Post-Concilio, la Communionis Notio, la vera Collegialità, l'obbedienza a Pietro

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Caterina63
00lunedì 8 febbraio 2010 17:40
Amici....suggerisco di approfondire l'argomento, munendovi di un bel tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità DEL PAPA per la Chiesa universale" ....in questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle FALSE INTERPRETAZIONI che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi...

a pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.....Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE.....

e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communionis notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "SI ABBATTE' UNA GRANDINATA DI CRITICHE, DA CUI BEN POCO RIUSCI' A SALVARSI".... ..in sostanza ci fu un AMMUTINAMENTO DI TUTTI I VESCOVI...nè Giovanni Paolo II nè Ratzinger nulla poterono....

Ratzinger rispose allora provando il suo testo sulla Scrittura e sulla Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora: " potebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la GRANDE CHIESA IDEATA DA DIO CON A CAPO CEFA, per rifugiarsi in una immagine empirica DELLE CHIESE nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico VERREBBE CANCELLATA. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto DESOLAZIONE. Ma allora non è abbandonato solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!
Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si pesenta quale unica Chiesa di Cristo?"
La replica di Ratzinger è precisa: la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità...
(...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa NON è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle cominità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussite pertanto UNA E INDIVISA NELLA CHIESA CATTOLICA CON A CAPO PIETRO...."..

E come venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:
"Non può esserci un vero dialogo a prezzo della VERITA'; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella VERITA'.."



questo il documento sopra citato:
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_28051992_communionis-notio...



....sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communionis Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi....

Lo stesso Ratzinger rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica SUPERIORE, collegata certamente all'istituzione degli altri undici CHE AGISCONO IN COMUNIONE CON LUI, MA NON SENZA DI LUI, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).
Pietro ha un primato AUTOREVOLE che include l'insegnamento e il la guida, egli è istituito PER PRIMO ED IN MODO SPECIFICO (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nella unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.
Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore IN SUA VECE (da qui il termine VICARIO)!

Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!
Se infatti gli Atti presentano Pietro come il GARANTE della Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati.....lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere CONFERMA della sua predicazione!


All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060607...


Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".


Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando da Cardinale rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.....
Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, Ratzinger torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità.....ma la collegialità quanto l'esercizio petrino NON SI CONTRAPPONGONO....

"Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale NON si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

(CdF il primato del successore n.5 EV 17, 1594)

Caterina63
00lunedì 8 febbraio 2010 17:42

Communionis Notio

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
SU ALCUNI ASPETTI DELLA CHIESA INTESA COME COMUNIONE


INTRODUZIONE

1. Il concetto di comunione (koinonía), già messo in luce nei testi del Concilio Vaticano II(1), è molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del Mistero della Chiesa e può essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica(2). L'approfondimento della realtà della Chiesa come Comunione è, infatti, un compito particolarmente importante, che offre ampio spazio alla riflessione teologica sul mistero della Chiesa, « la cui natura è tale da ammettere sempre nuove e più profonde esplorazioni(3). Tuttavia, alcune visioni cclesiologiche palesano un'insufficiente comprensione della Chiesa in quanto mistero di comunione, specialmente per la mancanza di un'adeguata integrazione del concetto di comunione con quelli di Popolo di Dio e di Corpo di Cristo, e anche per un insufficiente rilievo accordato al rapporto tra la Chiesa come comunione e la Chiesa come sacramento.

2. Tenuto conto dell'importanza dottrinale, pastorale ed ecumenica dei diversi aspetti riguardanti la Chiesa intesa come Comunione, con la presente Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha creduto opportuno richiamare brevemente e chiarire, ove necessario, alcuni degli elementi fondamentali che debbono essere ritenuti punti fermi, anche nell'auspicato lavoro d'approfondimento teologico.

I

LA CHIESA, MISTERO DI COMUNIONE

3. Il concetto di comunione sta « nel cuore dell'autoconoscenza della Chiesa(4), in quanto Mistero dell'unione personale di ogni uomo con la Trinità divina e con gli altri uomini, iniziata dalla fede(5), ed orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente una realtà nella Chiesa sulla terra(6).

Affinché il concetto di comunione, che non è univoco, possa servire come chiave interpretativa dell'ecclesiologia, dev'essere inteso all'interno dell'insegnamento biblico e della tradizione patristica, nelle quali la comunione implica sempre una duplice dimensione: verticale (comunione con Dio) ed orizzontale (comunione tra gli uomini). E' essenziale alla visione cristiana della comunione riconoscerla innanzitutto come dono di Dio, come frutto dell'iniziativa divina compiuta nel mistero pasquale. La nuova relazione tra l'uomo e Dio, stabilita in Cristo e comunicata nei sacramenti, si estende anche ad una nuova relazione degli uomini tra di loro. Di conseguenza, il concetto di comunione dev'essere in grado di esprimere anche la natura sacramentale della Chiesa mentre « siamo in esilio lontano dal Signore(7), così come la peculiare unità che fa dei fedeli le membra di un medesimo Corpo, il Corpo mistico di Cristo(8), una comunità organicamente strutturata(9), « un popolo adunato dall'unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo(10), fornito anche dei mezzi adatti per l'unione visibile e sociale(11).

4. La comunione ecclesiale è allo stesso tempo invisibile e visibile. Nella sua realtà invisibile, essa è comunione di ogni uomo con il Padre per Cristo nello Spirito Santo, e con gli altri uomini compartecipi nella natura divina(12), nella passione di Cristo(13), nella stessa fede(14), nello stesso spirito(15). Nella Chiesa sulla terra, tra questa comunione invisibile e la comunione visibile nella dottrina degli Apostoli, nei sacramenti e nell'ordine gerarchico, vi è un intimo rapporto. In questi divini doni, realtà ben visibili, Cristo in vario modo esercita nella storia la Sua funzione profetica, sacerdotale e regale per la salvezza degli uomini(16). Questo rapporto tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come Sacramento di salvezza.

Da tale sacramentalità deriva che la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: a raccogliere tutti e tutto in Cristo(17); ad essere per tutti « sacramento inseparabile di unit(18).

5. La comunione ecclesiale, nella quale ognuno viene inserito dalla fede e dal Battesimo(19), ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia. Infatti, il Battesimo è incorporazione in un corpo edificato e vivificato dal Signore risorto mediante l'Eucaristia, in modo tale che questo corpo può essere chiamato veramente Corpo di Cristo. L'Eucaristia è fonte e forza creatrice di comunione tra i membri della Chiesa proprio perché unisce ciascuno di essi con lo stesso Cristo: « nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: ?Perché c'è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, noi che partecipiamo tutti a un unico pane' (1 Cor 10, 17)(20).

Perciò l'espressione paolina la Chiesa è il Corpo di Cristo significa che l'Eucaristia, nella quale il Signore ci dona il suo Corpo e ci trasforma in un solo Corpo(21), è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma più essenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo.

