i Collegi ed Istituiti Gesuiti in visita dal Papa

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00venerdì 7 giugno 2013 20:22
 DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE GESTITE DAI GESUITI IN ITALIA E ALBANIA

[SM=g1740758] ATTENZIONE: questo Discorso del Papa è stato da lui sintetizzato a braccio per lasciare spazio ad un incontro a "tu per tu" con i giovani presenti, mentre si è RACCOMANDATO di distribuire il testo integrale e di meditarlo con calma....l'incontro si è concluso con l'Atto di Consacrazione dei giovani al Sacro Cuore di Gesù e la Benedizione del Papa.

Aula Paolo VI
Venerdì, 7 giugno 2013


 










Cari ragazzi, cari giovani!

sono contento di ricevervi con le vostre famiglie, gli educatori e gli amici della grande famiglia delle Scuole dei Gesuiti italiani e d’Albania. A voi tutti il mio affettuoso saluto: benvenuti! Con tutti voi mi sento veramente “in famiglia”. Ed è motivo di particolare gioia la coincidenza di questo nostro incontro con la solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Vorrei dirvi anzitutto una cosa che si riferisce a Sant’Ignazio di Loyola, il nostro fondatore. Nell’autunno del 1537, andando a Roma con il gruppo dei suoi primi compagni si chiese: se ci domanderanno chi siamo, che cosa risponderemo? Venne spontanea la risposta: «Diremo che siamo la “Compagnia di Gesù”!» (Fontes Narrativi Societatis Iesu, vol. 1, pp. 320-322). Un nome impegnativo, che voleva indicare un rapporto di strettissima amicizia, di affetto totale per Gesù di cui volevano seguire le orme. Perché vi ho raccontato questo fatto? Perché sant’Ignazio e i suoi compagni avevano capito che Gesù insegnava loro come vivere bene, come realizzare un’esistenza che abbia un senso profondo, che doni entusiasmo, gioia e speranza; avevano capito che Gesù è un grande maestro di vita e un modello di vita, e che non solamente insegnava loro, ma li invitava anche a seguirlo su questa strada.

Cari ragazzi, se adesso vi facessi la domanda: perché andate a scuola, che cosa mi rispondereste? Probabilmente ci sarebbero molte risposte secondo la sensibilità di ciascuno. Ma penso che si potrebbe riassumere il tutto dicendo che la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità.

Seguendo ciò che ci insegna sant’Ignazio, nella scuola l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù del grande e del piccolo (Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare sempre l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi? Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri. E’ importante allora curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità. La scuola non allarga solo la vostra dimensione intellettuale, ma anche umana. E penso che in modo particolare le scuole dei Gesuiti sono attente a sviluppare le virtù umane: la lealtà, il rispetto, la fedeltà, l’impegno. Vorrei fermarmi su due valori fondamentali: la libertà e il servizio. Anzitutto: siate persone libere! Che cosa voglio dire? Forse si pensa che libertà sia fare tutto ciò che si vuole; oppure avventurarsi in esperienze-limite per provare l’ebbrezza e vincere la noia. Questa non è libertà. Libertà vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è facile! Essere liberi per scegliere sempre il bene è impegnativo, ma vi renderà persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con coraggio e pazienza (parresia e ypomoné). La seconda parola è servizio. Nelle vostre scuole voi partecipate a varie attività che vi abituano a non chiudervi in voi stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo. Siate uomini e donne con gli altri e per gli altri, dei veri campioni nel servizio agli altri.

Per essere magnanimi con libertà interiore e spirito di servizio è necessaria la formazione spirituale. Cari ragazzi, cari giovani, amate sempre di più Gesù Cristo! La nostra vita è una risposta alla sua chiamata e voi sarete felici e costruirete bene la vostra vita se saprete rispondere a questa chiamata. Sentite la presenza del Signore nella vostra vita. Egli è vicino a ognuno di voi come compagno, come amico, che vi sa aiutare e comprendere, che vi incoraggia nei momenti difficili e mai vi abbandona. Nella preghiera, nel dialogo con Lui, nella lettura della Bibbia, scoprirete che Lui vi è veramente vicino. E imparate anche a leggere i segni di Dio nella vostra vita. Egli ci parla sempre, anche attraverso i fatti del nostro tempo e della nostra esistenza di ogni giorno; sta a noi ascoltarlo.

