Vita della Chiesa nel mondo: Semplici riflessioni sulla situazione presente (di Daniele Di Sorco)

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Caterina63
00venerdì 16 aprile 2010 23:33

Amici..... seguendo un filo dei fatti collegandovi a questi link:

ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA

Lettera del Papa ai Vescovi sull'Unità della Chiesa e la revoca alla FSSPX

Visita straordinaria dei Vescovi Irlandesi e Tedesco dal Pontefice per condannare gli abusi sessuali

Incomprensibile attacco al cardinale di Stato T.Bertone

Dolce Vicario di Cristo in terra, abbiamo bisogno di Lei! Lettere aperte al Santo Padre


ecco...da qui, leggiamo delle riflessioni dell'amico Daniele Di Sorco


Semplici riflessioni sulla situazione presente

Gli attacchi mediatici ai quali la Chiesa è sottoposta nelle ultime settimane sono motivo di angoscia per molti buoni cattolici. Essi sono comprensibilmente preoccupati per la credibilità dell'istituzione alla quale appartengono e si domandano quali saranno gli effetti di questo profluvio di critiche non solo sull'opinione pubblica ma anche e soprattutto sulla salute delle anime. Sembra ad alcuni che la Chiesa cattolica sia allo stremo delle sue forze nella società moderna, pensiero rafforzato dal fatto che la Santa Sede e l'Episcopato non sono in grado di rispondere efficacemente alle accuse che vengono mosse nei loro confronti. La situazione, dunque, appare del tutto negativa: una buia notte, dalla quale soltanto un miracolo ci può trarre.

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Nessuno nega l'esistenza di abusi sessuali diffusi e, quel che è peggio, coperti da chi aveva l'incarico di vigilare. Come si sa, contra factum non fit argumentum. Tutto sta, però, nell'interpretazione che si dà al fatto, nel modo in cui lo si presenta. Si può trattare un caso di pedofilia per come esso è, esprimendo il giusto sdegno per i responsabili e auspicando misure punitive più efficaci; oppure lo si può usare come pretesto per coinvolgere tutta una categoria di persone (i sacerdoti) e la società di cui fanno parte (la Chiesa cattolica).

Quando il buio ci nasconde la forma delle cose, non bisogna rassegnarsi ad esso (come sembra suggerire anche qualche alto Prelato), ma accendere delle luci. La prima è costituita dall'analisi spassionata dei fatti. In particolare:

1) Lo scandalo attuale è stato costruito mettendo insieme casi di abusi avvenuti in un lunghissimo arco di tempo, la maggior parte dei quali era già stata adeguatamente sanzionata sia dall'autorità civile che da quella ecclesiastica. Impossibile non chiedersi: perché tirarli fuori tutti ora?

2) I giornalisti hanno creato ulteriore confusione (e alzato le vendite) non distinguendo tra accuse e condanne. Ora, uno studio statistico pubblicato negli Stati Uniti attesta che solo il 4% dei sacerdoti accusati di abusi sessuali è stato effettivamente riconosciuto colpevole dai tribunali. Siamo quindi di fronte ad una vera e propria caccia alle streghe. Se pochi se ne rendono conto e pochissimi lo denunciano, lo dobbiamo a decenni di propaganda anticattolica e di autolesionismo della Chiesa stessa, per cui oggi qualunque attacco sembra normale, scontato, perfino doveroso.

3) Sul totale del clero cattolico, i pedofili sono di gran lunga meno dell'1%. Lo ripetiamo: dicendo questo, non è nostra intenzione giustificare gli autori dei crimini né, tanto meno, coloro che per anni li hanno coperti. Ma non possiamo neppure restare inerti di fronte al tentativo di fare di tutta l'erba un fascio. La stampa ha cercato di far passare l'idea che la pedofilia sia un problema dei sacerdoti cattolici in quanto categoria. E dobbiamo dire che c'è riuscita. Nel parlare comune, l'associazione tra "prete" e "pedofilo" è divenuta normale, come se a costituire l'eccezione sia il prete non pedofilo e non viceversa. Anche in questo caso, se guardiamo alla sproporzione tra fatto e presentazione del fatto, non possiamo non pensare che ci sia qualcosa di profondamente anomalo.

