S.B.Bartolomeo I favorevole alla Liturgia antica Cattolica

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Caterina63
00giovedì 8 gennaio 2009 16:15


Il testo che segue è la famosa Omelia del Patriarca Bartolomeo I per la Festa di sant'Andrea celebrata alla presenza di Benedetto XVI in visita appunto al Patriarcato nel Novembre del 2006....


qui il collegamento:
http://www.ortodoxia.it/La%20celebrazione%20della%20Divina%20Liturgia.htm

Piccole espressioni, ma ricche di significato che ora andremo a leggere dall'originale,  senza dimenticare che il testo è del Novembre 2006 Occhiolino prima del MP Summorum Pontificum, ossia il testo con il quale Benedetto XVI liberando la Messa antica detta san Pio V, ha cominciato la Riforma Liturgica condannando ogni abuso compiuto con le false interpretazioni del Concilio sulla Santa Messa[SM=g7535]



Dall'omelia di Sua Beatitudine  il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I durante la Divina Liturgia nella festa di Sant’Andrea Apostolo Cattedrale Patriarcale, alla presenza di S.S. Benedetto XVI - novembre 2006 -

Per grazia di Dio, noi abbiamo ricevuto, Santità, la benedizione di entrare nella gioia del Regno: “Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste”. Ogni celebrazione della Divina Liturgia è una potente e spirituale celebrazione congiunta del cielo e della storia. Ogni Divina Liturgia è insieme memoria del passato e attesa del Regno. Siamo convinti che, durante questa Divina Liturgia, ancora una volta veniamo orientati spiritualmente verso tre direzioni: verso il Regno dei cieli, là dove gli angeli celebrano, verso la celebrazione di questa stessa Liturgia lungo i secoli passati e verso il Regno di Dio che attendiamo.

Questa mirabile unità del cielo con la storia manifesta che la Liturgia ortodossa è la mistica esperienza e la profonda convinzione che “Cristo era, è e sempre sarà in mezzo a noi”, poiché in Lui sussiste la piena unità di passato, presente e futuro. Per questo, la Liturgia è qualcosa di più che una semplice memoria delle parole e delle azioni di Cristo: essa è la realizzazione della presenza di Cristo stesso, egli che ha promesso di essere presente là, dove due o tre sono riuniti nel suo nome.

Nello stesso tempo, però, riconosciamo che la regola della preghiera è regola della fede (lex orandi lex credendi) poiché ciò che si insegna sulla persona di Cristo e sulla santissima Trinità ha lasciato una impronta indelebile nella Liturgia: esso è un dogma che non possiamo capire e “si è manifestato a noi nel mistero”, secondo la limpida espressione di San Basilio il Grande. Così la Liturgia ci ricorda la necessità di arrivare all’unità, tanto della fede quanto della preghiera. Noi ci inchiniamo con umiltà e pentimento davanti al Dio vivente e davanti al nostro Signore Gesù Cristo, del quale portiamo il Nome santissimo e la cui tunica, tessuta tutta di un pezzo, noi abbiamo diviso. Con molta tristezza confessiamo che non possiamo ancora celebrare insieme i Santi Misteri e preghiamo che venga il giorno in cui questa unità sacramentale possa compiersi pienamente.

Nonostante tutto questo, Santità e voi amati Fratelli in Cristo, questa celebrazione del cielo e della terra, del tempo e dell’eternità, ci porta oggi più vicini gli uni agli altri, anche attraverso la benedetta presenza, insieme con tutti i santi, dei predecessori della nostra umile persona, San Gregorio il Teologo e San Giovanni Crisostomo. È per noi una benedizione poter venerare le sacre reliquie di questi due giganti spirituali, dopo la loro ricollocazione in questa venerabile Cattedrale, avvenuta due anni fa, quando ci furono gentilmente restituite dal Papa Giovanni Paolo II, di beata memoria. Come allora, proprio durante questa nostra festa patronale abbiamo ricevuto le sacre reliquie e le abbiamo collocate sulla Cattedra patriarcale, cantando “Ecco, o santi, il vostro trono!”, così anche oggi ci siamo riuniti alla loro viva presenza ed eterna memoria, celebrando la Liturgia che porta il nome di San Giovanni Crisostomo.

In questo modo, la nostra celebrazione coincide con la stessa gioiosa celebrazione nel cielo e lungo la storia. In effetti – come lo stesso San Giovanni Crisostomo afferma – “quanti sono in cielo e quanti sono sulla terra, compongono un unico rendimento di grazie, un sola esultanza, un'unica gioia” (PG 56, 97). Il cielo e la terra offrono una sola preghiera, una festa, una dossologia.