6. La Chiesa è Comunione dei santi, secondo l'espressione tradizionale che si trova nelle versioni latine del Simbolo apostolico a partire dalla fine del IV secolo(22). La comune partecipazione visibile ai beni della salvezza (le cose sante), specialmente all'Eucaristia, è radice della comunione invisibile tra i partecipanti (i santi). Questa comunione comporta una spirituale solidarietà tra i membri della Chiesa, in quanto membra di un medesimo Corpo(23), e tende alla loro effettiva unione nella carità costituendo « un solo cuore ed una sola anima(24). La comunione tende pure all'unione nella preghiera(25), ispirata in tutti da un medesimo Spirito(26), lo Spirito Santo « che riempie ed unisce tutta la Chiesa(27).

Questa comunione, nei suoi elementi invisibili, esiste non solo tra i membri della Chiesa pellegrinante sulla terra, ma anche tra essi e tutti coloro che, passati da questo mondo nella grazia del Signore, fanno parte della Chiesa celeste o saranno incorporati ad essa dopo la loro piena purificazione(28). Ciò significa, tra l'altro, che esiste una mutua relazione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste nella missione storico-salvifica. Ne consegue l'importanza ecclesiologica non solo dell'intercessione di Cristo a favore delle sue membra(29), ma anche di quella dei santi e, in modo eminente, della Beata Vergine Maria(30). L'essenza della devozione ai santi, così presente nella pietà del popolo cristiano, risponde perciò alla profonda realtà della Chiesa come mistero di comunione.

II

CHIESA UNIVERSALE E CHIESE PARTICOLARI

7. La Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore(31), che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. Tra queste molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dell'unica Chiesa di Cristo, fin dall'epoca apostolica si trovano quelle che in se stesse sono Chiese(32), perché, pur essendo particolari, in esse si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali(33). Sono perciò costituite « a immagine della Chiesa universale(34), e ciascuna di esse è « una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio(35).

8. La Chiesa universale è perciò il Corpo delle Chiese(36), per cui è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione anche all'unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una Comunione di Chiese. A volte, però, l'idea di « comunione di Chiese particolari », è presentata in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell'unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se stesso completo e che la Chiesa universale risulta dal riconoscimento reciproco delle Chiese particolari. Questa unilateralità ecclesiologica, riduttiva non solo del concetto di Chiesa universale ma anche di quello di Chiesa particolare, manifesta un'insufficiente comprensione del concetto di comunione. Come la stessa storia dimostra, quando una Chiesa particolare ha cercato di raggiungere una propria autosufficienza, indebolendo la sua reale comunione con la Chiesa universale e con il suo centro vitale e visibile, è venuta meno anche la sua unità interna e, inoltre, si è vista in pericolo di perdere la propria libertà di fronte alle forze più diverse di asservimento e di sfruttamento(37).

9. Per capire il vero senso dell'applicazione analogica del termine comunione all'insieme delle Chiese particolari, è necessario innanzitutto tener conto che queste, per quanto « parti dell'unica Chiesa di Cristo(38), hanno con il tutto, cioè con la Chiesa universale, un peculiare rapporto di « mutua interiorit(39), perché in ogni Chiesa particolare « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica(40). Perciò, « la Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari(41). Essa non è il risultato della loro comunione, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare.

Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed unica secondo i Padri precede la creazione(42), e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue(43).

Da essa, originata e manifestatasi universale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Nascendo nella e dalla Chiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità. Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis)(44), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia)(45). E' evidente la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in qualsiasi gruppo o società puramente umana.

10. Ogni fedele, mediante la fede e il Battesimo, è inserito nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Non si appartiene alla Chiesa universale in modo mediato, attraverso l'appartenenza ad una Chiesa particolare, ma in modo immediato, anche se l'ingresso e la vita nella Chiesa universale si realizzano necessariamente in una particolare Chiesa. Nella prospettiva della Chiesa intesa come comunione, l'universale comunione dei fedeli e la comunione delle Chiese non sono dunque l'una conseguenza dell'altra, ma costituiscono la stessa realtà vista da prospettive diverse.

Inoltre, l'appartenenza ad una Chiesa particolare non è mai in contraddizione con la realtà che nella Chiesa nessuno è straniero(46): specialmente nella celebrazione dell'Eucaristia, ogni fedele si trova nella sua Chiesa, nella Chiesa di Cristo, a prescindere dalla sua appartenenza o meno, dal punto di vista canonico, alla diocesi, parrocchia o altra comunità particolare dove ha luogo tale celebrazione. In questo senso, ferme restando le necessarie determinazioni di dipendenza giuridica(47), chi appartiene ad una Chiesa particolare appartiene a tutte le Chiese; poiché l'appartenenza alla Comunione, come appartenenza alla Chiesa, non è mai soltanto particolare, ma per sua stessa natura è sempre universale(48).

III

COMUNIONE DELLE CHIESE, EUCARISTIA ED EPISCOPATO

11. L'unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, è radicata soprattutto nell'Eucaristia e nell'Episcopato.

E' radicata nell'Eucaristia perché il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa, infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l'intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(49).

La riscoperta di un'ecclesiologia eucaristica, con i suoi indubbi valori, si è tuttavia espressa a volte in accentuazioni unilaterali del principio della Chiesa locale. Si afferma che dove si celebra l'Eucaristia, si renderebbe presente la totalità del mistero della Chiesa in modo da ritenere non- essenziale qualsiasi altro principio di unità e di universalità. Altre concezioni, sotto influssi teologici diversi, tendono a radicalizzare ancora di più questa prospettiva particolare della Chiesa, al punto da ritenere che sia lo stesso riunirsi nel nome di Gesù (cf. Mt 18, 20) a generare la Chiesa: l'assemblea che nel nome di Cristo diventa comunità, porterebbe in sé i poteri della Chiesa, anche quello relativo all'Eucaristia; la Chiesa, come alcuni dicono, nascerebbe « dal basso ». Questi ed altri errori simili non tengono in sufficiente conto che è proprio l'Eucaristia a rendere impossibile ogni autosufficienza della Chiesa particolare. Infatti, l'unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore ne consegue l'inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l'esistenza del ministero Petrino, fondamento dell'unità dell'Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l'indole eucaristica della Chiesa.

12. Infatti, l'unità della Chiesa è pure radicata nell'unità dell'Episcopato(50). Come l'idea stessa di Corpo delle Chiese richiama l'esistenza di una Chiesa Capo delle Chiese, che è appunto la Chiesa di Roma, che « presiede alla comunione universale della carit(51), così l'unità dell'Episcopato comporta l'esistenza di un Vescovo Capo del Corpo o Collegio dei Vescovi, che è il Romano Pontefice(52). Dell'unità dell'Episcopato, come dell'unità dell'intera Chiesa, « il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è perpetuo e visibile principio e fondamento(53). Questa unità dell'Episcopato si perpetua lungo i secoli mediante la successione apostolica, ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli(54).