Non voglio essere troppo lungo, ma una parola specifica vorrei rivolgerla anche agli educatori: ai Gesuiti, agli insegnanti, agli operatori delle vostre scuole e ai genitori. Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore - Gesuita, insegnante, operatore, genitore - trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obiettivo di formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti ed oneste, che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società. Ai Gesuiti poi vorrei dire che è importante alimentare il loro impegno nel campo educativo. Le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della Chiesa e dell’intera società. Il campo educativo, poi, non si limita alla scuola convenzionale. Incoraggiatevi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali secondo “le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone”.

Infine un saluto a tutti gli ex-alunni presenti, ai rappresentanti delle scuole italiane della Rete di Fe y Alegria, che conosco bene per il grande lavoro che compie in Sud America, specialmente tra i ceti più poveri. E un saluto particolare alla delegazione del Collegio albanese di Scutari, che dopo i lunghi anni di repressione delle istituzioni religiose, dal 1994 ha ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi, musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici. Così la scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione.

Cari amici, vi ringrazio tutti per questo incontro. Vi affido alla materna intercessione di Maria e vi accompagno con la mia benedizione: il Signore vi è sempre vicino, vi rialza dalle cadute e vi spinge a crescere e a compiere scelte sempre più alte “con grande ánimo y liberalidad”, con magnanimità. Ad Maiorem Dei Gloriam.

 



Caterina63
00sabato 8 giugno 2013 18:53
[SM=g1740758]  la sintesi delle parole del Papa e il dialogo improvvisato.....

Cari ragazzi, cari giovani!

Io ho preparato questo discorso per dirvi… ma, sono cinque pagine! Un po’ noioso… Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al Padre Provinciale, lo darò anche al Padre Lombardi, perché tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda e possiamo fare un piccolo dialogo. Ci piace questo, o no? Sì? Bene. Andiamo su questa strada.

Primo punto di questo scritto è che nell’educazione che diamo ai Gesuiti il punto chiave è - per il nostro sviluppo di persona - la magnanimità. Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande. E questa magnanimità è importante trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le finestre all’orizzonte. Magnanimità significa camminare con Gesù, con il cuore attento a quello che Gesù ci dice. Su questa strada vorrei dire qualcosa agli educatori, agli operatori nelle scuole, e ai genitori. Educare. Nell’educare c’è un equilibrio da tenere, bilanciare bene i passi: un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio. E quando quel rischio diventa sicurezza, l’altro passo cerca un’altra zona di rischio. Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza: no. Questo è impedire che le personalità crescano. Ma neppure si può educare soltanto nella zona di rischio: questo è troppo pericoloso. Questo bilanciamento dei passi, ricordatelo bene.

Siamo arrivati all’ultima pagina. E a voi, educatori, voglio anche incoraggiarvi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone. Questo è importante, nella nostra spiritualità ignaziana: andare sempre “di più”, e non essere tranquilli con le cose convenzionali. Cercare nuove forme secondo i luoghi, i tempi e le persone. Vi incoraggio su questo.

E adesso, sono disposto a rispondere ad alcune domande che voi volete fare: i ragazzi, gli educatori. Sono a disposizione. Ho detto al Padre provinciale che mi aiuti in questo.

 ******************

Padre Provinciale: Santità, le domande non erano preparate, quindi le prende così come vengono? Ok. Per sapere, ecco…

Un ragazzo: Sono Francesco Bassani, dell’Istituto Leone XIII. Io sono un ragazzo che, come ho scritto nella mia lettera a te, Papa, che cerca di credere. Io cerco… cerco, sì, di essere fedele. Però, ho delle difficoltà. A volte mi vengono dei dubbi. E credo che questo sia assolutamente normale alla mia età. Dato che tu sei il Papa che credo avrò più a lungo nel cuore, nella mia vita, perché ti incontro nella mia fase dell’adolescenza, della crescita, ti volevo chiedere qualche parola per sostenermi in questa crescita e sostenere tutti i ragazzi come me.

