


Mentre papa Benedetto varca la soglia del monastero, noi siamo ad attenderlo in Coro, con l’orecchio teso verso l’uscio, a voler percepire l’eco silenziosa dei suoi passi. Mentre si avvicina piano, riemergono dal fondo della memoria del cuore le parole da lui pronunziate a poche centinai di metri da qui, nella loggia centrale del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, in quello che sarebbe passato alla storia come “l’addio di Papa Benedetto”. In quell’occasione, con parole semplici e sobrie, aveva detto: «Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra». Con questi sentimenti Sua Santità Benedetto XVI varcava la soglia del silenzio, oltre la quale avrebbe continuato a «lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità – così aveva sottolineato – con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori». Ed ecco che oggi, da pellegrino, papa Benedetto fa nuovamente tappa al nostro monastero.


È la terza domenica di Quaresima, la divina liturgia ci dà la chiave di lettura per interpretare l’evento. Questa mattina, il Vangelo proclamato nella celebrazione eucaristica ci ha parlato di un altro “pellegrino”, dischiudendoci il dialogo sorprendente tra Gesù e la donna di Samaria vicino al pozzo. Si ripresenta ora ai nostri occhi una simile scena: Benedetto avanza lentamente e siede al centro del nostro Coro. Ha la bellezza di uno sposo dimesso, rivestito di luce, nel bianco della veste che indossa; la trasparenza dell’acqua “pretiosa, umile et casta”.



 


 


Affiancato dal suo segretario personale, mons. Georg Gänswein e dalle quattro Memores, ci guarda e sorridendoci ci saluta con il francescano “Pace e bene”, come a dire che davvero si sente a casa! Benedetto esordisce con un saluto rivolto a noi, dicendo : «Care sorelle, è una grande gioia essere con voi oggi, nella festa di san Giuseppe, nella terza domenica della Quaresima».


 


 


Inizia il Vespro. Il calendario liturgico della Chiesa ci consegna oggi, 19 marzo 2017, giorno onomastico di Joseph-Benedetto, i secondi vespri della III domenica di Quaresima. Al centro della riflessione di papa Benedetto è la lettura breve, tratta dalla Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo. Ogni atleta, però, è temperante in tutto. Essi lo fanno per raggiungere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile”.



Le olimpiadi della vita

«San Paolo parla delle Olimpiadi, dà così il senso e la direzione della propria vita e della nostra. Le Olimpiadi erano per la Grecia un avvenimento superiore a tutti, esistevano da più di mille anni. Tutta la cronologia greca era basata sulle Olimpiadi, e possiamo così indovinare che cos’era per loro un “vincitore” nelle Olimpiadi. E Paolo qui ci dice: Sapete le rinunce, tutta la disciplina, tutta la vita che ordinano verso questa vittoria… ».

Il discorso continua e il suo parlare si fa più profondo, interpellandoci esistenzialmente:


«… Ma noi tutti possiamo pensare a una vittoria più grande, che perdura in eterno. La vita, si dice, è una Olimpiade e noi siamo in esercizio verso la meta. Dobbiamo pensare… Se per gli atleti tutte le rinunce hanno senso, perché vogliono vincere e alla fine questa vittoria è una cosa che passa presto, noi invece vogliamo vincere una vittoria eterna: le Olimpiadi della vita!».
 Come non sentire nell’espressione di san Paolo, che ci invita a correre anche noi in modo da conquistare il premio, l’eco delle parole di Chiara d’Assisi quando parla di una corsa da intraprendere per conquistare il premio eterno e invita Agnese di Praga a tenere fisso lo sguardo sulla meta, senza dar peso agli ostacoli, avanzando «con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi, così che i tuoi passi non raccolgano neanche la polvere…».