13. Il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(55), ma affinché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita a immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale « insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso(56). Il Primato del Vescovo di Roma ed il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale « non derivati dalla particolarità delle Chiese(57), ma tuttavia interiori ad ogni Chiesa particolare. Pertanto, « dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non solo come un servizio "globale" che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro" ».(58) Infatti, il ministero del Primato comporta essenzialmente una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena ed universale, ma anche immediata, su tutti, sia Pastori che altri fedeli(59). L'essere il ministero del Successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare(60).

14. Unità dell'Eucaristia ed unità dell'Episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell'unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l'Eucaristia e l'Episcopato come realtà essenzialmente vincolate(61). L'Episcopato è uno così come una è l'Eucaristia: l'unico Sacrificio dell'unico Cristo morto e risorto. La liturgia esprime in vari modi questa realtà, manifestando, ad esempio, che ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo(62). Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma(63).

IV

UNITA' E DIVERSITA' NELLA COMUNIONE ECCLESIALE

15. « L'universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall'altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono invece il carattere di ?comunione(64). Questa pluralità si riferisce sia alla diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato all'interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali, tra le diverse Chiese particolari(65).

La promozione dell'unità che non ostacola la diversità, così come il riconoscimento e la promozione di una diversificazione che non ostacola l'unità ma la arricchisce, è compito primordiale del Romano Pontefice per tutta la Chiesa(66) e, salvo il diritto generale della stessa Chiesa, di ogni Vescovo nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(67). Ma l'edificazione e salvaguardia di questa unità, alla quale la diversificazione conferisce il carattere di comunione, è anche compito di tutti nella Chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è « il vincolo della perfezione(68).

16. Per una visione più completa di questo aspetto della comunione ecclesiale -unità nella diversità-, è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall'Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano. Tale appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria,(69), trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l'unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest'unità l'interiore diversificazione propria della comunione(70).

Nel contesto della Chiesa intesa come comunione, vanno considerati pure i molteplici istituti e società, espressione dei carismi di vita consacrata e di vita apostolica, con i quali lo Spirito Santo arricchisce il Corpo Mistico di Cristo: pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santit(71).

Per il loro carattere sovradiocesano, radicato nel ministero Petrino, tutte queste realtà ecclesiali sono anche elementi al servizio della comunione tra le diverse Chiese particolari.

V

COMUNIONE ECCLESIALE ED ECUMENISMO

17. « Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il Successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita(72). Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta(73).

Tale comunione esiste specialmente con le Chiese orientali ortodosse: per quanto separate dalla Sede di Pietro, esse restano unite alla Chiesa Cattolica per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e l'Eucaristia valida, e meritano perciò il titolo di Chiese particolari(74). Infatti, « con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce(75), poichè in ogni valida celebrazione dell'Eucaristia si fa veramente presente la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(76).

Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare. La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti « un solo gregge e un solo pastore(77), una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

18. Questa situazione richiama fortemente tutti all'impegno ecumenico verso la piena comunione nell'unità della Chiesa; quell'unità « che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa Cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli(78). In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia.

CONCLUSIONE

19. La Beata Vergine Maria è modello della comunione ecclesiale nella fede, nella carità e nell'unione con Cristo(79). « Eternamente presente nel mistero di Cristo(80), Ella è, in mezzo agli Apostoli, nel cuore stesso della Chiesa nascente(81) e della Chiesa di tutti i tempi. Infatti, « la Chiesa fu congregata nella parte alta (del cenacolo) con Maria, che era la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui. Non si può dunque, parlare di Chiesa se non vi è presente Maria, la madre del Signore, con i fratelli di lui(82).

Nel concludere questa Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede, riecheggiando le parole finali della Costituzione Lumen gentium(83), invita tutti i Vescovi e, tramite loro, tutti i fedeli, specialmente i teologi, ad affidare all'intercessione della Beata Vergine il loro impegno di comunione e di riflessione teologica sulla comunione.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 28 maggio 1992.

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Alberto Bovone
Arciv. Tit. di Cesarea di Numidia
Segretario



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(1) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 4, 8, 13-15, 18, 21, 24-25; Costit. dogm. Dei Verbum, n. 10; Costit. past. Gaudium et spes, n. 32; Decr. Unitatis redintegratio, nn. 2-4, 14-15, 17-19, 22.

(2) Cf. Sinodo dei Vescovi, II Assemblea straordinaria (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(3) Paolo VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Conc. Vaticano II, 29-IX-1963: AAS 55 (1963) 848. Cf., ad esempio, le prospettive di approfondimento indicate dalla Commissione Teologica Internazionale, in « Themata selecta de ecclesiologia »: Documenta (1969-1985), Lib. Ed. Vaticana 1988, pp. 462-559.

(4) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 1: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 553.

(5) 1 Gv 1, 3: « Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ». Cf. anche 1 Cor 1, 9; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 19: AAS 81 (1989) 422-424; Sinodo dei Vescovi (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(6) Cf. Fil 3, 20-21; Col 3, 1-4; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 48.

(7) 2 Cor 5, 6. Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 1.

(8) Cf. ibidem, n. 7; Pio XII, Encicl. Mystici Corporis, 29-VI-1943: AAS 35 (1943) 200ss.

(9) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 11 § 1.

(10) S. Cipriano, De Oratione Dominica, 23: PL 4, 553; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4 § 2.

(11) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 9 § 3.

(12) Cf. 2 Pt 1, 4.

(13) Cf. 2 Cor 1, 7.

(14) Cf. Ef 4, 13; Filem 6.

(15) Cf. Fil 2, 1.

(16) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 25-27.

(17) Cf. Mt 28, 19-20; Gv 17, 21-23; Ef 1, 10; Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 9 § 2, 13 e 17; Decr. Ad gentes, nn. 1 e 5; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 16, 6 e 22, 1-3: PG 7, 925-926 e 955-958.

(18) S. Cipriano, Epist. ad Magnum, 6: PL 3, 1142.

(19) Ef 4, 4-5: « Un solo corpo e un solo Spirito, come con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ». Cf. anche Mc 16, 16.

(20) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 7 § 2. L'Eucaristia è il sacramento « mediante il quale nel tempo presente si consocia la Chiesa » (S. Agostino, Contra Faustum, 12, 20: PL 42, 265). « La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo » (S. Leone Magno, Sermo 63, 7: PL 54, 357).

(21) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 3 e 11 § 1; S. Giovanni Crisostomo, In 1 Cor. hom., 24, 2: PG 61, 200.

(22) Cf. Denz.-Schön. 19; 25-30.

(23) Cf. 1 Cor 12, 25-27; Ef 1, 22-23; 3, 3-6.

(24) At 4, 32.

(25) Cf. At 2, 42.

(26) Cf. Rm 8, 15-16.26; Gal 4, 6; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4.