4) Allo scandalo della pedofilia sono state associate, indebitamente ma sistematicamente, alcune tipiche istanze del pensiero liberale e progressista. Accanto a un articolo che denunciava gli abusi sessuali, un altro reclamava che la Chiesa cambiasse (come se fosse possibile farlo!) la sua dottrina in merito alla sessualità e al ruolo della donna. L'obnubilamento della coscienza moderna ha impedito a molti di cogliere il paradosso: da un lato si reclama maggior vigilanza sull'uso deviato della sessualità, dall'altro si pretende una posizione più lassista nei confronti del sesso. Scontata, in questa prospettiva, la correlazione tra pedofilia e celibato. Ma le statistiche, oltre che gli esperti di psichiatria, dicono il contrario: il 90% dei casi di pedofilia ha come responsabili i familiari: padri, nonni, zii. Tutte persone coniugate. Nessuno, ovviamente, vuole insinuare che esista un rapporto di causa ed effetto tra matrimonio e abusi sui minori. La percentuale molto alta di abusi tra le mura domestiche dipende semplicemente dal maggiore contatto che queste persone hanno con i bambini. Il nostro scopo era semplicemente quello di mostrare che tale rapporto non esiste neppure tra celibato e abusi.

Queste semplici riflessioni ci consentono, o almeno così sembra, di vedere le cose in modo un po' più chiaro, di accendere una luce nella notte oscura nella quale pensavamo di trovarci. Cadere nella trappola del "panico morale" creato dalla stampa è da sciocchi. I cattolici, certamente, non possono permetterselo. Dall'esame oggettivo dei fatti arriviamo quindi alle seguenti conclusioni.

1) Il problema della pedofilia, all'interno della Chiesa cattolica, esiste ed è molto grave, non tanto per la persone colpevoli di abusi (quelle possono esserci e di fatto ci sono dappertutto, anche nelle famiglie), quanto per il silenzio, l'inerzia o addirittura la connivenza di chi aveva il sacrosanto dovere di vigilare.

2) Oltre a prendere coscienza di quanto accaduto, bisogna interrogarsi sulle cause profonde del fenomeno. Gli stessi progressisti, che oggi si stracciano le vesti e fanno causa comune coi nemici della Chiesa nell'attacco al Papa, dovrebbero domandarsi perché la stragrande maggioranza degli abusi è avvenuta dopo il Concilio Vaticano II, mentre prima si registrano soltanto casi isolati, sporadici e prontamente repressi. Non sarà che esiste un rapporto di correlazione tra la mentalità secolare, la perdita d'identità del sacerdozio cattolico, lo svuotamento della dottrina, il libertinismo morale da un lato e la diffusione di pratiche sessuali tra il clero dall'altro? Non sarà che il buonismo e la mancaza di vigilanza da parte dei vescovi ha favorito l'ingresso nei seminari prima e nelle parrocchie poi di persone che prendevano l'abito solo per dare più facilmente sfogo alle proprie infime passioni? Il Papa, nella sua lettera ai fedeli irlandesi, risponde affermativamente. E il fatto che alcuni dei Vescovi più progressisti (penso a quello di Milwaukee, in America) siano proprio quelli che hanno chiuso gli occhi di fronte agli abusi dei loro sacerdoti sembra confermarlo.

