S.Giovanni M.Vianney (il Curato d'Ars) modello e guida per tutti i Sacerdoti e...il PATRONATO MANCATO, SCIPPATO

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00giovedì 16 aprile 2009 12:01
A colloquio con monsignor Guy Bagnard, vescovo di Belley-Ars

Giovanni Maria Vianney, la santità
che nasce nell'oblio del mondo


di Nicola Gori

Il santo curato d'Ars come modello per i sacerdoti d'oggi, "soprattutto affinché comprendano che anche nell'anonimato della più sperduta parrocchia del mondo sia possibile risplendere nella luce della santità". Nella giornata sacerdotale, ma soprattutto nella prospettiva dell'anno sacerdotale, monsignor Guy Bagnard, vescovo di Belley-Ars, ripropone così, in questa intervista a "L'Osservatore Romano", la testimonianza di Giovanni Maria Vianney, il santo parroco che Benedetto XVI proclamerà patrono dei sacerdoti nel corso dell'anno sacerdotale che si inaugurerà il prossimo 19 giugno.

È ancora valido il modello sacerdotale proposto da san Giovanni Maria Vianney?

Se il Papa, come ha annunciato, proclamerà il santo patrono di tutti i sacerdoti del mondo, ciò vuol dire che il modello di prete che egli incarna continua a essere un riferimento per il nostro tempo, quale portatore del mistero e della santità dei ministri.

Quali aspetti sono in particolare attuali?

Credo che innanzitutto con la sua vita, il santo evidenzi l'importanza della parrocchia e il ruolo fondamentale che ha sempre avuto nella Chiesa, quale luogo della comunità dove vivono i cristiani. È dove vivono i cristiani che si deve annunciare il Cristo. In altre parole, il fatto che la parrocchia sia dimora e luogo di evangelizzazione, dimostra che è nella vita quotidiana che si realizza l'evangelizzazione. Non si devono cercare troppo le cose straordinarie. Nella quotidianità della vita si compie l'annuncio del Vangelo. Nella parrocchia poi non ci si sceglie, non vi sono eccezioni. Tutti vengono accolti, il piccolo, il povero, il ricco, chi è sano, chi è malato. Questa è la ragione per la quale la parrocchia è veramente, come diceva Giovanni Paolo II, la fontana del villaggio, dove ognuno viene a dissetarsi e a nutrirsi. Il parroco è responsabile di questa comunità davanti alla Chiesa, ed è lì che esercita la pienezza del suo ministero.

San Giovanni venne inviato in una parrocchia piccolissima, di soli 250 abitanti, lontano dai centri di interesse e di potere. Potrebbe essere questo un esempio per i sacerdoti contro la ricerca della carriera e del successo?

Penso che in effetti l'esempio di san Giovanni Maria Vianney possa essere un richiamo per molti giovani ingannati oggi dalla notorietà, dal carrierismo, dal riconoscimento immediato. Essi, al contrario, possono essere attirati da una forma di vita povera, umile, modesta e piccola come quella del curato. La piccolezza segna tutta la vita di san Giovanni. È nella piccolezza che Dio genera la grandezza. Ciò è evidente nella vita stessa del santo, nel suo arrivo povero ad Ars, che non era nemmeno una parrocchia, ma era definita una cappellania, cioè una realtà annessa alla parrocchia, praticamente niente. Nessuno voleva andarci ad Ars che a quel tempo faceva parte della diocesi di Lione. Era considerata la Siberia della diocesi, il luogo più freddo. San Giovanni non si sentì poco considerato perché mandato là. Quando arrivò si rese conto delle poche case che vi erano e disse:  "Oh, come è piccolo". Era ben consapevole che si trattava di un villaggio molto piccolo. Ma fu proprio questa constatazione di piccolezza che lo portò a concludere che vi avrebbe fatto grandi cose con la grazia di Dio.

Il santo trascorreva la maggior parte del tempo nel confessionale. Ritiene ancora attuale questa impostazione ministeriale?

Oggi più che mai la ritengo importante, perché il sacramento della penitenza si celebra nel momento in cui il sacerdote dà il perdono. Mai un uomo è così considerato nella sua individualità, nella sua unicità, come nel momento in cui riceve il perdono di Dio. Non vi è niente di più personale e niente di più decisivo in una coscienza umana se non la lotta che si sviluppa tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. È per questo che non si può dare l'assoluzione collettiva. Occorre che il perdono sia dato a ogni persona individualmente.

Più che con la parola il curato predicava con l'esempio di vita. È un monito?

Certamente è un esempio. Oggi si nota spesso la tendenza a ricercare una valutazione personale. Si tratta sicuramente di un'ottica deviata. Purtroppo a volte riguarda anche i sacerdoti, nel senso che si preoccupano del giudizio degli altri al loro modo di predicare, o si preoccupano di essere accettati, o sono presi dal desiderio di essere riconosciuti quando sono in strada. Questi atteggiamenti demagogici possono indurre a cercare la propria soddisfazione piuttosto in quello che si dice. E questo può far sì che a volte non si dica la verità del Vangelo pur di conquistare l'uditorio, acquisire notorietà ed essere meglio riconosciuti da chi ascolta. È un fatto molto pericoloso, perché si rischia di evitare di parlare di alcuni aspetti fondamentali del Vangelo, solo per non disturbare la coscienza di chi ascolta e ciò per interessi personali.

La santità del curato è basata sul quotidiano, sulla semplicità del suo ministero. In quale messaggio si traduce per i giovani di oggi?

Credo che i giovani che vengono a contatto con quest'uomo straordinario possano imparare a vivere l'ordinario della vita come qualcosa di straordinario. Non vi è niente di banale nella nostra vita; tutto è grande; tutto è bello; tutto dipende dalla maniera in cui si vive con Cristo nella passione.

Quali progetti avete in cantiere per aiutare i sacerdoti e fedeli a vivere l'anno sacerdotale nella giusta dimensione?

Qualcosa già l'abbiamo fatta. Abbiamo inaugurato l'anno giubilare lo scorso primo novembre. Per Belley-Ars abbiamo preparato un percorso. Il primo momento sarà la riproposizione del passaggio chiamato della piccola porta della conversione. Era una piccola porta che il curato aveva aperta e dalla quale passavano tutti quelli che egli chiamava i grandi peccatori, rimasti lontani dalla Chiesa per lunghi anni, se volevano convertirsi di nuovo e far ritorno a Dio. Accanto a questa porta in fondo alla chiesa, perché non fossero riconosciuti dalla gente, aveva messo il confessionale. Questa porta di solito è chiusa e nascosta. È stata ora riaperta in questo anno giubilare e ogni pellegrino è chiamato a passare attraverso di essa, seguendo un richiamo:  "Convertitevi". È l'invito a venire nei luoghi del curato per celebrare il perdono e rimettersi in pace con Dio e con i fratelli. Il 4 agosto, si svolgerà la grande festa del santo, che sarà presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Verrà a nome del Papa. Alla fine del mese di settembre, primi giorni di ottobre, si svolgerà il ritiro internazionale a cui parteciperanno circa mille preti. Sarà predicato dal cardinale Christoph Schönborn. Sarà un momento molto importante. Inoltre da ogni parte del mondo continuano a pervenire richieste per ottenere la visita delle reliquie di san Giovanni Maria nella propria parrocchia e consentirne così la venerazione a tutti i fedeli. I resti mortali del santo sono stati posti in un cassa sistemata nella basilica. Solo il cuore è stato messo in un reliquiario ed esposto ai fedeli nella cappella chiamata cappella del cuore. È questo reliquiario che compie la peregrinatio per il mondo. Ne abbiamo fatte già diverse. La più importante negli Stati Uniti d'America, in particolare a Boston, dove ci sono state difficoltà con dei casi di preti accusati di pedofilia. C'erano tantissimi sacerdoti in preghiera attorno al reliquiario. Siamo poi andati in Colombia, Messico, Argentina. Si tratta di un evento importante. Usciamo dalle nostre chiese e andiamo in giro per il mondo a impetrare da Dio il dono di sacerdoti esemplari. Penso che sia anche questo uno dei motivi che hanno spinto il Papa a indire l'anno sacerdotale.



(©L'Osservatore Romano - 10 aprile 2009)

[SM=g1740734] [SM=g1740717]
Caterina63
00domenica 14 giugno 2009 11:56

B. GIOVANNI XXIII
SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA

NEL XI CENTENARIO DEL PIISSIMO TRANSITO
DEL SANTO CURATO D'ARS
LETTERA ENCICLICA
(1 Agosto 1959)



Giovanni XXIII Curato d'Ars

Ai Venerabili Fratelli
Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Introduzione

Significative coincidenze

Le purissime gioie che accompagnarono copiosamente le primizie del Nostro sacerdozio sono per sempre legate, nella Nostra memoria, alla emozione profonda che Noi provammo l'8 gennaio 1905 nella Basilica Vaticana, in occasione della gloriosa beatificazione di quell'umile prete di Francia che fu Giovanni Maria Battista Vianney. Noi pure elevati al sacerdozio da alcuni mesi appena, fummo colpiti dall'ammirabile figura sacerdotale che il Nostro predecessore san Pio X, l'antico parroco di Salzano, era tanto felice di proporre come modello a tutti i pastori di anime. E, a tanti anni di distanza, non possiamo richiamare questo ricordo senza ringraziare ancora come di un'insigne grazia il Nostro Divino Redentore, per lo slancio spirituale impresso in tal modo, fin dall'inizio, alla Nostra vita sacerdotale.

Ricordiamo ancora che, il giorno stesso di quella beatificazione, venimmo a conoscenza dell'elevazione all'episcopato di Mons. Giacomo Maria Radini-Tedeschi, il grande Vescovo che doveva, dopo alcuni giorni, chiamarCi al suo servizio e che fu per Noi maestro e padre carissimo. E fu in sua compagnia che, sugli inizi di quello stesso anno 1905, Ci recavamo per la prima volta in pellegrinaggio ad Ars, il modesto villaggio che il suo Santo Curato rese per sempre così celebre.

Per una nuova disposizione della Provvidenza, nell'anno in cui ricevevamo la pienezza del sacerdozio, il Papa Pio XI di gloriosa memoria, il 31 maggio 1925, procedeva alla solenne canonizzazione del " povero Curato d'Ars ". Nella sua omelia il Pontefice si compiaceva di descrivere " l'esile figura corporea di Giovanni Battista Vianney, la testa risplendente di una specie di bianca corona di lunghi capelli, il volto gracile e disfatto pei digiuni, dal quale talmente traspariva l'innocenza e la santità di un animo umilissimo e soavissimo che, al primo aspetto, le moltitudini venivano richiamate a pensieri salutari ". Poco dopo, lo stesso Pontefice, nell'anno del suo giubileo sacerdotale, completava il gesto già compiuto da San Pio X verso i parroci di Francia ed estendeva al mondo intero il celeste patrocinio di San Giovanni Maria Vianney " per promuovere il bene spirituale dei parroci in tutto il mondo ".

Questi atti dei Nostri Predecessori, legati a tanti cari ricordi personali, amiamo richiamare, Venerabili Fratelli, in questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars.
Il 4 agosto 1859, infatti, egli rese l'anima a Dio, consumato dalle fatiche di un eccezionale ministero pastorale di oltre quarant'anni e oggetto di unanime venerazione. E benediciamo la divina Provvidenza, che per due volte già volle rallegrare e illuminare le ore solenni della Nostra vita sacerdotale con lo splendore della santità del Curato d'Ars, perché ci offre nuovamente, fin dai primi tempi di questo supremo Pontificato, l'occasione di celebrare la memoria tanto gloriosa di questo pastore di anime. Non vi meraviglierete, d'altra parte, se, nell'indirizzarvi questa Lettera, il Nostro spirito e il Nostro cuore si rivolgono in modo speciale ai sacerdoti, Nostri figli carissimi, per esortarli tutti insistentemente - e soprattutto quelli che sono impegnati nel ministero pastorale - a meditare gli ammirabili esempi di un loro confratello nel sacerdozio, divenuto loro celeste patrono.

Insegnamenti di questo Centenario.

Sono certo numerosi i documenti pontifici che già richiamano ai sacerdoti le esigenze del loro stato e li guidano nell'esercizio del loro ministero. Per non ricordare se non i più importanti, raccomandiamo nuovamente l'Esortazione Haerent animo di San Pio X, che stimolò il fervore dei Nostri primi anni di sacerdozio, la magistrale enciclica Ad Catholici Sacerdotii fastigium di Pio XI e, tra tanti documenti e allocuzioni del Nostro immediato predecessore sul sacerdote, la sua esortazione Menti Nostrae, nonché l'ammirabile trilogia in onore del sacerdozio, che gli fu suggerita dalla canonizzazione di san Pio X. Tali testi, Venerabili Fratelli, vi sono noti. Ma ci permetterete di ricordare qui con l'animo commosso l'ultimo discorso che la morte impedì a Pio XII di pronunciare e che rimane come l'estremo e solenne appello di questo grande Pontefice alla santità sacerdotale: " Il carattere sacramentale dell'Ordine - vi è scritto - sigilla da parte di Dio un patto eterno del suo amore di predilezione, che esige dalla creatura prescelta il contraccambio della santificazione... il chierico sarà un prescelto tra il popolo, un privilegiato dei carismi divini, un depositario del potere divino, in una parola un alter Christus... Egli non si appartiene, come non appartiene a parenti, amici, neppure ad una determinata patria: la carità universale sarà il suo respiro. Gli stessi pensieri, volontà, sentimenti non sono suoi; ma di Cristo, sua vita ".

Verso queste vette della santità sacerdotale San Giovanni Maria Vianney tutti ci spinge, e noi siamo lieti di invitarvi i sacerdoti di oggi; perché se sappiamo le difficoltà che essi incontrano nella loro vita personale e negli oneri del ministero, se non ignoriamo le tentazioni e le stanchezze di alcuni, la nostra esperienza ci dice altresì la fedeltà coraggiosa della grande maggioranza e le ascensioni spirituali dei migliori. Agli uni come agli altri il Signore rivolse, nel giorno dell'Ordinazione, questa frase piena di tenerezza: " Iam non dicam vos servos, sed amicos! " (cf Gv 15,15). Possa questa Nostra Lettera Enciclica aiutarli tutti a perseverare e crescere in quest'amicizia divina, che costituisce la gioia e la forza di ogni vita sacerdotale.

Scopo dell'Enciclica

Non è nostra intenzione, Venerabili Fratelli, affrontare qui tutti gli aspetti della vita sacerdotale contemporanea; anzi, sull'esempio di San Pio X, " non diremo cose da voi mai udite o nuove per qualcuno, ma semplicemente cose che conviene a tutti ricordare ". Nel delineare, infatti, i tratti della santità del Curato d'Ars, saremo condotti a porre in rilievo alcuni aspetti della vita sacerdotale, che in tutti i tempi sono essenziali, ma acquistano tanta importanza ai nostri giorni che stimiamo un dovere del Nostro mandato apostolico insistervi in modo speciale in occasione di questo Centenario.

La Chiesa, che ha glorificato questo sacerdote " mirabile per lo zelo pastorale e per un desiderio ininterrotto di preghiera e penitenza ", oggi, a un secolo dopo la sua morte, ha la gioia di presentarlo ai sacerdoti di tutto il mondo come modello di ascesi sacerdotale, modello di pietà e soprattutto di pietà eucaristica, e modello di zelo pastorale.

                                                    Curato d'Ars 



Prima Parte

ASCESI SACERDOTALE


Parlare di San Giovanni Maria Vianney è richiamare la figura di un sacerdote straordinariamente mortificato, che, per amore di Dio e per la conversione dei peccatori, si privava di nutrimento e di sonno, s'imponeva rudi discipline e praticava soprattutto la rinunzia di se stesso in grado eroico. Se è vero che non è generalmente richiesto ai fedeli di seguire questa via eccezionale, tuttavia la Divina Provvidenza ha disposto che nella Chiesa non mancassero mai pastori di anime che, mossi dallo Spirito Santo, non esitano ad incamminarsi per questo sentiero, poiché sono tali uomini specialmente che operano miracoli di conversioni. A tutti l'ammirabile esempio di rinunzia del Curato d'Ars, " severo con sé e dolce con gli altri ", richiama in modo eloquente e pressante il posto primordiale dell'ascesi della vita sacerdotale.


Consigli evangelici e santità sacerdotale

Il Nostro Predecessore Pio XII, volendo chiarire maggiormente questa dottrina e dissipare alcuni equivoci, tenne a precisare essere falso affermare " che lo stato clericale - in quanto tale e in quanto procede dal diritto divino - per sua natura o almeno per un postulato della stessa natura, esiga che siano osservati dai suoi membri i consigli evangelici ". E il Papa conclude giustamente: " Il chierico dunque non è obbligato per diritto divino ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza ". Ma sarebbe sbagliare enormemente sul pensiero di questo Pontefice, tanto sollecito della santità dei sacerdoti, e sull'insegnamento costante della Chiesa, credere pertanto che il sacerdote secolare sia chiamato alla perfezione meno del religioso. Anzi è vero il contrario, perché per il compimento delle funzioni sacerdotali " si richiede una santità interiore maggiore di quella richiesta anche dallo stato religioso ". E se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana. Del resto, con grande Nostra consolazione, quanti sacerdoti generosi l'hanno oggi compreso giacché, pur rimanendo tra le file del clero secolare, domandano a pie associazioni approvate dalla Chiesa di essere guidati e sostenuti nelle vie della perfezione!

Persuasi che " la grandezza del sacerdote consiste nell'imitazione di Gesù Cristo ", i sacerdoti saranno dunque più che mai attenti agli appelli del divino Maestro: " Se qualcuno vuol seguirmi, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24). Il Santo Curato d'Ars, vien riferito, " aveva meditato spesso questa frase di Nostro Signore e cercava di metterla in pratica ". Dio gli fece la grazia di restarvi eroicamente fedele; e il suo esempio ci guida ancora nelle vie dell'ascesi, in cui brilla di grande splendore per la sua povertà, castità e ubbidienza.

