Riflettiamo sul DIGIUNO QUARESIMALE e virtù propria del DIGIUNO e le ipocrisie della modernità (da Fides et Forma)

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Caterina63
00mercoledì 24 febbraio 2010 10:23

SUL DIGIUNO QUARESIMALE E LE IPOCRISIE CONTEMPORANEE


di Francesco Colafemmina

Ormai ne abbiamo abbastanza dell'anarchismo diffuso in materia di digiuno quaresimale! E' buona regola, infatti, cercare di sminuire la più vigorosa e duratura pratica penitenziale del cristianesimo come un retaggio della civiltà povera e indigente dei secoli scorsi. Nulla di più falso!

Il mercoledì delle ceneri moltissimi di voi avranno sentito il sacerdote proclamare nell'omelia che il digiuno è un evento "simbolico". Digiunare significa "rinunciare" a qualcosa che ci è caro, non letteralmente astenersi da alcuni specifici cibi. Digiunare significa evitare di parlare troppo al telefono, oppure guardare meno televisione, rinunciare a qualcosa che troppo spesso ci va di fare e così via. Sembra però che il digiuno abbia smarrito completamente il suo significato oggettivo, per perdersi nell'analogia simbolica di mille e mill'altre pratiche vagamente moralistiche. Così vorrei chiarire alcuni aspetti del digiuno che credo fondamentali da analizzare.

1. Retroterra storico
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Fino al catechismo di San Pio X, il precetto del digiuno e dell'astinenza era al secondo posto dopo l'ascolto della Messa:

"486. D. A che serve il digiuno?
R. Il digiuno serve a meglio disporci all'orazione, a fare penitenza dei peccati commessi e a preservarci dal commetterne di nuovi."

"489. D. Per qual fine è stata istituita la Quaresima?
R. La Quaresima è stata istituita per imitare in qualche modo il rigoroso digiuno di quaranta giorni che Gesù Cristo fece nel deserto, e per prepararci col mezzo della penitenza a celebrare santamente la Pasqua."
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Con il nuovo catechismo della Chiesa Cattolica il precetto del digiuno è stato retrocesso al 4°.
La ragione sta probabilmente già nella riduzione drammatica dei giorni di digiuno al solo Mercoledì delle Ceneri e a tutti i venerdì. Riduzione sancita da Paolo VI nella costituzione Paenitemini del 1966:
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"§ 2. I giorni di penitenza, da osservarsi obbligatoriamente in tutta la Chiesa, sono tutti i venerdì dell'anno e il mercoledì delle Ceneri o il primo giorno della Grande Quaresima, secondo i riti; la loro sostanziale osservanza obbliga gravemente.

§ 3. Salve le facoltà di cui ai nn. VI e VIII, circa il modo di ottemperare al precetto della penitenza in detti giorni, l'astinenza si osserverà in tutti i venerdì che non cadono in feste di precetto, mentre l'astinenza e il digiuno si osserveranno nel mercoledì delle Ceneri, o - secondo la diversità dei riti - nel primo giorno della Grande Quaresima, e nel venerdì della Passione e Morte di Gesù Cristo.

III. § 1. La legge dell'astinenza proibisce l'uso delle carni, non però l'uso delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento anche di grasso di animale.

§ 2. La legge del digiuno obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera, attenendosi, per la quantità e la qualità, alle consuetudini locali approvate."
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Prima della costituzione suddetta i giorni di digiuno comprendevano tutti i venerdì e i sabato, la Quaresima, alcuni giorni dell'Avvento, le Quattro Tempora, alcune vigilie. Nel 1994 un documento della CEI a firma Ruini-Tettamanzi, introduceva poi la possibilità di "nuove forme di astinenza" rispetto al digiuno tradizionale (nonostante già questo fosse ridotto a pochi giorni).

Nell'Ortodossia in particolare è rimasto un digiuno stretto, assai simile a quello preconciliare cattolico. Durante la Quaresima ad esempio si rispetta questo digiuno:
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Settimana del Fariseo: non si digiuna, neanche mercoledì / venerdì.
Settimana del Dissoluto: solito digiuno del mercoledì / venerdì.
Domenica di Carnevale (corrispondente alla Settuagesima): da domani, esclusione di proteine animali; tranne che mercoledì / venerdì, licenza d’uova e latticini.
Domenica dei Latticini (corrispondente alla Sessuagesima): da domani, esclusione anche di uova e latticini
Lunedì Puro (corrispondente al nostro Mercoledì delle Ceneri) : digiuno. Negli altri giorni di quaresima, tranne che mercoledì / venerdì, licenza d’olio e vino.
Domenica delle Palme: licenza di pesce, olio e vino.
Settimana Grande: digiuno, con licenza d’olio al Grande Giovedì.
Pasqua: nessun digiuno per tutta la settimana
Mercoledì avanti l’Ascensione: licenza d’olio e vino.
Pentecoste: nessun digiuno per tutta la settimana
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Per sottolineare come questo digiuno accomuni la storia alimentare dell'Europa e dell'Oriente cristiano mi piace portare l'esempio dello tsuréki. Si tratta di un dolce tradizionale greco fatto con farina, zucchero, uova e aromi, nel quale si suole conservare alcune uova sode dipinte di rosso. Le uova e lo tsuréki verranno poi mangiate a Pasqua. Il metodo era l'unico valido per conservare il prodotto alimentare proibito (le uova). Tanto che oggi si è trasfuso nell'uso dell' "uovo di Pasqua" in cioccolato. Per sottolineare il legame fra Oriente e Occidente cristiano ormai rotto dal Concilio, ricordo che per esempio in Puglia si ha un dolce assai simile allo tsuréki greco: la scarcella. In italiano sarebbe "la borsetta", infatti questo dolce, come lo tsuréki, custodisce al suo interno delle uova sode.
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2. Analogia e Oggettività
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Uno tra i più gravi virus del cattolicesimo contemporaneo è quello della riduzione analogico/simbolica dell'interazione personale con Cristo e il Divino. In altri termini sembra esista una ben predisposta strategia per cancellare il legame personale, la relazione personale fra il fedele e Cristo, trasformandola in spiritualismo vagamente etico.

Faccio un esempio concreto. Se si dice "digiunare significa astenersi dal parlare troppo", in questo caso il digiuno lo si fa coincidere con l'esercizio della "continenza verbale", dunque con una ascesi (esercitazione) a moderare la propria lingua.
Questa ascesi la compie il fedele per edificare se stesso, per imparare la moderazione, e quindi per avvicinarsi a Cristo con la virtù. Dunque è una pratica di correzione "morale" il cui obiettivo ultimo è sì la salvezza, ma prima ancora la "formazione" e il "perfezionamento" dell'uomo. La continenza verbale potrebbe essere quindi un "valore etico" anche a prescindere da Cristo, giacché chi è continente nel parlare spesso ha una positiva ricaduta sociale della sua virtù.

Quando invece si chiede al fedele di digiunare per Cristo, si attua un rapporto diretto con Nostro Signore. Un rapporto di relazione con l'Altro che ci sovrasta. Se infatti io mi astengo dalle carni durante la Quaresima non lo faccio per edificare me stesso, ma molto più per attestare anche nell'aspetto più banale e quotidiano della mia vita (l'alimentazione) che vi è Una Persona per la quale sono pronto a rinunciare al cibo. Più rinuncio al cibo, più amo Cristo, più Lui è fondamentale per la mia esistenza, ancor più dell'alimento materiale lo è quindi quello spirituale del Suo amore.

In questo senso digiunare ed astenersi da carne, uova, e derivati degli animali (latticini e formaggi), significa attestare immediatamente, senza sofismi morali o virtuosi propellenti etici, l'esistenza di un rapporto di amore fra me e Cristo.

Perciò si suol preferire rompere il legame diretto e personale della relazione immediata e spontanea del fedele con Cristo, ammantandolo di vacuo e pneumatico moralismo. Si sembra credibili (perché tutti apprezziamo le esortazioni etiche), e soprattutto si rinuncia ad una serie di privazioni concrete e non intellettualistiche spiegabili solo con la presenza della diretta relazione d'amore con Cristo.