3) Ma l'autocritica, doverosa in casi come questi, non deve esimere i cattolici dal constatare che la stampa si è servita di certi fatti per ordire un vergognoso attacco strumentale ai danni della Chiesa e del Papa. In che modo, l'abbiamo visto sopra. Si sono messi insieme casi avvenuti in periodi e in luoghi disparati. Si è dato l'impressione che il numero dei preti coinvolti fosse altissimo. Si è cercato di mettere in relazione la dottrina morale cattolica con la pedofilia. Ma non basta. I giornali americani sono andati ben oltre, cercando di invischiare nello scandalo anche il Sommo Pontefice, cioè la persona che, ieri e oggi, ha fatto di più per punire i colpevoli ed allontanare gli omertosi. Ha cominciato il "New York Times", giornale definito "circonciso" a causa della grande partecipazione ebraica al suo capitale societario, accusando il Papa di aver coperto un caso di pedofilia quando era Vescovo in Germania. E ha proseguito il "Washington Post" con la pubblicazione di una risposta del Card. Ratzinger, quando era prefetto della Congregregazione per la Dottrina della Fede, con cui si negava la riduzione allo stato laicale ad un sacerdote colpevole di pedofilia. Nulla di vero, ovviamente. La notizia del primo giornale era semplicemente falsa. Quanto alla seconda, il documento è autentico, ma non dimostra nulla, poiché la Santa Sede, come prassi, non consente a un sacerdote di abbandonare l'abito come e quando vuole; nel caso in esame, inoltre, l'accettazione della richiesta avrebbe consentito al colpevole di evitare il processo canonico, che invece si concluse, due anni dopo, con la sua condanna e la conseguente riduzione allo stato laicale.

A noi pare che queste riflessioni siano semplicissime. E proprio per questo troviamo strano che nessuno, tra gli addetti stampa della Santa Sede e degli organi di informazione cattolica, siano stati capaci di esporle con chiarezza ed energia. Si è preferito arrampicarsi sugli specchi, negare l'innegabile o ammettere l'inammissibile, e si è trascurato l'essenziale. Facendo in questo modo il gioco della stampa, che ora versa lacrime di coccodrillo e cerca di correggere il tiro al solo scopo di rendere più duraturi gli effetti del primo colpo.

D'altra parte, saremmo spaventosamente ingenui se non vedessimo una connivenza tra certi ambienti ecclesiastici e la stampa liberale che si è resa protagonista di questi attacchi. Se infatti la maggior parte della Chiesa, compresi alcuni elementi insospettabili, si è stretta intorno al Papa, non sono mancati coloro che hanno approfittato della situazione per unirsi al coro delle proteste e delle critiche insensate. Resta soltanto da interrogarsi sulle ragioni di tutto questo. E, a tale scopo, concludiamo con un'ultima piccola serie di riflessioni.

1) La Chiesa cattolica sta diventando o, meglio, ridiventando una pietra d'inciampo per la società moderna. Il relativismo su cui essa si fonda, infatti, può accettare qualunque sistema di pensiero, tranne la negazione del relativismo stesso. Chi sostiene l'esistenza di una verità oggettiva ed univoca che può essere conosciuta con certezza dalla mente umana è automaticamente tacciato di intolleranza, additato come integralista, messo al bando. Succede ai cattolici come agli islamici: anch'essi credono nella verità (sebbene sbaglino nell'identificarla) e non sono disposti a ridurre il fatto religioso a mera opinione privata. La società moderna non è antireligiosa, ma irreligiosa. Essa accetta tutti i culti, ma a prezzo di un sostanziale agnosticismo di fondo. Si può dire "io credo in questa religione", ma non "la mia religione, per ragioni oggettivamente valide, è quella vera", tanto meno "la vera religione non può avere lo stesso trattamento riservato alle false". Il liberalismo è la risultante politica dello scetticismo. Suo postulato fondamentale è che la realtà delle cose sia inconoscibile da parte dell'uomo: di qui il perpetuo mobilismo delle convinzioni teoretiche e morali, non legati a verità oggettiva e dimostrabile, ma all'opinione. La religione ha diritto di cittadinanza fintanto che resta entro questa prospettiva. Se pretende qualcosa di più, viene tacciata di integralismo.

2) Ora, la Chiesa cattolica rappresenta per la società moderna una cocente sconfitta: sembrava infatti che essa, dopo l'ultimo Concilio ecumenico, avesse finalmente ceduto alle istanze del liberalismo. Col pontificato di Benedetto XVI, invece, essa è tornata a riaffermare in modo chiaro la verità della propria dottrina e ad impugnare il principio di equivalenza delle opinioni. Il mondo moderno, questo, non lo può accettare. Per cui mette in atto una campagna di demonizzazione della Chiesa cattolica, volta, in ultima istanza, al suo assorbimento da parte della mentalità relativista. Si noti che in Francia i cattolici tradizionalisti sono definiti "integralisti".

