card. J.Herranz "crisi della Giustizia o della Democrazia?" (ottime riflessioni)

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Caterina63
00sabato 21 novembre 2009 16:41
[SM=g1740722] pubblico dal sito Petrus questo interessante testo integrale...


Crisi della Giustizia o della Democrazia

Pubblichiamo di seguito il testo integrale del discorso pronunciato dall’Eminentissimo Signor Cardinale Juliàn Herranz in occasione della cerimonia inaugurale della VII Edizione del ‘Premio Bonifacio VIII’, avvenuta lo scorso 25 Ottobre ad Anagni.

Cogliamo l’occasione per ringraziare il Dottor Sante De Angelis, Presidente dell’Accademia Bonifaciana, per l’attenzione e l’amicizia da sempre rivolte con affetto e stima alla nostra Associazione e al nostro giornale on-line.

 

 

del Cardinale Juliàn Herranz

Ringrazio di cuore l’illustre Presidente dell’Accademia Bonifaciana, Dottor Sante De Angelis, e tutti i Membri del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico per l’immeritato conferimento che avete voluto fare alla mia persona del Premio Internazionale “Bonifacio VIII - Città di Anagni”.
Questa  mia gratitudine è motivata certamente dalla gentilezza e dalla benevolenza che così avete voluto dimostrarmi, ma anche perché - da ecclesiastico e da uomo di diritto - sono stato sempre interessato alla nobile figura del Pontefice Benedetto Cajetani, noto sì per aver celebrato il grande Giubileo del 1300, primo Anno Santo di conversione e di rinnovamento morale, ma notissimo anche nell’ambito dei rapporti tra Stato e Chiesa, tra ordine temporale e ordine spirituale, per la sua famosissima bolla Unam Sanctam del 18 novembre 1302.

Permettetemi che prenda spunto da questo atto di governo bonifaciano, che secondo il parere di molti storici segna l’apice della teologia politica medievale, per riferirmi ad un problema che in un certo modo lambisce la teologia politica ed è molto attuale oggi in Italia e in altre Nazioni: la crisi della giustizia nell’ordinamento giuridico civile in rapporto all’ordine dei valori spirituali. Si tratta di una crisi che sembra stia avvenendo non solo a causa dei frequenti conflitti di competenza ed invasioni di campo tra i tre poteri legislativo, giudiziale ed esecutivo, ma anche e forse primariamente per il  divorzio che si è instaurato progressivamente tra la morale e il diritto positivo, tra la etica e l’attività legislativa e conseguentemente giurisprudenziale ed esecutiva di governo.

Non c’è alcun dubbio che il fenomeno più positivo della moderna scienza giuridica e delle legislazioni democratiche - specie nelle Costituzioni elaborate dopo i regimi totalitari del secolo scorso - è stato lo sviluppo dottrinale e normativo sui diritti fondamentali dell’uomo, ciò che ha contribuito a mettere al centro della realtà giuridica il suo vero protagonista, che non è lo Stato ma la persona umana, con la sua inalienabile dignità e libertà.

Questo progresso normativo - evidenziato nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” del 1947 - ha rappresentato un notevole progresso giuridico, che peraltro si riallaccia alla grande tradizione del Diritto classico. È un fatto paradossale però che, dalla seconda metà del secolo scorso, stia prevalendo nelle leggi ordinarie di non pochi ordinamenti civili il principio giuridico-positivo, frutto del relativismo morale, secondo cui in una società democratica la razionalità delle leggi dipenderebbe soltanto ed unicamente da quello che la maggioranza dei voti decida che venga stabilito, permesso o proibito.

Siamo così di fronte a quella che è stata giustamente chiamata una deriva “totalitaria” della Democrazia. Sono sistemi democratici in cui –come ai tempi dell’assolutismo monarchico- si  pretende di attribuire al Legislatore, cioè al “Popolo sovrano” rappresentato nei parlamenti, un potere illimitato, assoluto: una potestà capace sia di limitare i diritti  innati ed inalienabili enunciati nella citata “Dichiarazione” dell’ONU, sia di inventarsi  i cosiddetti “nuovi diritti”, propugnati da confuse ideologie libertarie. Si tratta di ideologie e di presunti diritti contrari al bene comune della società, che le leggi devono sempre tutelare, e - come nel caso della “ideologia del genere” che propugna una assoluta uguaglianza tra l’uomo e la donna - di teorie che negano la normale e differenziata realtà biologica e caratteriale della persona-uomo e della persona-donna, nonché il grande valore sociale ed educativo del matrimonio e della famiglia come istituzioni naturali.