Un altro esempio per essere chiaro fino in fondo: il cero. Mentre prima accendere il cero in chiesa e farsi il segno della croce era un automatico gesto concreto (la fiamma arde e si consuma come Cristo che si è consumato per noi) oggi lo si è simbolizzato ed analogizzato nella lucina elettrica che si accende all'inserimento della monetina. L'atto personale di amore per Cristo consistente nell'accensione del cero, si è trasformato nell'atto intellettualistico e meccanicistico dell'inserimento di una monetina e dell'accensione di un "segnaposto" luminoso ai piedi del Crocifisso, della Vergine o dei Santi.

3. Perchè è falso affermare che il digiuno avesse senso solo nella civiltà pre-industriale.
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L'alibi preferito per evitare di leggere il digiuno quaresimale per quello che esso autenticamente è, consiste nel richiamare alla mente argomentazioni false eppure pienamente condivise come la seguente: "un tempo c'era ben poco da mangiare, quindi il digiuno era per pochi, non era sofferto. Oggi invece c'è abbondanza di cibo, quindi il digiuno non ha più senso nella nostra epoca".

A parte l'illogicità di queste consuete ipocrisie: se, infatti, oggi c'è abbondanza di cibo, bisognerebbe vieppiù digiunare! A parte ciò vanno richiamati alcuni dati obiettivi forniti dalla storia dell'alimentazione in Europa. Basta leggere alcuni degli splendidi volumi del professor Massimo Montanari, per rendersi conto che almeno fino al XVIII secolo i consumi carnei in Europa erano estremamente cospicui e non riservati alle fasce più agiate della popolazione, bensì equamente distribuiti.

Se già ai tempi dell'imperatore Costantino a Roma si distribuivano ad almeno 300.000 capifamiglia quotidianamente pane, olio e vino e mensilmente un maiale per ciascuno, durante il medioevo la cacciagione era estremamente diffusa anche nei ceti più poveri. Nella Germania del XV secolo ad esempio secondo i calcoli di W. Abel si consumavano qualcosa come 100Kg di carne all'anno pro capite (una media su tutta la popolazione). Montanari aggiunge: "che vorrebbe dire - se teniamo conto dei giorni di astinenza imposti dalla normativa ecclesiastica - qualcosa come 450-500g di carne al giorno per 220 giorni di consumo effettivo".
 
Nel XIV secolo il Fiumi "ha calcolato per alcune città toscane un consumo pro capite di carne assai vicino a quello quattrocentesco delle città siciliane: 20kg circa a Prato, 38kg a Firenze". In genere poi i contadini facevano ampio consumo di carne di porco salata e poi di carne di pecora. Per non parlare di pollame vario e di cacciagione che riuscivano a recuperare nelle riserve comuni mantenute per conto dei feudatari e dei signori.

Insomma il contesto socioeconomico nel quale si sono codificate le regole del digiuno (prima della loro abolizione - eccetto per il venerdì e il mercoledì delle ceneri - col Concilio Vaticano II) era un contesto nel quale non mancavano affatto in buona parte dell'Europa gli alimenti "proibiti".
In particolare poi questi alimenti non vengono proibiti per la loro presunta "purezza" o "impurità" come accadeva nell'ebraismo, bensì semplicemente in quanto la rinuncia costituiva un metodo di ascesi nell'incremento dell'amore per Cristo. Dunque il digiuno non era un mero formalismo, ma un autentico atto d'amore.

Limitare le proprie abitudini alimentari è poi una sorta di "fuga dalla vita", è una rinuncia alla materialità, un abbassamento del proprio standard di benessere che non ha un immediata ripercussione morale, ma è compiuta in ricordo di Colui che è stato ucciso sulla croce per la nostra salvezza. E' inoltre un mezzo di ringraziamento al Signore per l'abbondanza che ci dona e che ci rende capaci del "privilegio" della rinuncia, privilegio che a molte centiaia di migliaia di esseri umani è negato su questa terra. Nella nostra rinuncia ci mettiamo quindi anche la consapevolezza dell'eccesso che ci circonda e la volontà di aiutare il prossimo che non può digiunare perché il suo fisico ha bisogno del cibo materiale indispensabile alla sopravvivenza.


4. Per chi volesse approfondire l'argomento da una prospettiva "ortodossa" fornisco, infine, questo bel testo da me tradotto dal greco moderno. Si tratta di domande e risposte dell'Igumeno (Abate) Padre Maximos del Monastero di San Dionisio (Katerini - Grecia). L'Igumeno risponde sulla questione del digiuno a dei bambini come San Pio X nel Catechismo.
Ah, quanto abbiamo da imparare dagli Ortodossi!
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Domanda: quali sono i digiuni della nostra Chiesa?
Risposta: il digiuno del Natale (40 giorni), quello quaresimale (50 giorni), quello degli Apostoli, dell'Assunta e quello di altri giorni specifici.

D: perché digiuniamo il mercoledì e il venerdì?
R: digiuniamo il mercoledì in ricordo del mercoledì in cui il Signore fu preso e condannato a morte e il venerdì in ricordo del giorno della morte di Nostro Signore. Noi monaci digiuniamo anche ogni lunedì in ricordo della festa dei Santi Angeli (il nostro lunedì in Albis ndr)

D: Perché digiuniamo?
R: Digiuniamo per abituarci alla continenza. Per esercitarci a contenerci e a non cadere nel peccato, nelle cattive azioni, nelle tentazioni. Se non digiuniamo non possiamo trattenerci anche nelle altre passioni.

D: Il digiuno è necessario per l'uomo? Perché?
R: Si, è indispensabile perché ci abitua a non occuparci solo delle cose terrene.

D: Voi nel monastero che mangiate durante il digiuno?
R: Mangiamo cibi con olio solo sabato e domenica. Negli altri giorni mangiamo cibi senza olio e solo una volta al giorno.

D: Possiamo mangiare pesci durante il digiuno? perché?
R: Solo nel digiuno del Natale, perché così lo ha stabilito la nostra chiesa.

D: Con il digiuno disintossichiamo il nostro corpo. Che dobbiamo fare per le nostre anime?
R: Le passioni dell'anima portano un altro genere di tossine, le malvagità "poniries" come le chiamano i Santi. Per disintossicarci da questo genere di tossine i Santi insegnano la Preghiera. I cattivi pensieri li scacciamo con la preghiera, l'attenzione, la confessione e la Santa Comunione.

D: Se non digiuniamo non possiamo considerarci buoni cristiani?
R: Chiunque non digiuna significa che non fa sacrifici nella vita, non ama Dio. Ama il suo stomaco. Il digiuno lo si fa per Dio. Se non digiuniamo non possiamo amare Dio. Il digiuno è un modo per guardare a Dio.

D: Se non digiunano i nostri genitori, noi come potremo digiunare?
R: Direte a vostra madre che volete digiunare. E se vi dice no, all'inizio farete in modo di mangiare. Se cioè il mercoledì' e il venerdì vi danno carne e patate, mangerete le patate e lascerete la carne. Quando i genitori vedono i bambini digiunare, per quanto severi possano essere, si meravigliano e molte volte prendono il buon esempio.

Caterina63
00lunedì 15 marzo 2010 12:29

La televisione è uno strumento neutro?


di Carlo Bellieni*

ROMA, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- La televisione è uno strumento neutro? Proprio no! E’ bene uscire dal dubbio: non si tratta di un giudizio religioso o filosofico, ma di difendere il diritto alla privacy. Sembra un assurdo: la privacy è in pericolo quando qualcuno ti spia, come avveniva nel famoso 1984 di G Orwell o in Fahreneit 451 di R Bradbury, e la TV non ci spia di certo, tant’è che “Il grande fratello” oggi è un format inoffensivo, e non l’occhio che penetra nelle case a frugare i pensieri dei cittadini.