3) Nei confronti di Giovanni Paolo II la stampa era molto più indulgente, sebbene anche lui abbia preso numerosi provvedimenti volti a ristabilire la retta dottrina. Perché? Perché il Papa polacco aveva un innegabile carisma mediatico, che consentiva la scorporazione tra il personaggio e ciò che diceva. Si ammirava (a parole) il Papa, ma si ignorava completamente il suo messaggio. Il prestigio (apparente) della Chiesa saliva, ma scemava la sua persistenza nella società. Questo fenomeno ha consentito alla stampa di creare un Giovanni Paolo II fittizio: liberale, progressista, favorevole ad ogni tipo di innovazione, se non fosse stato per l'opposizione della curia romana. Quando morì, ci fu chi pensò e disse che fosse favorevole all'aborto, al divorzio, alle unioni omosessuali.

4) Il Papa attualmente regnante ha saputo sottrarsi allo specchio deformatore che i giornali avevano costruito intorno al predecessore. Ha messo da parte al sua figura per dare il massimo risalto al messaggio. Di qui un poderoso ritorno dell'attenzione mediatica su temi e argomenti che da anni non veniva più toccati se non accidentalmente. Non si poteva più fingere che la Chiesa cattolica avesse di fatto abbracciato il pensiero liberale. Non si poteva più presentare il Sommo Pontefice come fautore di ciò che avrebbe dovuto combattere.

5) Tutto questo trova riscontro nella successione cronologica degli attacchi che si sono succeduti in questi anni. La stampa ha tentato, per prima cosa, di presentare Ratzinger come pedissequo continuatore della politica di Giovanni Paolo II: un Papa di transizione, al quale non bisognava dare troppo peso. Ma l'eccezionale figura di Benedetto XVI si è immediatamente liberata di questa etichetta posticcia, dimostrando, fin dal discorso seguito alla sua elezione, la sua volontà di schierarsi contro il relativismo. La stampa l'ha atteso al varco. Il primo attacco avvenne dopo il discorso di Ratisbona, nell'estate del 2006: lo scandalo era che il Papa avesse identificato nella ragione uno strumento in grado di discernere la vera dalle false religioni (nel caso specifico, l'islam), ledendo il dogma dell'agnosticismo de facto su cui si fonda la società moderna. Nel secondo attacco, sferrato nell'inverno del 2009, si dovevano far scontare al Papa due cose: il motu proprio sulla Messa tridentina e, soprattutto, la revoca della scomunica ai lefebvriani (impegnati, com'è noto, nella denuncia del liberalismo penetrato anche all'interno degli ambienti ecclesiastici). Anche in questo caso, un episodio avvenuto molto tempo prima, l'intervista al vescovo Williamson, fu riesumato ad arte per colpire la Santa Sede. Poco dopo la polemica si spostò sull'uso del preservativo da parte dei malati di AIDS, in cui non solo la morale ma anche la scienza medica furono volatilizzate per lasciare spazio alla consueta esaltazione del pensiero moderno.

Al termine della nostra riflessione, ci sembra che molte luci si siano accese e che la notte oscura nella quale pensavamo di trovarci sia un po' più chiara. Non nascondiamoci gli effetti positivi di questi attacchi: serviranno per separare meglio i cattolici veri e propri da quanti, con la maschera del cattolicesimo, sono ormai passati ad un'altra religione, quella del liberalismo. La crisi che travaglia la Chiesa di oggi non si risolve con una unità di facciata, dietro la quale si consumano le più spaventose dissidenze. Ci portiamo dietro questa situazione da cinquant'anni: crediamo sia arrivato il momento di farla finita. Ben venga, dunque, una provvidenziale separazione del grano dalla zizzania. Solo quando il campo sarà stato liberato dalle erbacce, sarà possibile riconquistare terreno.

Ci vuole quindi coraggio. Ci vuole la lucidità di vedere il disegno divino che sta dietro ad ogni evento, anche il più triste. E, tutto sommato, della persecuzione non dobbiamo affatto lamentarci: essa è il segno inequivocabile che stiamo facendo la volontà del Signore. Pensavamo forse di essere da più del nostro Maestro? "Se hanno perseguitato me (calunniandomi), perseguiteranno anche voi".

