Relazione sul Tribunale della Penitenzieria Apostolica - per i Vescovi - 15 settembre 2014

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Caterina63
00martedì 13 gennaio 2015 12:51
   Relazione sul Tribunale della Penitenzieria Apostolica - Convegno per i Nuovi Vescovi - 15 settembre 2014



Relazione sul Tribunale della Penitenzieria Apostolica

del Card. Mauro Piacenza - Penitenziere Maggiore

<< C'è più gioia in Cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).

        

Carissimi Confratelli nell’Episcopato, è con profonda gioia che vi incontro oggi, partecipando alla vostra legittima trepidazione per gli inizi del Ministero Apostolico a voi affidato e, nel contempo, assicurandovi il mio orante sostegno nella comunione dell’unico Collegio Apostolico, del quale siamo Successori.

 

Fra tutte le informazioni che in questo Corso state accogliendo, quelle riguardanti la Penitenzieria Apostolica sono forse, ma solo apparentemente,  le meno immediatamente “pratiche” e devono essere, per volontà di Dio e della Chiesa, anche le più “soprannaturali”. La stessa esistenza della Penitenzieria richiama con forza quella dimensione redentiva che, unitamente al mistero dell’Incarnazione, è elemento centrale della nostra fede cristiana. Prescindendo da essa, sarebbe incomprensibile non solo la Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma la stessa esistenza della Chiesa e, in essa, della successione apostolica.

 

Se in questi primi mesi di esercizio del ministero apostolico, avete già  dovuto far fronte a tante questioni molto pratiche ed amministrative, tutto ciò è affrontabile solo avendo fisso lo sguardo su Gesù e, conseguentemente, sul valore soprannaturale del ministero a noi affidato e sull’efficacia salvifica degli atti ministeriali che, in forza della ordinazione episcopale, siamo chiamati a compiere. Tra essi, l’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei Sacramenti rappresentano il vertice insuperabile di quella manifestazione della salvezza, che, iniziata con l’Incarnazione, ha avuto il suo vertice nella Risurrezione e la sua attualizzazione nella Pentecoste.

 

Siamo i Successori del Collegio Apostolico radunato nel Cenacolo con Maria! Siamo i portatori, nel mondo di oggi, per quanto esso possa apparire talvolta distante da Dio e da Gesù Cristo, del medesimo Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, che ci abilita a compiere, in comunione con la Chiesa, gli stessi atti del nostro Redentore.

Dal giorno in cui avete preso possesso delle vostre rispettive Chiese particolari, in migliaia di Sante Messe si è pregato per le vostre persone, come la Prece eucaristica prevede. Questo dato non è semplicemente un elemento accessorio della celebrazione, ma deve essere letto nella sua autentica natura di costante e sacramentale comunione ecclesiale, nella quale l’intero Popolo, unito ai sacerdoti, innalza quotidianamente a Dio preghiere per il proprio Pastore, chiamato a rappresentare Cristo Capo nella sua Chiesa.

Lo stesso Papa Francesco ce lo ricorda, nel costante invito a pregare per lui: il ministero apostolico affonda le proprie radici nella personale dimensione orante e nella stabile comunione ecclesiale sincronica e diacronica, che, sola, ne garantisce verità ed efficacia.

 

Tutti noi sappiamo bene, carissimi Confratelli, come, nel nostro ministero, “molte cose si vedono” e sono – o possono apparire – importanti, gratificanti, anche legittimamente utili alla vita della Chiesa. Tuttavia, molte di più sono quelle che non si vedono, che rimangono nel segreto del cuore del Vescovo e nella sua personale relazione con Dio e con i singoli fedeli. Il ministero pubblico ecclesiale non è certo da confondere con il ministero pubblicizzato dai media! Esso è piuttosto il legittimo esercizio della Libertas Ecclesiae, che, sempre nei secoli, ha rivendicato, di fronte a qualunque potere mondano, la libertà di rendere culto al proprio Signore e l’autonomia nello stabilire tutto quanto è di pertinenza del Culto e della propria missione soprannaturale.