San Giovanni M. Vianney, esempio mirabile di povertà evangelica

Anzitutto osservate la povertà dell'umile Curato d'Ars, degno emulo di San Francesco d'Assisi, di cui fu nel Terz'Ordine un fedele discepolo. Ricco per dare agli altri, ma povero per sé, visse in un totale distacco dai beni di questo mondo e il suo cuore veramente libero si apriva largamente a tutte le miserie materiali e spirituali che affluivano a lui. " Il mio segreto - egli diceva - è semplicissimo: Dare tutto e non conservare niente ". Il suo disinteresse lo rendeva premuroso verso i poveri, soprattutto quelli della parrocchia, ai quali dimostrava un'estrema delicatezza, trattandoli " con vera tenerezza, con molti riguardi, si deve dire con rispetto ". Raccomandava che non bisogna mai mancare di riguardo ai poveri, perché tale mancanza ricade su Dio; e quando i miseri bussavano alla porta, egli era felice di poter loro dire, accogliendoli con bontà: " Io sono povero come voi; sono oggi uno dei vostri! ". Alla fine della vita amava ripetere: " Sono contentissimo: non ho più niente e il buon Dio può chiamarmi quando vorrà ".

Applicazioni per i sacerdoti di oggi

Potrete da ciò comprendere, Venerabili Fratelli, che con affetto esortiamo i nostri cari figli del sacerdozio cattolico a meditare un tale esempio di povertà e di carità. " L'esperienza quotidiana attesta - scriveva Pio XI pensando appunto al Santo Curato d'Ars - che i sacerdoti di vita modesta i quali, secondo la dottrina evangelica, non cercano in nessuna maniera i propri interessi, apportano mirabili benefici al popolo cristiano ". E lo stesso Pontefice, considerando la società contemporanea, rivolgeva anche ai sacerdoti questo grave monito: " Mentre si vedono gli uomini vendere e negoziare tutto per il denaro, procedano essi disinteressatamente attraverso le attrattive dei vizi; e respingendo santamente l'indegna cupidigia del guadagno, non cerchino l'utile pecuniario, ma quello delle anime, bramino e chiedano la gloria di Dio e non la loro ".

Queste parole devono essere scolpite nel cuore di tutti i sacerdoti. Se ve ne sono che possiedono legittimamente beni personali, non vi si attacchino. Si ricordino piuttosto dell'obbligo enunciato dal Codice di Diritto Canonico, a proposito dei benefici ecclesiastici, " di destinare il superfluo ai poveri e alle cause pie ". E voglia Dio che nessuno meriti il rimprovero fatto dal Santo Curato alle sue pecorelle: " Quanti hanno denaro che tengono serrato, mentre tanti poveri muoiono di fame! ". Ma Noi sappiamo che molti sacerdoti oggi vivono effettivamente in condizioni di reale povertà. La glorificazione di uno di loro, che volontariamente visse tanto spogliato e si rallegrava al pensiero di essere il più povero della parrocchia, sarà per essi un provvidenziale incoraggiamento a rinnegare se stessi nella pratica di una povertà evangelica. E se la Nostra paterna sollecitudine può essere loro di qualche conforto, sappiano che noi vivamente godiamo del loro disinteresse nel servizio di Cristo e della Chiesa.

Certamente, nel raccomandare questa santa povertà, non intendiamo affatto, Venerabili Fratelli, approvare la miseria, nella quale sono talora ridotti i ministri del Signore nelle città o nelle campagne. Nel commento su l'esortazione del Signore al distacco dai beni di questo mondo, San Beda Venerabile ci mette precisamente in guardia da ogni interpretazione abusiva: " Non bisogna credere - scrive egli - che sia comandato ai santi di non conservare denaro ad uso proprio o dei poveri; perché si legge che il Signore stesso per formare la sua chiesa aveva una cassa...; ma piuttosto che non si serva Dio per questo né rinunzi alla giustizia per timore della povertà ". D'altronde l'operaio ha diritto alla sua mercede: e Noi, facendo nostre le sollecitudini del nostro immediato precedessore, domandiamo instantemente a tutti i fedeli di rispondere con generosità all'appello dei Vescovi, giustamente premurosi di assicurare ai loro collaboratori convenienti risorse.

La sua castità angelica

San Giovanni Maria Vianney, povero di beni, fu ugualmente mortificato nella carne. " Non vi è che una maniera di darsi a Dio nell'esercizio della rinunzia e del sacrificio - egli diceva - darsi cioè interamente ". E in tutta la sua vita praticò in grado eroico l'ascesi della castità.
Il suo esempio su questo punto sembra particolarmente opportuno, perché in molte regioni, purtroppo, i sacerdoti sono costretti a vivere, a motivo del loro ufficio, in un mondo in cui regna un'atmosfera di eccessiva libertà e sensualità. Ed è troppo vera per essi la espressione di San Tommaso: " E' alquanto difficile vivere bene nella cura delle anime a causa dei pericoli esteriori ". Spesso, inoltre, essi sono moralmente soli, poco compresi, poco sostenuti dai fedeli, cui si dedicano. A tutti, specialmente ai più isolati e ai più esposti, Noi rivolgiamo qui un caldissimo appello perché la loro vita intera sia una chiara testimonianza resa a questa virtù che San Pio X chiamava " ornamento insigne dell'Ordine nostro ". E vi raccomandiamo con viva insistenza, Venerabili Fratelli, di procurare ai vostri sacerdoti, nel miglior modo possibile, condizioni di vita e di lavoro tale da sostenere la loro generosità. Bisogna cioè ad ogni costo combattere i pericoli dell'isolamento, denunciare le imprudenze, allontanare le tentazioni dell'ozio o i rischi dell'esagerata attività. Ci si ricordi ugualmente a questo riguardo dei magnifici insegnamenti del Nostro Predecessore nell'enciclica Sacra virginitas.

" La castità brillava nel suo sguardo ", è stato detto del Curato d'Ars. Realmente chi si pone alla sua scuola è colpito non solo dall'eroismo con cui questo sacerdote ridusse in servitù il suo corpo (cf 1 Cor 9,27), ma anche dall'accento di convinzione con cui egli riusciva a trascinare dietro di sé la moltitudine dei suoi penitenti. Egli conosceva, attraverso una lunga pratica del confessionale, le tristi rovine dei peccati della carne: " Se non ci fossero alcune anime pure per ricompensare Dio, sospirava..., vedreste come saremmo puniti! ". E parlando per esperienza, aggiungeva al suo appello un incoraggiamento fraterno: " La mortificazione ha un balsamo e dei sapori di cui non si può fare a meno quando li si abbia una volta conosciuti... In questa via quello che costa è solo il primo passo! ".

Questa ascesi necessaria della castità, lungi dal chiudere il sacerdote in uno sterile egoismo, rende il suo cuore più aperto e più pronto a tutte le necessità dei suoi fratelli: " Quando il cuore è puro - diceva ottimamente il Curato d'Ars - non può fare a meno di amare, poiché ha ritrovato la sorgente dell'amore che è Dio ". Quale beneficio per la società ave-e nel suo seno uomini che, liberi dalle preoccupazioni temporali, si consacrano completamente al servizio divino e dedicano ai propri fratelli la loro vita, i loro pensieri e le loro energie! Quale grazia sono per la Chiesa i sacerdoti fedeli a questa eccelsa virtù! Con Pio XI Noi la consideriamo come la gloria più pura del sacerdozio cattolico, e " per quanto riguarda le anime sacerdotali, Ci sembra rispondere nella maniera più degna e conveniente ai disegni e desideri del Sacratissimo Cuore di Gesù ". Pensava a questo disegno dell'amore divino il Santo Curato d'Ars, quando esclamava: " Il sacerdozio, ecco l'amore del Cuore di Gesù! ".

Il suo spirito di obbedienza

Sullo spirito di obbedienza del Santo le testimonianze sono innumerevoli, giacché si può veramente affermare che per lui l'esatta fedeltà al promitto dell'Ordinazione fu l'occasione di una rinuncia continua durata quarant'anni. Per tutta la sua vita, infatti, egli aspirò alla solitudine di un santo ritiro e le responsabilità pastorali furono per lui un fardello troppo pesante, di cui tentò anche più volte di liberarsi. Ma la sua obbedienza totale al Vescovo fu ancora più ammirabile. Ascoltiamo, Venerabili Fratelli, alcuni testimoni della sua vita: " Dall'età di quindici anni - dice uno di essi - questo desiderio (della solitudine) era nel suo cuore per tormentarlo e sottrargli le gioie che avrebbe potuto gustare nella sua posizione "; ma " Dio non permise - attesta un altro - che egli potesse realizzare il suo disegno. La divina Provvidenza voleva senza dubbio che, sacrificando il proprio gusto all'obbedienza, il piacere al dovere, già M. Vianney avesse continua occasione di vincersi "; " M. Vianney - conclude un terzo - restò Curato d'Ars con un'obbedienza cieca, e vi è rimasto fino alla morte ".

Questa totale adesione alla volontà dei suoi Superiori era, conviene precisarlo, interamente soprannaturale nel motivo; era un atto di fede nella parola di Cristo che dice ai suoi Apostoli: " Chi ascolta voi, ascolta me " (Lc 10,16) e, per restarvi fedele, si esercitava a rinunziare abitualmente alla sua volontà nell'accettare il pesante ministero del confessionale e in tutti gli altri compiti quotidiani, in cui la collaborazione tra confratelli rende l'apostolato più fruttuoso.
Ci piace proporre come esempio ai sacerdoti questa rigida obbedienza, nella fiducia che essi ne comprenderanno tutta la grandezza e ne acquisteranno il gusto spirituale. E, se mai fos- sero tentati di dubitare dell'importanza di questa virtù capitale, tanto facilmente misconosciuta oggi, sappiano di aver contro le chiare e decise affermazioni di Pio XII, il quale attestava che " la santità della vita di ciascuno e l'efficacia dell'apostolato si basano e poggiano, come su solido fondamento, sul rispetto costante e fedele per la sacra gerarchia". Del resto voi ricordate, Venerabili Fratelli, con che forza i nostri ultimi predecessori hanno denunziato i gravi pericoli dello spirito di indipendenza in seno al clero, tanto per l'insegnamento dottrinale, quanto per i metodi di apostolato e per la disciplina ecclesiastica.

Noi non vogliamo insistere oltre su questo punto, ma preferiamo esortare i Nostri figli sacerdoti a sviluppare in sé il senso filiale della loro appartenenza alla Chiesa, nostra Madre. Si diceva del Curato d'Ars che non viveva che nella Chiesa e per la Chiesa, come un fuscello di paglia posto in un braciere ardente. Sacerdoti di Gesù Cristo, siamo immersi nel braciere che il fuoco dello Spirito Santo vivifica; abbiamo ricevuto tutto dalla Chiesa; operiamo in suo nome e in virtù dei poteri da essa conferitici: amiamo servirla nei vincoli dell'unità e nella maniera in cui vuole essere servita.


                                                  Anno Sacerdotale

Seconda Parte

PREGHIERA E CULTO EUCARISTICO



Uomo di penitenza, San Giovanni Maria Vianney aveva ugualmente compreso che " il sacerdote prima di tutto dev'essere uomo di preghiera ". Ognuno conosce le lunghe notti di adorazione che, giovane curato di un villaggio allora poco cristiano, egli trascorreva davanti al Santissimo Sacramento. Il tabernacolo della sua chiesa divenne presto il focolare della sua vita personale e del suo apostolato, al punto che non si saprebbe richiamare meglio la parrocchia di Ars al tempo del Santo, che con queste espressioni di Pio XII sulla parrocchia cristiana: " Il centro è la chiesa, e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità ".

La preghiera negli esempi e negli insegnamenti del Santo Curato d'Ars

Ai sacerdoti di questo secolo, facilmente sensibili all'efficacia dell'azione e facilmente tentati pure da un attivismo pericoloso, quanto è salutare questo modello di preghiera assidua in una vita interamente consacrata alle necessità delle anime! Quel che impedisce a noi sacerdoti di essere santi - egli diceva - è la mancanza di riflessione; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è necessaria la riflessione, la preghiera, l'unione con Dio. Egli stesso restava, secondo la testimonianza dei contemporanei, in uno stato di continua preghiera, da cui non lo distraeva né la fatica spossante delle confessioni né gli altri compiti di pastore. " Conservava una unione costante con Dio in mezzo alla sua vita eccessivamente occupata ".
Ascoltiamo ancora lui stesso. Egli è inesauribile quando parla delle gioie e dei benefici della preghiera. " L'uomo è un povero che ha bisogno di domandare tutto a Dio ". " Quante anime possiamo noi convertire con le nostre preghiere! ". E ripeteva: " La preghiera, ecco la felicità dell'uomo sulla terra ". Questa felicità veniva copiosamente gustata da lui stesso, mentre il suo sguardo illuminato dalla fede contemplava i misteri divini e, con l'adorazione del Verbo incarnato, elevava la sua anima semplice e pura verso la Santissima Trinità, oggetto supremo del suo amore. E i pellegrini che si affollavano nella chiesa di Ars comprendevano che l'umile sacerdote manifestava loro qualche cosa del segreto della sua vita interiore con quell'esclamazione frequente che gli era cara: " Essere amati da Dio, essere uniti a Dio, vivere alla presenza di Dio, vivere per Dio: oh! che bella vita e che bella morte! ".

Il sacerdote è in primo luogo uomo di preghiera

Noi vorremmo, Venerabili Fratelli, che tutti i sacerdoti delle vostre diocesi si lasciassero convincere dalla testimonianza del Santo Curato d'Ars, della necessità di essere uomini di preghiera e della possibilità di esserlo, qualunque sia l'aggravio talora estremo delle occupazioni del loro ministero. Ma è necessaria una fede viva, come quella che animava Giovanni Maria Vianney e gli faceva compiere meraviglie. " Che fede! - esclamava uno dei suoi confratelli -. Vi sarebbe di che arricchire tutta una diocesi! ".

Questa fedeltà alla preghiera è del resto per il sacerdote un dovere di pietà personale, di cui la saggezza della Chiesa ha precisato parecchi punti importanti, come l'orazione mentale quotidiana, la visita al Santissimo Sacramento, il Rosario e l'esame di coscienza. Ed è anche uno stretto obbligo contratto di fronte alla Chiesa, quando si tratta della recita giornaliera dell'Ufficio Divino. Forse per aver trascurato talune di queste prescrizioni alcuni membri del clero si sono visti a poco a poco vittime della instabililtà esteriore, dell'impoverimento interiore ed esposti un giorno senza difesa alle tentazioni della vita. Al contrario, " lavorando incessantemente per il bene delle anime, Maria Vianney non trascurava la sua. Santificava se stesso per essere capace di santificare gli altri ".

Con San Pio X " riteniamo dunque per certo che il sacerdote, per essere degnamente all'altezza del suo grado e ufficio, deve essere dedito in modo esimio all'esercizio della preghiera... Più intensamente degli altri deve il sacerdote obbedire al precetto di Cristo: Bisogna pregare sempre; sul cui esempio San Paolo tanto raccomandava: " Insistete nella preghiera, vegliando in essa in rendimento di grazie; pregate senza interruzione " ". E volentieri, a conclusione di questo punto, riprendiamo Noi stessi la parola d'ordine che il Nostro immediato Predecessore Pio XII dava ai sacerdoti, fin dall'inizio del suo Pontificato: " Pregate, pregate sempre di più e con maggiore insistenza ".

La pietà eucaristica del Santo Curato

La preghiera del Curato d'Ars, che trascorse per così dire gli ultimi trent'anni della sua vita in chiesa, dove lo trattenevano i suoi innumerevoli penitenti, era soprattutto una preghiera eucaristica. La sua devozione a Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento dell'altare era veramente straordinaria: " E' là - diceva - Colui che ci ama tanto; perché non lo dovremmo amare noi? ". E certamente egli l'amava e si sentiva irresistibilmente attratto verso il tabernacolo: " Non c'è bisogno di parlar molto per ben pregare - spiegava egli ai suoi parrocchiani -. Si sa che il buon Dio è là, nel santo tabernacolo; gli si apre il cuore, ci si rallegra della sua presenza. E' questa la migliore preghiera ". In ogni circostanza egli inculcava ai fedeli il rispetto e l'amore della divina presenza eucaristica, invitandoli ad accostarsi frequentemente alla mensa eucaristica e lui stesso dava l'esempio di questa profonda pietà: " Per convincersene - riferirono i testimoni - bastava vederlo celebrare la Santa Messa e fare la genuflessione quando passava davanti al tabernacolo ".

L'importanza dell'Eucaristia nella vita del sacerdote

" L'esempio ammirabile del Santo Curato d'Ars conserva anche oggi tutto il suo valore ", attesta Pio XII. Niente potrebbe sostituire nella vita di un sacerdote la preghiera silenziosa e prolungata davanti all'altare. L'adorazione di Gesù, nostro Dio, il ringraziamento, la riparazione per le nostre colpe e per quelle degli uomini, la supplica per tante intenzioni che gli sono raccomandate, si avvicendano nell'elevare questo sacerdote a un maggiore amore per il divino Maestro, al quale ha promesso fedeltà, e per gli uomini che attendono il suo ministero sacerdotale. Con la pratica di un tale culto, illuminato e fervente, verso l'Eucaristia, si accresce la vita spirituale del sacerdote e si preparano le energie missionarie degli apostoli più valorosi.
E bisogna aggiungere il beneficio che ne deriva per i fedeli, testimoni di questa pietà dei loro sacerdoti e attirati dal loro esempio. " Se volete che i fedeli preghino volentieri e con pietà - diceva Pio XII al clero di Roma - precedeteli in chiesa con l'esempio, facendo orazione al loro cospetto. Un sacerdote genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento, è un modello di edificazione, un ammonimento e un invito all'emulazione orante per il popolo ". Questa fu l'arma apostolica per eccellenza del giovane Curato d'Ars, non dubitiamo del suo valore in qualsiasi circostanza.