Ma è proprio così? In realtà la televisione ha un unico difetto: c’è. Sta lì. E’ una parte dell’arredamento del salotto e di tante altre stanze. E’ indispensabile. Non è indispensabile come strumento di informazione o di svago. E’ indispensabile come oggetto. Ognuno sa dov’è in casa propria, spesso con maggior certezza che dove si trova un certo tavolo o un certo quadro. E’ il centro dell’attività della casa, perché spesso ne è il sottofondo sonoro, è quello che i bambini guardano appena si svegliano e hanno gli occhi ancora semichiusi, o quello con cui tanti adulti si addormentano.

E’ una compagnia per tante persone sole, e una baby-sitter perfetta. Ma è ipnotica; dà crisi d’astinenza, influenza l’attività elettrica del cervello. Ha una capacità di attrazione tale da non far sentire il dolore di una puntura, cosa che abbiamo noi stessi dimostrato scientificamente pochi anni or sono. E soprattutto: c’è. E’ lì. E’ una certezza. Telefilm grossolani e violenza gratuita non sono nulla in confronto a questo starci, a questo campeggiare come un trofeo o un’urna di un santo.

“E allora?”, qualcuno dirà “Ma qual è il problema?” Risposta: semplicemente che c’è lei e non c’è altro. La TV sarebbe neutra in un mondo ideale, dove i genitori fanno i genitori, sono presenti; dove quando i bambini si svegliano possono guardare il sole che sorge o la nebbia o fare quattro chiacchiere; dove quando si torna a casa c’è un tavolo intorno cui fare una partita a tressette o un bar dove parlare di caccia, pesca e figli. Ma tutto questo non c’è. E la televisione campeggia col flusso di parole di cui non possiamo far a meno pur non ascoltandole e non scegliendole.

Ascoltiamo e vediamo tutto: la prima cosa che capita pur di “rilassarci”. E anche le trasmissioni “intelligenti” e “utili” crollano d’intelligenza e perdono d’utilità proprio perché sfruttano la nostra resa. E’ forte la TV, altro che dire: “Tanto comando io perché ho il telecomando!”. Non è vero: la TV lo strappa di mano, con i colori forti e le musiche caotiche, con i TG strillati e la sensualità ostentata. Noi non scegliamo niente: è la TV che sceglie, anzi “scioglie” noi.

Se è sera, provate a fare il conto di quante trasmissioni o tratti di trasmissioni avete visto senza che aveste programmato di vederle: tante. E nemmeno ci ricordiamo quante e quali fossero, perché passano via come l’acqua del torrente sui ciottoli della nostra stanchezza; ma come l’acqua non passano senza lasciare traccia: smussano e arrotondano i nostri riflessi e le nostre forze. Distruggendo anche le dighe forti: i linguaggi dialettali, le idee politiche, la diffidenza verso il mondo dei consumi.

La TV ci fa sembrare indispensabile quello che ieri nemmeno sapevamo che esisteva, ci fa vedere e rivedere i volti dei politici, i gol dei calciatori o le scatole di cioccolatini e ce ne droga. Ma è anche paritaria: la censura sull’apparire di disabili in TV ci fa pensare proprio di no! In Inghilterra ci hanno provato con una giornalista senza un braccio e le “brave e pie mamme” si sono ribellate perché “poteva spaventare i bambini”.

La TV è politicamente corretta: annienta il nemico, appiattisce tutto. E sta lì. Al centro. Non ci guarda, come pensava Orwell, ma noi ci sentiamo osservati e frugati. E facciamo, mangiamo, compriamo, amiamo quello che vuole lei. Quanti di noi conoscono più le note delle pubblicità televisive che le parole del proprio inno nazionale? Quanti bambini restano affascinati a sentire pubblicità impossibili di famiglie che passano il loro tempo a parlare di quanti cereali ci sono nei loro biscotti o di quanta tenerezza c’è nella loro carta igienica o nei loro assorbenti intimi? Ma, lo ripeto, non si tratta di quello che trasmette, ma del fatto che c’è, che è un must. Insomma, non possiamo non dirci teleutenti.

Nota bene: questo che sembra un discorso di colore, ha una sua morale: attenti a fare le guerre sui problemi di frontiera (clonazione, chimere, testamenti…) e pensare che la vera guerra sia lì, quando il nemico ha già conquistato tutto il nostro mondo (mentale). La vera guerra è nel nostro cervello: tra usarlo e vivere di routine. L’esempio della TV è uno su mille, ma può essere un’efficace sveglia.

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* Il dottor Carlo Bellieni è Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.



DIGIUNO ANCHE DAL TELEVISORE.....

 

Duck Slayer
00sabato 1 maggio 2010 02:20
Inutile ribadire che il digiuno più importante è quello del cuore, astenersi dai propositi cattivi, praticare la carità con sacrificio maggiore, offrire le proprie amarezze al Signore.

Se non c'è questo, il digiuno dai cibi è perfettamente inutile.
Caterina63
00sabato 1 maggio 2010 09:38
Re:
Duck Slayer, 01/05/2010 2.20:

Inutile ribadire che il digiuno più importante è quello del cuore, astenersi dai propositi cattivi, praticare la carità con sacrificio maggiore, offrire le proprie amarezze al Signore.

Se non c'è questo, il digiuno dai cibi è perfettamente inutile.




Perfettamente d'accordo.... [SM=g1740733]
generalmente infatti, quanti procedono al vero digiuno, cominciano anche dal digiunare del chiasso del mondo, dal televisore, dalle tentazioni anche di far diventare le proprie opinioni delle verità....
il digiuno è uno strumento efficace per correggere molti nostri difetti e ci inoltra nella virtù della pazienza, dell'umiltà che conducono alla vera Sapienza del cuore...dalla quale scaturisce ogni Bene...




[SM=g1740717]
Caterina63
00giovedì 17 marzo 2011 12:28

Digiuni benedettini e spunti per la Quaresima

Abbazia di Praglia, Teolo


Due frammenti del medesimo autore, padre Adalbert de Vogüe O.S.B., sul tema del digiuno. Il monaco benedettino tratta dell'argomento con specifico riferimento alla situazione monastica, ma sicuramente alcuni punti possono interessare chiunque si trovi a vivere il periodo quaresimale.

«La continenza alimentare nelle nostre regole non è oggetto di nessuna teoria. Che il monaco debba praticare digiuno e astinenza [...] è talmente evidente da non aver bisogno di giustificazione. [...] Questo laconismo e questa carenza si fanno sentire tanto più oggi quanto il significato delle restrizioni alimentari, e perfino la loro pratica, ci è sempre meno familiare. [...] Quanto ai monaci, le loro osservanze caratteristiche, già molto attenuate, ora tendono ad assottigliarsi e a scomparire. [...] Tutto va come se il genere umano - ed è ciò che si dice spesso - fosse caduto in un tale stato di debolezza da dover rinunciare ad ogni ascesi fisica per quanto leggera possa essere.

Questa spiegazione, diciamolo pure, ci lascia insoddisfatti. Quando l'uomo sperimenta intensamente un'esigenza, trova la forza di soddisfarla e anche il modo di organizzare la propria vita in conformità. Se l'ascesi non ha più spazio nelle nostre vite, è perché non ne sentiamo più l'importanza. Noi abbiamo tanta forza quanto ne avevano i nostri Padri, solo che la impieghiamo diversamente. I monaci non hanno abbandonato il digiuno per mancanza di salute, ma perché non avevano più motivo di digiunare.

La nostra impotenza a questo riguardo è dunque prima di tutto un fatto spirituale, che richiede spiegazioni spirituali. Una delle più profonde è indubbiamente l'estroversione del dinamismo umano, che, trascurando lo sforzo su se stessi, si è completamente investito nel lavoro sulle cose.»

(Adalbert de Vogüe, La Regola di San Benedetto. Commento dottrinale e spirituale, Bresseo di Teolo, Edizioni Scritti Monastici, 1998, pp. 318-320; 330)


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«Il nostro regime attuale differisce da tale austerità moderata ma reale [quella di san Benedetto, ndr], per l'assenza di ogni digiuno effettivo. Per quanto ne sappiamo, non c'è monastero in cui non si mangi tre volte, ogni giorno dell'anno [...] Spesso, almeno in ambiente anglosassone, vi si aggiunge un caffè nella mattinata e un thè a metà pomeriggio. La quaresima ecclesiastica dà luogo a restrizioni più o meno importanti e obbligatorie, che consistono per esempio nel ridurre la colazione e la cena. Quanto al digiuno «monastico» [...] è caratterizzato solo da modifiche leggerissime, quasi simboliche, come l'astinenza dalla carne nei pasti principali e la soppressione del latte a colazione. [...]