Elemento essenziale della nostra missione è, ce lo ha affidato Nostro Signore, quello della Riconciliazione dei peccatori con Dio. Di essa, il Vescovo è il primo ministro, tanto che a lui compete – come sapete – di concedere ai sacerdoti, incardinati o presenti nella propria circoscrizione ecclesiastica, le necessarie facoltà per ascoltare le Confessioni dei fedeli e concedere validamente l’assoluzione. Potremmo dire che, almeno a livello spirituale, ordinariamente tutta la misericordia che, sacramentalmente e ogni giorno, si riversa sulla terra, passa attraverso il Collegio Apostolico e che, nelle vostre Chiese particolari, essa passa attraverso di voi, attraverso le vostre persone ed il vostro ministero, attraverso la responsabilità personale che avete di fronte a Dio per la porzione di popolo che Egli vi ha affidata.

Quale grande responsabilità ha, dunque, il Vescovo, ma anche quale grande possibilità di bene per le anime è rappresentata dall’esercizio del suo ministero!

In quest’ottica e in questa prospettiva eminentemente pastorale di esercizio della misericordia, deve essere collocato il ruolo che il Papa affida alla Penitenzieria Apostolica; un compito molto particolare, perché riguardante il foro interno.

 

Potremmo affermare che la Penitenzieria svolge un servizio esclusivamente spirituale, collegato immediatamente con lo scopo ultimo dell’intera esistenza ecclesiale: la salus animarum. Scopo della Penitenzieria è quello di agevolare il più possibile i fedeli nel cammino di riconciliazione con Dio e con la Chiesa, nella consapevolezza che la Riconciliazione, realizzata da Cristo e attuata dallo Spirito Santo,  ordinariamente passa attraverso la mediazione ecclesiale, poiché la Chiesa stessa agisce, nel tempo e nella storia, esclusivamente come Corpo unito e in dipendenza dal suo Capo, Gesù Cristo Signore.

In un’epoca, nella quale tutto viene spettacolarizzato e sembra affermarsi quasi un ben strano diritto – che poi diritto non è - a sapere tutto di tutti, l’esistenza del Foro interno e della Penitenzieria richiama con forza, sia il diritto umano e naturale alla legittima riservatezza e preservazione della buona fama, sia il necessario, costante recupero di quello sguardo soprannaturale sulle cose di Dio e della Chiesa, senza del quale il nostro ministero e l’intero agire ecclesiale corrono sempre il rischio di ridursi a mero funzionalismo mondano. E giudicare una realtà non partendo da ciò che essa è, ma dalla sua utilità o funzione, significa, di fatto, abbandonare – almeno praticamente – ogni prospettiva metafisica, autoriducendosi ad uno sguardo sulla realtà assimilabile ad una delle visioni oggi maggiormente diffuse, tutte riducibili a forme differenti di relativismo e tutte fondamentalmente a-metafisiche.

Conoscere l’esistenza ed il compito della Penitenzieria ed istruire, in modo reiterato e puntuale i propri sacerdoti su questi aspetti importanti del ministero della Riconciliazione, rappresenta un non trascurabile compito del Vescovo, anche se l’assolvere ad esso non porterà immediate gratificazioni, perché sarà visto unicamente da Dio e dai Suoi Angeli. Guai a noi e all’opera pastorale se curassimo in modo preponderante solo quello che può trovare facile risonanza mediatica! Bisogna stare bene attenti perché la tentazione può essere fortissima.

 

Secondo una definizione classica, il Foro interno è il complesso dei rapporti tra il fedele e Dio, nei quali interviene la mediazione della Chiesa, non per regolare direttamente le conseguenze sociali di tali rapporti, ma per provvedere al bene soprannaturale del fedele, in ordine alla sua amicizia con Dio, cioè allo stato di grazia e, quindi, in ordine alla vita eterna.

Oltre al Foro interno sacramentale, esiste anche un Foro interno non sacramentale, che è dato dalla manifestazione della propria coscienza che il fedele può fare alla Chiesa, al di fuori della Confessione ma, non di meno, nel segreto; l’esempio classico è quello della direzione spirituale posta in essere con atti distinti e separati dalla Confessione sacramentale; oppure della manifestazione di coscienza fatta dai religiosi ai loro Superiori o della richiesta di consulenza, o di segnalazione su fatti gravi ai legittimi Superiori ecclesiastici, con il reciproco impegno alla segretezza.