Il Sacerdozio e il Sacrificio della Santa Messa

Non possiamo dimenticare tuttavia che la preghiera eucaristica nel significato pieno della parola è il Santo Sacrificio della Messa. Conviene insistere, Venerabili Fratelli, specialmente su questo punto, poiché tocca uno degli aspetti essenziali della vita sacerdotale.
Non abbiamo certo intenzione di rifare qui l'esposto della dottrina tradizionale della Chiesa circa il sacerdozio e il sacrificio eucaristico; i Nostri Predecessori di fel. mem. Pio XI e Pio XII, in documenti magistrali, hanno richiamato con tanta chiarezza questo insegnamento che non Ci resta se non esortarvi a farlo largamente conoscere dai sacerdoti e fedeli che vi sono affidati. Così verranno dissipate delle incertezze o audacie di pensiero che qua e là si sono manifestate a questo riguardo.

Giova però in questa Enciclica mostrare in quale senso profondo il Santo Curato d'Ars, fedele eroicamente ai doveri del suo ministero, meritò veramente di essere proposto come esemplare ai pastori di anime e proclamato celeste loro Patrono. Se, infatti, è vero che il sacerdote ha ricevuto il carattere dell'Ordine per il servizio dell'altare, e ha cominciato l'esercizio del suo sacerdozio col sacrificio eucaristico, questo non cesserà, per tutto il corso della sua vita, di essere alla base della sua attività apostolica e della sua santificazione personale. E tale fu appunto il caso di San Giovanni Maria Vianney.

Qual è infatti l'apostolato del sacerdote, considerato nella sua azione essenziale, se non di attuare, ovunque vive la Chiesa, la raccolta intorno all'altare di un popolo unito nella fede, rigenerato e purificato? Proprio allora il sacerdote, per quei poteri che egli solo ha ricevuto, offre il divino sacrificio nel quale Gesù stesso rinnova l'immolazione unica compiuta sul Calvario per la redenzione del mondo e la glorificazione del suo Padre. E' allora che i cristiani riuniti offrono al Padre Celeste la Vittima divina per mezzo del sacerdote e imparano ad immolare se stessi come " ostie vive, sante, gradite a Dio " (Rm 12,1). E' là che il popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della fede, nutrito del corpo di Cristo, trova la sua vita, la sua crescita e, se ve ne è bisogno, rinsalda la sua unità. E' là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

A questo proposito, poiché il Santo Curato d'Ars fu di giorno in giorno sempre più esclusivamente impegnato nell'insegnamento della fede e nella purificazione delle coscienze, mentre tutti i suoi atti di ministero convergevano verso l'altare, tale sua vita deve giustamente dirsi eminentemente sacerdotale e pastorale. E' vero che ad Ars i peccatori affluivano spontaneamente alla Chiesa, attirati dalla fama di santità del pastore, mentre tanti altri sacerdoti devono impiegare sforzi lunghi e laboriosi per raccogliere il loro gregge; è certo pure che altri hanno un compito più missionario, e si trovano appena al primo annunzio della buona Novella del Salvatore; questi lavori apostolici, tuttavia, tanto necessari e talora così difficili non possono far dimenticare agli apostoli il fine a cui devono mirare e a cui giungeva il Curato d'Ars, quando nella sua umile chiesa di campagna, si consacrava ai compiti essenziali dell'azione pastorale.

CONTINUA.....................

Caterina63
00domenica 14 giugno 2009 12:04

La Santa Messa,  sorgente prima di santificazione personale del sacerdote


C'è di più. Tutta la santificazione personale del sacerdote deve modellarsi sul sacrificio che celebra, conforme all'invito del Pontificale Romano: " Conoscete quel che fate; imitate quel che maneggiate ". Ma lasciamo qui la parola al nostro immediato Predecessore nella sua Esortazione Menti nostrae: " Come tutta la vita del nostro Salvatore fu in funzione del suo sacrificio, così pure la vita del sacerdote, che deve riprodurre in sé l'immagine di Cristo, bisogna che diventi con lui, in lui, per lui un grato sacrificio... Perciò bisogna che non solo celebri il sacrificio eucaristico, ma, in una certa profonda maniera, lo viva; in questo modo può attingere quella forza soprannaturale, da cui sarà intimamente trasformato e parteciperà alla vita espiatoria dello stesso Divin Redentore ". E il medesimo Pontefice concludeva: " E' quindi necessario che l'anima sacerdotale si sforzi di riprodurre in sé quello che si compie sull'altare del sacrificio: come infatti Gesù Cristo immola se stesso, così il suo ministro deve insieme con lui immolare se stesso; come Gesù espia i peccati degli uomini, così il sacerdote deve pervenire alla propria ed altrui purificazione attraverso l'arduo cammino dell'ascesi cristiana ".
La Chiesa ha presente quest'alta dottrina quando invita i suoi ministri a una vita d'ascesi e loro raccomanda di celebrare con profonda pietà il sacrificio eucaristico. Non è forse per non aver compreso abbastanza bene lo stretto legame, e quasi reciprocità, che unisce il dono quotidiano di se stesso all'offerta della Messa, che certi sacerdoti sono giunti poco alla volta a perdere la " prima caritas " della loro Ordinazione? Tale era l'esperienza fatta dal Curato d'Ars: " La causa - egli diceva - del rilassamento del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa ". E il santo che aveva appunto l'eroica " abitudine di offrirsi in sacrificio per i peccatori ", versava lacrime abbondanti " pensando alla disgrazia dei sacerdoti che non corrispondono alla santità della loro vocazione ".

Con affetto paterno, Noi chiediamo ai Nostri diletti sacerdoti di esaminarsi periodicamente sulla maniera con cui celebrano i santi misteri, e sulle disposizioni spirituali con cui salgono all'altare e sui frutti che si sforzano di ricavarne. Il Centenario di questo ammirabile sacerdote che attingeva dalla " consolazione e fortuna di celebrare la Santa Messa " il coraggio del suo proprio sacrificio, ve l'invita; Noi nutriamo ferma fiducia che la sua intercessione otterrà loro abbondanti grazie di luce e di forza.



Anno Sacerdotale

Terza Parte


ZELO PASTORALE

Il Santo Curato d'Ars modello di zelo apostolico

La vita di ascesi e di preghiera di cui, Venerabili Fratelli, vi abbiamo detto il fervore, manifesta inoltre il segreto dello zelo pastorale di San Giovanni Maria Vianney e la sorprendente efficacia soprannaturale del suo ministero. " Si ricordi il sacerdote - scriveva il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII - che tanto più fruttuoso sarà il gravissimo compito a lui affidato quanto più egli opererà congiunto con Cristo e guidato dal suo spirito ". La vita del Curato d'Ars conferma una volta ancora questa grande legge di ogni apostolato, basato sulla parola stessa di Gesù: " Senza di me non potete fare nulla " (Gv 25,15).
Non si tratta evidentemente qui di ricordare tutta l'ammirabile storia di questo umile curato di campagna, il cui confessionale fu per trent'anni assediato da folle così innumerevoli che certi spiriti forti dell'epoca osarono rimproverargli di " turbare il diciannovesimo secolo "; né crediamo qui opportuno trattare dei suoi metodi di apostolato che non sempre sono applicabili all'apostolato contemporaneo. A Noi basta richiamare alla mente su questo punto che il santo Curato fu al suo tempo un modello di zelo pastorale in quel villaggio di Francia, dove la fede e i costumi risentivano ancora il turbamento della Rivoluzione. " Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete ", gli si era detto nel mandarvelo. Apostolo infaticabile, pieno di iniziative per guadagnare la gioventù e santificare i focolari, attento alle necessità umane delle sue pecorelle, vicino alla loro vita, sollecito a prodigarsi senza misura per l'istituzione delle scuole cristiane e in favore delle missioni popolari, egli fu davvero per il suo piccolo gregge il buon pastore che conosce le sue pecorelle, le salvaguarda dai pericoli e le guida con autorità e saggezza. Non faceva forse, senza pensarvi, un elogio di se stesso con questa esclamazione in uno dei suoi discorsi: " Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio: ecco il più grande tesoro che il buon Dio possa concedere ad una parrocchia "?
L'esempio del Curato d'Ars conserva un valore permanente ed universale su tre punti essenziali, che qui Ci piace, Venerabili Fratelli, proporre alla vostra attenzione.

Alto senso delle proprie responsabilità pastorali

Ciò che colpisce, anzitutto, è il senso profondo che egli aveva delle sue responsabilità pastorali. La sua umiltà e la conoscenza soprannaturale che aveva del prezzo delle anime, gli fecero portare con paura l'ufficio di parroco. " Amico mio - confidava un giorno ad un confratello - voi non sapete ciò che voglia dire per un parroco presentarsi al tribunale di Dio! ". Ed è ben conosciuto il desiderio che lo tormentò a lungo di fuggire in qualche luogo solitario per " piangervi la sua povera vita ", e come l'obbedienza e lo zelo delle anime lo ricondussero ogni volta al suo posto.

Ma se in certi momenti fu così abbattuto dal suo ufficio divenuto eccezionalmente opprimente, fu precisamente perché aveva un'idea eroica del suo dovere e delle responsabilità di pastore. " Mio Dio - pregava nei suoi primi anni - accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita! ". Ottenne dal cielo quella conversione. Ma più tardi confessava: " Se avessi previsto, quando venni ad Ars, le sofferenze che mi aspettavano, sul colpo sarei morto di apprensione ". Sull'esempio degli apostoli di tutti i tempi, egli vedeva nella croce il grande mezzo soprannaturale per cooperare alla salvezza, delle anime che gli erano affidate. Senza lamentarsi soffriva per esse le calunnie, le incomprensioni, le contraddizioni; per esse accettò il vero martirio fisico e morale d'una presenza quasi ininterrotta al confessionale, ogni giorno, per trent'anni; per esse lottò come atleta del Signore contro le potenze infernali; per esse mortificò il suo corpo. Ed è ben nota la risposta data a un confratello che si lamentava per la poca efficacia del suo ministero: " Voi avete pregato, avete pianto, gemuto e sospirato. Ma avete voi digiunato, avete vegliato, vi siete coricato per terra, vi siete data la disciplina? Finché non sarete giunto a questo, non crediate d'aver fatto tutto ".

Noi Ci rivolgiamo a tutti i sacerdoti in cura d'anime e li scongiuriamo di ascoltare queste veementi parole! Ognuno, secondo la prudenza soprannaturale che deve sempre regolare le nostre azioni, valuti la propria condotta nei riguardi del popolo affidato alle sue sollecitudini pastorali. Senza mai dubitare della divina misericordia che viene in aiuto della nostra debolezza, consideri alla luce degli esempi di San Giovanni Maria Vianney le proprie responsabilità. " La grande sventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l'anima si intorpidisce "; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato in cui vivono tante delle sue pecorelle. O ancora, per meglio mettersi alla scuola del Curato d'Ars, che era convinto che per fare del bene agli uomini bisogna amarli, interroghi ciascuno se stesso intorno alla carità da cui è animato nei riguardi di coloro per cui deve rispondere davanti a Dio e per cui Cristo è morto!

E' pur vero che la libertà degli uomini o certi avvenimenti indipendenti dalla loro volontà possono talora opporsi agli sforzi dei più grandi santi. Il sacerdote però ha il dovere di ricordare che, secondo i disegni insondabili della divina Provvidenza, la sorte di molte anime è legata al suo zelo pastorale e all'esempio della sua vita. E tal pensiero non è forse di tal natura da provocare una salutare inquietudine nei tiepidi e stimolare i più ferventi?

Predicatore e catechista infaticabile

" Sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime ", San Giovanni Maria Vianney eccelse come vero pastore nel procurare loro abbondantemente l'alimento primordiale della verità religiosa. Per tutta la vita fu predicatore e catechista.
E' ben nota la fatica improba e perseverante che si impose per soddisfare pienamente a questo dovere d'ufficio, " primum et maximum officium " secondo il Concilio di Trento. Gli studi suoi, compiuti in ritardo, furono laboriosi; e le sue prediche gli costarono da principio molte veglie. Ma quale esempio per i ministri della parola di Dio! Alcuni si appoggerebbero volentieri sulla scarsa istruzione di lui, per scusare il proprio difetto di zelo negli studi. Sarebbe meglio imitare il suo coraggio per rendersi degno d'un sì grande ministero, secondo la misura dei doni che gli erano stati conferiti: d'altronde questi stessi non erano così modesti come qualche volta si ama ripetere, poiché " egli aveva una intelligenza molto limpida e chiara ". Ad ogni modo, ciascun sacerdote ha il dovere di acquistare e coltivare le cognizioni generali e la scienza teologica proporzionata alle sue capacità e alle sue funzioni. E piacesse al Signore che i pastori di anime facciano sempre quanto fece il Curato d'Ars per sviluppare le capacità della sua intelligenza e memoria, e soprattutto per attingere ai lumi del libro più ricco di scienza che si possa leggere, la croce del Cristo! Il suo Vescovo diceva di lui a certi suoi detrattori: " Non so se sia dotto, ma egli è illuminato ".

Ben a ragione quindi il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII non esitava affatto ad assegnare come modello ai predicatori della Città Eterna l'umile prete di campagna. " Il Santo Curato d'Ars non aveva certo il genio naturale d'un Segneri o di un Bossuet, ma la convinzione viva, chiara, profonda, da cui era animato, vibrava nella sua parola, brillava nei suoi occhi, suggeriva alla sua fantasia e alla sua sensibilità idee, immagini, paragoni giusti, appropriati, deliziosi, che avrebbero rapito un San Francesco di Sales. Tali predicatori conquistano veramente il loro uditorio. Chi è pieno di Cristo, non troverà difficile di guadagnare altri a Cristo ". Queste parole descrivono a meraviglia il Curato d'Ars, catechista e predicatore. E quando alla fine della sua vita, la sua voce affievolita non arrivava più a farsi intendere da tutto l'uditorio, era ancora col suo sguardo di fuoco, con le sue lacrime, coi suoi gridi di amor di Dio o le sue espressioni di dolore al solo pensiero del peccato, che convertiva i fedeli accorsi ai piedi del suo pulpito. Come non essere colpiti dalla testimonianza d'una vita così totalmente consacrata all'amore di Cristo?

Fino alla sua santa morte San Giovanni Maria Vianney fu in tal modo fedele nell'istruire il suo popolo e i pellegrini che riempivano la sua chiesa, denunziando " opportune, importune " (2 Tm 4,2) il male sotto tutte le sue forme, ed innalzando soprattutto le anime verso Dio, perché " preferiva mostrare l'aspetto attraente della virtù piuttosto che la bruttezza del vizio ". Questo umile sacerdote aveva in realtà compreso in grado non comune la dignità e la grandezza del ministero della parola di Dio: " Nostro Signore che è la Verità stessa - diceva egli - non ha minor cura della sua parola che del suo Corpo ".

Si comprende perciò la gioia dei Nostri Predecessori nell'offrire questo pastore di anime a modello dei sacerdoti, perché è di somma importanza che il clero ovunque ed in ogni tempo sia fedele al suo dovere di insegnare. " Qui giova - diceva a tal proposito San Pio X - a questo solo tendere e su questo solo insistere, che cioè ogni sacerdote non è tenuto da nessun altro ufficio più grave, né è obbligato da nessun altro vincolo più stretto ". Questo vibrante appello, costantemente rinnovato dai Nostri Predecessori, e di cui si fa eco il Diritto Canonico, ve lo rivolgiamo anche Noi a Nostra volta, Venerabili Fratelli, in questo anno Centenario del santo catechista e predicatore di Ars. Noi incoraggiamo i tentativi fatti con prudenza e sotto il vostro controllo in diversi paesi per migliorare le condizioni dell'insegnamento religioso per i giovani e per gli adulti, nelle differenti sue forme e tenendo conto dei vari ambienti. Ma per quanto utili siano tali lavori, Dio ci richiama alla mente in questo Centenario del Curato d'Ars l'irresistibile potenza apostolica d'un sacerdote, che, sia nella propria vita come nelle sue parole, rende testimonianza a Cristo crocifisso " non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis " (1 Cor 2,4)

Strenuo apostolo del confessionale

Ci rimane infine da rievocare nella vita di San Giovanni Maria Vianney quella forma di ministero pastorale, che fu per lui come un lungo martirio e dal cui svolgimento l'amministrazione del Sacramento della Penitenza rifulse di particolare splendore e produsse frutti in sommo grado copiosi e salutari. " Egli trascorreva in media quindici ore al giorno al confessionale. Questo lavoro quotidiano cominciava all'una o alle due del mattino e non finiva che di notte ". E quando cadde, di sfinimento, cinque giorni prima della morte, gli ultimi penitenti si strinsero al capezzale del moribondo. Si calcola che verso la fine della vita il numero annuo di pellegrini avesse raggiunta la cifra di 80.000.

Si stenta ad immaginare i disagi, gli incomodi, le sofferenze fisiche di queste interminabili sedute al confessionale, per un uomo già esausto dai digiuni, macerazioni, infermità, mancanza di riposo e di sonno. Ma soprattutto egli fu moralmente come oppresso dal dolore. Ascoltate questo suo lamento: " Si offende tanto il buon Dio, che si sarebbe tentati di invocare la fine del mondo!... Bisogna venire ad Ars per sapere che cos'è il peccato... Non si sa cosa fare; non si può far altro che piangere e pregare ". Il Santo si dimenticava di aggiungere che egli prendeva anche su di sé una parte dell'espiazione: " Quanto a me - confidava a chi gli chiedeva consiglio - assegno loro una piccola penitenza ed il resto lo faccio io al loro posto ".