Santo Padre: Camminare è un’arte, perché, se camminiamo sempre in fretta, ci stanchiamo e non possiamo arrivare alla fine, alla fine del cammino. Invece, se ci fermiamo e non camminiamo, neppure arriviamo alla fine. Camminare è proprio l’arte di guardare l’orizzonte, pensare dove io voglio andare, ma anche sopportare la stanchezza del cammino. E tante volte, il cammino è difficile, non è facile. “Io voglio restare fedele a questo cammino, ma non è facile, senti: c’è il buio, ci sono giornate di buio, anche giornate di fallimento, anche qualche giornata di caduta… uno cade, cade…”. Ma pensate sempre a questo: non avere paura dei fallimenti; non avere paura delle cadute. Nell’arte di camminare, quello che importa non è di non cadere, ma di non “rimanere caduti”. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare umanamente. Ma anche: è brutto camminare da soli, brutto e noioso. Camminare in comunità, con gli amici, con quelli che ci vogliono bene: questo ci aiuta, ci aiuta ad arrivare proprio alla meta a cui noi dobbiamo arrivare. Io non so se ho risposto alla tua domanda. Ci sei? Non avrai paura del cammino? Grazie.

Una ragazza: Allora… io sono Sofia Grattarola dell’Istituto Massimiliano Massimo. E volevo chiederLe, dato che Lei, come tutti i bambini, quando eravate alle elementari, avevate degli amici, no? E dato che quest’oggi Lei è Papa, se li vede ancora questi amici…

Santo Padre: Io sono Papa da due mesi e mezzo. I miei amici sono a 14 ore di aereo da qui, sono lontani. Ma voglio dirti una cosa: ne sono venuti tre di loro a trovarmi e a salutarmi, e li vedo e mi scrivono, e voglio loro tanto bene. Non si può vivere senza amici: questo è importante, è importante.

Una bambina [Teresa]: Ma volevi fare il Papa? Francesco, ma volevi fare il Papa?

Santo Padre: Tu sai che cosa significa che una persona non voglia tanto bene a se stessa? Una persona che vuole, che ha voglia di fare il Papa non vuole bene a se stessa. Dio non lo benedice. No, io non ho voluto fare il Papa. Sta bene? Vieni, vieni, vieni…

Una signora: Santità, noi siamo Monica e Antonella della corale degli Alunni del Cielo dell’Istituto Sociale di Torino. Volevamo chiederLe: siccome noi, che siamo stati educati alle scuole dei Gesuiti, siamo sovente invitati a riflettere sulla spiritualità di sant’Ignazio, volevamo chiederLe: nel momento in cui ha scelto la vita consacrata, che cosa l’ha spinta ad essere Gesuita piuttosto che sacerdote diocesano o di un altro ordine? Grazie.

Santo Padre: Io ho alloggiato parecchie volte al Sociale di Torino. Lo conosco bene. Quello che più mi è piaciuto della Compagnia è la missionarietà, e volevo diventare missionario. E quando studiavo filosofia, ho scritto al Generale – no, la teologia – ho scritto al Generale, che era il Padre Arrupe, perché mi mandasse, mi inviasse in Giappone o in un’altra parte. Ma lui ha pensato bene, e mi ha detto, con tanta carità: “Ma Lei ha avuto una malattia al polmone, quello non è tanto buono per un lavoro tanto forte”, e sono rimasto a Buenos Aires. Ma è stato tanto buono, il Padre Arrupe, perché non ha detto: “Ma, Lei non è tanto santo per diventare missionario”: era buono, aveva carità. E quello che mi ha dato tanta forza per diventare Gesuita è la missionarietà: andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità: andare fuori, uscire, uscire sempre per annunziare Gesù Cristo, e non rimanere un po’ chiusi nelle nostre strutture, tante volte strutture caduche. E’ quello che mi ha mosso. Grazie.

Una signora: Allora, io sono Caterina De Marchis dell’Istituto Leone XIII e mi domandavo: perché Lei – cioè tu – hai rinunciato a tutte le ricchezze di un Papa, come un appartamento lussuoso, oppure una macchina enorme, e invece sei andato in un piccolo appartamento nelle vicinanze, oppure hai preso l’autobus dei Vescovi. Come mai ha rinunciato alla ricchezza?