Teniamo a mente queste evangeliche parole, preghiamo incessantemente (come dice S. Paolo) e stringiamoci intorno ai nostri buoni pastori, lasciando che i morti seppelliscano i loro morti.




Caterina63
00lunedì 18 ottobre 2010 18:41

I più bravi allievi di Ratzinger sono in Sri Lanka e Kazakhstan

Sono i vescovi Ranjith e Schneider. Seguono l'esempio del papa in campo liturgico più e meglio di tanti loro colleghi in Italia e in Europa. Un test rivelatore: il modo di dare la comunione nella messa

di Sandro Magister




ROMA, 14 ottobre 2010 – Nello Sri Lanka i vescovi e i sacerdoti cattolici vestono tutti di bianco, come si può vedere nell'insolita foto qui sopra: con l'intero clero della diocesi di Colombo, la capitale, in diligente ascolto del suo arcivescovo Malcolm Ranjith, probabile nuovo cardinale nel prossimo concistoro.

Nella sua diocesi, l'arcivescovo Ranjith ha indetto uno speciale anno dell'eucaristia. E per prepararlo ha riunito tutti i suoi sacerdoti in tre dense giornate di studio a Colombo, dove ha fatto arrivare da Roma due oratori d'eccezione: il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della congregazione vaticana per il culto divino, e padre Uwe Michael Lang, membro della medesima congregazione e consultore dell'ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie.

Lang, tedesco di nascita, oratoriano, è cresciuto in Gran Bretagna alla scuola del grande Henry Newman, fatto beato da Benedetto XVI lo scorso 19 settembre a Birmingham. È autore di uno dei libri che più hanno fatto discutere negli ultimi anni, in campo liturgico: "Rivolti al Signore", nel quale sostiene che l'orientamento giusto nella preghiera liturgica è verso Cristo, sia da parte dei sacerdoti che dei fedeli. Il libro era introdotto da una prefazione partecipe di Joseph Ratzinger, scritta poco prima della sua elezione a papa.

L'arcivescovo Ranjith, che prima di tornare in Sri Lanka era segretario della congregazione vaticana per il culto divino, è stato ed è un entusiasta estimatore e propagatore della tesi del libro di Lang, oltre che persona di fiducia di Benedetto XVI. Così come lo è il cardinale Cañizares Llovera, non a caso definito in patria "il Ratzinger della Spagna". chiamato a Roma dal papa per far da guida alla Chiesa in materia liturgica, obiettivo centrale di questo pontificato.

Non solo. Per offrire ulteriori lumi ai suoi sacerdoti nelle tre giornate di studio, l'arcivescovo Ranjith ha fatto arrivare dalla Germania uno scrittore cattolico di primo piano, Martin Mosebach, anche lui autore di un libro che ha fatto molto discutere: "Eresia dell'informe. La liturgia romana e il suo nemico". E l'ha chiamato a parlare proprio sugli sbandamenti della Chiesa in campo liturgico.

Tutto questo per quale finalità? Ranjith l'ha spiegato in una lettera pastorale alla diocesi: per ravvivare la fede nella presenza reale di Cristo nell'eucaristia e per educare a esprimere tale fede in segni liturgici adeguati.

Ad esempio col celebrare la messa "rivolti al Signore", col ricevere la comunione nella bocca invece che in mano, e col riceverla in ginocchio. Insomma con quei gesti che sono tratti distintivi delle messe celebrate da papa Ratzinger.

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Ciò che colpisce, di questa come di altre notizie analoghe, è che l'azione di Benedetto XVI per ridare vitalità e dignità alla liturgia cattolica sembra meglio capita e applicata nella "periferia" della Chiesa che nel suo baricentro europeo.

Non è un mistero, ad esempio, che il canto gregoriano è oggi più vivo e diffuso in taluni paesi dell'Africa e dell'Asia che in Europa.

Tra le indicazioni date dall'arcivescovo Ranjith per l'anno eucaristico nella diocesi di Colombo c'è infatti anche quella di educare i fedeli a cantare in latino, nelle messe, il Gloria, il Credo, il Sanctus, l'Agnus Dei.