E veramente il Curato d'Ars non viveva che per i " poveri peccatori ", come egli diceva, nella speranza di vederli convertirsi e piangere. La loro conversione era lo scopo a cui convergevano tutti i suoi pensieri e l'opera per cui spendeva tutto il suo tempo e tutte le sue forze. E ciò per il fatto che egli conosceva per l'esperienza del confessionale tutta la malizia del peccato e le sue rovine spaventose nel mondo delle anime. Egli ne parlò in termini terribili: " Se avessimo la fede e se vedessimo un'anima in stato di peccato mortale, noi moriremmo di spavento! ".

Ma l'acerbità della sua pena e la veemenza della sua parola provengono meno dal timore delle pene eterne che minacciano il peccatore indurito, che dall'emozione provata al pensiero dell'amore divino misconosciuto ed offeso. Davanti alla ostinazione del peccatore e alla sua ingratitudine verso un Dio così buono, le lacrime sgorgavano dai suoi occhi: " Oh, amico mio - diceva - io piango proprio perché non piangete voi! ".

Al contrario però con quale delicatezza e con quale fervore non fa rinascere la speranza nei cuori pentiti! Per essi egli instancabilmente si fa ministro della misericordia divina, la quale è, diceva egli, potente " come un torrente in piena che trascina i cuori al suo passaggio ", e più tenera che la sollecitudine d'una madre, perché Dio è " pronto a perdonare più di quello che sarebbe una madre a tirar fuori dal fuoco un suo figlio ".

I pastori d'anime quindi, sull'esempio del Santo Curato d'Ars, avranno a cuore di consacrarsi, con competenza e dedizione, a questo ministero tanto importante, poiché in fondo è qui che la misericordia di Dio trionfa sulla malizia degli uomini ed il peccatore viene riconciliato al suo Dio. Si tenga pure a mente che il Nostro Predecessore Pio XII ha condannato gravissimis verbis l'opinione errata secondo cui non sarebbe da farsi gran conto della confessione frequente dei peccati veniali: " Per un progresso sempre più alacre sul cammino della virtù, intendiamo raccomandare vivamente il pio uso della confessione frequente, introdotto dalla Chiesa non senza una ispirazione dello Spirito Santo ". Infine Noi vogliamo confidare che i ministri del Signore saranno essi stessi i primi, secondo le prescrizioni del Diritto Canonico, alla pratica regolare e fervente del sacramento della Penitenza, così necessario alla loro santificazione, e terranno il più gran conto delle pressanti insistenze che più volte e dolenti animo Pio XII si sentì in dovere di loro rivolgere a questo riguardo.



CONCLUSIONE

Al termine di questa Lettera, Venerabili Fratelli, desideriamo dirvi tutta la Nostra soavissima speranza che, con la grazia di Dio, questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars possa risvegliare presso ogni sacerdote il desiderio di compiere più generosamente il suo ministero e soprattutto il suo " primo dovere di sacerdote, cioè il dovere di raggiungere la propria santificazione ".

Quando da questo vertice del Supremo Pontificato dove la Provvidenza Ci ha voluto collocare, consideriamo l'immensa aspettativa delle anime, i gravi problemi dell'evangelizzazione in tanti paesi e le necessità religiose delle popolazioni cristiane, sempre e ovunque si presenta al Nostro sguardo la figura del sacerdote. Senza di lui, senza la sua azione quotidiana, che sarebbe delle iniziative, anche le più adatte alle necessità dell'ora presente? Che farebbero anche i più generosi apostoli del laicato? Proprio a questi sacerdoti tanto amati e su cui si fondano tante speranze per il progresso della Chiesa, Noi osiamo richiedere, in nome di Cristo Gesù, l'intera fedeltà alle esigenze spirituali della loro vocazione sacerdotale. Avvalorino il Nostro appello queste parole, piene di sapienza, di San Pio X: " Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è così necessaria come la santità del clero, perché con l'esempio, con la parola e con la scienza esso sia guida dei fedeli ".

Quasi lo stesso diceva San Giovanni Maria Vianney al suo Vescovo: " Se volete convertire la vostra diocesi, dovete fare santi tutti i vostri parroci ".

A voi, Venerabili Fratelli, che portate la responsabilità della santificazione dei vostri sacerdoti, Noi raccomandiamo di aiutarli nelle difficoltà, talora ben gravi, della loro vita personale o del loro ministero. Cosa non può fare un Vescovo che ama i suoi sacerdoti, se ha conquistato la loro confidenza, se li conosce, li segue da vicino e li guida con autorità ferma e sempre paterna? Pastori di tutta la diocesi, siatelo anzitutto e in maniera particolare per coloro che così strettamente collaborano con voi e ai quali vi stringono vincoli tanto sacri.

A tutti i fedeli pure Noi domandiamo, in questo anno centenario, di pregare per i sacerdoti e di contribuire, per quanto possono, alla loro santificazione. Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui - in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica - un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede, dimentico di se stesso e pieno di carità. Sappiano tali cristiani che essi possono molto influire sulla fedeltà dei loro sacerdoti ad un tale ideale, col religioso rispetto al loro carattere sacerdotale, una più esatta comprensione del loro compito pastorale e delle loro difficoltà, e una più attiva collaborazione al loro apostolato.

In fine verso la gioventù cristiana rivolgiamo uno sguardo colmo d'affetto e pieno di speranza. La messe è vasta ma gli operai sono pochi (cf Mt 9,37). In molte regioni gli apostoli, sfiniti dalle fatiche, con vivissimo desiderio aspettano chi li sostituirà.

Popoli interi soffrono una fame spirituale, più grave ancora che quella materiale; chi porterà loro il celeste nutrimento della verità e della vita? Abbiamo ferma fiducia che la gioventù del nostro secolo non sarà meno generosa nel rispondere all'appello del Maestro, di quella dei tempi passati. Senza dubbio, la condizione del sacerdote è spesso difficile. Non c'è da meravigliarsi che egli sia il primo esposto alla persecuzione dei nemici della Chiesa, perché, diceva il Curato d'Ars, quando si vuole distruggere la religione si comincia coll'attaccare il sacerdote. Ma, nonostante queste gravissime difficoltà, nessuno dubiti della sorte altamente fortunata che è retaggio del sacerdote fervente chiamato dal Salvatore Gesù a collaborare alla più santa delle imprese, la redenzione delle anime e la crescita del Corpo Mistico. Le famiglie cristiane perciò valutino bene le loro responsabilità, e diano loro figli con gioia e gratitudine per il servizio della Chiesa. Noi non intendiamo qui sviluppare questo appello, che è anche il vostro, Venerabili Fratelli. Ma siamo certi che voi comprenderete e parteciperete l'ansietà del No- stro cuore e tutta la forza di convinzione che vorremmo mettere nelle Nostre parole. A San Giovanni Maria Vianney Noi affidiamo questa causa tanto grave e da cui dipende l'avvenire di tante migliaia di anime!

E ora volgiamo i Nostri sguardi verso la Vergine Immacolata. Poco prima che il Curato d'Ars compisse la sua lunga carriera piena di meriti, Ella era apparsa in un'altra regione di Francia ad una fanciulla umile e pura per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo una illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrata la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854.

Anche Noi Ci compiaciamo di unire nel Nostro pensiero e nella Nostra gratitudine verso Dio questi due Centenari di Lourdes e di Ars, che si succedono provvidenzialmente ed onorano grandemente la Nazione sì cara al Nostro cuore, cui appartengono quei luoghi santissimi. Memori di tanti benefici ricevuti e nella speranza di nuovi favori, facciamo Nostra l'invocazione Mariana che era familiare al Santo Curato d'Ars: " Sia benedetta la santissima ed Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Madre di Dio! Che tutte le nazioni glorifichino, tutta la terra invochi e benedica il Vostro Cuore Immacolato! ".

Con la viva speranza che questo Centenario della morte di San Giovanni Maria Vianney possa suscitare nel mondo intero un rinnovamento di fervore presso i sacerdoti e presso i giovani chiamati al sacerdozio, e possa altresì richiamare più viva ed operosa l'attenzione di ogni fedele sui problemi che riguardano la vita e il ministero dei sacerdoti, a tutti, e in primo luogo a voi, Venerabili Fratelli, di cuore impartiamo, come pegno delle grazie celesti e testimonianza della Nostra benevolenza, l'Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° Agosto 1959, anno primo del Nostro Pontificato.

IOANNES PP. XXIII




Caterina63
00martedì 11 agosto 2009 22:24
Magisteriale catechesi del Pontefice atta a sottolineare che l'aver preso san Giovanni Maria Vianney quale modello per i Sacerdoti in questo Anno Sacerdotali NON è per una semplice pia devozione ottocentesca, ma proprio per TROVARE LA SOLUZIONE AI TANTI PROBLEMI CHE AFFLIGGONO LA NOSTRA SOCIETA' A COMINCIARE DALLA IDENTITA' DEL SACERDOTE...

dice il Papa:

" Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.


CLICCATE QUI PER IL TESTO INTEGRALE

 Sorriso

                 Benedetto XVI


Caterina63
00lunedì 14 settembre 2009 19:19
Il santuario sotto il cielo di san Giovanni Maria Vianney

Nel piccolo villaggio
di un grande santo


da Ars
Marco Roncalli

Sta per calare il tramonto nella cittadella del sacerdozio. E non si vede troppa gente in giro. Preti a parte, che ad Ars sembrano non mancare mai. Alcuni sono soli e capita di vederli in clergyman, fermi nelle loro auto sotto i platani, mentre recitano il breviario. Altri indugiano a gruppetti fuori dal Foyer Sacerdotale Jean-Paul ii, lo spazio d'accoglienza gestito dalla società Saint Jean-Marie Vianney che li fa sentire a casa propria. Qualcuno è lì nel centro del paese, scatta l'ultima foto o esce dalla libreria religiosa, quasi davanti alla basilica costruita a ridosso della vecchia chiesa. Senti sempre ripetere che non ci sono vocazioni e a vedere tanti sacerdoti insieme, anche giovani, ti si rinfranca il cuore.

Non importa se sono volti anonimi di cui tutt'al più intuisci la provenienza, complici il dialetto veneto o la cadenza milanese, la lingua francese o polacca, i lineamenti orientali, dell'America Latina, dell'Africa. Sono gli stessi volti fugacemente incrociati lungo il giorno. Quando hai visto i loro occhi curiosi nella disadorna Maison du Saint Curé o il loro abbandono orante nella Cappella del Cuore edificata nel 1930, luogo di profondo raccoglimento. O quando li hai guardati in ginocchio sulla balaustra davanti all'urna con le spoglie dell'abbé nella sua chiesa parrocchiale e ti sei chiesto per chi stessero pregando. Un bagno spirituale la loro sosta nel piccolo borgo del grande santo, l'incontro con colui che è stato proclamato da Pio xi patrono universale dei parroci. Adesso torneranno a casa, o, meglio, nelle loro parrocchie.
 

Ars Già, la parrocchia. Non aveva ragione don Primo Mazzolari a continuare a indicarla come la cellula indispensabile della Chiesa, il luogo privilegiato dell'annuncio cristiano, anche di fronte alle crisi di certi modelli bisognosi di rinnovamento, vuoi per il mutare dei tempi e dell'ecclesiologia? Me lo chiedo mentre penso che forse Bozzolo non è così lontana da Ars. E me lo chiedo ben convinto, con lo storico Philippe Boutry, di un fatto:  è attraverso le parrocchie che nella Francia dell'Ottocento passa il riassetto dei quadri della vita religiosa dopo l'uragano della Rivoluzione; lì si esprime la maggior parte della vita spirituale, che si nutre dei sacramenti - a cominciare dalla confessione e dalla comunione - spesso posti ai fedeli dai parroci con tale forza che pietà popolare e culto  cattolico finiscono per sovrapporsi.

Ecco perché, nonostante l'attenzione degli storici sia spesso concentrata sul volto più istituzionale della Chiesa - con i suoi vescovi, i fondatori di ordini e di opere, i suoi teologi - anche semplici preti di campagna, ma vicini ai loro piccoli greggi, hanno poi trovato interesse. Ne è un esempio proprio Jean-Marie-Baptiste Vianney:  alla guida per quarantuno anni di una piccola parrocchia rurale, l'ha santificata nella prospettiva di una conversione totalizzante, con un impegno tale da sacralizzare persino lo spazio del suo agire, trasformandolo in un santuario a cielo aperto, fuori dal tempo:  che è stato il suo, ma che è anche il nostro.

Arrivando ad Ars, alla vigilia e dopo la morte di Vianney, ma anche oggi, il pellegrino s'emozionava un po' mettendo i piedi su questo fazzoletto di terra benedetta dalla presenza di un santo vivo:  nella carne come nel ricordo. A sfuggirgli, piuttosto, dietro il volto del borgo, proprio le sequenze storiche che avevano avuto protagonista l'eccezionale pastore, capace di trasformare "la Siberia della diocesi di Lione" - dove era stato mandato perché era ritenuto un parroco poco affidabile - in una sorta di "Eldorado cristiano", per riprendere le parole di un pellegrino dell'Ottocento. Nulla, a ben guardare, predisponeva questo villaggio dell'Ain a tale avventura, portata a compimento in più momenti, fra il 1818 e il 1830, poi dopo la morte del curato d'Ars nel 1859, centocinquant'anni fa, un'avventura per certi versi ancora aperta.

Lontano geograficamente dal polo economico-sociale di Lione, il piccolo paese - nemmeno trecento abitanti per lo più contadini, piccoli proprietari e giornalieri chini su terre a lungo già beni ecclesiastici - costituì la realizzazione dei sogni degli abbés della Restaurazione. Eppure, per dar forza al sogno, Vianney capì che doveva trovare accanto a sé non solo lo sparuto mannello di anime affidatogli, ma anche quanti, allora, reggevano le sorti di istituzioni come il Comune, il consiglio municipale, i piccoli consigli delle realtà lavorative, pronti ad aderire alle sue mete, colpiti dalla sua credibilità persino nel condannare, senza farne una leggenda nera, il cabaret o il ballo, rare occasioni di socializzazione laica ma imperniate su feste depotenziate del loro significato religioso.

Ecco dunque l'innescarsi di un progetto totalizzante per la comunità che aveva visto svanire dietro di sé l'irruzione della pietà barocca e viveva le conseguenze dell'ondata rivoluzionaria ormai dimentica del sentire cattolico. Tutto inizia il 13 febbraio 1818 quando il giovane Jean-Marie-Baptiste arriva qui dove si apre la zona dei mille stagni, le Dombes modificate da generazioni di monaci, costellate di piccionaie, lavatoi, fattorie, chiese romaniche. Si narra che al giovane pastore cui aveva chiesto la strada per il villaggio Vianney avesse detto, con il suo grazie, la frase "e io ti mostrerò il cammino del cielo". Oggi una statua che i dépliant chiamano pomposamente "il monumento dell'incontro", ricorda quella prima lontana tappa, oggetto proprio in questi giorni di un approfondimento qui ad Ars da parte dei seminaristi del San Carlo di Lugano guidati dal teologo monsignor Ettore Malnati e dal vescovo di Belley-Ars, Guy Bagnard.

Un ingresso quello del curato - ça va sans dire - senza alcun festeggiamento. In ogni caso, varcato il limes dove tra i frutteti si trovavano sparse sì e no una quarantina di casupole di argilla e, dove, a mezza costa, si vedeva un edificio sormontato da travi che dovevano sostenere una campana - la sua chiesa - ecco Vianney inginocchiarsi e baciare la sua nuova terra. Cerchi di immaginarti la consapevolezza di un gesto devoto, ma pure i pensieri del prete contadino:  quelli di un uomo di trentadue anni, piccolo, magro, al quale i superiori avevano detto:  "Non c'è molto amor di Dio in quella  parrocchia;  voi  ce  ne metterete".

E provi a fantasticare sul suo primo ingresso nella canonica - ora trasformata in un piccolo museo - affacciata su un cortile dove è fermo, chissà da quanto, un antico carretto. Un piano terra con cucina e sala da pranzo e un piano superiore con tre stanze, le pareti di pietra, gli utensili, i libri, le tazze, una tonaca rattoppata; tutto lasciato lì come se il tempo si fosse fermato, come se l'acqua del Formans, il ruscello che tranquillo attraversa il paese, fosse sempre la stessa.
 
Più facile, liberandoci d'ogni immaginazione, dar conto di tutto quanto accadde dopo, magari attingendo alla valanga di libri dedicati al curato d'Ars, che, a partire dai "grandi vecchi" come l'abbé Alfred Monnin, suo commensale, o monsignor François Trochu, arriva ai nostri giorni. Senza dimenticare pagine nate dalla penna di autori celebri. Da Henri Ghéon a Jean de La Varende, da Michel de Saint-Pierre a Georges Bernanos, da Ernest Hello al poeta Jean Follain. Sino a Cristina Campo che in una lettera definì Vianney "una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come l'uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai volare", aggiungendo "non mi stupisce che Simone [Weil] lo amasse tanto".

Nei fatti, Jean-Marie-Baptiste stilò quel che oggi si definirebbe il suo programma pastorale in più modi. Meditando ai piedi del tabernacolo, entrando nelle famiglie e condividendone i problemi, scuotendo l'indolenza con la predicazione:  "Sarebbe da augurarsi che tutti i parroci di campagna predicassero bene come lui", disse Lacordaire dopo aver ascoltato una sua omelia il 4 maggio 1845. E, ancora, facendosi prigioniero del suo confessionale nella vecchia sagrestia, offrendo con la sua persona la testimonianza di una vita povera, indicando nella comunione frequente il necessario alimento spirituale, rompendo così col dominante rigorismo di tendenza giansenista e gallicana che aveva fatto del sacramento il premio di una vita cristiana irreprensibile. Nonché intensificando i momenti pubblici - messe quotidiane, catechismo, vespri, preghiere della sera, letture devote, rosario, processioni, pellegrinaggi, rogazioni - della sua restaurazione spirituale per Ars, che andò a braccetto con quella materiale; diceva che "niente è troppo bello per Dio", e da qui vennero gli abbellimenti della chiesa, il campanile, il coro, le cappelle Jean-Baptiste nel 1823, Ecce Homo nel 1833, Sainte Philomène nel 1837.