La Liturgia è allo stesso tempo il regno dei cieli e la nostra dimora, “un nuovo cielo e una nuova terra” (Apocalisse 21,1), il punto di convergenza dove tutte le cose trovano il loro vero significato. La Liturgia ci insegna ad ampliare il nostro orizzonte e la nostra visione, a parlare il linguaggio dell’amore e della comunione, ma anche ad imparare come convivere in amore gli uni con con gli altri, nonostante le nostre differenze e nonostante anche le nostre divisioni.

In questo grande abbraccio, è incluso il mondo intero, la comunione dei santi e tutta la creazione di Dio. L’intero universo diviene una “Liturgia cosmica” per citare l’insegnamento di san Massimo il Confessore. Una Liturgia tale non può mai diventare qualcosa di vecchio o antiquato. Di fronte a tanta ricchezza di beni celesti e alla misericordia di Dio, una sola può essere la nostra risposta: il rendimento di grazie (eucharistia). Dai nostri cuori sgorga uno speciale e caloroso ringraziamento, verso Dio misericordioso, perché oggi durante la festa dell’Apostolo fondatore e patrono di questa Chiesa e mentre si celebra la Divina Liturgia, è presente in mezzo a noi il Vescovo dell’Antica Roma, il santissimo Fratello Benedetto XVI, con il suo onorato seguito.

Salutiamo ancora una volta con riconoscenza questa Presenza, come una benedizione di Dio, come manifestazione di amore fraterno e di onore verso la nostra Chiesa, come segno della nostra comune volontà di continuare, senza tentennamenti, il nostro cammino, nello spirito di amore e fedeltà, verso la verità del vangelo e della comune tradizione dei santi Padri, per restaurare la piena comunione delle nostre Chiese: questo è volontà e comando di Cristo.
Amìn



                    



Alcune considerazioni che ritengo utili per un approfondimento perchè DATATE AL DICEMBRE DEL 2006 Ghigno:


1) Bartolomeo I ha preso a cuore, da anni, la "battaglia" dei cattolici che vorrebbero ripristinare l'antica Liturgia.....tanto è vero che nell'ultimo Sinodo Ortodosso (2005) c'è stato l'esplicito divieto a non rischiare di far NAUFRAGARE IL SENSO SACRO DELLA LITURGIA "COME E' AVVENUTO PER ALTRE CHIESE CRISTIANE".......inutile sottolineare che il riferimento virgolettato cade anche su di noi...come ci rammenta Ecclesia ed Eucharestia di Giovanni Paolo II.. Imbarazzato

2) in tal senso Bartolomeo I ha sempre apprezzato e seguito i discorsi di J.Ratzinger sullo sviluppo del Concilio in materia Liturgica.....lo ha riferito ad una recente intervista a Sofia in occasione dei preparativi per la visita del Santo Padre Benedetto XVI!

3) Il Patriarca sa benissimo che il Papa dovrebbe fare questo Motu Proprio (come vi ho detto, questi approfondimenti sono del dicembre 2006): come non prendere in esame serio l'omelia che ha fatto davanti al Papa tutta intessuta SUL VALORE DELLA LITURGIA NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA?
A mio parere in questa Omelia c'è esplicito l'invito a Benedetto XVI a riportare la Liturgia Cattolica AL SUO ANTICO SPLENDORE... Occhiolino.....(oggi che siamo agli inizi del 2009 possiamo dire che queste aspettative erano giuste)

4) Ho trovato assai importante che Bartolomeo I abbia usato il senso sacro della Liturgia PER RICONOSCERE, per la prima volta in forma così ufficiale....LE PROPRIE RESPONSABILITA' DELLA DIVISIONE.......dice il Patriarca: Così la Liturgia ci ricorda la necessità di arrivare all’unità, tanto della fede quanto della preghiera. Noi ci inchiniamo con umiltà e pentimento davanti al Dio vivente e davanti al nostro Signore Gesù Cristo, del quale portiamo il Nome santissimo e la cui tunica, tessuta tutta di un pezzo, noi abbiamo diviso.[SM=g1740722]


5) Nella Sacra Liturgia c'è IL SEGNO TANGIBILE DELL'UNITA', dice il Patriarca: questa celebrazione del cielo e della terra, del tempo e dell’eternità, ci porta oggi più vicini gli uni agli altri, anche attraverso la benedetta presenza, insieme con tutti i santi....