 

La Penitenzieria Apostolica si configura ecclesiasticamente come un Tribunale, poiché in essa si è chiamati a “giudicare” i singoli casi di coscienza. Tuttavia, essa ha specifiche caratteristiche, che ne determinano la differenza rispetto agli altri Tribunali della Chiesa. Tali caratteristiche sinteticamente sono: l’assoluta riservatezza, l’assenza di contenzioso e la celerità.

La Penitenzieria svolge le sue funzioni esclusivamente tramite i confessori. In tal senso tratta materie della massimo riserbo. Ciò non vieta ad alcun fedele la possibilità di ricorrere alla Penitenzieria in modo diretto. Comunque è bene che i ricorsi siano fatti da un sacerdote confessore, a garanzia sia della maggiore esattezza dottrinale dell’esposto, sia dell’obiettività e dell’imparzialità del giudizio, sia infine per poter fornire alla stessa Penitenzieria maggiori dati circostanziati per un più preciso giudizio. Elemento costitutivo della riservatezza è la tutela assoluta dell’anonimato dei penitenti; pertanto, mai un ricorso deve includere il loro nome, né dati che possano, direttamente o indirettamente, condurre ad essi. Gli stessi rescritti della Penitenzieria devono sempre essere distrutti dopo averne data lettura al penitente, che ha sempre e comunque il diritto a non essere riconosciuto. Occorre porre sempre il penitente nelle condizioni per lui meno disagevoli.

La celerità con cui agisce la Penitenzieria è determinata dall’importanza delle materie da essa trattate per la salvezza delle anime. Tale dato non consente di ritardare risposte e decisioni. Ordinariamente, la Penitenzieria risponde nell’arco di ventiquattro ore dal ricevimento del caso.

Non si tratta qui di “efficienza mondana”, o di “straordinario dominio della burocrazia”, ma del tentativo semplice e reale di tradurre, anche attraverso la celerità di una risposta, quella doverosa sollecitudine che tutti i pastori sono chiamati ad avere per le proprie pecore e che, in particolare, la Sede di Pietro desidera poter sempre manifestare. La gravità del peccato e lo splendore della divina misericordia inducono ad agire senza frapporre indugio. “Caritas Christi urget nos”!

 

Le competenze della Penitenzieria Apostolica sono precisate dagli Artt. 117 e 118 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus di San Giovanni Paolo II e si estendono a tutto ciò che attiene il Foro interno sacramentale e non sacramentale. Nel Foro interno, questo Dicastero elargisce grazie, assoluzioni, dispense, commutazioni, sanazioni e condonazioni, tutto sempre in casi individuali concreti di Foro interno, mentre la soluzione di casi dottrinali e disciplinari sub specie universalitatis appartiene, di norma, alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

La Penitenzieria ha inoltre competenza sui Penitenzieri delle Basiliche Papali, detti Penitenzieri Minori e, infine, su tutto ciò che riguarda la concessione delle Indulgenze. È da constatare, per questo ultimo aspetto, come negli ultimi due decenni ci sia stato un notevole incremento, a livello mondiale, di richiesta di indulgenze. Da ogni parte del mondo, migliaia di Comunità, con il consenso del proprio Ordinario, chiedono di poter attingere al Tesoro della Chiesa e che, alle consuete e note condizioni, venga loro elargita la remissione di tutte le pene dovute per i peccati commessi.

 

Come ogni Dicastero della Curia Romana, anche la Penitenzieria ha una sua struttura interna, che speriamo essere semplice ed efficace. Vi è il Cardinale Penitenziere Maggiore, nel quale si concentrano tutte le attribuzioni del Dicastero e al quale il Papa affida, nel Foro interno, il pieno esercizio del potere delle Chiavi; a lui compete la nomina e la concessione delle facoltà ai penitenzieri minori, che prestano servizio nelle quattro Basiliche papali di San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e S.Paolo fuori le mura, e per il superiore bene delle anime (“suprema lex”), rimane in carica, unico tra i Capi Dicastero, anche durante la vacanza della Sede Apostolica.

Vi è poi il cosiddetto Consiglio del Cardinale (denominato Segnatura della Penitenzieria Apostolica), composto dal Reggente e da altri cinque Prelati: il Teologo, il Canonista e tre consiglieri esperti in Teologia morale e in Diritto canonico.