(27) S. Tommaso D'Aquino, De Veritate, q. 29, a. 4 c. Infatti, « innalzato sulla croce e glorificato, il Signore Gesù comunicò lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che è la Chiesa » (Decr. Unitatis redintegratio, n. 2 § 2).

(28) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 49.

(29) Cf. Eb 7, 25.

(30) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 50 e 66.

(31) Cf. Mt 16, 18; 1 Cor 12, 28.

(32) Cf. At 8, 1; 11, 22; 1 Cor 1, 2; 16, 19; Gal 1, 22; Ap 2, 1.8.

(33) Cf. Pontificia Commissione Biblica, Unité et diversité dans l'Eglise, Lib. Ed. Vaticana 1989, specialmente, pp. 14-28.

(34) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1; cf. Decr. Ad gentes, n. 20 § 1.

(35) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(36) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 2. Cf. S. Ilario di Poitiers, In Psalm., 14, 3: PL 9, 301; S. Gregorio Magno, Moralia, IV, 7, 12: PL 75, 643.

(37) Cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 64 § 2: AAS 68 (1976) 54-55.

(38) Decr. Christus Dominus, n. 6 § 3.

(39) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(40) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(41) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 555.

(42) Cf. S. Clemente Romano, Epist. II ad Cor., 14, 2: Funck, 1, 200; Pastore di Erma, Vis. 2, 4: PG 2, 897- 900.

(43) Cf. At 2, 1ss. S. Ireneo, Adversus haereses, III, 17, 2 (PG 7, 929-930): « nella Pentecoste (...) tutte le nazioni (...) sarebbero diventate un mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio Padre ». Cf. anche S. Fulgenzio di Ruspe, Sermo 8 in Pentecoste, 2-3: PL 65, 743-744.

(44) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1: « [le Chiese particolari]... nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica ». Questa dottrina sviluppa nella continuità quanto già affermato prima, ad esempio da Pio XII, Encicl. Mystici Corporis, AAS 35 (1943) 211: « ...a partire dalle quali esiste ed è composta la Chiesa Cattolica ».

(45) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(46) Cf. Gal 3, 28.

(47) Cf., ad esempio, C.I.C., can. 107.

(48) S. Giovanni Crisostomo, In Ioann. hom., 65, 1 (PG 59, 361): « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 2.

(49) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26 § 1; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 26, 13: PL 35, 1612-1613.

(50) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 18 § 2, 21 § 2, 22 § 1. Cf. anche S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 5: PL 4, 516-517; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 46, 5: PL 35, 1730.

(51) S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Rom., prol.: PG 5, 685; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 3.

(52) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(53) Ibidem, n. 23 § 1. Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus: Denz.-Schön. 3051-3057; S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 4: PL 4, 512-515.

(54) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 20; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 1-3: PG 7, 848-849; S. Cipriano, Epist. 27, 1: PL 4, 305-306; S. Agostino, Contra advers. legis et prophet., 1, 20, 39: PL 42, 626.

(55) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1.

(56) Ibidem, n. 22 § 2; cf. anche n. 19.

(57) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(58) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 556.

(59) Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Schön 3064; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(60) Cf. supra, n. 9.

(61) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26; S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Philadel., 4: PG 5, 700; Epist. ad Smyrn., 8: PG 5, 713.

(62) Cf. Messale Romano, Preghiera Eucaristica III.

(63) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 8 § 2.

(64) Giovanni Paolo II, Discorso nell'Udienza generale, 27-IX-1989, n. 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII,2 (1989) 679.

(65) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 4.

(66) Cf. ibidem, n. 13 § 3.

(67) Cf. Decr. Christus Dominus, n. 8 § 1.

(68) Col 3, 14. S. Tommaso D'Aquino, Exposit. in Symbol. Apost., a. 9: « La Chiesa è una (...) dall'unità della carità, perché tutti sono connessi nell'amore di Dio, e tra di loro nell'amore mutuo ».

(69) Cf. supra, n. 10.

(70) Cf. supra, n. 15.

(71) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 44 § 4.

(72) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 15.

(73) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 3 § 1 e 22; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 4.

(74) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 14 e 15 § 3.

(75) Ibidem, n. 15 § 1.

(76) Cf. supra, nn. 5 e 14.

(77) Gv 10, 16.

(78) Decr. Unitatis redintegratio, n. 4 § 3.

(79) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 63 e 68; S. Ambrogio, Exposit. in Luc., 2, 7: PL 15, 1555; S. Isacco di Stella, Sermo 27: PL 194, 1778-1779; Ruperto di Deutz, De Vict. Verbi Dei, 12, 1: PL 169, 1464-1465.

(80) Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 19: AAS 79 (1987) 396.

(81) Cf. At 1, 14; Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 26: AAS 79 (1987) 396.

(82) S. Cromazio di Aquileia, Sermo 30, 1: Sources Chrétiennes 1 64, p. 134. Cf. Paolo VI, Esort apost. Marialis cultus, 2-II-1974, n. 28: AAS 66 (1974) 141.

(83) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 69.
Caterina63
00lunedì 8 febbraio 2010 18:02

L’ecclesiologia di comunione e la Lettera “Communionis Notio”


Inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Angelicum


CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 25 novembre 2006 (ZENIT.org).- Il 15 novembre, festa liturgica di sant’Alberto Magno, O.P., Compatrono della Pontificia Università san Tommaso d’Aquino-Angelicum, si è tenuta presso l’Università la solenne cerimonia inaugurale per l’inizio dell’anno accademico 2006-2007, 426°dalla Fondazione del Collegio san Tommaso.

Di seguito pubblichiamo la prolusione tenuta da monsignor Angelo Amato, S.D.B., Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, sul tema: L’ecclesiologia di comunione e la Lettera “Communionis notio” della Congregazione per la Dottrina della Fede.

* * *


1. Alcune premesse

Il Vaticano I, interrotto a causa della guerra franco-tedesca, aveva lasciato incompiuta la sua sintesi ecclesiologica. La riflessione sulla Chiesa, però, era continuata sia da parte cattolica, sia da parte protestante. Karl Barth, ad esempio, aveva intitolato la sua sintesi teologica Kirchliche Dogmatik, perché senza la Chiesa non c’è dogmatica.

Tra i pilastri dottrinali del Vaticano II, costituiti dalle quattro costituzioni, due riguardano la Chiesa: la Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium) e quella pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes). Ci si può chiedere: il Vaticano II fu un concilio eminentemente ecclesiologico? La risposta ce l’ha data l’allora cardinale Joseph Ratzinger, ottimo conoscitore della mens del Concilio, al quale partecipò personalmente. Secondo lui «il Concilio Vaticano II non fu solo un concilio ecclesiologico, ma prima e soprattutto esso ha parlato di Dio e questo non solo all’interno della cristianità, ma rivolto al mondo – di quel Dio, che è il Dio di tutti, che tutti salva e a tutti è accessibile». [1]

Per Ratzinger «il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari».[2] Del resto, per coincidenza provvidenziale, la prima costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia – solo per motivi pratici pubblicata per prima (4 dicembre 1963) – ci offre la giusta prospettiva dell’architettura teologica conciliare. Anzitutto c’è Dio e l’adorazione di Dio: «Nihil operi Dei praeponatur» dice la regola benedettina. [3] Solo all’interno di questo atteggiamento orante segue la riflessione dogmatica sulla Chiesa, che di fatto fu la seconda costituzione conciliare ad essere approvata (21 novembre 1964).