 


La vittoria dell’essere uomini

«Mentre facilmente ci impegniamo per cose visibili, non pensiamo alla Olimpiade essenziale della nostra vita, non pensiamo che dobbiamo vincere la vittoria dell’essere uomini», che abbiamo una “vittoria” da conseguire.
Le sue parole ci richiamano immediatamente il senso profondo, la dignità che appartiene all’essere uomini.
È una meta a cui arriviamo quasi impreparati: «Questa, quindi, è l’idea essenziale di san Paolo. Questa è la vera Olimpiade, questa è la scuola di essere uomini: imparare ad essere uomini, essere immagine di Dio. E questa vittoria vale tutto il tempo, tutta la forza: alla fine ho imparato ad essere uomo, alla fine ho imparato ad essere immagine di Dio». La vittoria cristiana è una scuola di sapienza che si fonda sull’umiltà come virtù propria dell’essere creature amate da Dio, creati a sua immagine e somiglianza.


Umili per riflettere la bellezza di Dio

Arriviamo a questo grande passaggio, arriviamo alla grande meta che ci attende, dice Benedetto, «senza essere maturati, arriviamo essendo umili, figli e immagine di Dio». Umiltà è, allora, lasciare che Dio sia se stesso in noi, perché traspaia al di fuori la sua immagine, l’immagine di Dio che ci abita.

Rivolgendosi poi direttamente a noi, papa Benedetto così ci dice: «Voi, care sorelle, siete qui, in monastero, per essere in cammino verso questa vittoria,  alla scuola dell’essere immagine di Dio e per questo noi tutti vi ringraziamo di cuore».

Papa Benedetto continua la sua riflessione, rispondendo a una domanda: come imparare ad essere figli di Dio e “uomini” secondo la sua immagine? Ed è la figura di san Giuseppe a darcene un esempio concreto: «Lui è un vincitore grande, lui ha saputo vivere, ha saputo imparare l’essenziale, l’essere persona umana, l’essere immagine di Dio». E sottolinea tre aspetti della figura di Giuseppe.

 

«Primo. San Giuseppe era soprattutto un uomo pio, un uomo di fede e di amore, un uomo osservante. Sappiamo dalla Scrittura che era ovvio, nella sua famiglia, che andassero ogni sabato alla sinagoga per meditare insieme, imparare la Parola di Dio. Sono andati insieme alle feste. Sappiamo come già, con Gesù dodicenne, sono andati alla festa della Pasqua».

La sacra Scrittura ci dice che ogni famiglia, appartenente al popolo d’Israele, dunque anche la famiglia di Giuseppe, frequentava ogni sabato la sinagoga, imparando così la familiarità con la Parola di Dio. Giuseppe «era realmente un uomo che ha vissuto la vita dei fedeli di Israele, anche per lui la Parola di Dio era familiare. E sappiamo anche che la sua non era solo una osservanza formale: andava molto più in profondità perché, realmente, nella liturgia, nell’ascolto della Parola di Dio, aveva conosciuto Dio personalmente».

Conoscere Dio personalmente… qui Benedetto apre uno spiraglio che permette di intravedere la profondità dell’orizzonte di Dio.  Sappiamo, infatti, che la fede e solo la fede è capace di dischiuderci la conoscenza personale di Dio, la vera conoscenza. Fede è la grande parola che ha impregnato, sin dal suo nascere, la vita di Giuseppe, come quella di Joseph-Benedetto. Fede è la grande parola che ha segnato sorprendentemente la svolta del suo pontificato. «Solo perché lo conosceva personalmente, san Giuseppe poteva essere sicuro che l’angelo parlava realmente in nome di Dio. Solo perché conosceva il grande “tuono”, la melodia della Parola di Dio, poteva riconoscerlo in questi momenti decisivi e rispondere nel modo adeguato».


«Un secondo elemento. San Giuseppe, che è un uomo di Dio, un uomo osservante, un uomo pio, è anche un uomo competente, coraggioso, attivo. Sapeva decidere. Possiamo vedere quante decisioni gravi: andare a Betlemme, in Egitto e alla fine è ritornato a Nazareth. Un uomo di decisioni chiare, di coraggio; un uomo di Dio proprio nell’essere veramente presente anche nei problemi di questa vita.»