Per quanto riguarda le competenze della Penitenzieria Apostolica, tutti sapete come nella Chiesa vi siano alcuni delitti che vengono puniti con censure aventi la particolarità di poter essere assolte in Foro interno. Nel Codice del 1983, ne vengono menzionati cinque, che sono puniti con la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica:

-         La profanazione delle Sacre Specie Eucaristiche (cfr. can. 1367 CIC);

-         La violazione diretta del sigillo sacramentale (cfr. can. 1388 §1 CIC);

-         L’assoluzione del complice da un peccato contro il sesto comandamento del Decalogo (cfr. can. 1378 CIC);

-         L’aggressione fisica alla persona del Romano Pontefice (cfr. can. 1370 §1 CIC);

-         La consacrazione di un Vescovo, senza mandato pontificio (cfr. 1382 CIC).

 

Se i summenzionati delitti non sono stati oggetto di una sentenza giudiziaria o di una dichiarazione, essi vengono trattati in Foro interno dalla Penitenzieria Apostolica.

Rispetto ai primi tre delitti, possiamo fare alcune considerazioni anche di ordine eminentemente pastorale.

Per quanto riguarda la profanazione delle Specie Eucaristiche, sappiamo che il primo Liturgo di ogni Chiesa particolare è il Vescovo e che su di lui grava l’onere di vigilare con amorevole attenzione sul culto divino che si celebra sul territorio della propria circoscrizione ecclesiastica e, in particolare, su quel vertice della Liturgia rappresentato dalla celebrazione della Santa Messa e dalla conseguente attenta distribuzione e sicura custodia delle Specie Eucaristiche consacrate.

In un contesto in molti luoghi purtroppo gravemente secolarizzato, non sembra affatto fuori luogo, proprio per prevenire determinati delitti, un’attenta catechesi al riguardo della Presenza reale di N.S.Gesù Cristo nelle Sacre Specie e in ogni frammento di esse e, ove fosse giudicato utile, anche una differenziazione locale delle disposizioni liturgiche e disciplinari.

La profanazione delle Specie Eucaristiche è un delitto gravissimo, col quale si offende direttamente Dio, Sommo Bene. Consiste nella ritenzione indebita, delle Specie eucaristiche, con fini sacrileghi, superstiziosi o osceni, e, più in generale, in qualsiasi azione volontaria di disprezzo verso il Santissimo Sacramento, sia individualmente sia in presenza di altre persone.

Si tratta di un grave delitto purtroppo più frequente di quanto si possa immaginare. In alcuni casi la profanazione è commessa da un singolo fedele in modo occulto, mentre molte profanazioni vengono commesse durante riti satanici, nelle modalità più svariate.

La Penitenzieria agisce nel Foro interno sacramentale, quando, purtroppo, il delitto è già stato compiuto, mentre è compito dei Vescovi prevenire, educare i propri sacerdoti alla massima attenzione circa la cura dovuta al Santissimo Sacramento.

La catechesi eucaristica al popolo, associata al culto divino esercitato secondo le norme della Chiesa e ad una profonda pietà eucaristica, rappresenta la via di prevenzione fondamentale per evitare che si giunga al delitto di profanazione. Esemplare deve essere, in tal senso, la Liturgia nella Chiesa Cattedrale e nei Santuari presenti sul territorio della circoscrizione ecclesiastica che deve non soltanto rifulgere per l’attenta quanto motivata e mai formalistica osservanza delle norme  ma anche per l’attenzione prestata al Santissimo Sacramento, alla sua distribuzione nelle grandi celebrazioni, alla sua custodia e reposizione pubblica e alla doverosa purificazione dei vasi sacri. Se i Sacerdoti vedranno che nella Chiesa Cattedrale questi aspetti sono massimamente considerati e curati, saranno facilitati a considerarli e a curarli con altrettanta attenzione nelle proprie parrocchie e, gradualmente, ma efficacemente, educheranno il Popolo alla medesima attenzione, frutto di amore.

Per commettere un delitto di profanazione delle sacre Specie Eucaristiche, è necessario che ci sia il cosiddetto animus profanandi, cioè una vera intenzione sacrilega e, nel caso in cui, la persona che commette l’atto sia legata ad una setta satanica, è necessario che abbia deciso di interrompere tutti i rapporti con essa, per poter venire assolta.