Certo, c'è poi Vianney apostolo della carità, il fondatore della Provvidenza, la casa prima scuola gratuita, poi orfanotrofio a pochi passi dalla canonica, dove oggi le suore di San Giuseppe - venute ad Ars nel 1848 - invitano il visitatore a scoprire la cosiddetta madia miracolosa dalla quale il parroco prendeva il pane anche quando non sembrava esserci. E c'è il taumaturgo che già attorno alla metà del secolo attirava malati nel corpo e nello spirito, genitori angosciati dalla mortalità infantile - anche quelli di Marie-Joseph Lagrange, il fondatore dell'École biblique di Gerusalemme assai legato a Vianney - e poi folle sempre più grandi, sino alla morte, ed oltre.

Con numeri significativi che registrano dalle ottantamila presenze annue già nell'Ottocento al quasi mezzo milione di oggi:  specie in questo periodo giubilare in cui "ci si rallegra del dono che è la vita di un santo" per usare le parole di monsignor Bagnard. La vita di un santo prete vissuto fra Rivoluzione e Restaurazione, nel quale - ribadiva tempo fa il cardinale André Vingt-Trois - "ciò che è esemplare non è il luogo e il tempo in cui gli è toccato di vivere, ma l'amore pastorale per il suo popolo, la catechesi di tutti i giorni attraverso la predicazione e il catechismo per i piccoli e per i grandi, la misericordia offerta e elargita attraverso il sacramento della penitenza e la conversione della sua vita". Un santo, ancora, la cui celebrazione se l'ha esposto al rischio di risvegliare piccole frange di neoconformismo clericale di ritorno pronte a farlo ostaggio o involontario testimonial di nostalgie passatiste, ha in realtà offerto ai più l'occasione di scoperta straordinaria, e dentro di questa, la sorpresa di un'impensabile prossimità.

Tra i più, tanti giovani. Seminaristi che hanno scoperto nel profilo di questo prete il significato delle attese di Benedetto XVI circa l'anno sacerdotale, ma anche la devozione per lui di Karol Wojtyla - pellegrino ad Ars già nel 1947, poco dopo l'ordinazione sacerdotale - o del futuro Giovanni xxiii, giunto nella parrocchia del santo curato già nel 1905 e che da Pontefice firmò l'enciclica Sacerdotii nostri primordia a lui dedicata. E poi laici, come quelli che il 18 settembre parteciperanno al pellegrinaggio intitolato a san Francesco Régis.

Infine, sacerdoti:  i molti incontrati nello scorcio di questa estate che sta finendo e i tanti attesi ad Ars per il ritiro sacerdotale internazionale che dal 27 settembre al 3 ottobre sarà predicato dal cardinale Christoph Schönborn su un tema centrale in questo anno voluto da Benedetto XVI:  "La gioia di essere sacerdote:   consacrato per la salvezza del mondo".



(©L'Osservatore Romano - 14-15 settembre 2009)
Caterina63
00sabato 13 marzo 2010 10:31

Per l'Anno Sacerdotale

Abate Emanuel Andrè o.s.b.

Sacerdozio e Ministero





LIBRO PRIMO

Natura del Ministero ecclesiastico

CAPITOLO I

ORIGINE DEL MINISTERO

Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo Unico Figlio e mentre inviava nel mondo il suo Divino Figlio gli diede un grande ministero da compiere verso l'umanità decaduta. Egli doveva soddisfare, come Redentore, la giustizia di suo Padre e poi meritarci le grazie necessarie alla salvezza e creare un’istituzione che, attingendo continuamente dal tesoro dei suoi divini meriti, facesse giungere a tutti gli eletti le grazie che dovevano condurli alla vita eterna. Nostro Signor Gesù Cristo compì in modo pieno la missione ricevuta dal Padre e alla vigilia della sua morte poté affermare con tutta verità: «Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare» (Gv. 17,4) e ciò ripeterà più espressamente sulla croce un istante prima di morire esclamando: «Tutto è compiuto» (Gv. 19,30). Egli aveva formato i suoi Apostoli al ministero, aveva consegnato a loro ogni verità, rivelato ogni cosa e posto nelle loro mani i sacramenti. Però prima di metterli in azione per l’esercizio del ministero aveva dato a loro lo Spirito Santo. L'opera che gli Apostoli dovevano compiere, era opera divina, poteva essere compiuta soltanto con lo spirito di Dio, non essendo lo spirito dell'uomo acconcio a una simile fatica: e lo Spirito di Dio fu dato.

CAPITOLO II

Nostro Signore Gesù Cristo dopo aver creato ed esercitato egli stesso il santo ministero, lo affidò agli Apostoli come coloro che dovevano continuare l'opera sua. A questo scopo concesse ad essi il potere d'ordine e di giurisdizione e, allo stesso tempo le virtù necessarie per il buon uso di questi terribili poteri. «Onus angelicis humeris formidandum», dice il Concilio di Trento.

Gesù creò gli Apostoli e li fece ministri perfetti. «Ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza» (2 Cor. 3, 6) perché egli aveva altrettanta facilità nel dar loro i poteri.

Gli Apostoli trasmisero facilmente i poteri, avendo a loro disposizione i sacramenti; ma non poterono trasmettere le virtù (però le esigevano da coloro che ordinavano. Cfr. 2 Tm. 2, 2; At. 6, 3). Ciò ci mostra come il ministero poté alle volte fallire e ci fa toccare con mano l’innata debolezza negli eredi degli Apostoli.

Senza anticipare vediamo ciò che era il ministero in mano agli Apostoli. Ce lo dice San Pietro in una sola parola: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6, 4).

Si ha oggi questo concetto e del ministero e dell’ordine che bisogna seguire per compierli bene? Ne dubitiamo assai: perché, se non erriamo, ci sembra che oggi il grande affacendarsi sia l'amministrazione dei sacramenti e poi la predicazione; mentre la preghiera è considerata come un’opera personale del sacerdote, anziché come l'opera principale del ministero. Un autentico rovesciamento dell'ordine stabilito da Dio.



CAPITOLO III



IL CORPO E L'ANIMA DEL MINISTERO

Nel ministero bisogna, come nella Chiesa, distinguere il corpo e l'anima: allo stesso modo dei composti nei quali si distingue la materia e la forma. Il corpo del Ministero è la parte esteriore, rituale: l'amministrazione dei sacramenti.

L'anima del ministero, è certamente la preghiera, l'unione interiore a nostro Signore; unione che ci deve far attingere da Dio lo spirito interiore, il solo capace di fecondare le opere esterne.

La predicazione appartiene al corpo del ministero; mentre se la si considera doversi ispirare, vivificarsi, animarsi nella preghiera e in essa attingere potenza ed efficacia, allora appartiene all'anima del Ministero. E questo ci rivela la profondità dell'affermazione di San Pietro citata più sopra: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4).

CAPITOLO IV



L'ORDINE VERO DELLE TRE GRANDI FUNZIONI DEL MINISTERO

Poiché il ministero secondo nostro Signore e gli Apostoli è contenuto principalmente in queste tre funzioni: preghiera, predicazione e amministrazione dei sacramenti, è necessario. osservare che San Pietro ha messo prima di tutto la preghiera, dopo la predicazione e finalmente, come una risultante, l'amministrazione dei sacramenti.

Ecco l'ordine vero delle sante funzioni del ministero. Innanzitutto è necessario entrare in relazione scambievole con Dio: punto principale, perché bisogna captare la grazia, divenirne familiare, come dice San Gregorio, e poi dedicarsi alle anime presso le quali si dovrà esercitare il ministero.

Dopo aver pregato bisogna predicare e istruire: e la predicazione fatta potente dalla preghiera che l'ha preceduta, conduce le anime a desiderare, a chiedere e poi a ricevere i sacramenti.

Questa l'economia nell'opera della salvezza delle anime, questo l'ordine col quale Nostro Signore vuole che si compiano le sante funzioni.

CAPITOLO V



PRIMA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREGHIERA

Nostro Signore c'insegna che bisogna pregare sempre: «Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai» (Lc. 18,1). Il compimento di questo precetto, preso a rigor di termine, ci sarebbe impossibile: perciò i santi Padri lo hanno spiegato nel senso che bisogna pregare spesso perché l'anima sia continuamente sotto l'azione e sotto la protezione della preghiera fatta precedentemente.

A questo scopo lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa di stabilire le ore della preghiera, e sono considerati sempre oranti coloro che sono fedeli alla preghiera nei tempi prescritti, nelle ore prescritte, e meglio, nelle ore canoniche. Infatti il Venerabile Beda dice che «semper orat qui statuta tempora non praetermittit orandi».

Le ore canoniche sono note. Gli Apostoli ci hanno dato l'esempio della preghiera nel corso delle ore canoniche: «verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inno a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli». Era una preghiera vocale, dal momento che era intesa da coloro che stavano in prigione con gli Apostoli (At. 16,25).

Nel giorno della Pentecoste la Chiesa nascente era riunita per la preghiera di Terza, quando discese lo Spirito Santo: «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.., all'ora terza del giorno» (At. 2,1-15).

San Pietro sale a pregare in una stanza alta ed era l'ora di Sesta: «Salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare» (At. 10,9).

San Pietro e San Giovanni salgono al tempio per pregare all'ora di Nona: «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio» (At. 3,1). Questo passo è estremamente importante: gli Apostoli avevano le loro ore fisse per pregare: «Horam orationis», e Nona era una di queste.

Il Centurione Cornelio, prima ancora di essere cristiano, pregava all'ora Nona, e fu allora che ricevette la visita dell'angelo che lo indirizzò a San Pietro: «Verso quest'ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio» (At. 10,30).

La tradizione della Chiesa è costante su questo punto così importante della preghiera nelle ore canoniche. Gli esempi dei Santi sono uniformi in tutti i secoli, e li vediamo tutti e sempre fare delle preghiere nelle ore canoniche il loro primo dovere. E come San Pietro diceva: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense» (At. 6,2), non volendo sacrificare la predicazione per un servizio esterno di carità, tanto meno egli avrebbe sacrificato la preghiera, che anteponeva alla predicazione, ad ogni altra cosa come ne fanno testimonianza 1e parole già citate: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Secondo San Pietro il Ministero consisteva innanzitutto nella preghiera, e, dopo nella predicazione; l'amministrazione dei sacramenti veniva dopo come una cosa secondaria. Una parte per così dire materiale che spesso gli Apostoli lasciavano ai diaconi per il battesimo e ai presbiteri per il battesimo, e per gli altri sacramenti.

San Paolo pur avendo convertito numerosi abitanti di Corinto, in Corinto battezzò soltanto pochissime persone perché la massa dei fedeli era già stata battezzata da Apollo e da Cefa; ed egli dice chiaramente che nostro Signore non l'aveva inviato a battezzare, ma a predicare il Vangelo: «Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo» (1Cor. I,17). Ciò è di basilare importanza tanto più che oggi le idee sono diametralmente all'opposto di quelle degli Apostoli: i vescovi e i sacerdoti dopo aver somministrato i sacramenti credono volentieri di aver compiuto il loro ministero, mentre ne hanno compiuto soltanto la parte materiale, perché l'essenziale non consiste in questo.

CAPITOLO VI

SECONDA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREDICAZIONE

La predicazione della parola di Dio non è un'opera umana. La scienza per quanto grande sia e l'eloquenza per quanto potente, non sono punto la predicazione della parola di Dio.

La scienza può essere utile, ed utile l'eloquenza, ma nella predicazione della parola di Dio c'è qualcosa più della scienza e meglio dell'eloquenza. Sottolineiamo bene l'espressione «Parola di Dio». Per parlare questa parola, bisogna averla ricevuta: e se è vero che la si riceve dalla Chiesa, non è men vero che essa diviene parola di vita grazie allo Spirito di Dio infuso in noi durante la preghiera. La parola che dobbiamo predicare deve perciò venire da Dio e deve essere annunziata dallo Spirito di Dio. Gli Apostoli hanno veramente predicato, la prima volta, nel giorno della Pentecoste: «Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare...» (At. 2,4). Vi è perciò una distanza infinita tra il nostro insegnamento e gli insegnamenti umani. Gli uomini annunziano la parola dell'uomo, noi la parola di Dio: gli uomini parlano col loro spirito, noi abbiamo lo spirito di Dio: gli uomini intendono far nascere la scienza nei loro uditori, noi la fede. Quale differenza!

Ora, come per generare la scienza bisogna possedere la scienza, allo stesso modo per generare la fede nelle anime bisogna essere già se stessi penetrati dalla fede. La parola che noi annunciamo dev'essere la stessa parola della fede: «Verbum Fidei», dice San Paolo (Rom. 10,8), «Fides ex auditu» (Rom. 10,17).

Pertanto, noi non siamo dei professori di religione, ma i mezzi di Dio per far penetrare la fede nelle anime: «Come se Dio esortasse per mezzo nostro», dice ancora San Paolo (2 Cor. 5,20). Perciò oltre il chiedere a Dio con la preghiera che la nostra parola sia veramente la sua parola; dobbiamo essere ricolmi dello Spirito di Dio per annunciare la divina parola, sapendo poi che in questo formidabile ministero facciamo un'opera eminentemente divina per cui ci occorre essere umili, oranti e supplichevoli, spogli di noi stessi, e in qualche modo di tutta la nostra umanità se vogliamo che l'opera nostra sia veramente Papera di Dio che faccia nascere la fede nei nostri uditori: «Questa è l'opera. di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv. 6,29)

.
CAPITOLO VII

TERZA FUNZIONE DEL MINISTERO: I SACRAMENTI

Dopo aver pregato e parlato, l'uomo di Dio, «Homo Dei» (1 Tm. 6,11), vedendo la fede ormai nata nell'anima degli ascoltatori e operarvi le opere necessarie alla giustificazione, darà i sacramenti.

I sacramenti che elargiscono tanta grazia, non danno però le disposizioni necessarie per riceverli. Ecco un punto capitale nella dottrina cristiana: e ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che tutto è salvo quando si sono ricevuti i sacramenti.

I sacramenti sono dei segni sensibili della grazia invisibile; e il sacerdote che amministrai sacramenti, pur stando attento al rito esterno, deve applicarsi interiormente a chiedere la grazia interiore: egli deve entrare in comunione con Dio che dà la grazia, con Nostro Signore Gesù Cristo che l'ha meritata e con l'anima che la riceve. Nella religione non c'è nulla che sia soltanto esteriorità. Dio è spirito, e in tutto ciò che viene da lui, come tutto ciò che a lui va, dev’essere spirito.

Noi siamo anima e corpo: Nostro Signore è Dio e uomo; i sacramenti hanno forma e materia: tutto questo in armonia l'un con l'altro. Si turberebbe quest’armonia dimenticando od omettendo nella nostra religione quanto Dio volle che vi fosse conservato.

L'uomo che dimenticasse la sua anima per non veder altro che il suo corpo; chi in nostro Signore vedesse soltanto l'umanità, imitando per cose dire gli antichi Antropomorfiti; il sacerdote, che nei sacramenti non vedesse altro. che il rito esterno, sarebbero fuori dalla verità. Ora, soltanto la verità salva: «La verità vi farà liberi» (Gv. 8,32).

CAPITOLO VIII

IL MINISTERO È UN MISTERO INTERIORE

Benché nel ministero ci siano diversi elementi esterni, tuttavia risponde a verità l'affermare che, preso nel suo insieme, il ministero è cosa interiore. Infatti, chiedere la grazia, concorrere al suo stabilirsi nelle anime, a conservarvisi e a farla sviluppare non è forse l'essenziale e il tutto del ministero? Chi non vede che tutte queste cose sono fatti interiori? E perché è cosa, come d'altronde non se ne può dubitare, si comprende sempre più chiaramente quant'è profonda l'affermazione del principe degli Apostoli che dice: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Egli pone in primo luogo la preghiera: perché il ministero, che agisce sugli uomini, manifesta la sua efficacia nella misura con la quale il ministero è entrato in comunicazione con Dio per mezzo della preghiera. Dio solo dà senza aver ricevuto, perché, essendo Dio, ha in se stesso ogni bene: noi che non siamo Dio, non possiamo dare se non dopo che abbiamo ricevuto. E quando si tratta dei mez zi di santificazione delle anime da chi li potremo ricevere se non da Dio; e come Dio ce li darà con la loro piena efficacia se noi non lo preghiamo, con umiltà, con fiducia e con perseveranza ?

Quanto sono ammirevoli sotto quest'aspetto gli antichi missionarî benedettini nostri Padri! Quando arrivavano in un paese idolatra vi cercavano un luogo solitario e un sito inaccessibile dove si mettevano in preghiera, lottavano con i demoni, con le fiere; si costruivano una capanna di legno, cantando i salmi nelle ore canoniche del giorno e della notte... «Nos vero orationi instantes erimus». Quando poi avevano pregato, spesse volte per anni, andavano da loro contadini e pastori, domandavano chi erano, che cosa facevano e da lì alle prime lezioni di catechismo non c'era che un passo e col tempo i catecumeni... «Orationi et ministerio Verbi instantes erimus».

Poi sorgeva una comunità cristiana: poteva venire la persecuzione, ma era vinta e la fede trionfante piantata nelle anime perché tutto fluiva da un principio interiore: la preghiera, l'unione con Dio. In questa unione e in questa incessante comunione con Dio i cristiani ricevevano le grazie di luce e di conversione per le anime; e il ministero era benedetto da Dio.