 

«Terzo punto. San Giuseppe, lo sappiamo tutti, era un uomo umile. Un uomo che ha vissuto non per apparire, ma per servire: non apparire, ma essere.[…] San Giuseppe era un uomo di umiltà e, così, un uomo di coraggio, perché “umiltà” non è una debolezza: al contrario, umiltà è coraggio di vivere per la verità e non per l’apparenza».

L’arte da imparare in questa vita non è, allora, come spesso il mondo crede e vuol far credere, quella di essere invincibili e perfetti, ma semplicemente di essere ciò che siamo: deboli, fragili e, proprio per questo, profondamente veri in Dio, «umili» perché consapevoli della nostra pochezza e povertà, ma risplendenti della sua gloria. Spesso, inconsapevolmente, pensiamo all’umiltà come a una virtù da acquisire, finendo per farla sembrare alla fine quasi un “rivestimento”, un soprabito acquisibile a prezzo di impegno e sforzo da parte nostra, quando invece l’opera di Dio che quotidianamente ci riporta al nostro humus vitale è, al contrario, prima di tutto un lasciarci fare e disfare dagli eventi.

Così ha poi terminato la sua riflessione. «La discrezione, il silenzio di san Giuseppe era così forte che, umile in Dio, non è stato scoperto nella pietà e nella teologia della Chiesa, benché il messaggio di lui nella Scrittura è grandissimo. Ma la sua umiltà e il suo silenzio sono così forti che, solo dopo mille anni di umiltà, di non apparenza, la Chiesa ha scoperto questa bella figura. San Giuseppe, prega per noi!».

 

“So che siete sempre con me con la preghiera, come io sono unito con voi”

Alla preghiera dei vespri è seguito un momento di fraterna condivisione nella sala della comunità.
Oltre alle Memores erano presenti anche il nostro Vescovo Marcello e Mons. Georg che, con la sua presenza fraterna e la sua schietta amabilità, ha contribuito a creare davvero un clima di famiglia.

 

Papa Benedetto ha espresso così la sua gioia per questo incontro: «Care sorelle, è per me una gioia grande venire qui, e ancora una volta, essere con voi in questa atmosfera di gioia spirituale nella fede, nella comunione, nella gioia dei figli di Dio. So che siete sempre con me con la preghiera, come io sono unito con voi».

 

 

Al termine dell’incontro ciascuna di noi ha potuto salutare personalmente Sua Santità Benedetto XVI, esprimendogli una parola di gratitudine e affetto.

 

In questi anni abbiamo avuto la gioia di avere qui tra noi papa Benedetto in altre due occasioni: nella Messa In Cœna Domini del Giovedì Santo 2013, a pochi giorni dalla sua rinuncia al ministero petrino, e il 10 luglio 2015.  Quello che più di tutto colpisce, insieme alla mitezza della sua persona, alla sua gioia contagiosa, è la limpida trasparenza dei suoi occhi “accesi” d’Eterno, capaci di stupore e di gratitudine. Il suo sguardo profondo, contemplativo, capace di vedere l’invisibile nella vita
e nella storia.

 

 

 

Prima di salutarci con un «arrivederci a presto!», la Madre sr. Maria Concetta gli ha offerto il dono preparato da noi Sorelle: una croce in legno di ulivo raffigurante Gesù crocifisso con san Francesco e santa Chiara in adorazione ai suoi piedi.

 

 

 

Raggiunte da così tanta Grazia non possiamo che lodare il Donatore di ogni bene per i tanti benefici di cui ci ha colmate. Riprendiamo il nostro cammino tenendo fisso lo sguardo alla meta, per combattere la “buona battaglia” e giungere così alla vittoria: far splendere la pienezza la nostra umanità e lasciar così trasparire l’immagine di Dio che abita in noi.