Santo Padre: Ma, credo che non sia soltanto una cosa di ricchezza. Per me è un problema di personalità: è questo. Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene. Questa domanda me l’ha fatta un professore: “Ma perché Lei non va ad abitare là?”. Io ho risposto: “Ma, mi senta, professore: per motivi psichiatrici”. E’ la mia personalità.
Anche l’appartamento, quello [del Palazzo Pontificio] non è tanto lussuoso, tranquilla…

Ma non posso vivere da solo, capisci? E poi, credo, che sì: i tempi ci parlano di tanta povertà nel mondo, e questo è uno scandalo. La povertà del mondo è uno scandalo. In un mondo dove ci sono tante, tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri! La povertà, oggi, è un grido. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare. Come io posso diventare un po’ più povero per assomigliare meglio a Gesù, che era il Maestro povero. Questa è la cosa. Ma non è un problema di virtù mia personale, è soltanto che io non posso vivere da solo, e anche quello della macchina, quello che tu dici: non avere tante cose e diventare un po’ più povero. E’ questo.

Un ragazzo: Io mi chiamo Eugenio Serafini, sono dell’Istituto Cei, Centro educativo ignaziano. Le volevo fare una domanda breve: ma come ha fatto quando ha deciso di diventare non Papa, ma parroco, diventare Gesuita? Come ha fatto? Non Le è stato difficile abbandonare o lasciare la famiglia, gli amici, non Le è stato difficile?

Santo Padre: Senti, sempre è difficile: sempre. Per me è stato difficile. Non è facile. Ci sono momenti belli, e Gesù ti aiuta, ti da un po’ di gioia. Ma ci sono momenti difficili, dove tu ti senti solo, ti senti arido, senza gioia interiore. Ci sono momenti oscuri, di buio interiore. Ci sono difficoltà. Ma è tanto bello seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù, che tu poi bilanci e vai avanti. E poi arrivano momenti più belli. Ma nessuno deve pensare che nella vita non ci saranno le difficoltà. Anch’io vorrei fare una domanda adesso: come pensate voi di andare avanti con le difficoltà? Non è facile. Ma dobbiamo andare avanti con forza e con fiducia nel Signore, con il Signore, tutto si può.

Una giovane: Salve, mi chiamo Federica Iaccarino e vengo dall’Istituto Pontano di Napoli. Volevo chiedere una parola per i giovani di oggi, per il futuro dei giovani di oggi, dato che l’Italia si trova in una posizione di grande difficoltà. E vorrei chiedere un aiuto per poter portarla a migliorare, un aiuto per noi, per poter portare avanti questi ragazzi, noi ragazzi.

Santo Padre: Tu dici che l’Italia è in un momento difficile. Sì, c’è una crisi. Ma io ti dirò: non solo l’Italia. Tutto il mondo, in questo momento, è in un momento in crisi. E la crisi, la crisi non è una cosa brutta. E’ vero che la crisi ci fa soffrire, ma dobbiamo – e voi giovani, principalmente – dobbiamo saper leggere la crisi. Questa crisi, cosa significa? Che cosa devo fare io per aiutare a uscire dalla crisi? La crisi che noi in questo momento stiamo vivendo è una crisi umana. Si dice: ma, è una crisi economica, è una crisi del lavoro. Sì, è vero. Ma perché? Perché questo problema del lavoro, questo problema nell’economia, sono conseguenze del grande problema umano. Quello che è in crisi è il valore della persona umana, e noi dobbiamo difendere la persona umana. In questo momento… ma, io ho raccontato questo già tre volte, ma lo farò una quarta. Ho letto, una volta, un racconto di un rabbino medievale, dell’anno 1200. Questo rabbino spiegava agli Ebrei di quel tempo la storia della Torre di Babele. Costruire la Torre di Babele non era facile: dovevano farsi i mattoni; e il mattone come si fa? Cercare il fango, la paglia, mescolarli, portarli al forno: era un grande lavoro. E dopo questo lavoro, un mattone diventava un vero tesoro! Poi portavano i mattoni in alto, per la costruzione della Torre di Babele. Se un mattone cadeva, era una tragedia; punivano l’operaio che l’aveva fatto cadere, era una tragedia! Ma se cadeva un uomo, non succedeva niente! Questa è la crisi che oggi stiamo vivendo, questa: è la crisi della persona. Oggi non conta la persona, contano i soldi, conta il denaro. E Gesù, Dio ha dato il mondo, tutto il creato, l’ha dato alla persona, all’uomo e alla donna, perché lo portassero avanti, non al denaro. E’ una crisi, la persona è in crisi perché la persona oggi - ascoltate bene, questo è vero - è schiava! E noi dobbiamo liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano. E questo è il vostro compito.

Un bambino: Ciao, sono Francesco Vin, e vengo dal Collegio Sant’Ignazio di Messina. Ti volevo chiedere se sei mai stato in Sicilia.