Dalla Lumen gentium sono state attinte e diffuse nel postconcilio espressioni e tematiche correnti come popolo di Dio, collegialità dei Vescovi, rivalutazione delle Chiese locali, apertura ecumenica e interreligiosa, il subsistit in della Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica.
Spesso queste espressioni sono state viste e radicalizzate in modo ideologico: ad esempio, il popolo di Dio non rare volte è stato inteso in senso solo sociologico, contrapposto ai ministri ordinati; oppure la collegialità episcopale in contrapposizione al primato del Papa; oppure la Chiesa locale in contrapposizione alla Chiesa universale. Oppure si vuole vedere nella Lumen gentium una doppia ecclesiologia, giuridica e di comunione
. [4]

2. Il Sinodo del 1985 e l’ecclesiologia di comunione

A partire soprattutto dal Sinodo straordinario del 1985, celebratosi dopo venti anni dalla chiusura del Vaticano II, un’altra espressione ha cercato di riassumere l’ecclesiologia conciliare. Si tratta della formula ecclesiologia di comunione. In realtà, pur non avendo una posizione centrale nel Concilio, l’espressione “communio” può ben esprimere l’animus conciliare, anche perché ha una solida base biblica. Un testo giovanneo, ad esempio, può illustrare adeguatamente l’autentico concetto di communio: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3).

Il cardinal Ratzinger commentava questo brano affermando: «Qui emerge in primo piano il punto di partenza della communio: l’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che nell’annuncio della Chiesa viene agli uomini. Così nasce la comunione degli uomini fra di loro, che a sua volta si fonda sulla comunione con il Dio uno e trino».[5] Altri testi illustrano la nostra chiamata alla comunione con lo Spirito (cf. 2Cor 13,13; Fl 2,1). La nostra comunione è quindi anzitutto con Dio Trinità mediante Nostro Signore Gesù Cristo. Per San Paolo la communio ha infatti un carattere cristologico e sacramentale: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10,16-17).

Da questo radicamento trinitario e cristologico, nasce la comunione nella Chiesa, anch’essa testimoniata dai testi biblici. La raccolta di offerte fatte da Paolo per i poveri di Gerusalemme è un atto di solidarietà ecclesiale (cf. 2Cor 8,4; 9,13; cf. Rm 15,26); anche il ministero ha una dimensione comunionale (cf. 2Cor 8,23); nella Chiesa, infine, c’è la comunione nella fede (cf. Flm 6; 1Gv 1,7; Eb 10,33). Sia il termine koinonia sia altri suoi sinonimi hanno quindi una ricca e fontale connotazione trinitaria e sacramentale. La comunione ecclesiale si fonda sulla comunione trinitaria e ne è espressione e manifestazione. Un’ultima caratteristica della communio è quella eucaristica, dal momento che la comunione con Gesù viene vissuta sacramentalmente soprattutto nella celebrazione eucaristica. Affermava ancora il cardinale Ratzinger: «Nell'Eucaristia Cristo, presente nel pane e nel vino e donandosi sempre nuovamente, edifica la Chiesa come suo corpo e per mezzo del suo corpo di risurrezione ci unisce al Dio uno e trino e fra di noi. L'Eucaristia si celebra nei diversi luoghi e tuttavia è allo stesso tempo sempre universale, perché esiste un solo Cristo e un solo corpo di Cristo».

È questo il significato della ecclesiologia di comunione. Purtroppo, dopo il 1985, il termine diventò uno slogan con una certa carica orizzontalista fino a ridursi a indicare la relazione tra Chiesa locale e Chiesa universale o ad accendere la discussione sulla divisione dei poteri e delle competenze. Quasi a riproporre la disputa dei discepoli su chi fosse il più grande (cf. Mc 9,33-37), trascurando, però, la risposta del Signore: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35).

3. La Lettera «Communionis notio» (1992)

Proprio per chiarire questo controverso concetto di communio, la Congregazione per la dottrina della fede pubblicò nel 1992 la Lettera «Communionis notio» su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione. [7] Come spesso accade per i pronunciamenti dottrinali del Magistero – un ultimo esempio è dato dalla contrastata recezione della Dichiarazione Dominus Iesus nell’anno del Grande Giubileo del 2000 – , questo testo ricevette molte critiche. I teologi, infatti, invece di esercitare la loro vocazione ecclesiale mediante un sincero e motivato “sentire cum Ecclesia”, non rare volte preferiscono manifestare un cordiale “dissentire ab Ecclesia”. [8] Sono cinque le principali tematiche di questo documento: 1. la Chiesa, mistero di comunione; 2. Chiesa universale e chiese particolari; 3. Comunione delle Chiese, Eucaristia ed Episcopato; 4. Unità e diversità nella comunione ecclesiale; 5. Comunione ecclesiale ed ecumenismo.

4. La Chiesa mistero di comunione

In questa mia presentazione, userò le stesse parole di questa breve Lettera, che nella sua essenzialità e precisione chiarisce molti aspetti e conseguenze del termine di comunione. Infatti il «concetto di comunione sta nel cuore dell'autoconoscenza della Chiesa, in quanto Mistero dell'unione personale di ogni uomo con la Trinità divina e con gli altri uomini, iniziata dalla fede, ed orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente una realtà nella Chiesa sulla terra» (n. 3). In questo concetto non univoco di comunione c'è anzitutto una sua duplice dimensione: verticale, come dono di Dio, e orizzontale, come relazione tra i fedeli: «È essenziale alla visione cristiana della comunione riconoscerla innanzitutto come dono di Dio, come frutto dell'iniziativa divina compiuta nel mistero pasquale. La nuova relazione tra l'uomo e Dio, stabilita in Cristo e comunicata nei sacramenti, si estende anche ad una nuova relazione degli uomini tra di loro. Di conseguenza, il concetto di comunione deve essere in grado di esprimere anche la natura sacramentale della Chiesa [...], così come la peculiare unità che fa dei fedeli le membra di un medesimo Corpo, il Corpo mistico di Cristo, una comunità organicamente strutturata, un popolo adunato dall'unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, fornito anche dei mezzi adatti per l'unione visibile e sociale» (n. 3). Oltre alla dimensione verticale e orizzontale, la comunione ecclesiale è allo stesso tempo invisibile e visibile: «Nella sua realtà invisibile, essa è comunione di ogni uomo con il Padre per Cristo nello Spirito Santo, e con gli altri uomini compartecipi nella natura divina, nella passione di Cristo, nella stessa fede, nello stesso spirito. Nella Chiesa sulla terra, tra questa comunione invisibile e la comunione visibile nella dottrina degli Apostoli, nei sacramenti e nell'ordine gerarchico, vi è un intimo rapporto. In questi divini doni, realtà ben visibili, Cristo in vario modo esercita nella storia la Sua funzione profetica, sacerdotale e regale per la salvezza degli uomini» (n. 4).