Attualmente dunque nulla sopravvive della disciplina alimentare stabilita da san Benedetto. Neppure un giorno all'anno ci accontentiamo di un solo pasto al giorno, e neppure di due. [...] Perché i monaci di ogni colore si sono accordati, nella nostra epoca, per abbandonare un'osservanza tanto caratteristica del monachesimo e così chiaramente fissata nella Regola?
La spiegazione più corrente, che mi fu fornita in noviziato circa quarant'anni fa, consiste nell'invocare la salute debole dell'uomo moderno. [...] Tuttavia un'esperienza recente mi ha dimostrato che tale spiegazione è totalmente falsa. [...] Per esperienza, credo di poter affermare che la nostra allergia moderna al digiuno non è questione di forze diminuite, ma di giudizio e di volontà deboli. La causa non è di ordine fisico, ma spirituale. [...] un uomo di oggi, di forze medie e di salute normale, può facilmente seguire il programma della Regola. Per arrivarvi, basta una giusta capacità di giudizio e una determinazione ferma della volontà, che alimenti uno sforzo sostenuto e progressivo. [...]

Ma ritorniamo alla nostra: perché non pratichiamo più il digiuno? [...] si può in ogni caso dare largo spazio al fattore che, con ogni evidenza, ha giocato e gioca un ruolo determinante: la perdita di tono e di convinzione. [...] mentre la passione politica mobilita l'energia dei nostri contemporanei, l'ideale monastico - triste a dirsi - non ha più questo potere di mobilitazione. [...] Se i monaci non digiunano, è in ultima analisi perché non ne hanno motivo, perché non ci credono.

Quali potrebbero essere allora le considerazioni capaci di motivarci al digiuno? [...]
In primo luogo è vero, come dice Cassiano, che il digiuno ha un ruolo chiave nel controllo delle passione. Salta agli occhi la sua relazione speciale con la castità. [...] Vi si può aggiungere un vantaggio secondario ma non disprezzabile: il tempo guadagnato [...] [infatti] si guadagna un tempo notevole su tutto ciò che circonda il pasto: cucinare e apparecchiare, riunirsi e mettersi a tavola, riunire e lavare i piatti: tutto questo ha luogo una volta invece che tre. Il tempo in tal modo liberato diventa disponibile per la lettura e la preghiera, anch'esse facilitate dal digiuno [...]

Si potrebbe aggiungere un altro effetto benefico: la differenziazione dei giorni e delle stagioni. Rompendo la monotonia dei tre pasti quotidiani, la disciplina del digiuno distingue i giorni feriali dalla domenica, i periodi di sforzo da quelli di calma. [...] Un'altra differenza, la più importante, è quella che il digiuno stabilisce tra vita monastica e vita secolare. La nostra vita monastica attualmente manca di contenuto specifico [...] non si distingue molto, per altri versi, da quella che si conduce nel mondo: conversazioni e letture (pensiamo ai giornali), cibo, sonno, vestito, tutto questo è molto simile o completamente identico a ciò che si vive fuori clausura. La mancanza di originalità e di vigore che ne risulta non rende questo tipo di vita attraente ed interessante. [...]

Si può obiettare che l'unica rottura che conta è rompere con il peccato [...]. Senza dubbio, ma questa consacrazione in spirito e verità non può fare a meno di gesti concreti che la significano e la realizzano. [...]
Non si tratta di rifiutarsi il necessario, né di affamarsi. Un'ascesi di questo tipo non è forse senza interesse, quando è contenuta nei giusti limiti, ma non si tratta di questo. Digiunare non è principalmente questione di quantità, ma di tempo: si prende il necessario, ma solo una volta al giorno, nel momento scelto, alla fine di una certa attesa. [...] ritorniamo, per finire, all'essenziale, che è, come dice san Benedetto, «amare il digiuno».

I monaci di oggi non lo praticano più, non sanno neppure più che cosa sia. Come potrebbero «amarlo»? Amore e pratica vanno insieme. Noi non possiamo praticare il digiuno se non l'amiamo, ma per amarlo abbiamo bisogno di sperimentare i suoi vantaggi, perciò di praticarlo. Beato chi spezzerà questo circolo, fidandosi della Regola e provando!»

(Adalbert de Vogüe, La comunità. Ordinamento e spiritualità, Bresseo di Teolo, Edizioni Scritti Monastici, 1991, pp. 346-350; 352-353; 355-358)

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A Venezia: Un digiuno nei sei venerdì di Quaresima per “aprire gli occhi, il cuore, le mani” è la proposta diocesana per questo tempo particolare. Sul sito www.patriarcatovenezia.it - in un apposito banner posto sulla sinistra dell’home page, appena rinnovata - sono riportate tutte le informazioni utili e i materiali suggeriti per accompagnare l’iniziativa promossa da vari uffici diocesani (Ufficio missionario, Pastorale Stili di Vita, Ufficio catechistico e Caritas veneziana) nell’intento, appunto, di “aprire gli occhi e vedere l'agire di Dio e collaborare con lui a costruire un mondo più giusto; aprire il cuore all'amore di Dio per amare con lui tutta l'umanità; aprire le mani ad una concreta condivisione della vita e di quanto la sostenta con chi è privo del necessario in ogni parte della terra”. 

Sul sito è possibile trovare, tra l’altro, il contenuto di uno speciale "buono pasto per l’anima", ossia una riflessione sul Vangelo della domenica per nutrire la preghiera ma anche l’elenco delle chiese aperte di venerdì, all’ora di pranzo, nelle varie zone del Patriarcato di Venezia. C’è, inoltre, la possibilità di condividere l’esperienza iscrivendosi alla “lista del digiuno” - lasciando anche, se si vuole, un breve messaggio - e viene, infine rilanciata, la proposta di devolvere il costo del pasto alla raccolta quaresimale “Un pane per amor di Dio” che sarà destinata ad attività e progetti dell’Ufficio missionario diocesano.


Caterina63
00mercoledì 4 maggio 2011 17:17

Come si può ascoltare Dio con la tv accesa?

La domanda è del gruppo interreligioso “So We Might See” che chiede di spegnere la tecnologia durante la Settimana Santa. In Italia molte diocesi hanno espresso lo stesso concetto. Ma il digiuno hi-tech può davvero aiutare un fedele?

22 aprile 2011 di Fabio Marchese Ragona

Come si può ascoltare Dio con la tv accesa?

Come si pu�� ascoltare Dio con la tv accesa?

 
  • Come si può ascoltare Dio con la tv accesa?

    Come si può ascoltare Dio con la tv accesa?

    Come si pu�� ascoltare Dio con la tv accesa?

Digiuno high-tech. Nell’era di Internet, in vista della Pasqua, è tutto un prolificare di “fioretti 2.0”: durante la Quaresima o solo per la Settimana Santa, l’astinenza da carne, dolci o vino, oggi cede il passo all’astinenza da social network e tecnologia. E per una volta sembra che tutti siano d’accordo. L’ultima proposta arriva dal gruppo “So We Might See”, un gruppo di coalizione interreligiosa fondato dalla Chiesa Unita di Cristo (quella di cui è credente il Presidente Barack Obama) e che riunisce i rappresentati delle chiese del mondo (dai cristiani agli evangelici, dai luterani ai musulmani). Il loro slogan dice: “Come si può ascoltare la voce di Dio con la tv accesa così forte?” e l’idea è quella di spegnere il televisore nei giorni della Settimana Santa, proponendo un elenco di 101 attività alternative (dall’imparare a usare una bussola al dipingere un murales) da svolgere in compagnia e da far svolgere ai più piccoli che non riescono a fare a meno di videogiochi e tv.