A ragione, parlando al mondo accademico di una nazione appena uscita dalla dittatura comunista, avvertiva Giovanni Paolo II che «Il rischio dei regimi democratici è di risolversi in un sistema di regole non sufficientemente radicate in quei valori irrinunciabili, perché fondati sull’essenza dell’uomo, che debbono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza può rinnegare senza provocare funeste conseguenze per l’uomo e per la società (...). Totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo» . Purtroppo è un fatto che in ambedue i casi - totalitarismi del passato e democrazie ammalate del presente - la razionalità delle leggi non è stata più vincolata alla corrispondenza della norma con la natura umana, con la verità oggettiva sulla dignità dell’uomo, con i valori morali oggettivi e permanenti che invece il Diritto dovrebbe difendere e tutelare, per poter ordinare rettamente i comportamenti sociali, proteggere istituzioni basilari  ed evitare il progressivo sviluppo di una società selvaggia.

Ma, illustri e cari amici, non possiamo avere una visione negativa o pessimista del futuro. È necessario reagire facendo ricorso alla ragione e alla fede. Direi che è l’ora delle intelligenze libere e serene, soprattutto nel campo della sociologia e dell’antropologia giuridica, oltre che della religione e della spiritualità.

È infatti un dato storico - basta leggere senza pregiudizi perfino il Contratto sociale di Rousseau - che la società democratica è nata da una filosofia sociale che, nonostante tutti i suoi limiti e debolezze, non metteva affatto in dubbio l’esistenza di una verità oggettiva sulla persona umana e di universali valori morali da rispettare. Democrazia era il modo di eleggere i governanti, di dettare leggi e di decidere - entro determinati limiti - i loro contenuti, di distinguere i tre poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario - e garantirne l’indipendenza, di controllare l’esercizio della funzione pubblica di governo ed assicurarne la legalità. Ma era fuori questione che questi parlamenti, questi governanti e questi giudici dovevano rispettare quel patrimonio di civiltà, di verità e di valori morali oggettivi, che era radicato o comunque si presumeva che doveva esserlo nelle coscienze dei cittadini, cristiani o non cristiani.

Anzi, il Diritto, le leggi e conseguentemente la giurisprudenza e gli atti di governo avevano anche in questo un altissimo valore pedagogico per il popolo. Purtroppo, le ideologie libertarie cui accennavamo prima, fondate sul relativismo morale, nel togliere alla democrazia il suo fondamento di principi e di valori oggettivi, hanno sfumato pericolosamente i limiti della razionalità e della legittimità delle leggi. Ciò ha indebolito profondamente l’ordinamento giuridico democratico di fronte alla tentazione di una libertà denaturalizzata: di una libertà, cioè, senza i limiti veramente liberatori della verità oggettiva sulla dignità e i diritti inalienabili dell’uomo e della donna.

La democrazia - disse Giovanni Paolo II - «non implica che tutto si possa votare, che il sistema giuridico dipenda soltanto dalla volontà della maggioranza e che non si possa pretendere la verità nella politica. Al contrario bisogna rifiutare con fermezza la tesi secondo la quale il relativismo e l’agnosticismo sarebbero la migliore base filosofica per una democrazia, visto che quest’ultima per funzionare esigerebbe da parte dei cittadini l’ammettere che sono incapaci di comprendere la verità (...) Una tale democrazia rischierebbe di trasformarsi nella peggiore delle tirannie».

E Benedetto XVI ha chiaramente denunciato nella recente enciclica ‘Caritas in veritate’: «Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l'altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell'umanità». Sono cosciente che a questo punto del nostro discorso qualcuno potrebbe obiettare, valutando le precedenti affermazioni in chiave moralista o clericale: ma non ci si accorge che parlando così si confondono pericolosamente la Morale e il Diritto? Non ci si accorge che il precetto morale si appella alla coscienza, mentre la norma giuridica riguarda invece i rapporti esterni, la condotta sociale dell’uomo? Non ci si accorge che in tutto questo ragionamento, oltre a detta commistione concettuale, traspare una certa nostalgia della cristianità medievale e del sistema politico giuridico dello Stato confessionale o teocratico, come propugnato sette secoli fa anche nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII?