[SM=g8925]

qui intanto c'è il testo di Benedetto XVI dopo la Divina Liturgia[SM=g1740721]


[SM=g1740750] [SM=g7182]


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"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (Santa Caterina da Siena)
Caterina63
00lunedì 2 febbraio 2009 13:48

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
IN TURCHIA
(28 NOVEMBRE - 1° DICEMBRE 2006)


DIVINA LITURGIA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO
NELLA FESTA DI SANT'ANDREA APOSTOLO


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Chiesa Patriarcale di San Giorgio al Fanar, Istanbul
Giovedì, 30 novembre 2006


 

Questa Divina Liturgia celebrata nella festa di sant'Andrea Apostolo, santo Patrono della Chiesa di Costantinopoli, ci porta indietro alla Chiesa primitiva, all'epoca degli Apostoli. I Vangeli di Marco e di Matteo riferiscono su come Gesù chiamò i due fratelli, Simone, a cui Gesù attribuì il nome di Cefa o Pietro, e Andrea: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19; Mc 1,17). Il quarto Vangelo, inoltre, presenta Andrea come il primo chiamato, "ho protoklitos", come egli è conosciuto nella tradizione bizantina. È Andrea che porta da Gesù il proprio fratello Simone (cfr Gv 1, 40 ss).


Oggi, in questa Chiesa Patriarcale di san Giorgio, siamo in grado di sperimentare ancora una volta la comunione e la chiamata dei due fratelli, Simon Pietro e Andrea, nell'incontro fra il Successore di Pietro e il suo Fratello nel ministero episcopale, il capo di questa Chiesa, fondata secondo la tradizione dall'apostolo Andrea. Il nostro incontro fraterno sottolinea la relazione speciale che unisce le Chiese di Roma e di Costantinopoli quali Chiese Sorelle.


Con gioia cordiale ringraziamo Dio perché dà nuova vitalità alla relazione sviluppatasi sin dal memorabile incontro a Gerusalemme, nel
gennaio del 1964, fra i nostri predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Il loro scambio di lettere, pubblicato nel volume intitolato Tomos Agapis, testimonia la profondità dei legami che crebbero fra di loro, legami che si rispecchiano nella relazione fra le Chiese Sorelle di Roma e di Costantinopoli.


Il 7 dicembre del 1965, alla vigila della sessione finale del Concilio Vaticano II, i nostri venerati predecessori intrapresero un passo nuovo ed unico e indimenticabile rispettivamente nella Chiesa Patriarcale di san Giorgio e nella Basilica di san Pietro in Vaticano: essi rimossero dalla memoria della Chiesa le tragiche scomuniche del 1054. In tal modo essi confermarono un cambiamento decisivo nei nostri rapporti. Da allora, molti altri passi importanti sono stati intrapresi lungo il cammino del reciproco riavvicinamento. Ricordo in particolare la visita del mio predecessore,
Papa Giovanni Paolo II, a Costantinopoli nel 1979 e le visite a Roma del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I.


In quello stesso spirito, la mia presenza qui oggi è destinata a rinnovare il comune impegno per proseguire sulla strada verso il ristabilimento – con la grazia di Dio – della piena comunione fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. Posso assicurarvi che la Chiesa Cattolica è pronta a fare tutto il possibile per superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo.

I due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, erano dei pescatori che Gesù chiamò a diventare pescatori di uomini. Il Signore Risorto, prima della sua Ascensione, li inviò insieme agli altri Apostoli con la missione di fare discepole tutte le nazioni, battezzandole e proclamando i suoi insegnamenti (cfr Mt 28,19 ss; Lc 24,47; At 1,8).


Questo incarico lasciatoci dai santi fratelli Pietro e Andrea è lungi dall'essere compiuto. Al contrario, oggi esso è ancora più urgente e necessario. Esso infatti riguarda  non soltanto le culture toccate marginalmente dal messaggio del Vangelo, ma anche le culture europee da lunga data profondamente radicate nella tradizione cristiana. Il processo di secolarizzazione ha indebolita la tenuta di quella tradizione; essa anzi è posta in questione e persino rigettata. Di fronte a questa realtà, siamo chiamati, insieme con tutte le altre comunità cristiane, a rinnovare la consapevolezza dell'Europa circa le proprie radici, tradizioni e valori cristiani, ridando loro nuova vitalità.


I nostri sforzi per edificare legami più stretti fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse sono parte di questo compito missionario. Le divisioni esistenti fra i cristiani sono uno scandalo per il mondo ed un ostacolo per la proclamazione del Vangelo. Alla vigilia della propria passione e morte, il Signore, attorniato dai discepoli, pregò con fervore che essi fossero uno, così che il mondo possa credere (cfr Gv 17,21). È solo attraverso la comunione fraterna tra i cristiani e attraverso il reciproco amore che il messaggio dell'amore di Dio per ogni uomo e donna diverrà credibile. Chiunque getti uno sguardo realistico al mondo cristiano oggi scoprirà l'urgenza di tale testimonianza.