Santo Padre: No. Posso dire due cose. No, o ancora no.

Il bambino: Se vieni, ti aspettiamo!

Il Santo Padre: Ma ti dico una cosa: della Sicilia conosco un film bellissimo, che ho visto dieci anni fa, che si chiama Kaos, con la “k”: Kaos. E’ un film fatto su quattro racconti di Pirandello, ed è tanto bello questo film. Ho potuto guardare tutte le bellezze della Sicilia. Questa è l’unica cosa che conosco della Sicilia. Ma è bella!

Un professore: Santo Padre, sono il professor Jesús Maria Martínez… [in questo momento vi sono stati applausi, che, comunque, hanno caratterizzato vari momenti del dialogo tra il Santo Padre e i partecipanti all’udienza]

Il Santo Padre: Ma, hai tifosi!

Il professore: Sono insegnante di spagnolo perché sono spagnolo: sono di San Sebastian. Insegnante anche di religione, e posso dire che gli insegnanti, i professori, Le vogliamo tanto bene: questo è sicuro. Non parlo a nome di nessuno, ma vedendo tanti ex-allievi, anche tante personalità, e anche noi adulti, insegnanti, educati dai Gesuiti, mi interrogo sul nostro impegno politico, sociale, nella società, come adulti nelle scuole gesuitiche. Ci dica qualche parola: come il nostro impegno, il nostro lavoro oggi, in Italia, nel mondo, può essere gesuitico, può essere evangelico.

Il Santo Padre: Benissimo. Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi cristiani non possiamo “giocare da Pilato”, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo coinvolgerci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: “Ma non è facile!”. Ma neppure è facile diventare prete. Non ci sono cose facili nella vita. Non è facile, la politica si è troppo sporcata; ma io mi domando: si è sporcata, perché? Perché i cristiani non si sono coinvolti in politica con lo spirito evangelico? Con una domanda che ti lascio: è facile dire “la colpa è di quello”. Ma io, cosa faccio? E’ un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica. Ci sono altre strade: professore, per esempio, è un’altra strada. Ma l’attività politica per il bene comune è una delle strade. Questo è chiaro.

Un giovane: Padre, io mi chiamo Giacomo. In realtà, non sono da solo qui, oggi, ma porto un gran numero di ragazzi, che sono i ragazzi della Lega Missionaria Studenti. E’ un movimento un po’ trasversale, quindi un po’ da tutti i collegi abbiamo un po’ di Lega Missionaria Studenti. Dunque, Padre, innanzitutto il mio ringraziamento e quindi di tutti i ragazzi che ho sentito anche in questi giorni, perché finalmente con Lei abbiamo trovato quel messaggio di speranza che prima ci sentivamo costretti a ritrovare in giro per il mondo. Adesso, poterlo sentire a casa nostra è qualcosa che per noi è potentissimo. Soprattutto, Padre, mi permetta di dire, da un posto, da un luogo, questa luce si è accesa in questo posto in cui noi giovani incominciavamo realmente a perdere la speranza. Quindi, grazie, perché è arrivato veramente in fondo. La mia domanda è questa, Padre: noi, come Lei ben sa dalla sua esperienza, abbiamo imparato a sperimentare, a convivere con molte tipologie di povertà, che sono la povertà materiale – penso alla povertà del nostro gemellaggio in Kenya -; che sono la povertà spirituale - penso alla Romania, penso alle piaghe delle vicissitudini politiche, penso all’alcolismo. Quindi, Padre, io Le voglio chiedere: come possiamo noi giovani convivere con questa povertà? Come dobbiamo comportarci?

Il Santo Padre: Prima di tutto, vorrei dire una cosa, a tutti voi giovani: non lasciatevi rubare la speranza! Per favore, non lasciatevela rubare! E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio. Tutte queste cose ti rubano la speranza. Dove trovo la speranza? In Gesù povero, Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza, per avere anch’io più speranza. Questo sembra un po’ difficile da capire, ma ricordo che Padre Arrupe, una volta, ha scritto una lettera buona ai Centri di ricerche sociali, ai Centri sociali della Compagnia. Lui parlava di come si deve studiare il problema sociale. Ma alla fine ci diceva, diceva a tutti noi: “Guardate, non si può parlare di povertà senza avere l’esperienza con i poveri”. Tu hai parlato del gemellaggio con il Kenya: l’esperienza con i poveri. Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andare, guardare laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che, alla fine, ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra i due. Grazie.