Facciamo notare subito, a scanso di equivoci, un fatto solitamente tralasciato dai sostenitori dell’agnosticismo e del relativismo morale nel Diritto dello Stato aconfessionale: ad opporsi alla legislazione permissiva dell’aborto, alle leggi che liberalizzano la droga, che facilitano il dilagare della pornografia, che indeboliscono la famiglia come istituzione naturale, che permettono l’eutanasia, la manipolazione eugenetica dei geni e degli embrioni ed altri attentati contro la dignità dell’essere umano, non è soltanto il magistero della Chiesa Cattolica, ma lo sono anche le dichiarazioni più o meno formali di altre confessioni cristiane e di altre religioni (dall’Islam all’Ebraismo e non solo queste).

Anzi, vi si oppongono anche, apertamente oppure con timidezza per il timore di essere subito etichettati come di destra, non pochi rappresentanti di quella parte del mondo intellettuale che si dichiara religiosamente indifferente, ma culturalmente umanista. Agiscono così perché sanno benissimo che a opporsi a tali leggi amorali non è soltanto la ragione illuminata dalla fede, ma prima ancora quella che già i classici chiamavano la retta ragione, espressione del senso morale originale, capace di distinguere il bene del male, la verità dell’errore. Dicano quel che dicano coloro che la negano , è pure un fatto che la legge naturale - scolpita da Dio nel cuore degli uomini - è rimasta nei suoi principi sostanzialmente inalterata attraverso la storia, anzi è stata un fattore decisivo nello sviluppo civile dei popoli e delle culture. Questa legge - a cui ci si è appellati nei processi  contro i crimini nazisti e contro i crimini nell’ex-Iugoslavia - non è stata inventata dal Cristianesimo né da nessun’altra religione.

La Chiesa Cattolica si limita a ricordare che «nei suoi precetti principali essa è stata esposta nel Decalogo» e che costuisce «il fondamento necessario alla legge civile, la quale ad essa si riallaccia sia con una riflessione che trae le conseguenze dai principi della legge naturale, sia con aggiunte di natura positiva e giuridica». Comunque, non sembra consistente l’eventuale obiezione di commistione concettuale tra Morale e Diritto. Infatti, è vero che la Morale e il Diritto sono due scienze diverse, che riguardano l’uomo da prospettive e con finalità differenti.

La Morale si occupa primariamente del perfezionamento della persona umana: riguarda cioè l’insieme delle esigenze emananti dalla struttura ontologica dell’uomo, in quanto essere creato e dotato di una particolare natura, dignità e finalità.

Il Diritto, invece, si occupa primariamente dell’ordine sociale: riguarda cioè l’insieme di strutture che ordinano la comunità civile, la società.

Ma se il fatto più rilevante e positivo del progresso della scienza del Diritto dopo le catastrofi socio-politiche del secolo XX è stato proprio quello di mettere al centro della realtà giuridica il suo vero protagonista, la persona, fondamento e fine della società, è ovvio che il Diritto di una sana democrazia deve tenere conto di quale sia la struttura ontologica della persona umana: la sua natura di essere non soltanto animale e istintivo ma intelligente, libero e con una dimensione trascendente e religiosa dello spirito che non può essere ignorata, né mortificata. Altrimenti il Diritto - anche se lo si volesse chiamare progressista - sarebbe antinaturale, essenzialmente immorale, strumento di un ordinamento sociale totalitario, nonostante lo si voglia chiamare democratico.

Qui non c’è spazio - in pura onestà scientifica - per il relativismo etico (negare cioè l’esistenza di una verità oggettiva, metafisica ma anche biologica sull’uomo), come non c’è spazio (se si vuole evitare l’abbrutimento della società) per difendere la legittimità di un Diritto positivo divorziato dalla Morale. Noi, cittadini del Terzo Millennio, ci domandiamo oggi qui, nella patria di Bonifacio VIII, il grande e sofferto Pontefice della riconciliazione e della pace: che cosa fare per evitare questo suicidio giuridico - concetto simile a quello dell’aborto legale - della democrazia? È ovvio che questa domanda riguarda non soltanto i politici o i giudici, ma anche i sociologi, gli antropologi, i filosofi del diritto, anzi tutte quelle intelligenze libere e oneste che guardano non senza inquietudine il futuro dell’umanità.

Penso che la risposta non può essere che questa: bisogna recuperare l’autentico concetto di libertà personale, che non può essere separato dalla verità oggettiva (non soggettiva e relativistica) sulla persona umana; bisogna riallacciare la giustizia alla verità: alla verità sull’uomo e sulla donna; alla verità sull’inizio ed il valore della vita umana; alla verità sull’unico e possibile concetto di tolleranza e di ordine; alla verità infine sullo stesso concetto di legge, che deve sempre tutelare il bene comune della società e non “presunti diritti” personali o di gruppo di “carattere arbitrario o voluttuario”.