Una proposta che arriva dopo l’omelia della Domenica delle Palme di Papa Benedetto XVI: “La tecnologia non può sostituire Dio, il progresso non ci salva, basti pensare alle ultime catastrofi”. E così la Chiesa se da un lato elogia la tecnologia (come mezzo per l’evangelizzazione) dall’altro invita a rinunciarvi, introducendola come oggetto di penitenza al pari del più gettonato cioccolato. In Italia lo“switch-off” quaresimale c'è stato: l’Arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia ha invitato i fedeli a “spegnere la televisione con il suo rumoroso fiume di parole e immagini per riscoprire la gioia dell’incontro con le persone”.

Stesso copione nella Diocesi di Altamura – Gravina – Acquaviva: il vescovo quest’anno ha proposto, accanto al digiuno dallo “spritz” e dallo “shopping sfrenato” anche quello dal rumore (spegnere radio e tv per ascoltare gli altri) e dai “web network” (spegnere videogiochi e internet per stare più tempo con la famiglia). Ma già negli anni passati l’idea era stata lanciata anche da altri vescovi italiani (nel 2009 l’Arcidiocesi di Trento proponeva l’astinenza dalla rete e da mp3, iPod e radio, la Diocesi di Modena invece lanciava il “NO-SMS day” ogni venerdì di Quaresima per riflettere anche sulla guerra in Congo, paese dal quale proviene il coltan, minerale in uso per la produzione dei cellulari).

L’invito al digiuno tech è stato raccolto anche dai più giovani che sui social network hanno creato dei gruppo ad hoc: “Nei venerdì di Quaresima digiuniamo da sms, tv, iPod e Facebook”, oppure “Astinenza da Facebook nei venerdì di Quaresima”, con testimonianze in bacheca di chi riesce davvero nell’impresa.

Ma il “digiuno tech” può davvero aiutare un fedele a riflettere, a non perdere tempo davanti al pc e a prepararsi alla Pasqua? Abbiamo chiesto un parere a Padre Antonio Spadaro, gesuita ed esperto di tecnologia, redattore de “La Civiltà Cattolica”:

“Tutto ciò che è utile serve. Cioè dipende molto dalla persona. Ho amici scrittori (non credenti) che hanno deciso di usare la rete solo sull'iPhone o il BB perché se hanno internet sul computer buttano via ore senza accorgersene. Altri pregano stando davanti a un monitor. I consigli spirituali seguono molto i ritmi e la psicologia della persona...”.

 

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a queste riflessioni aggiungerei solo che il DIGIUNO E' UNA VIRTU' e in quanto tale necessita di CATECHESI, di DOTTRINA (non indottrinamento che è ben cosa diversa)..... solitamente ci lasciamo istruire DAI SANTI che hanno esercitato questa virtù senza per questo ROMPERE con il mondo....perchè qui sta la vera riuscita di un digiuno: non il rompere con il mondo, ma ritagliarsi nel mondo quel tempo e quei momenti, OGNI GIORNO, da trascorrere CON DIO...

il Tempo di Quaresima e dei suoi Venerdì sono un sostegno a questa virtù che andrebbe ESERCITATA OGNI GIORNO DELL'ANNO perchè possa portare frutto.... "spegnere la tv" potrebbe infatti meglio intendersi se intendiamo quei canali che mandano in onda anche spettacoli indecorosi, o i reality o isole dei famosi o sguardi del grande fardello....spegnere quei programmi che sono CHIACCHIERE PERSE.... o dove si litiga e ci si mena PER ALZARE L'AUDIENCE....spegnere quando va in onda un telefilm o un film violento o che induca a indottrinamenti di certe etiche e morali contro la vita e contro Dio....insomma, imparare a NON ritenere indispensabile la TV o internet....o il cellulare.... questi STRUMENTI servono e devono essere usati PER SERVIZIO, PER LAVORO... ma non sono indispensabili per salvarci l'anima, qui sta il nocciolo del problema....

 

Ogni parametro - le virtù - che riguarda la nostra anima da salvare come il digiuno, la preghiera, la vera carità, ecc... non devono rischiare di essere strumentalizzate e dobbiamo imparare a NON mai autogiustificarci o autoassolverci se "un giorno chiudiamo l'occhio" o se si ritiene che certe virtù vadano esercitate solo in Quaresima....

 


Caterina63
00mercoledì 7 settembre 2011 14:41

Dal 16 settembre 2011 i Vescovi cattolici inglesi, assecondando il Papa, ritornano al "Venerdì di magro". Tutto l'anno

Apprendiamo questa notizia letta sul sito della Conferenza della Chiesa Cattolica in Inghilterra e Galles (Catholic Bishops' Conference of England and Wales) sotto forma di FAQ (si veda qui) pubblicato lunedì scorso, 5 settembre 2011 da "Catholic Communications Network" .
Non ci si può che rallegrare per queste parole così sincere (in cui a tratti esprimono un
mea culpa -se pur indiretto-) e propositive. Soprattutto se espresse sull'organo ufficiale della Conferenza Episcopale cattolica inglese, e con espresso riferimento ai benefici effetti della visita del Papa in Gran Bretagna.
Traduzione nostra.

Roberto


Venerdì di magro.

"La visita di Papa Benedetto XVI ha evocato per molte persone la realtà spirituale della vita e di speranza, e ha riacceso e la fede: la speranza nella bontà che è dentro le persone e nella nostra società, e la fede in Dio. Anche se non è facilmente codificato, un anelito spirituale, si trova all'interno di molte persone. Questo desiderio si trova anche tra i cattolici che hanno perso il contatto con la propria fede o la cui fede non è mai stata profondamente radicata in un rapporto personale con Cristo; tra i cattolici che desiderano rispondere a questo desiderio, ma forse mancano di fiducia nel parlare della propria vita spirituale, molti cattolici chiedono come possono testimoniare la loro fede, che cosa possono fare per contribuire a introdurre la loro fede in Cristo agli altri in modo semplice e diretto?

I Vescovi di Inghilterra e Galles riconoscono [meglio tardi che mai] che semplici atti di testimonianza, accompagnata dalla preghiera sincera, possono essere un forte richiamo alla fede. Tradizionali devozioni cattoliche, come fare il segno della croce con cura e rispetto, la preghiera dell'Angelus, dire una preghiera prima e dopo i pasti, per citarne solo alcuni, sono azioni semplici durante i quali dedichiamo alcuni momenti della nostra vita quotidiana a Dio Onnipotente e dimostrano il nostro amore e la fiducia nella Sua bontà e provvidenza. Se queste devozioni sono andate perdute o addirittura dimenticate, in particolare nelle nostre case e nelle scuole, abbiamo solo molto da guadagnare se imparariamo e farle vivere di nuovo.

I Vescovi hanno guardato di nuovo al ruolo della praticha delle devozioni e alla pratica della penitenza: entrambe possono contribuire a tessere la fede cattolica nel tessuto della vita quotidiana. La nostra adorazione regolare alla S. Messa di Domenica, il giorno della Risurrezione del Signore, è il segno più potente verso l'esterno e la testimonianza della nostra fede in Gesù Cristo per la nostra famiglia, i nostri amici e i nostri vicini. Domenica deve sempre rimanere al centro della nostra vita di cattolici.

I Vescovi desiderano anche ricordare che ogni Venerdì è riservato come giorno speciale della penitenza, in quanto è il giorno del dolore e della morte del Signore. Essi credono che sia importante che tutti i fedeli di nuovo uniti in un comune atto di penitenza, identificabile nel Venerdì di magro perché riconoscono che la virtù della penitenza sia meglio acquisita come parte di una soluzione comune e nella comune testimonianza.

La legge della Chiesa richiede ai Cattolici che il venerdì si astengano dalla carne, o da qualche altra forma di cibo o di osservare qualche altra forma di penitenza previsto dalla Conferenza episcopale.
I Vescovi però ora hanno deciso di ristabilire la pratica di penitenza che dovrebbe essere soddisfatta semplicemente astenendosi da carne e unendo questa alla preghiera.

Questa decisione entrerà in vigore dal Venerdì 16 settembre 2011."
Coloro che non possono o scelgono di non mangiare carne come parte della loro dieta normale dovrebbe astenersi dal cibo di cui esse partecipano regolarmente
.