Caterina63
00sabato 13 marzo 2010 10:32

Per l'Anno Sacerdotale (2)

Abate Emanuel Andrè o.s.b.

Sacerdozio e Ministero

LIBRO SECONDO
Come il ministero può essere snaturato

CAPITOLO I
IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Il ministero ecclesiastico è una creazione di Nostro Signore; ma perché è affidato agli uomini può avvenire che a causa della loro natura soggetta a tante debolezze, non sia conservato nella completa integrità della sua natura.

Nostro Signore è Dio e insieme uomo ed ecco che ci sono stati degli uomini che hanno disgiunto in lui la divinità e l'umanità per poi negare l'una o l'altra e, conseguentemente distruggere questo grande mistero per quanto era .in loro potere, e inaridire il fiume di grazie di cui è la sorgente: San Giovanni dice che questa è un'opera dell'Anticristo: «Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio» (1 Gv. 4,3). Poiché gli uomini cercano di scindere il mistero dell'Incarnazione e annientarne le conseguenze, non c'è da stupire che la stessa cosa avvenga per il ministero che è una conseguenza e un'imitazione del mistero della divina Incarnazione.

CAPITOLO II
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO

Dal momento che il ministero consiste essenzialmente in tre cose: la preghiera, la predicazione e i sacramenti, evidentemente la sua natura sarebbe mutata, alterata, annientata se accadesse che una di queste tre cose fosse soppressa o alterata. Chi non vede, infatti, che l'opera della salvezza degli uomini sarebbe necessariamente arrestata se cessasse la preghiera, se la predicazione divenisse muta e se i sacramenti non fossero più amministrati? Lo stesso accadrebbe se non solamente le tre cose sparissero insieme, ma anche se solo una di esse venisse a mancare. Andiamo più lontano e affermiamo che, pur sussistendo le tre parti essenziali del ministero, il ministero sarebbe infruttuoso se queste non avessero il posto voluto da Dio, cioè se l'ordine stabilito dal Signore non fosse esattamente conservati e osservato. A chi si daranno i sacramenti e a quale scopo si daranno se non precede la predicazione onde far nascere la fede nelle anime che è il principio delle opere necessarie alla salvezza? E la predicazione avrebbe la potenza che Dio le vuol dare a questo scopo se non fosse preceduta dalla preghiera che attira la grazia dall'alto e sopra il predicatore e sopra l'uditorio?

CAPITOLO III
SEGUITO DEL PRECEDENTE

Nel ministero c'è il corpo e l'anima, per cui mancando d'una delle due cose è snaturato in se stesso.

Il corpo del ministero è cosa abbastanza conosciuta; ma l'anima, lo spirito interiore che deve dargli vita è cosa troppo poco conosciuta. Vi sono molti che credono d'aver compiuto il ministero quando ne hanno compiuto tutte le opere esterne: ma la parte del ministero che si chiama «la preghiera» spesso è considerata l'opera della persona del sacerdote, mentre non è l'opera della persona, ma dello stesso ministero, come abbiamo già osservato (Libro I, Capo IV).

Ciò è importantissimo. Il sacerdote che si persuade che potrà adempiere il suo ministero, compiendo riguardo ai fedeli tutto ciò che possono cristianamente desiderare da lui e chiedergli; e dice a se stesso: Se non sono uomo interiore, uomo di preghiera, ciò riguarda me soltanto, e le conseguenze che ne derivano sono soltanto mie; grandemente si sbaglia e questo errore ci sembra essere oggi assai comune.

Il ministero, in questo caso, è un ministero senz'anima, un ministero senza vita e, troppo sovente un ministero di morte: «Ministratio mortis» (2 Cor. 3,7).

CAPITOLO IV
COME IL MINISTERO È SNATURATO
IN QUANTO ALLA SUA PRIMA PARTE: LA PREGHIERA

Abbiamo detto come il sacerdote mancherebbe al suo ministero se considerasse la preghiera un obbligo non del ministero della Chiesa, ma del cristiano che è in lui.

Il sacerdote non può né deve separare in sé stesso il cristiano dal sacerdote, né il sacerdote dal cristiano. Benché sia vero dire ch'egli è cristiano per sé e sacerdote per gli altri, nella realtà non è meno vero che in lui è il cristiano che è sacerdote.

I doveri del cristiano e i doveri del sacerdote sono una cosa sola; come il cristiano e il sacerdote sono in lui una sola persona.

Sarebbe perciò un grande errore il non pensare la preghiera come il massimo, più importante e più indispensabile obbligo del sacerdote. Egli deve la preghiera a Dio, alla Chiesa, alle anime, a sé stesso: a Dio del quale è una creatura; alla Chiesa della quale è ministro; alle anime delle quali è servo; alla sua anima della quale dev'essere, dopo Dio, il salvatore.

Egli la deve perpetua: «Bisogna pregare sempre (Lc. 18,1).

La deve nelle ore canoniche e nella forma canonica.

Nella forma canonica.. Questa generalmente si accetta perché c'è un obbligo formidabile e si sa che si commetterebbe peccato mortale, lasciando una sola ora canonica. Ma che bisogna recitare le ore canoniche nelle ore canoniche generalmente non si sa. Tuttavia che cosa significano le parole del breviario: Ad Matutinum, ad Primam, ad Tertiam, ad Sextam, ad Nonam, ad Vesperas, ad Completorium?

Si dirà che in altri tempi era così. Certamente, ma perché e come mai oggi non è più così?

Attualmente si recita Mattutino alla vigilia, cioè si fa della preghiera della notte e del mattino una preghiera della sera, o meglio, una preghiera del «fra poco».

Perché forse non s'è trovato più facile alzarsi più tardi che di buon mattino?

Si dice: È per avere tempo per la meditazione. Ma forse che i nostri padri non conoscevano la meditazione?

Forse non vi dedicavano del tempo? Siamo perciò più dediti alla meditazione di quanto lo erano i nostri antichi(?).Oh! Un fatto è certo: noi meditiamo meno dei nostri padri e abbiamo addosso una dose di pigrizia e d'immortificazione che certamente i nostri padri non conoscevano.

Le preghiere del giorno che i nostri padri avevano così saggiamente distanziato da tre a tre ore per richiamarci senza posa all'adorazione della SS. Trinità, oggi si recitano in una sola volta; e ciò, si afferma, per essere più liberi.

Più libero! Ma che cos'è questa libertà che si affranca dalla puntualità nella preghiera? E per che cosa si impiegherà questa libertà? A correre e a discorrere? A giocare e a ridere? Ah! La libertà! I nostri padri ne avevano un altro concetto. Essi venivano meno,- .ammirando la definizione che ne aveva dato Sant'Agostino: « Libertas est. Charitas » (De Natura et gratia, Lib. I, Cap. LXV).

La carità! Amare Dio e .il prossimo, amare Dio e pregarlo: amare il prossimo e lavorare alla sua salvezza, questa era la carità secondo i nostri padri.

È dunque vero che oggi s'intende in altro modo la libertà e così il dovere della preghiera. Quasi dappertutto non si fa più la preghiera canonica nelle ore canoniche e ciò non è una delle cause per le quali il ministero produce pochi frutti press'a poco dappertutto?

E se il ministero è così importante a salvare chi per la cui salvezza è stato istituito, non bisogna forse concludere che dal momento in cui non attinge il suo scopo dev'essere considerato come un'istituzione malauguratamente viziata, diciamo la parola, snaturata?

CAPITOLO V
COME IL MINISTERO È SNATURATO
NELLA SUA SECONDA PARTE: LA PREDICAZIONE

Ci sono più modi per snaturare il ministero in ciò che concerne la parola di Dio. Innanzitutto non predicando affatto e meritando in questo modo il nome che lo Spirito Santo in passato diede a certi pastori negligenti quando li chiamò «cani muti, incapaci di abbaiare » (Is. 56,10).

Il Signore chiamava con questo nome le sentinelle d'Israele, uomini ciechi e ignoranti, cani che non sapevano abbaiare.

Uomini dagli occhi aperti soltanto alla vanità, uomini sempre addormentati, amanti dei loro sogni: « I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi » (Is. 56,10).

Nulla da aggiungere a queste parole dello Spirito Santo.

Si snatura il ministero, predicando come parola di Dio ciò che non è parola di Dio. Dice il Signore a Geremia: « I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini, né ho parlato loro. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente»

(14,14). Infine, anche predicando la parola di Dio, le si potrebbe far subire certe alterazioni che l'Apostolo San Paolo aveva dinanzi agli occhi quando chiamava corruttori, falsificatori e alteratori della parola di Dio certi predicatori: «che mercanteggiano la parola di Dio» (2 Cor. 2,17 e 4,2). Spiegando queste parole dell'Apostolo, G. Estio dice: « Mercanteggiano, ossia trattano con inganno la parola di Dio coloro che non la dispensano illibata e pura, come è stata trasmessa, ma la guastano e la falsificano mescolandovi la sapienza del mondo o la dottrina giudaica; sicuramente servendo ad essa cercano non la gloria di Dio, ma il compiacimento dei propri comodi; mentre ingannano gli uomini cercano di piacere loro e per piacergli, adattano la parola di Dio ai loro sentimenti »

(in Cor. IV,2).

Per concludere questo capitolo, diciamo che la parola di I )io dev'essere predicata con lo Spirito. di Dio, e lo Spirito (li Dio non sarà con noi se noi non siamo uomini di preghiera. c :i(') ancora una volta dimostra come il ministero dipende tutto intero dalla preghiera che San Pietro pose prima di tutto: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola » (At. 6,4).

CAPITOLO VI
COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO NELL'AMMINISTRAZIONE DEI SACRAMENTI

Abbiamo detto (Libro I, cap. VII) qual’è il compito dei sacramenti nell'economia della religione e, conseguentemente nel ministero ecclesiastico. I sacramenti non danno le disposizioni necessarie per riceverli, è evidente perciò che il ministero sarebbe snaturato se chi dà i sacramenti non avesse tutta la sollecitudine necessaria per far nascere queste disposizioni, tutta l'attenzione indispensabile per riconoscerle là dove sono e tutta la fermezza voluta per non date i sacramenti dove non vi sono le disposizioni richieste da Dio stesso.

Con quanta facilità ci si immagina ai nostri giorni di avere le disposizioni a un sacramento poiché si ha la volontà di riceverlo e la bontà di accettarlo! Non so se questo modo di pensare sia proprio di un gran numero di anime, ma è cosa certa che dove esiste è completamente fuori delle condizioni perché il sacramento possa portare qualche frutto.

CAPITOLO VII
CIÒ CHE PUÒ ESSERE IL MINISTERO QUANDO È SNATURATO

Il ministero può fallire al suo scopo per una moltitudine di cause diverse, come l'abbiamo dimostrato con quanto precede; che può essere allora il ministero se non abitudine, empirismo, o una specie di industria?

Ci spieghiamo. L'abitudine è una specie di ministero ecclesiastico che consiste nel rispondere a ciò che è domandato e a fare di volta in volta ciò che si presenta. Ossia, si fa quanto si deve fare, in virtù di un certe ordine materiale, di un'usanza e di un'abitudine che non merita biasimo in se stessa. Ad un ministero così fatto manca poco meno di quanto manca ad un cadavere: l'anima, lo spirito.

L'empirismo... Ahimè quale parola in una materia tanto grave! La parola infelicemente richiama alla memoria quegli uomini che con un solo rimedio s'impuntano a guarire tutti i mali e son detti ciarlatani. Quando nel ministero si segue un metodo analogo a quello dei ciarlatani, vi si mette del buon volere (non diciamo della buona volontà nel senso teologico della parola) : si vuole il bene, ci si dà da fare per i1 bene, ma è un da fare mosso da una volontà poco e male illuminata. Si possono fare dei grandi passi con la speranza che finalmente si imboccherà la buona strada; ma non si sa chiaramente che cos'è la buona strada e quali sono le condizioni per camminarvi con sicurezza.

Noi chiamiamo una specie d'industria un certo ministero ecclesiastico nel quale si fa un grande spreco dello spirito: s'inventano mille modi, si mettono in movimento mille espedienti, s'impiegano mille e mille arti, ma vi è un male in tutto lo spirito che si esplica: la mancanza dello spirito di Dio. (…)

CAPITOLO VIII
LE CONSEGUENZE DEL MINISTERO SNATURATO

Quando il ministero è snaturato, il sacerdote che non riesce a convertire le anime è portato ad affermarsi piuttosto al ministero che a sé stesso. Lontano dal dirsi: non sono un uomo di preghiera; non tratto la parola di Dio come di Dio; non vigilo perché i sacramenti che sono santi siano santamente ricevuti. Ma dirà molto facilmente a sé stesso che i mezzi che gli sono stati affidati sono impotenti, e che, logicamente non può nulla e che non c'è nulla da fare. Dopo ciò egli potrà cadere in una specie di pigrizia spirituale, che gli impedirà di vedere e il male che sta di fronte ai suoi occhi e il bene da farsi, né i mezzi da prendere per far sì che il suo ministero sia utile al prossimo e a sé stesso.

Se il male aumenterà potranno sorgere nell'anima del sacerdote dei dubbi intorno all'opera di nostro Signore nel creare il ministero; e il ministero divenuto impotente tra le sue mani, potrà essere considerato da lui impotente a causa di nostro Signore.

Ancora un passo: il sacerdote dapprima avvilito, poi esitante nella fede, cadrà nello scoraggiamento, potrà perdere la fede e precipitare in colpe che non hanno più nome quando sono le colpe di un sacerdote: «Non peccata, se monstra», dice Tertulliano.

Certamente in tutti questi scalini di discesa c'è una logica, beninteso senza fatalità: che Dio voglia allontanare una sì fatta caduta dal sacerdote!



Caterina63
00lunedì 14 giugno 2010 11:39

ATTENZIONE:
QUANTO SEGUE HA DELL'INCREDIBILE:
DOPO UN ANNO ANNO DI PREPARATIVI E RIFLESSIONI, VIENE IMPEDITO AL SANTO PADRE DI TERMINARE QUEST'ANNO SACERDOTALE CON LA PROCLAMAZIONE DI SAN VIANNEY A PATRONO UNIVERSALE DI TUTTI I SACERDOTI....

sia ben chiaro, san Vianney, in qualità di MODELLO proposto dai Pontefici in diverse occasioni come è stato ben spiegato sopra, resta tale nonostante ogni sabotaggio, ma senza spirito di polemica alcuna, è bene anche sottolineare come, all'interno della Chiesa, c'è chi rema contro il Pontefice...


****************

LA PROCLAMAZIONE MANCATA: RICOSTRUZIONE DI UN SABOTAGGIO

di Francesco Colafemmina

Oggi il Santo Padre non ha potuto proclamare il Santo Curato d'Ars "protettore di tutti i sacerdoti del mondo". La delusione è notevole e ci induce a pregare molto perché finalmente finiscano questi veri e propri sabotaggi ai danni dell'azione del Santo Padre.

Prendiamo atto della situazione e comunque San Giovanni Maria Vianney resta nei nostri cuori un protettore di tutto il clero mondiale. Tuttavia, sotto un profilo strettamente tecnico è interessante comprendere cosa sia accaduto in questi ultimi giorni.

Partiamo da quanto annunciato dall'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche di Sua Santità ieri, 10 giugno: "Un grande arazzo con l’immagine del Santo Curato d’Ars sarà collocato alla loggia centrale della Basilica. San Giovanni Maria Vianney è stato al centro dell’Anno sacerdotale e in questa occasione sarà proclamato dal Santo Padre patrono di tutti i sacerdoti."

L'arazzo c'era ieri sera e c'era stamane. Ma il Curato d'Ars non è stato proclamato "patrono di tutti i sacerdoti". Quindi che senso aveva esporre l'arazzo di un Santo che è patrono solo dei parroci, nel giorno in cui si conclude l'anno sacerdotale?

Evidentemente era funzionale alla proclamazione. Ed evidentemente l'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche lo sapeva e lo sapeva anche il Santo Padre. Anche in una nota pubblicata sull'Osservatore Romano del 9 giugno, riprendendo una dichiarazione di Mons. Marini, si annunciava che l'11 giugno: "un grande arazzo con l'immagine del santo curato d'Ars sarà collocato alla loggia centrale della Basilica. San Giovanni Maria Vianney è stato al centro dell'Anno sacerdotale e in questa occasione sarà proclamato da Benedetto XVI patrono di tutti i presbiteri."

Cosa si fa per proclamare un Santo "patrono di tutti i sacerdoti"? Normalmente si redige un Motu Proprio o una Lettera Apostolica. Come, ad esempio, quando Paolo VI proclamò San Benedetto patrono d'Europa. Chi avrebbe dovuto redigere il Motu Proprio per proclamare San Giovanni Maria Vianney patrono di tutti i sacerdoti? E chi avrebbe dovuto far pervenire al Santo Padre questo Motu Proprio? Sicuramente la Congregazione del Clero. Ma chi fa da filtro fra la Congregazione del Clero e il Santo Padre?

Prima di rispondervi vorrei precisare che il Santo Padre non poteva non essere informato della cosa, non poteva non averla approvata. Infatti già il 16 Marzo 2009, quando si tenne la plenaria della Congregazione del Clero la Sala Stampa rilasciava un comunicato nel quale c'era scritto quanto segue: "Durante questo Anno giubilare Benedetto XVI proclamerà San Giovanni M. Vianney "Patrono di tutti i sacerdoti del mondo". Sarà inoltre pubblicato il "Direttorio per i Confessori e Direttori Spirituali" insieme ad una raccolta di testi del Sommo Pontefice sui temi essenziali della vita e della missione sacerdotale nell’epoca attuale."