Allo stesso modo, la decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l'uso del messale antico accanto a quello moderno – per un reciproco arricchimento tra le due forme di celebrazione – pare essere compresa e applicata in Africa e in Asia meglio che in talune regioni d'Europa.

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Un'ulteriore prova di ciò riguarda il modo con cui la comunione è data ai fedeli: in mano o nella bocca, in piedi o in ginocchio.

L'esempio dato da Benedetto XVI – comunione in bocca e in ginocchio, in tutte le sue messe a partire dal Corpus Domini del 2008 – trova pochissimo seguito soprattutto in Europa, in Italia e nella stessa Roma, dove si continua quasi ovunque a dare la comunione in mano a chiunque si avvicini a chiederla, nonostante le norme liturgiche lo consentano sono in casi eccezionali.

A Palermo, dove il papa si è recato lo scorso 3 ottobre, alcuni sacerdoti del posto hanno rifiutato di mettersi in fila per ricevere la comunione da lui, pur di non sottostare a un gesto che non condividono.

Si è inoltre diffusa la diceria che nelle messe celebrate dal papa ci si inginocchia perché si è davanti a lui, e non per adorare Gesù nel santissimo sacramento. Una diceria che trova ascolto nonostante da qualche tempo diano la comunione in bocca e al fedele inginocchiato anche i cardinali e i vescovi che celebrano su mandato del papa.

Non sorprende che il servizio che www.chiesa ha dedicato a metà settembre al significato dell'inginocchiarsi in adorazione davanti a Dio e all'eucaristia abbia sollevato le proteste di vari lettori, tra i quali dei sacerdoti. L'argomento principe portato contro l'inginocchiarsi alla comunione è che la messa ha come suo modello e origine l'ultima cena, dove gli apostoli stavano seduti e mangiavano e bevevano con le loro mani.

È il medesimo argomento addotto dai neocatecumenali per giustificare il loro modo "conviviale" di celebrare la messa e di fare la comunione, al quale continuano ad attenersi grazie al permesso che le autorità della Chiesa – tra cui vantano dei sostenitori, come il sostituto segretario di stato Fernando Filoni – hanno dato loro di "ricevere la comunione in piedi restando al loro posto" (articolo 13.3 del loro statuto).

Anche qui, per trovare le parrocchie, le diocesi, i sacerdoti e i vescovi che agiscono e insegnano in piena sintonia con Benedetto XVI è più facile cercare nella "periferia" della Chiesa: ad esempio nel remoto Kazakhstan, nell'Asia centrale ex sovietica.

Lì, nella diocesi di Karaganda, i fedeli ricevono tutti la comunione in bocca e in ginocchio. E lì c'è un giovane vescovo, l'ausiliare di Karaganda Athanasius Schneider, che ha scritto sul tema un libretto splendente come una pietra preziosa, dal titolo: "Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell'Asia centrale sulla sacra comunione".

Il libretto è in due parti. La prima racconta le vite eroiche di quelle donne cattoliche che negli anni del dominio comunista portavano in segreto la comunione ai fedeli, sfidando le proibizioni. E la seconda spiega la fede che era all'origine di quell'eroismo: una fede così forte nella presenza reale di Gesù nell'eucaristia da offrire per essa la vita.

Ed è su questo sfondo che il vescovo Schneider rivisita i Padri della Chiesa e la storia della liturgia in occidente e in oriente, illuminando il nascere e il consolidarsi del modo adorante di ricevere la comunione in ginocchio e nella bocca.

Quando papa Ratzinger lesse il manoscritto del vescovo Schneider, subito ordinò alla Libreria Editrice Vaticana di pubblicarlo. Il che fu fatto, in italiano e in spagnolo, nel 2008.

L'edizione in lingua inglese del libro ha la prefazione dell'arcivescovo di Colombo, Ranjith.

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Il libro:

Athanasius Schneider, "Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell'Asia centrale sulla sacra comunione", Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008.

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Il programma delle tre giornate di studio sull'eucaristia promosse dall'arcivescovo di Colombo, Malcolm Ranjith, per i preti della sua diocesi:

> Liturgy Convention, 1st-3rd september 2010

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Il servizio di www.chiesa del 13 settembre 2010:

> Perché la comunione in ginocchio

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