Fonte:Catholic Bishops' Conference of England and Wales via Fr.Z's blog.
Per il testo originale in pdf si veda qui Q&A (FAQ)


Caterina63
00giovedì 1 marzo 2012 10:45
Santi Comandamenti


Quanto segue è tratto per me e per voi, Amici, da: Filotea Mariana, una raccolta di saggi, aneddoti, preghiere e devozione della tradizione e si chiama: "Un segreto di felicità" di padre Francesco M. Avidano S.M. - Nona Edizione - Torino - con Imprimatur 1962



I pasti e la Madonna

La santa Schiavitù ti aiuterà a nobilitare e santificare anche questa azione in sè così materiale. Quante anime pie, infatti, e anche religiose, che hanno saputo rinunciare a tutto, sono poi state invece schiave della gola!
Ascolta cosa devi fare: impara a mangiare da uomo, da cristiano, da schiavo di Maria.

1. Da Uomo: impara innanzi tutto questo, mangiare per vivere e non vivere per mangiare. Gli animali vivono per mangiare, eppure se essi sono addomesticati imparano a rispettare le regole che tu, uomo, dai loro, a maggior ragione comportati come uno che ha delle regole.
E poi pensa qual dolorosa necessità dover interrompere la preghiera, il lavoro, per pensare a mangiare e poi per digerire... Assoggetati perciò ad essa come ad una umiliante necessità "per vivere devo mangiare", ma non essere di quelli che fanno del cibo il pensiero dominante della vita e non sanno parlare d'altro che di ciò che hanno mangiato e di quel che mangeranno qualche ora più tardi; non essere di quelli che non s'accontentano mai di nulla a tavola e che se non soddisfano il gusto sono capaci di mandarsi storta la giornata. Tu mangia da uomo saggio, che se la salute te lo permette certamente, apprezza tutto ciò che ti sarà offerto in cibo, impara a mangiar ciò che ti fa bene ma forse non ti piace nel gusto, sii gioioso se qualche volta il pasto è poco saporito. Non riempirti lo stomaco fino alla sazietà, così mangiano gli animali, ma loro sono giustificati, eppure se li addomestichi s'accontentano di ciò che il padrone gli dà, impara anche poco alla volta le piccole rinuncie fino a soddisfare, piuttosto, il piacere di qualche diogiuno.

2. Da Cristiano: il primo condimenti dei tuoi pasti sia la preghiera e la mortificazione, il fioretto. Se hai più tempo aggiungi alla preghiera del pasto anche un'Ave Maria, e glieLa offrirai pensando a Lei mentre era in fuga in Egitto, quasi partoriente, non aveva molto di che mangiare. Anche durante il pasto non smettere di nutrire l'anima, se ti è possibile, ascolta qualche passo della Scrittura, in famiglia qualcuno a turno, durante il desco, può leggere qualche brano ispirato scritto dai Santi, oppure dal Trattato della Vera Devozione a Maria, o dal Segreto di Maria, o dalle Glorie di Maria, perchè "non di solo pane vive l'uomo", pensa a quanti sono senza pane e ciò che tu mangi è dono di Dio.
Questi consigli ci sono dati dall'Apostolo Paolo, quando dice:  1Corinzi 10, 31 Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun'altra cosa, fate tutte le cose per la gloria di Dio.
Non dimenticare le pene che siscontano in Purgatorio per i peccati di gola! E ti sia di giovamento pensare alle eterne ricompense con cui Dio rimunerà anche la più piccola mortificazione che avrai fatto per amor Suo.
Quando Gesù mangiava pensava anche all'Ultima Cena, pensava a quel pane e a quel vino  che avrebbe trasformato nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, sacrificato per la nostra salvezza, così il vero Cristiano, anche a tavola, non pensa a se stesso, ma piuttosto pensa agli altri, mentre mangia può pensare a cosa fare magari per un vicino di casa in difficoltà, o per qualche fedele della parrocchia in difficoltà, o per andare a trovare un malato, vedi come anche mangiando si può pianificare il proprio apostolato.
Infine, se sei invitato a qualche pranzo importante, non metterti in mostra, cerca sempre l'ultimo posto, non ostentare, ed anche qui, senza offendere il padrone di casa,  nascondi le tue mortificazioni.

3. Da Schiavo di Maria: pensa subito e spesso a come è divinamente bello immaginare la Vergine Santa mentre serve Gesù a tavola, mentre porge il piatto al Suo Casto Sposo san Giuseppe, dopo una giornata di lavoro. Immagina come Gesù, seduto a tavola, mangiasse con loro. Stai pur certo che la Madonna non pensava al cibo in sè, ma guardava il Suo adorabile Gesù, e sempre pensava a quel Mistero che aveva davanti: tutto Dio ed anche tutto Uomo, Suo Figlio, e pensava di certo come avrebbe potuto servirLo al meglio nel mentre che cresceva.
Che bello e che dono poter mangiare sempre alla presenza della Divina Famiglia. Maria dava i bocconi più prelibati a Gesù Bambino, così i Santi hanno imparato a fare altrettanto con i poveri, dando il meglio che avevano a loro, spesso si astenevano da qualche ghiotto boccone che offrivano alla Madonna perchè in qualche modo Ella potesse far giungere quella rinuncia a qualche povero.
Maria era tutta protesa all'ascolto di Gesù, sappi anche tu introdurre delle buone conversazioni a tavola, e se sei un religioso, sfrutta la lettura di tavola, è importante non perdersi nelle chiacchiere peccaminose, specialmente quelle vanitose, quelle in cui ci si autogratifica di se stessi.

4. Impara a vedere in chi ti serve la Vergine Santissima e ti sarà più facile:

a. mangiare con umiltà: io che sono il servo, vengo servito! Ho davvero guadagnato questo cibo? Sappi riconoscere la Provvidenza e di spesso: Oh! come la Madonna Santa tratta bene i suoi servi!

b. con la santa mortificazione: come potrei lamentarmi di tal simile Provvidenza sulla mia tavola? E questa non è fantasia! La Madonna vuole davvero che tu accetti, in nome Suo, tutto ciò che ti portano, senza lamentarti, ma ringraziando sempre il Signore prima, durante e dopo il pasto.

c. con fedeltà e devozione, cioè: sempre come se stessi alla presenza di Dio, ricordando di avere sempre accanto a te il tuo Angelo Custode. Usa la fedeltà specialmente nei giorni di digiuno prescritti dalla santa Chiesa, giungi ad un santo digiuno di devozione specialmente il Venerdì e al Sabato dedicato alla Madonna, ricordandoti che alle ore 15,00 del Venerdì Gesù moriva sulla Croce per te. Questo pensiero ti aiuterà a mantenerti fedele nella mortificazione e nel digiunare.

Se all'inizio dell'impresa ti riuscirà difficile mantenerti fedele, non scoraggiarti, aiutati con la Confessione, con la santa Eucaristia, con il Rosario, non smettere mai di impegnarti e alla fine vedrai che i risultati arriveranno, e tu guadegnerai immensi benifici e tanto giovamento. Pensa sempre che più ti impegnerai a favore dei peccatori, dei poveri, di chi è lontano dalla Chiesa, per la loro conversione, e più tu riciverai benefici.
La Madre Matilde del SS. Sacramento, Abbadessa del Monastero, aveva stabilito che fosse portata, ogni giorno, la miglior porzione ai piedi della Santissima Vergine, e così che venisse distribuita ai poveri che andavo a bussare in quell'ora.

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[SM=g1740733]DIGIUNO....PECCATO DI GOLA..... c’è tutta una scienza, tutta una teologia, tutta una realtà schiacciante che dovrebbe farci riflettere a lungo ;-)

NON DI SOLO PANE VIVE L’UOMO…. il peccato di gola è così quell’eccesso che non ci fa vedere quale sia quest’altro “cibo” che dovrebbe nutrirci e cosa dovrebbe nutrire…
già, oltre al corpo, cosa c’è da nutrire? L’ANIMA! ;-) ma sarebbe come ammettere che l’anima esiste con tutto ciò che questa scoperta porterebbe….

Ottimo articolo!!!

 

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GOLA

Il cibo non è l’inferno.