Nella comunione ecclesiale il rapporto tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili è costitutivo della Chiesa come Sacramento di salvezza: «Da tale sacramentalità deriva che la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: a raccogliere tutti e tutto in Cristo; ad essere per tutti sacramento inseparabile di unità» (n. 4).

Questi vari aspetti della comunione ecclesiale trovano la loro sintesi e la loro espressione autentica ed efficace nell'Eucaristia: «La comunione ecclesiale, nella quale ognuno viene inserito dalla fede e dal Battesimo, ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia. Infatti, il Battesimo è incorporazione in un corpo edificato e vivificato dal Signore risorto mediante l'Eucaristia, in modo tale che questo corpo può essere chiamato veramente Corpo di Cristo. L'Eucaristia è fonte e forza creatrice di comunione tra i membri della Chiesa, proprio perché unisce ciascuno di essi con lo stesso Cristo: nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: Perché c'è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, noi che partecipiamo tutti a un unico pane (1Cor 10, 17). Perciò l'espressione paolina la Chiesa è il Corpo di Cristo significa che l'Eucaristia, nella quale il Signore ci dona il suo Corpo e ci trasforma in un solo Corpo, è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma più essenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo» (n. 5).

C'è un ultimo contenuto del concetto di comunione applicato alla Chiesa, quello di essere communio sanctorum, secondo l'espressione tradizionale che si trova nelle versioni latine del Simbolo apostolico a partire dalla fine del IV secolo: «La comune partecipazione visibile ai beni della salvezza (le cose sante), specialmente all'Eucaristia, è radice della comunione invisibile tra i partecipanti (i santi). Questa comunione comporta una spirituale solidarietà tra i membri della Chiesa, in quanto membra di un medesimo Corpo, e tende alla loro effettiva unione nella carità costituendo un solo cuore ed una sola anima. La comunione tende pure all'unione nella preghiera, ispirata in tutti da un medesimo Spirito, lo Spirito Santo che riempie ed unisce tutta la Chiesa» (n. 6).

Questa comunione si estende anche a coloro che, passati da questo mondo nella grazia del Signore, fanno parte della Chiesa celeste o saranno incorporati ad essa dopo la loro piena purificazione. Esiste quindi una mutua relazione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste nella missione storico-salvifica: «Ne consegue l'importanza ecclesiologica non solo dell'intercessione di Cristo a favore delle sue membra, ma anche di quella dei santi e, in modo eminente, della Beata Vergine Maria. L'essenza della devozione ai santi, così presente nella pietà del popolo cristiano, risponde perciò alla profonda realtà della Chiesa come mistero di comunione» (n. 6).

5. Chiesa universale e sua precedenza ontologica e storica sulle Chiese particolari

1. Da questo complesso e ricco concetto di comunione nella Chiesa deriva anzitutto il chiarimento della relazione esistente tra Chiesa universale e chiesa particolare: «La Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore, che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. Tra queste molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dell'unica Chiesa di Cristo, fin dall'epoca apostolica si trovano quelle che in se stesse sono Chiese, perché, pur essendo particolari, in esse si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali. Sono perciò costituite a immagine della Chiesa universale, e ciascuna di esse è una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio» (n. 7).

È legittimo, pertanto, «applicare in modo analogico il concetto di comunione anche all'unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una Comunione di Chiese» (n. 8). Tuttavia questo fatto non deve sminuire l'unità della Chiesa: «A volte, però, l'idea di "comunione di Chiese particolari", è presentata in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell'unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se stesso completo e che la Chiesa universale risulta dal riconoscimento reciproco delle Chiese particolari» (n. 8).

In ciò si ha una insufficiente comprensione del concetto di comunione. Infatti questa unilateralità ecclesiologica è riduttiva non solo del concetto di Chiesa universale, ma anche di quello di Chiesa particolare: «Come la stessa storia dimostra, quando una Chiesa particolare ha cercato di raggiungere una propria autosufficienza, indebolendo la sua reale comunione con la Chiesa universale e con il suo centro vitale e visibile, è venuta meno anche la sua unità interna e, inoltre, si è vista in pericolo di perdere la propria libertà di fronte alle forze più diverse di asservimento e di sfruttamento» (n. 8).

L'ecclesiologia di comunione non significa che la Chiesa di Cristo è la somma delle Chiese particolari. È vero, infatti, che le Chiese particolari hanno con la Chiesa universale un peculiare rapporto di mutua interiorità, perché in ogni Chiesa particolare è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Tuttavia, la Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari. Essa non è il risultato della comunione della Chiese particolari ma nel suo essenziale mistero è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare: «Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed unica secondo i Padri precede la creazione, e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue» (n. 9).

Da questa Chiesa, nata e presentatasi universale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Le Chiese particolari, nascendo nella e dalla Chiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità: «Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia). È evidente la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in qualsiasi gruppo o società puramente umana» (n. 9). La conseguenza immediata di ciò è il fatto che ogni fedele è inserito nell'unica Chiesa di Cristo immediatamente mediante la fede e il battesimo: «Non si appartiene alla Chiesa universale in modo mediato, attraverso l'appartenenza ad una Chiesa particolare, ma in modo immediato, anche se l'ingresso e la vita nella Chiesa universale si realizzano necessariamente in una particolare Chiesa. Nella prospettiva della Chiesa intesa come comunione, l'universale comunione dei fedeli e la comunione delle Chiese non sono dunque l'una conseguenza dell'altra, ma costituiscono la stessa realtà vista da prospettive diverse» (n. 10).

Ogni fedele, quindi, «si trova nella sua Chiesa, nella Chiesa di Cristo, a prescindere dalla sua appartenenza o meno, dal punto di vista canonico, alla diocesi, parrocchia o altra comunità particolare dove ha luogo tale celebrazione. In questo senso, ferme restando le necessarie determinazioni di dipendenza giuridica, chi appartiene ad una Chiesa particolare appartiene a tutte le Chiese; poiché l'appartenenza alla Comunione, come appartenenza alla Chiesa, non è mai soltanto particolare, ma per sua stessa natura è sempre universale» (n. 10).