 

Un altro delitto, che riguarda in modo specifico, l’esercizio del ministero è la violazione diretta del sigillo sacramentale. Anche essa è un delitto punito con la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica, secondo il can. 1388 §1 del CIC. E’ doveroso riconoscere che ordinariamente i Sacerdoti sono molto prudenti in materia di sigillo sacramentale per cui i casi di violazione diretta sono molto rari.

Si tratta di un delitto che può essere commesso unicamente da un Sacerdote che ha agito come confessore, anche nel caso in cui non abbia potuto impartire l’assoluzione sacramentale. Perché il delitto si compia è necessario che la violazione sia diretta, cioè che il confessore abbia rivelato in maniera dolosa un peccato ascoltato in confessione e l’identità del penitente che si è confessato. I due elementi devono coesistere contemporaneamente perché si possa parlare di violazione diretta. È chiaro che la pena è intimamente legata alla tutela dei fedeli e dei loro  diritti, oltre che della santità del Sacramento della Riconciliazione, unico mezzo, attraverso il quale i fedeli ottengono, ordinariamente, il perdono dei loro peccati. Anche in tale ambito è importantissimo il ruolo del Vescovo nella formazione iniziale e permanente dei suoi sacerdoti, ricordando le norme universali della Chiesa, sia liturgico-sacramentali, sia morali e ribadendo in ogni occasione opportuna, l’assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale, che non ammette eccezioni, né dispense e che permane anche dopo la morte del penitente.

 

A questo punto mi preme dare rilievo all’importanza tutta particolare del Sacramento della Riconciliazione per i sacerdoti: sia come penitenti che come confessori. Essi, prima di essere ministri della divina misericordia mai devono dimenticare la necessità di ricorrere personalmente al confessore. Solo un autentico penitente, che custodisce il vero senso del peccato e della gioia della Riconciliazione, sarà un buon confessore. La crisi del Sacramento della Riconciliazione è, in realtà, ben lo sappiamo, una più generale e radicale crisi di fede, mancanza di comprensione e fiducia nel mistero della Chiesa, mediatrice di grazia, e, non di rado, mancanza di esperienza personale e stabile di riconciliazione e di misericordia.

Non penso di esagerare nell’affermare che la qualità del servizio pastorale di un presbiterio, e quindi la vitalità stessa di una Diocesi, dipendano in misura non irrilevante dalla pratica umile e fedele della Confessione sacramentale personale dei sacerdoti e della loro generosa e sistematica disponibilità ad ascoltare le confessioni. Anche in questo, il Vescovo è chiamato ad essere “Episcopo”, cioè a vigilare, con paterna discrezione e sollecita carità sulla regolare e frequente vita sacramentale dei suoi sacerdoti e alla loro dedizione pastorale a tale ministero fondamentale. Tutto ciò si riverbera come zelo pastorale nel senso più ampio della parola, sul “da mihi animas, cetera tolle”. In parole semplici e schiette vorrei dire che senza frequentazione del confessionale da parte di tutte le categorie del popolo di Dio l’impresa di nuova evangelizzazione, che ci deve mobilitare tutti, sarebbe solo uno slogan ma non una realtà!

 

Ci sono poi i casi di ricorso alla Penitenzieria per assoluzione del complice. Tale delitto non è da confondere con la “cosiddetta sollicitatio ad turpia”. Tale “assoluzione”, eccetto che in pericolo di morte, è sempre illecita ed invalida. La Chiesa tutela, per mezzo della scomunica, la santità del Sacramento della Penitenza e cerca l’effettiva conversione dei peccatori. Se la assoluzione del complice in questa materia fosse valida, il peccato rischierebbe di convertirsi in tristissima routine.

Non costituisce attenuante il fatto che sia il penitente a domandare di essere assolto, soprattutto perché, trattandosi di laici, spesso non sanno che il confessore è privo della facoltà e assolverebbe invalidamente. Se in tale materia, si cade nel Foro esterno, la competenza allora è della Congregazione per la Dottrina della Fede; se si permane nel Foro interno, vi è l’esclusiva competenza della Penitenzieria Apostolica.