Ma non è manco il paradiso.

 

Il realismo cattolico a tavola

 

 

 

Mettere in guardia dalla gola significa allora trasformarsi in asceti duri e puri, vivendo più di aria che di cibo? No, è stato già spiegato, altrimenti ci riduciamo senza forze e, se non abbiamo la fede del Curato d’Ars, il rischio è che facciamo più male che bene alla nostra anima. L’accusa rivolta a Gesù di essere un mangione e un beone, deve farci evitare qualsiasi fuga dal cibo stiamo progettando in riparazione dei nostri peccati. Non perché il Maestro fosse davvero un godereccio amante della buona tavola e a cui piaceva alzare volentieri il gomito. Il punto è un altro: evidentemente, di fronte all’esteriorità culturale praticata in Israele da molti, il suo atteggiamento sereno nei confronti del cibo lasciava indignati coloro che vedevano attentati ad una presunta purezza ovunque meno che nei loro stessi comportamenti. Dai Vangeli sappiamo che Gesù sapeva digiunare anche a lungo ma, con la stessa naturalezza, si sedeva alle tavole a cui veniva invitato.

di Claudia Cirami
 
Quando arriva la Quaresima, i primi “fioretti” che ci vengono in mente – per lo meno a noi donne, ma pare anche agli uomini – hanno a che fare con l’alimentazione. Raccogliendo buoni propositi in giro, risulta che, nel tempo quaresimale, alle pratiche del digiuno e di astinenza dalle carni, già prescritti dalla Chiesa e, si spera, seguiti dai fedeli, aggiungiamo anche altri sacrifici: via dolci e cioccolato prima di tutto, ma c’è anche chi si astiene da pizza, bevande gassate, patatine fritte, etc… Qualche malizioso potrebbe sospettare che lo facciamo per questioni di dieta – e al 60% è così – e che simili fioretti non abbiano molto valore. Con la scusa di offrire a Dio i nostri sacrifici per un serio itinerario penitenziale, saliamo più disinvolti sulla bilancia, certi che, almeno in Quaresima, questa non ci farà brutti scherzi. C’è però quel 40% che ci porta a riflettere su quello che è ritenuto uno dei sette vizi capitali ma che, in tutta sincerità, la maggior parte di noi si ricorda solo a partire dal momento in cui il sacerdote, mettendoci le ceneri in testa, ci dice: “polvere sei e polvere ritornerai” (o il più gettonato e politicamente corretto: “convertitevi e credete al Vangelo”).
 
LA PIÙ SANTA DELLE FESTE DIVENNE LA PIÙ PAGANA
 
Riflessione quella sulla gola che, di solito, torna a nascondersi nei meandri oscuri della nostra mente non appena scocca l’ora x: l’arrivo della Pasqua. Che, di solito, non è vissuta in un gioioso clima di festa e convivialità, in cui il cibo è parte integrante ma non protagonista assoluto, come conviene alla Festa delle feste che chiude il cammino di penitenza con la notizia sulla Resurrezione. La Pasqua è, invece, spudoratamente omaggiata con assalti imbarazzanti alle uova di cioccolato, pantagruelici pranzi e luculliane gite gastronomiche fuoriporta. Nemmeno fosse la più pagana delle feste e noi come poveri affamati da tempo immemore che si lanciano sulla prima pasta al forno che vedono, come nella celebre scena del film “Miseria e nobiltà” con l’inimitabile Totò. Buttandoci alle spalle, quasi con fastidio, quel poco di sobrietà dei pensieri e delle azioni che la Quaresima ci ha ispirato e non pensandoci più. Perché – confessiamolo – chi considera, per il resto dell’anno, che quell’abbuffata di Capodanno o al pranzo di matrimonio dei cugini, quel gettarsi a capofitto – in un momento di rabbia o di tristezza – sulla prima scatola di cioccolatini che ci capita a tiro, quell’ innocente “Com’è buono! Ne prendo ancora un pò”, ripetuto in serate di cene con i parenti, di pizzerie con gli amici, di spuntini con i colleghi, di aperitivi con i conoscenti (in cui quel “un pò” diventa presto un mattone sullo stomaco), chi considera – ripeto – che tutto questo abbia a che fare con la nostra vita spirituale? Che c’entrano gli scatti di ira, la maldicenza, le bugie, l’indolenza nei riguardi di Dio e del prossimo, le cadute sessuali e via dicendo con quel vasetto di crema al cioccolato, finito a tempo di record, con quel piatto speciale della nonna defunta, mangiato in quantità industriali, con quei “ravioli con cuore di noci in un letto di crema di pistacchi con tripudio di granella di nocciole e cannella” che tanto ti ha entusiasmato l’ultima volta al ristorante (e che, per imparare il nome, hai dovuto pure leggerlo più volte)? Suvvia, non facciamo i moralisti…


DEL PERCHÈ I PROTESTANTI MANGIANO MALE E I CATTOLICI BENE

 
E invece, dobbiamo ricrederci. Partiamo dal riconoscere la possibilità di peccare con la gola. Che il peccato di gola fosse un vero peccato (e non un slogan pubblicitario) lo sapeva bene Leo Moulin, intellettuale con vari interessi, tra cui la storia dell’alimentazione. A Messori, in Inchiesta sul cristianesimo, spiegò la differenza tra la cucina polacca, ottima, e quella tedesca, non particolarmente riuscita (non me ne vogliate, amici tedeschi, ma c’è di meglio tra le altre cucine), nonostante la similitudine tra le due nazioni riguardo a clima e alimenti. Disse Moulin: “la spiegazione è religiosa: ovunque la gastronomia dei riformati è meno saporita e meno ricca di quella dei cattolici. Il fatto è che il protestantesimo ha creato sì una società economicamente assai vivace… ma ha compresso la joie de vivre: l’uomo è visto come solitario davanti a Dio, deve assumere tutto il peso delle sue azioni e delle sue colpe, compresa quella dell’abbandono alla ‘sensualità’ del cibo. Il cattolico è più libero, meno complessato, perché sa che, ad aiutarlo e a giustificarlo, c’è tutta una rete di mediazioni ecclesiali e culturali, c’è soprattutto la confessione con il suo perdono liberante”. Capiamoci bene, dunque: se aspettiamo il perdono liberante anche per i peccati di gola, vuol dire che non possiamo considerarli inezie. E, a questo punto, dobbiamo dare anche alla gola tutta l’importanza che questo vizio merita per imparare a domarlo.
 
LA GOLA È LA SCINTILLA CHE FA DIVAMPARE TUTTI GLI ALTRI PECCATI
 
Come ricorda il catechismo della Chiesa Cattolica, “I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia”. Anche la gola o, meglio, golosità, dunque, è generatrice di peccati. Qual è il nesso? San Giovanni Crisostomo spiega: “l’eccesso nel mangiare e nel bere allenta l’energia del corpo e corrompe la salute dell’anima” e “come da una fonte, così dall’intemperanza e dall’ebbrezza derivano tutte le specie dei peccati; e come l’abbondanza del materiale attizza più grande il fuoco e leva in alto la fiamma, così qui l’abbandonarsi all’intemperanza e all’ebbrezza fa sì che aumenti l’incendio dei peccati”. Roba da farci guardare storto l’ultimo snack che stavamo pensando di addentare. Soprattutto il collegamento peccati di gola-peccati carnali sembra molto forte. S. Alfonso Maria de’ Liguori chiarisce: “…chi dà libertà alla gola, facilmente darà poi anche libertà agli altri sensi; poiché, avendo perduto il raccoglimento… facilmente caderà in altri difetti di parole indecenti e di gesti scomposti. E ‘l peggior male si è che coll’intemperanza ne’ cibi passa gran pericolo la castità” e ricorda poi la frase di san Girolamo: Ventris saturitas seminarium libidinis (La sazietà del ventre è vivaio della sensualità). Non siamo ancora convinti? S. Josemaria Escrivà de Balaguer, in Cammino, scrive perentorio: “La gola è l’avanguardia dell’impurità”.