Guardate anche questo video di Radio Vaticana del 16 Marzo 2009: nel sottotitolo c'è scritto a chiare lettere che il Papa proclamerà il Santo Curato d'Ars patrono dei Sacerdoti.

E che dire di tutte le comunicazioni inviate qua e là per il mondo con l'annuncio di questa splendida notizia?

E ancora che dire dell'intervista al Cardinal Hummes del 17 Giugno 2009, pubblicata su Avvenire, dove il Cardinale con una strana prudenza spiega che l'Anno Sacerdotale è stato indetto in occasione del "150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney, figura esemplare di sacerdote, che da molto tempo è patrono dei parroci e che probabilmente il Papa proclamerà patrono di tutti i sacerdoti." Probabilmente...

Ancora l'8 giugno Radio Vaticana parla di un incontro con i sacerdoti del Rinnovamento dello Spirito, guidato da Mons. Piacenza in San Giovanni in Laterano e annuncia: "Giovedì sera, i sacerdoti saranno in Piazza San Pietro con Benedetto XVI per una Veglia, mentre il giorno dopo il Papa celebrerà una Messa solenne nella quale proclamerà il Curato d’Ars patrono dei sacerdoti".

Quindi cosa è accaduto fra l'8 e il 10 giugno? Dov'è il corto circuito che ha condotto alla mancata proclamazione?

Vogliamo fugare ogni dubbio su una possibile volontà del Santo Padre? Ebbene basta confrontare le giustificazioni assurde di padre Lombardi rilasciate ieri sera all'ASCA con le parole del Santo Padre nell'omelia odierna:

Padre Lombardi: "In realtà, il Santo Padre - pur avendo indetto l'anno sacerdotale proprio nel 150esimo della morte di San Giovanni Maria Vianney - ha preferito conservare al Santo Curato d'Ars il titolo specifico di patrono dei parroci, dato che questo è stato il suo ministero proprio, mentre vi sono molte altre figure di sacerdoti che possono essere di ispirazione e modello per coloro che svolgono numerose altre forme di ministero sacerdotale."

Papa Benedetto XVI: "l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine".

Dunque per Lombardi è uno fra i tanti "modelli" possibili. Per il Papa è "il modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo".

Alla luce di questa evidenza domandiamoci: chi ha sabotato questa proclamazione e per quale ragione?

Abbiamo una risposta? Domandatevi chi è il superiore di Padre Lombardi. Domandatevi chi fa da filtro fra il Clero e il Santo Padre. Ecco, avete già rintracciato i responsabili.

Ricapitoliamo dunque: tutto è pronto in Piazza San Pietro. Viene esposto l'arazzo del Santo Curato d'Ars, il Santo Padre utilizza durante la cerimonia il calice usato dal Santo, ieri un sacerdote ignaro afferma che il "Papa ci offrirà il Santo Curato d'Ars come nostro patrono", il Papa prepara un'omelia ad hoc per la celebrazione liturgica... ma il Motu Proprio non c'è! Si è perso da qualche parte... o forse qualcuno ha preferito bloccarlo, ponendo così tutti dinanzi al fatto compiuto a pochi giorni dall'evento?

Santo Curato d'Ars proteggi il Santo Padre e tutti i bravi sacerdoti di questo mondo!

Fides et Forma

*******************************

Riflettiamo:

il Papa Benedetto XVI si espresse già il 5 agosto 2009, salutando i fedeli in polacco, disse testualmente di san Vianney "patrono dei sacerdoti", usando proprio questo termini la cui traduzione è letterale nel sito ufficiale del Vaticano...

cosa dice il Papa è chiarissimo: da un anno egli sottolinea e presenta san Vianney quale MODELLO per i sacerdoti...

dove sta il problema e cosa è accaduto?

che san Vianney fu proclamato da Giovanni XXIII PATRONO dei parroci e per il quale scrisse

B. GIOVANNI XXIII
SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA
NEL XI CENTENARIO DEL PIISSIMO TRANSITO
DEL SANTO CURATO D'ARS
LETTERA ENCICLICA
(1 Agosto 1959)
sopra riportata integralmente

fa molto pensare che di Giovanni XXIII si citi sempre quella sulla Pace ma mai questa....
in questa Enciclica il Papa descrive l'importanza di avere san Vianney quale MODELLO E PATRONO PER TUTTI I PARROCI in un tempo di grandi cambiamenti sociali e culturali...

Benedetto XVI non ha fatto altro che voler ESTENDERE QUESTO PATROCINIO(=MODELLO) A TUTTI I SACERDOTI non solamente parroci, ma anche INSEGNANTI...EDUCATORI, PASTORI...

Cosa è andato storto?

era tutto pronto...
un Papa che fa scrivere sull'avviso ufficiale delle CELEBRAZIONI del Pontefice che a fine Messa ci sarà l'elevazione a Patrono...e fa stendere l'arazzo perfino durante l'Adorazione Eucaristica e durante la Messa, non può fare marcia indietro senza una gravissima ragione...ossia, la ragione deve essere assai superiore alla decisione RIPETUTA PER UN ANNO INTERO di avere san Vianney quale modello(=PATRONO) dei Sacerdoti...altrimenti qui giovedì sera abbiamo assistito ad una mezza IDOLATRIA di un santo proposto ad una venerazione DURANTE UNA ADORAZIONE EUCARISTICA....mi spiace, ma non ha senso...c'è dunque dell'altro...

E' plausibile pensare invece, proprio conoscendo LA PRUDENZA di Ratzinger, che "qualcosa o qualcuno" assai più gravemente gli abbia IMPEDITO(=ostaggio) di terminare l'Anno con le intenzioni con le quali lo aveva incominciato fin anche con la venerazione delle reliquie del Santo....
Non si fa una venerazione del genere, scomodando un Pontefice, se quel Santo non intenda essere proposto come qualcosa di più di quanto fosse, ossia: non solo patrono dei Parroci, MA PATRONO(=MODELLO) PER TUTTI I SACERDOTI...

Sarebbe interessante contare le volte in cui in questo Anno il Papa abbia usato il termine di MODELLO associato al santo...fino all'Angelus di ieri 13 giugno dove ha rimarcato, usando il termine di SACERDOTI CATTOLICI.... non ha dunque senso questo ripensamento dell'ultimo minuto, a meno che il Papa NON SIA STATO IMPEDITO(=OSTAGGIO) da qualcosa o da qualcuno...

il Papa NON è stato "convinto" ad abbandonare una scelta fatta, ma IMPEDITO...gli è stato impedito di portare a termine quanto aveva desiderato...
in questo senso il concetto di impedimento sta all'essere in ostaggio a quel "qualcosa o qualcuno" che non è che ha più potere del Papa certamente, ma sicuramente ha agito METTENDO IL PAPA DI FRONTE AL FATTO COMPIUTO perchè, ripeto, NON si spiega l'arazzo di Vianney durante la veglia con l'Adorazione Eucaristica e la lettura della Preghiera che lo evoca... e durante la Messa il giorno dopo... se quel Santo non si intendeva elevarlo a Patrono....

Possiamo dire che il Papa sia stato BIDONATO...ed essendo Ratzinger un vero gentiluomo, un autentico signore in tutti i sensi... ha evitato di fare un caziatone durante l'omelia della Messa...
ma ha concluso la stessa ribadendo Vianney MODELLO PER I SACERDOTI, il termine "modello" nella Chiesa significa PATRONATO altrimenti siamo allo scimmiottare, alla ridicola imitazione...
come gli Ordini Religiosi che hanno MARIA QUALE MODELLO, Essa infatti è PATRONA di questi Ordini
...

ergo......il Papa aveva già definito Patrono san Giovanni Maria Vianney IL 5 AGOSTO 2009 all'Udienza del mercoledì parlando in polacco il tutto è riportato sul sito del Vaticano:


Saluto in lingua polacca:
Serdecznie witam uczestniczących w tej audiencji Polaków. Wczoraj obchodziliśmy wspomnienie świętego Jana Marii Vianneya, patrona kapłanów. Za jego wstawiennictwem, prośmy Boga, w Roku Kapłańskim, o dar świętości ich życia i posługi. Niech będą dla wszystkich posłańcami nadziei, pojednania i pokoju. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana (traduzuone ufficiale dal sito del vaticano):

Saluto cordialmente i Polacchi presenti a quest’Udienza. Ieri, abbiamo celebrato la memoria di san Giovanni Maria Vianney, patrono dei sacerdoti. Per sua intercessione, chiediamo a Dio, in quest’anno sacerdotale, il dono della santità della loro vita e del loro ministero. Siano per tutti messaggeri di speranza, di riconciliazione e di pace. Sia lodato Gesù Cristo.


dalla Lettera del Papa ai Sacerdoti, la conclusione è con queste parole:

Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!

*****************

LASCIATEVI CONQUISTARE DA LUI E SARETE, CARI SACERDOTI, ANCHE VOI........ ergo la conclusione più naturale resta quella di un santo Curato Patrono...

 

Anche il sito ufficiale dedicato all'Anno Sacerdotale, riportava che nel programma ci sarebbe stata la proclamazione a questo patronato:

Notizie Stampa


INCONTRO INTERNAZIONALE DEI SACERDOTI
A conclusione dell’Anno Sacerdotale
Fedeltà di Cristo, Fedeltà del Sacerdote
9-11 giugno 2010

CON PAPA BENEDETTO XVI in piazza San Pietro

§ Giovedì 10 giugno - Ore 20,30 - Veglia
Testimonianze, momenti musicali, collegamenti da:
Ars, Cenacolo a Gerusalemme, Favelas di Buenos Aires, Hollywood
Dialogo dei sacerdoti con il PAPA e adorazione eucaristica

§ Venerdì 11 giugno - ore 10,00 - S. Messa - Solennità del S. Cuore di Gesù - Rinnovo delle promesse sacerdotali – Curato d’Ars proclamato Patrono dei sacerdoti


Prenotati sinora circa 9000 sacerdoti da 91 Paesi.

La partecipazione è aperta a seminaristi, diaconi, religiosi, religiose e ai laici.


P.S.


visto che ho citato, a ragione, l'enciclica di Giovanni XXIII “SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA” sopra integralmente riportata, è bene sottolineare l'universale magistero ivi contenuto e che già proclamava il santo Vianney "patrono universale" di tutti i PASTORI...

intanto....in questa intervista a "L'Osservatore Romano" del 10 aprile 2009, sottolineò la testimonianza di Giovanni Maria Vianney," il santo parroco che Benedetto XVI proclamerà patrono dei sacerdoti nel corso dell'anno sacerdotale che si inaugurerà il prossimo 19 giugno".

È ancora valido il modello sacerdotale proposto da san Giovanni Maria Vianney?

Se il Papa, come ha annunciato, proclamerà il santo patrono di tutti i sacerdoti del mondo, ciò vuol dire che il modello di prete che egli incarna continua a essere un riferimento per il nostro tempo, quale portatore del mistero e della santità dei ministri.

******************************

appare evidente che già dall'aprile 2009 il vescovo di Ars sapeva che Benedetto XVI avrebbe proclamato san Vianney Patrono....

tornando all'Enciclica di Giovanni XXIII, ci sono ulteriori espressioni che lo confermavano già a suo tempo
:

dice il Papa beatificato:
Non vi meraviglierete, d'altra parte, se, nell'indirizzarvi questa Lettera, il Nostro spirito e il Nostro cuore si rivolgono in modo speciale ai sacerdoti, Nostri figli carissimi, per esortarli tutti insistentemente - e soprattutto quelli che sono impegnati nel ministero pastorale - a meditare gli ammirabili esempi di un loro confratello nel sacerdozio, divenuto loro celeste patrono.


- Giovanni XXIII sottolinea che tale patrocinio è dato "in modo speciale" a tutti i sacerdoti IMPEGNATI NEL MINISTERO PASTORALE...
già qui si sottolinea l'universalità che va ben oltre l'incarico del parroco giacchè anche i sacerdoti INSEGNANTI O MISSIONARI esercitano "il ministero pastorale"...
e ancora dice:

Giova però in questa Enciclica mostrare in quale senso profondo il Santo Curato d'Ars, fedele eroicamente ai doveri del suo ministero, meritò veramente di essere proposto come esemplare ai pastori di anime e proclamato celeste loro Patrono. Se, infatti, è vero che il sacerdote ha ricevuto il carattere dell'Ordine per il servizio dell'altare, e ha cominciato l'esercizio del suo sacerdozio col sacrificio eucaristico, questo non cesserà, per tutto il corso della sua vita, di essere alla base della sua attività apostolica e della sua santificazione personale. E tale fu appunto il caso di San Giovanni Maria Vianney.


- è ovvio che Giovanni XXIII non si riferisse esclusivamente ai parroci francesi....queste parole estendono questa lectio a TUTTI i sacerdoti del mondo... e scrive ancora Giovanni XXIII:


La Chiesa, che ha glorificato questo sacerdote " mirabile per lo zelo pastorale e per un desiderio ininterrotto di preghiera e penitenza ", oggi, a un secolo dopo la sua morte, ha la gioia di presentarlo ai sacerdoti di tutto il mondo come modello di ascesi sacerdotale, modello di pietà e soprattutto di pietà eucaristica, e modello di zelo pastorale.(...)
Ai sacerdoti di questo secolo, facilmente sensibili all'efficacia dell'azione e facilmente tentati pure da un attivismo pericoloso, quanto è salutare questo modello di preghiera assidua in una vita interamente consacrata alle necessità delle anime!
Quel che impedisce a noi sacerdoti di essere santi - egli diceva - è la mancanza di riflessione; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è necessaria la riflessione, la preghiera, l'unione con Dio.(...)
Ben a ragione quindi il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII non esitava affatto ad assegnare come modello ai predicatori della Città Eterna l'umile prete di campagna
.

- è importante risottolineare che nella presentazione di un "modello" di santo, fa sempre seguito il concetto e il contesto ecclesiale di PATROCINIO... senza il quale verrebbe meno la parte riguardante L'INTERCESSIONE E LA PROTEZIONE(=patrocinio) del modello da perseguire...

Caterina63
00mercoledì 16 giugno 2010 14:35

IL SANTO CURATO D'ARS: UN MODELLO DI SANTITA' ADEGUATO AI TEMPI O ADEGUATO A CRISTO?


di Don Matteo De Meo

Il povero curato d’Ars, può essere un modello per tutti i sacerdoti nel nostro travagliato e confuso tempo?

Per il Santo Padre Benedetto XVI sì! E’ la prima cosa che afferma nella sua omelia durante la S. Messa in chiusura dell’anno sacerdotale: “...modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo”.

Qualcuno, però, lo ritiene un modello “non abbastanza universale”; lo è già per i sacerdoti in cura d’anime, ma per tutti i sacerdoti sarebbe un pò eccessivo! Un sacerdote oggi ha a che fare con mille problematiche, e con una realtà pastorale molto complessa (viviamo nell’era dell’informatica, del mondo virtuale e altamente tecnologizzato, con altri modi di sentire e vivere la Chiesa e la stessa fede); insomma altri tempi, i nostri, molto dissimili da quelli del povero Curato d’Ars, che trascorreva gran parte della sua giornata a dir messa, a confessare e a far penitenza per le sue pecorelle.

Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: quale modello potrebbe corrispondere universalmente al ministero sacerdotale dei nostri tempi?

Sicuramente molti sono i modelli sacerdotali di santità, e di questo bisogna ringraziare Iddio che non smette di inviare alla Chiesa e al mondo i suoi santi, in ogni tempo. Ma sembra si stia diffondendo uno strano pensiero: un modello ha una sua scadenza! Vi sono modelli nuovi e modelli vecchi! Santi moderni e santi arcaici: ad esempio S. Pio da Pietrelcina è ritenuto un modello di santità arcaica rispetto a madre Teresa di Calcutta che invece rispecchierebbe un’idea più moderna di santità. Quindi, Santi più adeguati ai nostri tempi e santi meno adeguati. Ma Cristo non è lo stesso ieri oggi e sempre? Un Santo, canonizzato dalla Chiesa, non diventa forse un modello di santità universale, che va oltre lo spazio, il tempo, le culture?

In una prospettiva meramente umana, orizzontale, il santo diventa un modello tout court; un semplice personaggio storico che è sottoposto all’usura e alla polvere dei secoli.

Solo se ci lasciamo abbracciare dal Mistero presente e operante nella sacra liturgia della Chiesa si viene salvaguardati da questa ottica insidiosa.

I santi dei primi secoli, i santi delle contrade più sconosciute e remote sono più presenti e più vicini, più intimi di coloro con i quali conviviamo o che incontriamo ogni giorno. Ogni distanza di tempo, di luogo, di condizione sociale è vinta. La Chiesa ne celebra la festa perchè il Santo non è affatto un personaggio storico ormai lontano nel tempo, ma perchè l’unione viva con lui fa parte della sua medesima vita. É il meraviglioso mistero della Comunione dei Santi: “...Mai Ella (la Chiesa) perde i suoi figli, mai il tempo li allontana da lei e i suoi figli le sono vicini non in ragione degli anni ma in ragione della loro santità. ...” (Don Divo Barsotti, Il Mistero cristiano, p. 359).

In un tempo di forte crisi per l’identità sacerdotale, un modello come quello del Curato d’Ars è sicuramente ciò di cui noi sacerdoti abbiamo bisogno.

Se è stato proclamato patrono di tutti i parroci, se il Santo Padre lo ha scelto come modello fra tanti, durante l’intero anno sacerdotale, se a conclusione di esso lo ha definito modello per tutti i sacerdoti-non solo parroci-non è tanto perchè pregava e faceva penitenza (una prassi che ogni cristiano è chiamato a riscoprire, e ancor di più un consacrato); non è tanto perchè se la vedeva con il diavolo, che, per non dargli tregua, gli sfasciava il letto anche di notte; non è tanto perchè aveva una particolare abilità nell’attuare “strategie” e “obbiettivi” pastorali, ma perchè è stato un sacerdote autentico, ha corrisposto in pienezza al suo ministero sacerdotale, fino all’eroismo. Cioè, ha realizzato in pienezza la missione apostolica ricevuta con il Sacramento dell’ordine, che è propria di ogni sacerdote, parroco o meno! Se così non fosse non avrebbe avuto senso neanche proclamarlo patrono dei parroci...