In una parola, alla verità sulla indisponibile dignità della persona umana e sui diritti fondamentali e istituzioni naturali che da questa dignità scaturiscono, che sono preesistenti al concetto stesso di democrazia e precedono la logica di qualsiasi ordinamento giuridico positivo e di qualsiasi potere politico costituito. Illustrissimi e cari amici: riflettendo su tutto ciò, mi permetterei di dire che l’interesse di questo Premio che benevolmente mi avete voluto conferire, come pure dell’intera attività della vostra benemerita Accademia Bonifaciana, non è soltanto di ordine sociologico e culturale - e questo è già molto! -, ma ha anche una particolare dimensione spirituale. Anzi, per noi cristiani, offre una grande possibilità di incisività intellettuale e dottrinale nella nuova Evangelizzazione di cui il mondo - più ancora di sette secoli fa - ha tanto bisogno. Perciò, non posso che concludere ringraziandovi nuovamente e chiedendo al Signore che benedica generosamente il vostro prezioso impegno culturale e il vostro lavoro.



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Caterina63
00mercoledì 14 luglio 2010 20:31
Il disegno di legge in discussione al Senato nelle prossime ore

Migliaia di argentini in piazza
per dire no alle unioni omosessuali



Buenos Aires, 14. Oltre duecentomila persone hanno manifestato martedì sera di fronte al Congresso argentino a Buenos Aires, e anche in diverse città del Paese, contro un progetto di legge che potrebbe rendere possibili i matrimoni tra persone dello stesso sesso in Argentina. Una mobilitazione storica che ha visto la partecipazione di diverse realtà del Paese.
Dopo il sì già ottenuto alla Camera dei Deputati, oggi, mercoledì, è chiamato a esprimersi in merito il Senato.

"Vogliamo un papà e una mamma", "Viva la famiglia", "Noi diciamo sì alla vera famiglia" si leggeva sui cartelli dei manifestanti, che hanno risposto a un appello della Chiesa cattolica a scendere in piazza per difendere il matrimonio tra un uomo e una donna e la famiglia. Gli organizzatori hanno sottolineato la natura pacifica della manifestazione. Uno dei momenti più commoventi è stato quando al centro della piazza è stata posta la bandiera dell'Argentina ed è stato recitato anche il Rosario.

Il presidente, Cristina Fernandez, ha promesso di non porre il veto, se il testo approvato arriverà al suo tavolo. La nuova normativa, cui si oppongono con estremo vigore la Chiesa cattolica e altri gruppi religiosi, potrebbe spianare la strada anche alle adozioni per le coppie dello stesso sesso. L'Argentina è il primo Paese sudamericano che discute una legge sulle nozze omosessuali. Al grido di "i bambini hanno diritto a una madre e a un padre", migliaia di manifestanti hanno cercato di convincere i settantadue senatori a fermare questo disegno di legge.

Martedì, le scuole e le università cattoliche sono rimaste chiuse per favorire agli studenti la partecipazione alla manifestazione.

Secondo la stampa locale, per evitare un dibattito troppo acceso che rischia di spaccare in due il Paese, è probabile che alla Camera dei Deputati si arrivi a una revisione del progetto di legge facendo una sorta di compromesso. Si tratterebbe cioè di arrivare a un consenso su unione civile, ma senza possibilità di adozione. È quest'ultimo infatti il tema più scottante, contro cui la Chiesa in Argentina si è espressa in modo deciso. I vescovi hanno ribadito più volte che "l'unione di persone dello stesso sesso non possiede elementi biologici e antropologici che sono propri del matrimonio e della famiglia. In questo tipo di unione manca la dimensione coniugale e l'apertura alla trasmissione della vita".

Un pressante invito alla partecipazione lo aveva rivolto nei giorni scorsi il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e primate d'Argentina, sottolineando l'importanza della presenza alla manifestazione di vari sindacati, organizzazioni sociali, movimenti della Chiesa e organismi laici diocesani. Su suggerimento del porporato, domenica scorsa è stata letta in tutte le chiese del Paese la dichiarazione della Conferenza episcopale argentina intitolata:  "Sul bene inalterabile del matrimonio e della famiglia".

Intanto, l'arcivescovo di Córdoba, monsignor José Carlos Ñañez, ha sospeso il sacerdote José Nicolás Alessio per la sua posizione pubblica a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso.


(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2010)
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