2. Approfondiamo ulteriormente il tema della precedenza ontologica e storica della Chiesa universale sulla Chiesa particolare. Questa interpretazione è in continuità sia con la teologia rabbinica, che aveva concepito come preesistenti la Torà e Israele, sia con la teologia patristica, che, fondandosi sull'identità ultima fra Chiesa ed Israele, non poteva vedere nella Chiesa una realtà sorta casualmente all'ultimo momento, ma una realtà pensata da Dio fin dalla creazione, quando l'immagine dell'uomo e della donna che diverranno "due in una carne sola" (Gn 2,24) simboleggiò l'unione sponsale di Cristo con la Chiesa: «Questa precedenza ontologica della Chiesa universale, dell'unica Chiesa e dell'unico corpo, dell'unica sposa, rispetto alle realizzazioni empiriche concrete nelle singole Chiese particolari mi sembra – commentava il Cardinale Ratzinger – così evidente, che mi riesce difficile comprendere le obiezioni ad essa». [9]

È questa l'ecclesiologia delle grandi lettere paoline. Ad esempio, nella lettera ai Galati, Paolo parla della Gerusalemme celeste non solo come una grandezza escatologica, ma come una realtà che ci precede - «Questa Gerusalemme è la nostra madre» (Gal 4,26) - e che è presente nella Chiesa di quaggiù, nei suoi figli. A questa precedenza ontologica corrisponde anche la precedenza temporale, storica, dal momento che nel racconto lucano la realtà ecclesiale primigenia non è la comunità di Gerusalemme, ma il collegio dei Dodici, il nuovo Israele, la Chiesa universale che abbraccia tutti i popoli, tutti i luoghi e tutti i tempi. La Chiesa universale ha origine non in un luogo ma dallo Spirito del Cristo risorto e porta in sè una universalità che poi diventerà visibile nella espansione missionaria della Chiesa.

Per questo non si può affermare che la comunità originaria di Gerusalemme sarebbe stata di fatto Chiesa universale e Chiesa locale allo stesso tempo. Dall'identificazione della Chiesa di Gerusalemme con la chiesa locale, potrebbe derivare una obiezione diffusa oggi e cioè l'identificazione della Chiesa universale sic et simpliciter con la chiesa di Roma. L'identificazione della Chiesa universale non è un fatto empirico ma misterico. La Chiesa è una realtà teo-logica, trinitaria. Nella costituzione conciliare sulla Chiesa è Gesù Cristo la luce delle genti e la Chiesa è la sua sposa, la casa di Dio, la nostra madre, la città santa, la Gerusalemme celeste, il gregge di Dio. Dove allora trovare la Chiesa universale, dove e come essa agisce nella storia, dove possiamo vederla all'opera?

La risposta è semplice: essa agisce e si rende visibile nei sacramenti della Chiesa, e soprattutto nel battesimo, che è un evento trinitario, teologico, più che una socializzazione legata a una Chiesa locale: «Il battesimo non deriva dalla singola comunità, ma in esso si apre a noi la porta all'unica Chiesa; esso è la presenza dell'unica Chiesa, e può scaturire solo a partire da essa, dalla Gerusalemme di lassù, dalla nuova madre [...]. Nel battesimo la Chiesa universale precede continuamente la Chiesa locale e la costituisce [...]. Chi è battezzato a Berlino, è nella Chiesa a Roma o a New York o a Kinshasa o a Bangalore o in qualunque altro posto, altrettanto a casa sua come nella Chiesa in cui è stato battezzato. Non deve registrarsi di nuovo, è l'unica Chiesa». [10]

6. Comunione radicata nell'Eucaristia, nell’Episcopato e nel Ministero petrino

1. Oltre che nella fede e nel battesimo, la comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale è radicata nell'Eucaristia, nell’Episcopato e nel ministero petrino: «È radicata nell'Eucaristia perché il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa, infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l'intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica» (n. 11).

È quanto vuole esprimere l'ecclesiologia eucaristica, molto vicina alla tradizione orientale.
Tuttavia tale ecclesiologia eucaristica, al di là dei suoi valori, ha talvolta espresso accenti unilaterali a favore della Chiesa locale, in contrapposizione alla Chiesa universale: «Si afferma [ad esempio] che dove si celebra l'Eucaristia, si renderebbe presente la totalità del mistero della Chiesa in modo da ritenere non-essenziale qualsiasi altro principio di unità e di universalità. Altre concezioni, sotto influssi teologici diversi, tendono a radicalizzare ancora di più questa prospettiva particolare della Chiesa, al punto da ritenere che sia lo stesso riunirsi nel nome di Gesù (cf. Mt 18, 20) a generare la Chiesa: l'assemblea che nel nome di Cristo diventa comunità, porterebbe in sé i poteri della Chiesa, anche quello relativo all'Eucaristia; la Chiesa, come alcuni dicono, nascerebbe "dal basso"» (n. 11).

Ora questi errori non considerano che è proprio l'Eucaristia a rendere impossibile ogni autosufficienza della Chiesa particolare «Infatti, l'unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore ne consegue l'inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l'esistenza del ministero Petrino, fondamento dell'unità dell'Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l'indole eucaristica della Chiesa» (n. 11).

2. Oltre che nell'Eucaristia, l'unità e la comunione nella Chiesa è radicata nell'episcopato e nella comunione col Romano Pontefice: «Come l'idea stessa di Corpo delle Chiese richiama l'esistenza di una Chiesa Capo delle Chiese, che è appunto la Chiesa di Roma, che presiede alla comunione universale della carità [11], così l'unità dell'Episcopato comporta l'esistenza di un Vescovo Capo del Corpo o Collegio dei Vescovi, che è il Romano Pontefice. Dell'unità dell'Episcopato, come dell'unità dell'intera Chiesa, il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è perpetuo e visibile principio e fondamento. Questa unità dell'Episcopato si perpetua lungo i secoli mediante la successione apostolica, ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli» (n. 12).
Anche nella Chiesa particolare, pur essendo il Vescovo principio e fondamento dell'unità della Chiesa particolare a lui affidata, un elemento essenziale al suo mistero di unità e di comunione è dato dalla sua comunione con il Romano Pontefice: «Il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale, ma affinché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita a immagine della Chiesa universale, in essa deve essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso» (n. 13).

3. Di conseguenza il Primato del Vescovo di Roma ed il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale non derivati dalla particolarità delle Chiese, ma tuttavia interiori ad ogni Chiesa particolare: «Pertanto, dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non solo come un servizio “globale” che raggiunge ogni Chiesa particolare “dall'esterno” , ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro". Infatti, il ministero del Primato comporta essenzialmente una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena ed universale, ma anche immediata, su tutti, sia Pastori che altri fedeli. L'essere il ministero del Successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare» (n. 13).

La conclusione di questa ecclesiologia eucaristica di comunione è la seguente: «Unità dell'Eucaristia ed unità dell'Episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell'unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l'Eucaristia e l'Episcopato come realtà essenzialmente vincolate. L'Episcopato è uno così come una è l'Eucaristia: l'unico Sacrificio dell'unico Cristo morto e risorto. La liturgia esprime in vari modi questa realtà, manifestando, ad esempio, che ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo. Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma» (n. 14).

