Vescovo Cromazio, Aquileia e le invasioni del IV secolo

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Caterina63
00martedì 3 marzo 2009 19:17
Cromazio, Aquileia e le invasioni del IV secolo

Le parole di un vescovo contro le armi dei barbari


L'8 marzo si chiuderà nel Palazzo Patriarcale di Udine la mostra "Cromazio di Aquileia. Al crocevia di genti e religioni" organizzata in occasione del XVI centenario della morte del vescovo di Aquileia. Pubblichiamo stralci di uno dei saggi del catalogo curato da Sandro Piussi (Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008, pagine 509, euro 35).


di Nico De Mico

"Poiché questa è la notte in cui già furono colpiti i primogeniti degli egiziani e liberati i figli di Israele, preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta la nostra fede che si degni di tenerci lontani da ogni incursione di nemici e da ogni timore di avversari. Non guardi ai nostri meriti, ma alla sua misericordia, lui che già si degnò di liberare i figli d'Israele non per i loro meriti ma per la sua misericordia. Ci protegga con la solita compassione, respinga le nazioni barbare, operi in noi ciò che il santo Mosè disse ai figli d'Israele:  "Il Signore combatterà per voi, senza che voi ve ne diate pensiero". È lui che combatte, è lui che riporta la vittoria, se ha pietà, se perdona i peccati, se non considera i nostri meriti ma la sua clemenza, perché è solito aver pietà anche degli indegni. E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare con tutte le nostre forze. Egli stesso infatti dice per bocca del Profeta:  "Invocami nel giorno della tribolazione, io ti libererò e tu mi renderai gloria"".

Con queste parole Cromazio, vescovo di Aquileia negli anni 388-407/408, si rivolgeva ai suoi fedeli in una notte precedente la Pasqua di Risurrezione e li esortava, percependone i cuori angosciati da presentimenti di pericolo e di morte, a vivere in feconda letizia quella veglia di preghiera, rimettendosi alla grazia divina e confidando nell'invisibile difesa di Cristo, baluardo che di tutti rende più forti.
 
Erano tempi molto duri, tempi di burrasca, che rendevano cara al vescovo aquileiese l'immagine della nave sul mare in tempesta. La società viveva l'incubo delle invasioni barbariche nei confini dell'Impero e il popolo cristiano affrontava con trepidazione e con inquietudine l'impatto con queste popolazioni non cattoliche.
Cromazio fu consapevole che in quegli anni tormentati, segnati dall'incapacità dell'esercito imperiale a far fronte alla montante marea delle invasioni barbariche e dalla concreta difficoltà delle forze dello Stato a rafforzarsi all'interno e a difendersi dall'esterno, non poteva restringere il suo impegno solo alle cose spirituali e per questo intervenne attivamente e capillarmente sul sociale, soprattutto parlando ai cuori e alle menti.
 
In quella società dilaniata dalle sofferenze, pur di fronte alla contemplazione di circostanze dolorose e preoccupanti, si propose quindi di comunicare un messaggio di speranza e di fede; di rinvigorire le coscienze e risvegliare il senso di una vita intesa come impegno costruttivo; di riaffermare la forza dei sentimenti dell'equità, della santità, della religiosità e dell'amore per il prossimo per un'esistenza genuinamente cristiana; di sensibilizzare gli uomini di armi e di guerra alle priorità più autentiche della vita. E il popolo si affidò a lui speranzoso; cercò in lui, trovandoli, conforto e sostegno.

Il ricorso di Cromazio al messaggio evangelico, il rifugio e la consolazione nella fedeltà del Padre e nelle promesse salvifiche del Figlio non erano sintomi di rassegnazione o cedimento, né opzioni emozionali:  erano invece una scelta consapevole, di fronte al problema cruciale dell'insicurezza provocata dalla crescente pressione dei barbari. Mai indulgendo, pur nella percezione dell'imminente deflagrazione, a forme di apocalitticismo, di alienante misticismo, o di rilassatezza morale e civile, Cromazio e gli altri ecclesiastici aquileiesi vissero laboriosamente, "completamente immersi nell'attività pastorale e in continuo contatto coi problemi della gente", della quale condivisero fino in fondo speranze e tormenti e che fortificarono con la parola.

Mai aizzando all'odio, al rifiuto inconsulto e al rigetto a priori di ogni contatto con l'invasore, Cromazio faceva intendere che la grande guerra dei cristiani era la resistenza contro il male, in esso includendo ogni forma di crudeltà, di aggressività e di sofferenza gratuitamente inflitta agli altri. "Così, divenuti veri atleti spirituali, potremo vincere e superare l'avversario, rinfrancati dal nutrimento della giustizia, della verità e della salvezza"; e ancora:  "Se qualcuno soffre del male dell'invidia e dell'odio, anche in lui bisogna insinuare il comandamento della carità e dell'amore fraterno perché la sua anima possa guarire". E sempre, a commento della Parola, insisteva sulla necessità di bandire l'odio, per non diventare simili a Caino, nel cui accecamento Cromazio condannava la cecità e la brutalità dei malvagi, degli ingiusti e dei miscredenti.

Nella mancanza del senso di fratellanza, di umanità e di generosità egli condannava altresì le incursioni, le devastazioni, i massacri e le deportazioni che, artefici i nuovi barbari invasori, travolgevano la vita individuale e sociale, svuotandola di ogni ideale e di ogni progettualità e seminando paura e agitazione.

Per offrire quindi una piccola luce di riferimento in un mondo in trepidazione incalzato dalle tenebre, fece ricorso, come allora tanti altri vescovi, all'arma della predicazione quale strumento di trasmissione del messaggio evangelico, di catechesi e di educazione cristiana. Proprio per la sua fiducia nella Parola come risorsa interiore e sicuro scudo protettivo nelle prove anche più dure della vita, Cromazio sollecitò Rufino, che gli fu accanto fra il 399 e il 407, ad associarsi a lui in un'azione di rafforzamento degli spiriti attraverso l'offerta di una storia della Chiesa che avrebbe consentito ai cristiani di toccarne con mano il trionfo finale:  scoprire che in ogni tempo essa era stata sostenuta dalla Provvidenza divina avrebbe potuto certamente confortare di fronte alle nuove sventure.

Fondamentalmente Rufino, come i più del suo tempo, era ostile nei confronti dei barbari, ma mitigò il suo giudizio negativo, sperando in una loro conversione al cattolicesimo come presupposto per l'instaurarsi di un clima di pacificazione. Introdusse dunque Dio a combattere a fianco di chi si rimetteva a Lui contro gli iniqui e i miscredenti. Lo pose accanto a Teodosio, a renderlo vittorioso non per il valore delle armi, ma per la forza della fede, nello scontro contro l'usurpatore Eugenio sul fiume Frigido (394), poco distante da Aquileia.

Pur non escludendo un auditorio più ampio, Rufino scriveva innanzitutto proprio per i cristiani di questa città, dove, a gloria della sua Chiesa, con Cromazio e con Girolamo fu componente di un esemplare sodalizio di istanze ascetiche, esigenze esegetiche, prospettive ecclesiali e fecondo impegno catechetico a lenimento degli affanni dei fedeli.



(©L'Osservatore Romano - 4 marzo 2009)
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