SOMMERSI DALL’OBBLIGO SOCIALE DI ANDARE PER TRATTORIE A FAR I FINTI PALATI FINI
 
Eppure liberarsi dalla tentazione della golosità non è facile. In un articolo sull’Osservatore Romano di qualche tempo fa, Lucetta Scaraffia si chiedeva: “Come si fa a condannare la gola quando siamo sommersi da ricette, recensioni di ristoranti, inviti a riscoprire il gusto del cibo e la degustazione di vini, il tutto spesso camuffato da ritorno al genuino, o da occasione conviviale in cui godere dell’incontro con gli altri? La cultura che ci circonda ci vorrebbe far saltare da un ristorantino all’altro, comprare cibi squisiti, assaporare vini pregiati ogni sera:  mangiare e bere sono diventati un fiorente settore di affari, e tutto quello che fa guadagnare è visto come positivo”. E’ un discorso che ha una sua logica persino in tempi di crisi come quello in cui stiamo vivendo, nei quali la propensione a commettere peccati di gola, pur trasformandosi, è rimasta: sebbene oggi sia diminuita la possibilità per molti di frequentare i ristoranti, c’è la corsa in tv, nei libri, ma anche tra la gente, a presentare piatti sempre più succulenti utilizzando gli avanzi del giorno prima, alimenti meno pregiati e, persino, gli scarti dell’alimentazione (come le bucce di frutta o verdura). Non tanto perché la persona venga nutrita, quanto perché – anche in tempi duri – il suo gusto venga sollecitato e il suo palato soddisfatto con pietanze apparentemente più povere ma, in realtà, sempre elaborate.
 
IL REALISMO CRISTIANO CHE HA SEMPRE SCORAGGIATO GLI ECCESSI ASCETICI
 
Certo, sentire il menù quotidiano del santo Curato d’Ars mette i brividi (culinari): qualche patata cotta, persino stantia da cui, tra lo sbigottimento dei parrocchiani che più lo conoscevano, grattava via la muffa, sostenendo che era ancora mangiabile; poi semplici frittelle di farina che si faceva bastare per diversi giorni; qualche frutto… L’iconografia ce lo presenta magro, dal volto ossuto e quasi diafano. Più volte si ammalò perché le forze non reggevano i tanti impegni parrocchiali (confessava fino a 18 ore al giorno). La sua vita spirituale, in compenso, veleggiava verso lidi sempre più lontani finché raggiunse l’approdo certo della santità. Non tutti i santi, però, si riducevano pelle e ossa come san Giovanni Maria Vianney, ma certo non hanno mai evitato di sottoporsi a penitenze alimentari, sapendo quale benessere per la vita di fede poteva venir loro da queste rinunce. Raccomandandole anche a chi li frequentava. Sempre mantenendo, tuttavia, quel sano realismo cattolico che impedisce a chi segue Cristo di praticare un’ascesi insostenibile e fine a se stessa che porta più danni che benefici. In Filotea, che accompagna i laici nella vita spirituale, san Francesco di Sales, a proposito di digiuni esasperati, scrive: “I cervi corrono goffamente in due circostanze: quando sono troppo grassi e quando sono troppo magri. Anche noi siamo molto fragili di fronte alle tentazioni sia quando il nostro corpo è troppo pasciuto, come quando è troppo debole; nel primo caso è presuntuoso nel suo benessere, nell’altro è disperato nel suo malessere. Come principio generale è meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendo; ma non sempre basta volerlo, per recuperarle”.
 
LA REGOLA DI SAN BENEDETTO: “SOLO QUANTO BASTA A TENERCI IN PIEDI. MA TUTTAVIA…”
 
In quel capolavoro di realismo che è la Regola di san Benedetto è descritta persino la quantità di cibo che il monaco deve consumare: niente più di quello che gli consenta di rimanere in piedi. Con grande sapienza, sono anche previste le eccezioni in caso di soggetti indeboliti. Ma se i monaci non hanno particolari problemi di salute “due pietanze cotte, dunque, siano sufficienti per tutti i confratelli, e qualora vi fosse la possibilità di avere frutta e verdura fresca, se ne aggiunga pure una terza. Di pane basterà una libbra abbondante al giorno” e viene ricordato “nel caso in cui il lavoro sia stato più faticoso, l’abate se lo ritiene utile, avrà la facoltà di aggiungere qualcosa in più, purché si eviti qualsiasi eccesso di cibo e si badi che mai il monaco faccia indigestione, poiché nulla è tanto sconveniente al cristiano quanto l’intemperanza nel cibo…”. L’obiezione è nell’aria: la regola è rivolta ai monaci. Vero, ma quanto detto finora ci porta a considerare che anche le nostre alimentazioni non dovrebbero essere più pesanti e ricche di questa. Ricordiamo tutti Poldo, amico di Braccio di Ferro e goloso fino al ridicolo (nonché fino alla scrocconeria più esasperata). Se immaginavamo di ondeggiare come lui, con le nostre rotondità “colpevoli”, sulla strada del cammino di fede, possiamo metterci una pietra sopra: il peccato di gola e il Regno di Dio non vanno a braccetto.


SULLE ORME DI UN MAESTRO “MANGIONE E BEONE” MA CHE SAPEVA DIGIUNARE

 
Mettere in guardia dalla gola significa allora trasformarsi in asceti duri e puri, vivendo più di aria che di cibo? No, è stato già spiegato, altrimenti ci riduciamo senza forze e, se non abbiamo la fede del Curato d’Ars, il rischio è che facciamo più male che bene alla nostra anima. L’accusa rivolta a Gesù di essere un mangione e un beone (cf Mt 11,19; Lc 7,34) deve farci evitare qualsiasi fuga dal cibo stiamo progettando in riparazione dei nostri peccati. Non perché il Maestro fosse davvero un godereccio amante della buona tavola e a cui piaceva alzare volentieri il gomito. Il punto è un altro: evidentemente, di fronte all’esteriorità culturale praticata in Israele da molti, il suo atteggiamento sereno nei confronti del cibo lasciava indignati coloro che vedevano attentati ad una presunta purezza ovunque meno che nei loro stessi comportamenti. Dai Vangeli sappiamo che Gesù sapeva digiunare anche a lungo ma, con la stessa naturalezza, si sedeva alle tavole a cui veniva invitato. Vale allora quello che ci dice l’Imitazione di Cristo a proposito delle tentazioni in genere: “Non possiamo vincere semplicemente con la fuga; ma è con la sopportazione e la vera umiltà che saremo più forti di ogni nemico. Ben poco progredirà colui che si allontana pochino e superficialmente dalle tentazioni, senza sradicarle: tosto ritorneranno ed egli starà ancora peggio.
 
Vincerai più facilmente, a poco a poco, con una generosa pazienza e con l’aiuto di Dio, più facilmente che insistendo cocciutamente nel tuo sforzo personale”. Nemmeno, però, dobbiamo guardare il cibo con sospetto, come fosse strumento di satana per condurci lontano da Dio, e servirsene con la paura di cadere nel peccato. Il cibo è un dono di Dio: mangiare non è peccato se lo facciamo con moderazione e senza ingordigia ma anche – oggi che manie dietiste e salutiste varie sembrano frenarci nelle quantità – senza la ricerca esasperata della soddisfazione del gusto, quella stessa che, a volte, ci fa considerare pessimo un buon pranzo con diverse portate solo perché “il riso non è cotto al punto giusto” o “nella crema di quella torta c’è un eccesso di liquore”. Il cibo ci è utile per sopravvivere, ma non dobbiamo dargli più valore di quanto non ne abbia, ricordandoci che i beni – che Dio ci ha dato per il nostro sostentamento – concorrono anch’essi ad aiutarci ad arrivare all’unico Bene, che è Dio, ma non possono sostituirlo. Il digiuno e l’astinenza dalla carne che la Chiesa ci richiede in questo tempo ci fanno prendere coscienza proprio del fatto che non siamo schiavi dei nostri desideri e delle nostre voglie. Abbiamo tutto il tempo quaresimale per meditarci sopra. Sperando, con l’aiuto di Dio, che le nostre riflessioni non finiscano poi per naufragare senza ritegno nel solito mare di cioccolata pasquale.


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