Adesso do a tutti, a tutti voi, alle vostre famiglie, a tutti, la Benedizione del Signore.




Caterina63
00giovedì 30 aprile 2015 20:14

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
ALLA COMUNITÀ DI VITA CRISTIANA (CVX) - LEGA MISSIONARIA STUDENTI D'ITALIA

Aula Paolo VI
Giovedì, 30 aprile 2015

[Multimedia]



 

DISCORSO PREPARATO DAL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, che rappresentate la Comunità di Vita Cristiana d’Italia, e gli esponenti dei vari gruppi di spiritualità ignaziana, vicini alla vostra tradizione formativa e impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Un saluto particolare agli alunni ed ex-alunni dell’Istituto “Massimo” di Roma, come pure alle rappresentanze di altre scuole dirette dai Gesuiti in Italia.

Conosco bene la vostra Associazione per esserne stato assistente nazionale in Argentina, alla fine degli anni settanta. Le vostre radici affondano nelle Congregazioni Mariane, che risalgono alla prima generazione dei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Si tratta di un lungo percorso nel quale l’Associazione si è distinta in tutto il mondo per l’intensa vita spirituale e lo zelo apostolico dei suoi membri, e anticipando, per certi versi, i dettami del Concilio Vaticano II circa il ruolo e il servizio dei fedeli laici nella Chiesa. Nel solco di questa prospettiva, avete scelto il tema del vostro Convegno, che ha come titolo “Oltre i muri”.

Oggi vorrei offrirvi alcune linee per il vostro cammino spirituale e comunitario.

La prima: l’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alle gente che si identifica nella politica. Essa, come affermava il beato Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza.

Come seconda priorità apostolica vi indico la pastorale familiare, nel solco degli approfondimenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa.

La terza linea che vi suggerisco è la missionarietà. Ho appreso con piacere che avete avviato un cammino comune con la Lega Missionaria Studenti, che vi ha proiettato sulle strade del mondo, nell’incontro con i più poveri e con le comunità che più necessitano di operatori pastorali. Vi incoraggio a mantenere questa capacità di uscire e di andare verso le frontiere dell’umanità più bisognosa. Oggi avete invitato delegazioni di membri delle vostre comunità presenti nei Paesi dei vostri gemellaggi, specie in Siria e Libano: popoli martoriati da terribili guerre; ad essi rinnovo il mio affetto e la mia solidarietà. Queste popolazioni stanno sperimentando l’ora della croce, pertanto facciamo sentire loro l’amore, la vicinanza e il sostegno di tutta la Chiesa. Il vostro legame solidale con esse, confermi la vostra vocazione a tessere ovunque ponti di pace.

Il vostro stile di fraternità, che vi sta impegnando anche in progetti di accoglienza dei migranti in Sicilia, vi renda generosi nell’educazione dei giovani, sia all’interno della vostra associazione, sia nell’ambito delle scuole. Sant’Ignazio capì che per rinnovare la società bisognava partire dai giovani e stimolò l’apertura dei collegi. E in essi nacquero le prime Congregazioni Mariane. Sulla scia luminosa e feconda di questo stile apostolico, anche voi potete essere attivi nell’animazione delle varie istituzioni educative, cattoliche e statali, presenti in Italia, così come già avviene in tante parti del mondo. Alla base di questa vostra azione pastorale ci sia sempre la gioia della testimonianza evangelica, unita alla delicatezza dell’approccio e al rispetto dell’altro.

La Vergine Maria, che col suo “si” ispirò i vostri fondatori, vi conceda di rispondere senza riserve alla vocazione di essere “luce e sale” negli ambienti nei quali vivete e operate. Vi accompagni anche la mia benedizione che di cuore imparto a voi tutti e ai vostri familiari. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

 
   il Papa ha però parlato a braccio rispondendo ad alcune domande,

Un cattolico “deve” fare politica servendo con coraggio il bene comune, senza lasciarsi tentare dalla corruzione. Al contrario, non serve fare un partito di soli cattolici.