 

Oltre ai citati casi di aggressione fisica alla persona del Romano Pontefice e di ordinazione episcopale senza mandato - che però ordinariamente sono delitti pubblici - è stato introdotto, di recente, il delitto di attentata Ordinazione di un fedele di sesso femminile, anche esso punito con la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica. Come per gli altri delitti, esso è riservato alla Congregazione per la Dottrina della Fede in Foro esterno, e alla Penitenzieria Apostolica in Foro interno. Nella scomunica incorrono sia il ministro coinvolto, sia coloro che tentano di ricevere l’Ordine sacro. L’ordinazione è comunque del tutto invalida.

 

È necessario, nel nostro ministero apostolico, come vedete cari Confratelli, curare la formazione iniziale e permanente dei nostri sacerdoti, che sono i primi ad incontrarsi con il mistero del peccato, nell’esercizio ordinario della Riconciliazione sacramentale e, nel contempo, hanno bisogno di sapere che il Vescovo e la Chiesa sono con loro, nel prudente discernimento, che i menzionati casi continuamente richiedono.

È necessario istruire i sacerdoti sul dovere di farsi carico personalmente dei ricorsi alla Penitenzieria, anche per la doverosa segretezza che questi richiedono. Ciascun sacerdote dovrebbe essere in grado di scrivere una normale e semplice lettera, contenente i dati fondamentali del delitto commesso, senza mai citare il penitente, e le circostanze nel quale esso è stato commesso, per permettere alla Penitenzieria di esprimere un giudizio medicinale adeguato e favorire, così, la piena riconciliazione del penitente.

 

La Penitenzieria ha anche competenza sui casi occulti di irregolarità nella ricezione dell’Ordine sacro, per esempio per i fedeli che abbiano compiuto il delitto di omicidio, o di aborto, prima di ricevere l’Ordine sacro, o abbiano cooperato direttamente e positivamente a tali crimini. È necessario che i direttori spirituali dei Seminari siano adeguatamente istruiti, al riguardo, sul modo corretto di effettuare il ricorso in Foro interno. Infine – ed anche su questo è bene istruire i Sacerdoti – la Penitenzieria ha competenza sulla dispensa, riduzione, o commutazione di oneri di Sante Messe che gravano sulle persone fisiche dei sacerdoti, mentre quelle gravanti su enti morali, sono gestite dalla Congregazione per il Clero.

 

Altre facoltà e competenze sono adeguatamente presentate sul sito del Tribunale e, talvolta, data l’ampiezza della materia trattata, sono necessariamente specifiche. Ciò che mi pare comunque opportuno sottolineare, in questa sede, può essere sintetizzato in due nuclei essenziali.

Innanzitutto il costante sguardo soprannaturale da avere sul nostro ministero apostolico e su quello dei sacerdoti, nostri primi collaboratori. Investire energie positive nella Chiesa, per incrementare la visione soprannaturale è sempre la strada migliore da percorrere per permettere a ciascuno di non ripiegarsi su di sé, ma di avere sempre davanti agli occhi la dimensione il più possibile adeguata del ministero del quale Cristo ci ha resi partecipi: che è una dimensione salvifica universale e raggiunge qualsiasi periferia.

Il secondo fuoco dell’elisse che ho cercato di tracciare in questa conversazione riguarda, permettetemi di ricordarlo, la cura per i sacerdoti. Non una cura generica ed impersonale, ma la reale e concreta disponibilità ad essere per loro come padri, fratelli, amici, chiamati ad accompagnarli realmente nel delicato esercizio del ministero, rispettando la loro adulta e legittima autonomia e sempre sostenendo, innanzitutto con l’esempio personale e la profonda carità pastorale, anche le loro vicende quotidiane.

 

La Vergine Rifugio dei peccatori e Madre di misericordia, che al cospetto di Cristo e in Cristo, tutto sempre vede, ci accompagni e ci protegga nel fedele esercizio del ministero che la Chiesa ci ha affidato e nell’offerta quotidiana dell’intera nostra esistenza per l’unico scopo per il quale vale davvero la pena di vivere: la gloria di Cristo che rifulge nella salvezza delle anime, cioè in quegli uomini e in quelle donne che dicono “sì” alla Sua salvatrice Potestà e si aprono alla effusione del suo amore misericordioso!






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