Simon Pietro e Andrea furono chiamati insieme a diventare pescatori di uomini. Ma lo stesso impegno prese forme differenti per ciascuno dei due fratelli. Simone, nonostante la sua personale fragilità, fu chiamato "Pietro", la "roccia" sulla quale sarebbe stata edificata la Chiesa; a lui in maniera particolare furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli (cfr Mt 16,18). Il suo itinerario lo avrebbe condotto da Gerusalemme ad Antiochia, e da Antiochia a Roma, così che in quella città egli potesse esercitare una responsabilità universale. Il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi Successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente.


Il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, parlò della misericordia che caratterizza il servizio all'unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo (Enciclica Ut unum sint, 91). Su questa base il Papa Giovanni Paolo fece l'invito ad entrare in dialogo fraterno, con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l'essenza, così da "realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (ibid., 95). È mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito.


Andrea, il fratello di Simon Pietro, ricevette un altro incarico dal Signore, un incarico che il suo stesso nome suggeriva. Essendo in grado di parlare greco, divenne – insieme a Filippo – l'Apostolo dell'incontro con i Greci venuti da Gesù (cfr Gv 12,20 ss). La tradizione ci racconta che fu missionario non soltanto nell'Asia Minore e nei territori a sud del Mar Nero, cioè in questa stessa regione, ma anche in Grecia, dove patì il martirio.


Pertanto, l'apostolo Andrea rappresenta l'incontro fra la cristianità primitiva e la cultura greca. Questo incontro, particolarmente nell'Asia Minore, divenne possibile grazie specialmente ai grandi Padri della Cappadocia, che arricchirono la liturgia, la teologia e la spiritualità sia delle Chiese Orientali sia di quelle Occidentali. Il messaggio cristiano, come il chicco di grano (cfr Gv 12,24), è caduto su questa terra e ha portato molto frutto. Dobbiamo essere profondamente grati per l'eredità che è derivata dal fruttuoso incontro fra il messaggio cristiano e la cultura ellenica. Ciò ha avuto un impatto duraturo sulle Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. I Padri Greci ci hanno lasciato un prezioso tesoro dal quale la Chiesa continua ad attingere ricchezze antiche e nuove (cfr Mt 13,52).


La lezione del chicco di grano che muore per portare frutto ha pure un riscontro nella vita di sant'Andrea. La tradizione ci racconta che egli seguì il destino del suo Signore e Maestro, finendo i propri giorni a Patrasso, in Grecia. Come Pietro, egli subì il martirio su una croce, quella diagonale che veneriamo oggi come la croce di sant'Andrea. Dal suo esempio apprendiamo che il cammino di ogni singolo cristiano, come quello della Chiesa tutta intera, porta a vita nuova, alla vita eterna, attraverso l'imitazione di Cristo e l'esperienza della croce.


Nel corso della storia, entrambe le Chiese di Roma e di Costantinopoli hanno spesso sperimentato la lezione del chicco di grano. Insieme noi veneriamo molti dei medesimi martiri il cui sangue, secondo le celebri parole di Tertulliano, è divenuto seme di nuovi cristiani (Apologeticum 50,13). Con loro, condividiamo la stessa speranza che obbliga la Chiesa a proseguire "il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio" (Lumen gentium 8; cfr s. Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 51,2). Per parte sua, anche il secolo appena trascorso ha visto coraggiosi testimoni della fede, sia in Oriente sia in Occidente. Anche oggi vi sono molti di tali testimoni in diverse parti del mondo. Li ricordiamo nella nostra preghiera e, in ogni modo possibile, offriamo loro il nostro sostegno, mentre chiediamo con insistenza a tutti i leader del mondo di rispettare la libertà religiosa come diritto umano fondamentale.


La Divina Liturgia alla quale abbiamo partecipato è stata celebrata secondo il rito di san Giovanni Crisostomo. La croce e la risurrezione di Gesù Cristo sono state rese misticamente presenti. Per noi cristiani questo è sorgente e segno di una speranza costantemente rinnovata. Troviamo tale speranza magnificamente espressa nell'antico testo conosciuto come Passione di sant'Andrea: "Ti saluto, o Croce, consacrata dal Corpo di Cristo e adorna delle sue membra come di pietre preziose... Che i fedeli conoscano la tua gioia, e i doni che in te sono conservati...".

Questa fede nella morte redentrice di Gesù sulla croce e questa speranza che Cristo risorto offre all'intera famiglia umana, sono da noi tutti condivise, Ortodossi e Cattolici.

Che la nostra preghiera ed attività quotidiane siano ispirate dal fervente desiderio non soltanto di essere presenti alla Divina Liturgia, ma di essere in grado di celebrarla insieme, per prendere parte all'unica mensa del Signore, condividendo il medesimo pane e lo stesso calice. Che il nostro incontro odierno serva come spinta e gioiosa anticipazione del dono della piena comunione. E che lo Spirito di Dio ci accompagni nel nostro cammino!

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