7. Risvolti ecumenici dell'ecclesiologia di comunione

1. Questa unità della Chiesa, fondata sull'eucaristia, sull'episcopato e sul ministero petrino è la radice della pluralità e della diversità dei ministeri, dei carismi e delle varie forme di apostolato nonché alla diversità di tradizioni liturgiche e cultuali tra le diverse Chiese particolari.
In questa ecclesiologia di comunione «vanno considerati pure i molteplici istituti e società, espressione dei carismi di vita consacrata e di vita apostolica, con i quali lo Spirito Santo arricchisce il Corpo Mistico di Cristo: pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santità» (n. 16).

L’ecclesiologia di comunione giustifica anche un certo grado di comunione con le Chiese e le comunità ecclesiali non cattoliche: «Tale comunione esiste specialmente con le Chiese orientali ortodosse: per quanto separate dalla Sede di Pietro, esse restano unite alla Chiesa Cattolica per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e l'Eucaristia valida, e meritano perciò il titolo di Chiese particolari. Infatti, "con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce", poiché in ogni valida celebrazione dell'Eucaristia si fa veramente presente la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica» (n. 17).

Tuttavia la situazione di queste Chiese costituisce una ferita alla comunione ecclesiale, perché manca in esse la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro. Tale comunione con il Papa «non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni» (n. 17).

2. Dopo qualche anno, esattamente nel 2000, la Dichiarazione Dominus Iesus ribadirà questa sintesi ecclesiologica facendo tre affermazioni [12] La prima riguarda la sussistenza nella storia di un’unica Chiesa di Cristo nella Chiesa Cattolica: «Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui». [13]

La seconda affermazione riguarda le Chiese orientali e ortodosse: «Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari. Perciò anche in queste Chiese è presente e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa cattolica, in quanto non accettano la dottrina cattolica del Primato che, secondo il volere di Dio, il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa». [14]

La terza affermazione riguarda le comunità ecclesiali della Riforma: «Invece le comunità ecclesiali che non hanno conservato l'Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico, non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa. Il Battesimo infatti di per sé tende al completo sviluppo della vita in Cristo mediante l'integra professione di fede, l'Eucaristia e la piena comunione nella Chiesa». [15]1

A questo punto la Dominus Iesus allega un importante testo del decreto conciliare Unitatis redintegratio: «Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma — differenziata ed in qualche modo unitaria insieme — delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità". Infatti "gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa Cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità". "Perciò le stesse Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non recusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica». [16]

Certo la mancanza di unità tra i cristiani è realmente una ferita per la Chiesa, non perchè la Chiesa sia priva della sua unità, ma nel senso che la divisione ostacola la sua piena realizzazione e visibilità nella storia. Ulteriori e autorevoli approfondimenti di questa problematica si possono trovare nel volume La Comunione nella Chiesa, pubblicato nel 2004 dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Card. Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, al quale va la nostra filiale devozione. [17]

********************

[1] J. Ratzinger, L'ecclesiologia della costituzione "Lumen gentium” , in R. Fisichella (a cura), Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, San Paolo, Cinisello B. 2000, p. 67. Farò spesso riferimento a questo saggio, perché d’importanza capitale per la nostra tematica.
[2] Ib.
[3] San Benedetto, Regola, 43,3.
[4]Cf. A. Acerbi, Due ecclesiologie : ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di comunione nellaLumen gentium”, Bologna 1975.
[5] J. Ratzinger, L'ecclesiologia, p. 70.
[6] Ib. p. 70.
[7] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 28 maggio 1992. Citeremo nel testo i numeri interni alla Lettera.
[8] Per la vocazione ecclesiale del teologo, cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Veritatis, 24 maggio 1990.
[9] J. Ratzinger, L'ecclesiologia, p. 72.
[10] J. Ratzinger, L'ecclesiologia, p. 75-76.
[11] Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, prol.
[12] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, 6 gosto 2000.
[13] Ib. n. 17.
[14] Ib.
[15 ] Ib.
[16] Concilio Vaticano II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 3.
[17] Cf. J. Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, San Paolo, Cinisello B. 2004.


Caterina63
00martedì 28 dicembre 2010 10:36

Mons. Schneider invoca un nuovo Sillabo

Un uragano vero e proprio si è scatenato il 17 dicembre 2010 a Roma, a pochi passi dalla Basilica di San Pietro: un Vescovo ha proposto niente di meno che una riscoperta del magistero infallibile della Chiesa.

Dal dicembre 16 è tenuto a Roma, infatti, un grande simposio dal titolo Il Vaticano II, un concilio pastorale - Analisi storica, filosofica e teologica. Voluto dai coraggiosi Francescani della Immacolata, questa conferenza si è tenuta nella sala conferenze di Santa Maria Bambina dietro il colonnato del Bernini, vicino al Palazzo del Sant'Uffizio, in un silenzio virtuale dei media, nonostante l'attualità del tema sotto il pontificato di Benedetto XVI e la qualità dei relatori.

Due gli interventi previsti il primo giorno: quello di Mons. Gherardini, autore di Concilio Vaticano II, un dibattito aperto e il professor Roberto De Mattei, storico italiano, autore di un volume di recente dal titolo Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta. Entrambi hanno risposto alle critiche che il loro lavoro ha sollevato, paradossalmente in quell'area conservatrice, in cui si trovano i pochi difensori della infallibilità del Concilio.

Il 17 dicembre, è stato monsignor Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda, che ha creato l'evento nel suo intervento sul tema del culto di Dio, come base teologica della pastorale conciliare. Offrendo una lunga antologia di citazioni selezionate, teologicamente molto ortodosse, estratte dai testi conciliari, ha presentato all'uditorio dei testi scelti del Concilio Vaticano II, "più ortodossi di Trento". La captatio benevolentiae è stata particolarmente efficace: i presenti pendevano dalle labbra del Vescovo aspettando il seguito. E' statoallora allora, che denunciando l'errata interpretazione del Concilio poi nel periodo post-conciliare, il Vescovo ha concluso il suo intervento proponendo ... la scrittura di un nuovo Sillabo che condanni infallibilmente "gli errori di interpretazione del Concilio Vaticano II" .

Perché, secondo il vescovo Schneider, solo il Magistero supremo della Chiesa (il Papa o un nuovo Concilio ecumenico), possono correggere gli abusi e gli errori derivanti dal Concilio e la sua corretta comprensione e la sua ricezione, alla luce della Tradizione cattolica. Di qui la sua richiesta di un nuovo Sillabo che presenti gli errori condannati e a fronte la loro interpretazione ortodossa.

Come tanti altri da ormai quarant'anni, ci si è appellati alla decisione infallibile del Papa per una "riformulazione" del Vaticano II. Sempre che le personalità ufficiali rispondano alla chiamata.
Caterina63
00mercoledì 27 aprile 2011 16:37
LA PROFEZIA DI SAN PIO X

[...] le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi cotesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia.
[...]
Pel catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell'intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. [...] Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare colla coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; [...] non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d'intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare?


[Brano tratto dall'Enciclica "Pascendi Dominici gregis" di San Pio X]

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