Il suo essere sacerdote non era, malgrado certa agiografia, un sorta di contorno della sua persona. Il prete non è un monaco, ma non è neanche definito innanzitutto da un suo particolare ufficio: parroco, vicario, teologo, accademico, chiamato a fare anche un pò di ministero chi più o chi meno. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non è conferito primariamente in vista della santità personale, o di un particolare ruolo, bensì perchè uno diventi apostolo. Deve perciò perseguire e rincorrere la propria santificazione personale attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale e una chiara consapevolezza di esso; questo poi può anche esprimersi in una molteplicità di forme disposte dalla Provvidenza divina che guida e sostiene la Chiesa nella storia, e nella mutevolezza dei tempi.

Ciò che il prete deve salvare ad ogni costo, per diventare una persona capace di affrontare la grande sfida della nuova evangelizzazione della società contemporanea, senza andare in crisi, è l’unità tra la sua identità sacerdotale e la missione apostolica.

Una identità di sacerdote fondata sull’idea di una santificazione personale soggettiva, o sulla specificità di un ufficio particolare, o di una particolare inclinazione (preti di strada, di frontiera, del sociale, e chi più ne ha più ne metta......), più che sulla necessità di santificarsi attraverso l’esercizio del sacerdozio ministeriale, in obbedienza a Cristo attraverso la sua Chiesa, ingenera un dualismo pernicioso. Non è raro oggigiorno vedere preti esaltati dai media perchè totalmente immersi nel sociale, ma che non parlano mai di Cristo, dei sacramenti, della Chiesa, della messa!

O, peggio ancora, diffondono una propria immagine di Cristo, dei Sacramenti, della Chiesa e della stessa Fede. La pretesa di realizzare una propria immagine di prete, quindi, spesso costruita dalle esigenze e dalle richieste del mondo, diventerebbe più importante della stessa vocazione apostolica e missionaria. Oggi più che mai c’è bisogno di recuperare non tanto una capacità pastorale del sacerdote nel proprio tempo, ma l’identità essenziale del sacerdote e del ministero a lui affidato. La particolarità con cui questo ministero può svolgersi nei tempi, nei luoghi e nelle circostanze è grazia di Dio; e la sua autenticità dipende più dalla fedeltà al ministero stesso che alle proprie capacità, o inclinazioni personali.

Mi sembra che il santo Padre nel proporci un modello sacerdotale come quello del Santo Curato d’Ars, ci stia dicendo una cosa fondamentale, ma poco considerata: il prete non è prete solo per essere un cristiano migliore degli altri. Per questo basta qualsiasi fedele, con una personalità vera e propria. Il prete deve essere prima di tutto una persona, che nella sua vita realizza le ragioni per cui gli è stato affidato il ministero sacerdotale. La sua specificità si radica nel fatto oggettivo del Sacramento dell’Ordine, che ha ricevuto e che lo distingue da tutti gli altri fedeli.

E di questo il Curato d’Ars è sicuramente un esempio eccezionale! Viveva nel continuo desiderio di essere liberato da una responsabilità che gli sembrava spaventosa: la responsabilità di essere parroco. Per tutti i quarant’anni che passerà ad Ars, Giovanni Maria sarà ossessionato dall’idea di andarsene. Sogna la trappa, o un ritiro in solitudine e preghiera. Ma, soprattutto, ha una profonda consapevolezza dell’immensità del mistero che è racchiuso nel sacerdote: “Ah, che cosa spaventosa essere sacerdote! La confessione! I Sacramenti! Che peso! Oh, se si sapesse che significa essere sacerdote, si fuggirebbe nel deserto, come i santi, per non esserlo!”. “Oh, quando si pensa che il nostro grande Dio si è degnato di dare questo incarico a dei miserabili come noi!”.

Nello stesso tempo è però consapevole della bellezza a cui si è chiamati senza alcun merito, e questo lo rende felice, e tale felicità lo contraddistinguerà sino alla morte. Morirà parroco e, in definitiva felice di esserlo. “Il sacerdote è un uomo che tiene il posto di Dio, un uomo rivestito di tutti i poteri di Dio”. Egli ne è convinto. E la fonte della sua felicità sta nella sua vocazione. La coscienza della sua dignità di sacerdote - “Mio Dio, che onore!”, esclamava - non toglie nulla alla sua umiltà.

Chi più del povero e santo Curato d’Ars può dire a noi sacerdoti del terzo millennio di quale dignità siamo stati senza merito investiti, e di quale umiltà dobbiamo rivestirci per essere autentici testimoni della paternità e della guida di Dio per gli uomini che incontriamo sul nostro cammino. Uomini innamorati di Cristo e della sua Chiesa.

Siamo sempre più preoccupati di adeguarci al sentire del mondo, dei tempi, finendo per confonderci con esso: siamo sempre più preoccupati, fino all’affanno, di essere utili al mondo e invece siamo chiamati a servire il regno di Dio nel mondo, un regno che il mondo non riconosce perchè non gli appartiene! Ciò significa che oggi, se vogliamo ancora trovare penitenti attorno al confessionale, come al tempo del Curato d’Ars, dobbiamo essere fedeli fino all’eroicità all’identità del nostro ministero; un ministero che ci separa dal mondo e che ci radica totalmente nel mistero di Cristo per continuare la sua opera di salvezza, e non perseguendo i nostri vani ragionamenti.

Diciamocelo chiaramente: noi sacerdoti dobbiamo combattere ogni giorno con la tentazione individualistica e soggettivistica propria del cammino della cultura del nostro tempo; noi guardiamo alla vita di fede come a uno sforzo individuale, come l’esprimersi di opzioni (teologiche, etiche, pastorali) noi guardiamo alla nostra vocazione così come si svolge nella nostra giornata come il prodotto della nostra iniziativa. Invece il sacerdote - e questo emerge prepotentemente nell’immagine del Curato d’Ars - è tutt’uno con la Chiesa e con Cristo, e quindi è singolarmente espressivo del mistero di Cristo, perchè è nella Chiesa e per il mondo egli è l’immagine obiettiva di quel Signore Gesù Cristo, per cui vive e agisce, attraverso il Sacramento e la parola.

Separati dal mondo per portare Cristo al mondo. Solo in questa prospettiva amiamo coi fatti e nella verità: “...Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via.”, dice il Pontefice in un prezioso passaggio della citata omelia.

É pur vero che, nella sua vita, il sacerdote ha un compito; è un compito ascetico-spirituale ancor prima che pastorale, perchè la pastoralità sarà l’effondersi, il traboccare di quella verità di fondo che il sacerdote continua ad attuare, assimilandosi al Signore. Credo che in questa prospettiva si situi la volontà del Santo Padre di indicare il Curato d’Ars, come modello per tutti i sacerdoti in questo nostro mondo dove imperversa una vera e propria “dittatura”, quella del relativismo. Ripartire dalla fondamentale dedizione a Cristo che diventa poi, nella saggezza della Chiesa e per la saggezza della Chiesa, impegno anche pubblico, e canonico, con maggiore o minore intensità (secondo gli intendimenti della Chiesa).

Allora quale figura di sacerdote potrà esse fonte di ispirazione e modello autentico?

Un modello di sacerdozio adeguato ai tempi o adeguato a Cristo?

Grazie, Santità, per averci indicato il Santo Curato d’Ars come modello sublime di quell’alter Christus, che nella tradizione cattolica dice questa singolarissima configurazione del sacerdote a Cristo, e che sempre più oggi si tenta di mettere nell’ombra per una presunta modernità di essere, di stile e di forma.

S. Giovanni Maria Vianney, prega per noi!

Caterina63
00sabato 19 giugno 2010 13:42

Iniziativa di:
http://jeanmariepatronus.wordpress.com/

Libellus Supplicationis Sacerdotum Summo Pontifici Benedicto XVI

Beatissime Pater,

libentissime gratias Vobis agimus proter Annum sacerdotalem, signum paternae sollicitudinis Vestrae erga nos, sacerdotes. Quo tempore, nobis donavistis ut exemplar verae formae Sacerdotii Sanctum Joannem Mariam Vianney qui perfectum exprimit donum Jesu Christo, Sacerdoti et Hostiae.

Ad abundantiores anni sacerdotalis fructus colligendos, hoc tempore quo sacrae vocationes exhortationis indigent et sacerdotes ad servandam officiis sacerdotalibus fidem subsidia egent, nos Vos obsecramus, Beatissime Pater, ut Sanctum Joannem Mariam Vianney in eiusdem Festo declarare Patronum omnium Catholicae Ecclesiae Sacerdotum velitis.

Praestantes nostras preces, Beatissime Pater, pro omnibus Ecclesiae necessitatibus nos filii Vestri Vos exoramus Vestram Benedictionem super ministerium nostrum concedere.

.

Adpone chirographum hic! (si es sacerdos)

..


Libellus subsidiarius Supplicationi sacerdotum

Nos, Christifideles Catholicae Ecclesiae, imprimis beneficia fruimur ex ministerio sacerdotum qui invocant Summum Pontificem Benedictum ad obtinendum Declarationem Sancti Joannis Mariae Vianney in Patronum omnium Ecclesiae Catholicae Presbyterorum. Quamobrem Nos coniungimus eorum petitioni cum certi simus ex eorumdem Sacerdotio amore nostram sanctificationem pendere.

.

Adpone chirographum hic! (si es laicus/a, religiosus/a  seminaristaque)


Supplica dei sacerdoti a S.S. Papa Benedetto XVI

 

Beatissimo Padre,

vogliamo ringraziarvi per l’anno sacerdotale appena trascorso, prova della vostra paterna sollecitudine per noi sacerdoti. In questa occasione, ci avete proposto come esempio dell’ideale sacerdotale San Giovanni Maria Vianney, modello del dono totale a Gesù Cristo, sacerdote e vittima.

Per poter meglio raccogliere i frutti di questo anno sacerdotale, in questi tempi in cui le vocazioni hanno bisogno di essere incoraggiate e i sacerdoti sostenuti nella loro fedeltà agli impegni sacerdotali, vi supplichiamo, Santo Padre, di proclamare  San Giovanni Maria Vianney Patrono di tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica, in occasione della celebrazione della sua festa.

Vi assicuriamo le nostre preghiere, secondo tutte le intenzioni della Chiesa e vi domandiamo filialmente di benedire il nostro ministero.

 


.

Sottoscrivere qui! (per i sacerdoti)

.

Petizione a sostegno della supplica dei sacerdoti

 

Fedeli della Chiesa cattolica, noi siamo i primi beneficiari del ministero dei sacerdoti che indirizzano a Papa Benedetto XVI questa supplica, per ottenere la proclamazione di  San Giovanni Maria Vianney Patrono di tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica. Desideriamo associarci alla loro petizione, persuasi che dal loro amore per l’ideale sacerdotale dipenda la nostra santificazione.

.

Sottoscrivere qui! (per i laici, i religiosi e i seminaristi)




Caterina63
00sabato 19 giugno 2010 14:52

due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!


IL RITO "STRAORDINARIO" E LA PURIFICAZIONE DELLA CHIESA
di Don Luigi Iandolo


Sono passati quasi tre anni dalla promulgazione del motu proprio "Summorum Pontificum", nel luglio del 2007, atto supremo con il quale Papa Benedetto XVI ha consentito la celebrazione della Santa Messa secondo l'edizione ufficiale del Messale Romano promulgato da Giovanni XXIII nel 1962 - mai abrogata - come forma ‘straordinaria’ della liturgia della Chiesa.

Si tratta della cosiddetta “messa tridentina”, meglio detta “messa damaseno-gregoriana", in quanto risalente appunto ai papi Damaso e Gregorio. Ciò significa che dove esiste o si costituisce un gruppo di fedeli che chiede di beneficiare della tradizione liturgica antica, il parroco deve consentire la celebrazione della Santa Messa anche secondo il rito del Messale Romano promulgato dal beato “Papa Buono”.

Ed è innegabile che a tre anni dalla promulgazione di quel discusso motu proprio la Chiesa soffra oggi una delle crisi più profonde e gravi della sua bimillenaria storia: nella sua fede, nella disciplina, nella pratica religiosa. Non tutto è da attribuirsi ai tempi mutati e al “mondo”: cercare giustificazioni esterne senza affacciarsi all’interno stesso della Chiesa sarebbe un po’ deresponsabilizzante. Del resto, lo ha sottolineato in maniera efficace il Papa nel suo recente viaggio a Fatima: i mali peggiori per la Chiesa vengono dal suo interno stesso, come se per implosione il Demonio volesse farla cadere. E da dove partire, nell'analisi di questa "implosione", se non proprio dalla liturgia, azione con cui la Chiesa rende presente Cristo stesso? Ben si capisce, allora, come la crisi della Chiesa sia intimamente connessa alla crisi della liturgia, come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’, come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero di Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?”.

Il motu proprio del Santo Padre offre quindi la possibilità di beneficiare dei tesori della liturgia antica e ricuperare così il senso del Sacro e del Mistero, che spesso si è perduto, ridando alla liturgia la dignità che le è propria. “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum (liturgia antica e liturgia nuova, ossia “vetus ordo” e “novus ordo”). Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”. Così leggiamo nella lettera che Benedetto XVI ha scritto a tutti i vescovi del mondo accompagnandola al documento del 2007. E’ chiaro, quindi l’auspicio del Papa affinché sia recuperato questo tesoro, innanzitutto per il bene della anime, che vi potranno attingere grazie su grazie. Non si tratta semplicisticamente della ‘messa in latino’ dove il celebrante ‘dà le spalle ai fedeli’: stiamo parlando invece di un rito antichissimo, in cui tutti sono rivolti al Signore e dove si gusta e si sperimenta una Presenza silenziosa che parla la lingua del mistero!

Si impara così che la Chiesa non è un ideale stare in cerchio a guardarsi l’uno in faccia all’altro, chiusi in se stessi, bensì è un popolo che, insieme, compatto, guarda al Sole che mai tramonta, all’Oriente da cui solo viene la salvezza. Il bello è che se non hai un messalino per seguirla, puoi uscire dalla messa antica senza aver capito nulla, ma hai scoperto... di aver capito tutto: parli con Qualcuno usando una lingua che non appartiene all’uso quotidiano - una lingua sacra, sperimenti una centralità che non è del prete né dell’assemblea che partecipa, ma di Colui che è Grande e a cui spetta l’Adorazione. Allora vedi che la liturgia non è questione di comprensione intellettuale e linguistica, bensì di adorazione. Se la liturgia non veicola l’incontro verso Dio e perde conseguentemente la sua sacralità, semplicemente fallisce, non serve, diventa un’evasione inutile, una cabala, mero teatro o, come disse ancora una volta il Cardinal Ratzinger, “una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Celebrare se stessi senza neanche rendersi conto di Lui” (Via Crucis 2005).

La difficoltà di tornare ad apprezzare questo tesoro si capisce facilmente, ed è né più né meno la stessa difficoltà che l’uomo di oggi trova nell'aprirsi al mistero della Redenzione. L’uomo del nostro mondo ama il protagonismo, è assolutamente convinto della propria autosufficienza: egli può tutto, non ha bisogno di nessuno, non ha bisogno di nessuno per essere salvato. Egli si salva da sé, con le proprie forze. Così egli mal tollera un rito in cui gli si chiede di mettere da parte questa superbia e di farsi solo adoratore, in ginocchio, del mistero che gli è donato. Eppure, quello che è successo dopo il Motu Proprio di Benedetto XVI sembra andare in una direzione contraria: chi si avvicina, senza pregiudizi e con cuore aperto, alla Messa tradizionale, finisce per innamorarsene. E la spiegazione è semplice: il Dio che parla nel silenzio non intavola discussioni con la mente dell’uomo, sempre restia ad aprirsi al mistero, ma bussa al Suo cuore, risvegliando la nostalgia del sacro. È proprio per questa sua caratteristica, per questo suo andare direttamente al cuore, che la Messa tridentina attira, e attira molto...

Senza dare troppo peso ai numeri, è interessante leggere i risultati di recentissimi sondaggi in merito. In Germania, ad esempio, alla domanda se andreste alla Messa tridentina celebrata regolarmente in parrocchia, solo il 7% dei praticanti risponde di no: il restante 93% si divide fra chi vi vorrebbe andare ogni settimana (25%) e chi solo ogni tanto (40%). In Portogallo, invece, un cattolico su tre vorrebbe la messa antica tutte le settimane; percentuale che sale a oltre il 50 % se consideriamo quelli che praticano almeno una volta al mese. Ancora più confortante il dato relativo all’Italia, dove i fedeli che vorrebbero la Messa antica fissa in parrocchia sarebbero addirittura i due terzi.

I dati, quindi, sembrano davvero essere confortanti, e ciò non va assolutamente sottovalutato, soprattutto in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di purificarsi e di tornare all’essenziale: preghiera e penitenza, come chiede il Papa, facendo proprio il messaggio della Vergine a La Salette, a Fatima e in molte altre apparizioni del XX secolo. La riscoperta della Messa tradizionale e il suo approfondimento possono aiutare davvero a ‘rimettere ordine’ nel nostro rapporto col sacro, aiutandoci a riconoscere il primato di Dio e dei suoi comandamenti, certi che il Cuore Immacolato di Maria trionferà – secondo il messaggio di Fatima – e che si avvererà il sogno di San Giovanni Bosco, quello in cui egli vide che due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!

da fidesetforma.blogspot.com
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:03.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com