È la posizione espressa da Papa Francesco durante l’incontro avuto con gli appartenenti alle Comunità di vita cristiana e alla Lega Missionaria Studenti, organismi della famiglia dei Gesuiti. In un Aula Paolo VI gremita, il Papa ha risposto alle domande dei giovani toccando molti temi della vita sociale ed ecclesiale. Il sevizio di Alessandro De Carolis:

La politica è la forma alta di carità, disse Paolo VI, ma lo sguardo di tanta politica nell’era globalizzata è decisamente più terreno, funziona con il “dio denaro” messo “al centro” e intorno la galassia dei suoi molti lacchè.
La schiettezza è una delle qualità tra le più amate di Francesco e le risposte generose e universali alle domande emozionate e specifiche dei giovani della famiglia ignaziana che lo ascoltano e spesso lo applaudono – un’ora tra le più intense del Pontificato – sono un compendio che descrive mirabilmente il senso dell’uomo e della Chiesa del Papa delle periferie.

La Chiesa non è un partito
A fare il giro del mondo nel tempo di un tweet è in particolare l’ultima risposta alla domanda di Gianni, trentenne impegnato nel volontariato e in politica che chiede aiuto al Papa per spiegare ai più giovani che la ricerca del “bene privato” nello spazio del “bene comune” è l’abiezione della politica:

“Si sente: ‘Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!’: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. 'No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici': non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato (…) Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere”.

Sono “più peccatore” di lui
Francesco risponde a braccio e ampiamente – le due pagine del discorso ufficiale messe via per non annoiare. Avverte che anche per il Papa esiste il “pericolo” di credere di poter rispondere a tutto – mentre l’unico che può, afferma, è il Signore – e la prima risposta è una spallata all’ipocrisia ammantata di buoni sentimenti che annida anche fra i cristiani. Si parla di carcere – “una delle periferie più brutte”, dice – e della solidarietà verso i detenuti. In modo spiazzante Francesco invita tutti a riconoscere che se non si è finiti in cella non è per bravura personale, ma solo perché “il Signore ci ha presi per mano”:

“Non si può entrare in carcere con lo spirito di ‘ma, io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore’. No, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo (...) Quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio”.

La carità dei gesti
E profondamente cristiano è il suggerimento su quali parole rivolgere a un detenuto:

“Non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. ‘Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo’, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore”.

La speranza non delude
Tiziana, una ragazza, gli domanda come faccia un giovane a sperare oggi e Francesco concorda con lei che quella ricavata da una vita in disparte, “comoda, tranquilla” è una speranza da “laboratorio”. Diverso è per chi vuole impegnarsi in politica, in un campo professionale, e finisce per imbattersi nella corruzione, scopre che i lavori “che sono per servire – nota Francesco – diventano affari”. O intende impegnarsi nella Chiesa e fa anche lì l’esperienza della “sporcizia”, come affermato una volta da Benedetto XVI:

“Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? (…) Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – di questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo”.

Sana inquietudine
La speranza è “la virtù degli umili”, afferma Francesco, perché molto piccoli bisogna farsi per non alzare un’ombra col proprio orgoglio verso Dio. E una speranza umile può essere meglio testimoniata a patto di imparare a servire gli altri, attitudine che ha bisogno di grande sensibilità. Come si aiutano i bambini affamati, si chiede il Papa? O quelli che se “li accarezzi ti danno uno schiaffo” perché a casa vedono il papà che picchia la mamma? La risposta è: rispettando sempre la dignità degli altri. E soprattutto non limitandosi a un gesto superficiale tanto per sentirsi in pace:

“Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale (…) e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: ‘Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire'. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio…’. Quella sana inquietudine dello Spirito Santo”.

Conosci Gesù se tocchi le sue piaghe
La risposta a Bartolo, sacerdote diocesano, è invece una spiegazione dell’anima di Sant’Ignazio e di dove risiedano le corde più profonde del carisma dei Gesuiti e di chi li affianca:

“La spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un 'Dio-spray', un Dio diffuso, un Dio all’aria (…) Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite”.

(Da Radio Vaticana)



DOMANDE DI ALCUNI MEMBRI DEL MOVIMENTO E RISPOSTE A BRACCIO DEL SANTO PADRE

 

Paola:

Santo Padre – non è un modo di dire – sono Paola. Presto servizio al carcere di Arghillà, Reggio Calabria. Lì incontro molta sofferenza e tutte le contraddizioni del nostro mondo. Le chiediamo una luce. Tra di noi, in questi ambienti, è facile parlare di speranza, è una parola che ci è familiare; ma come farlo con un ergastolano? Con un uomo che è definito “fine-pena-mai”? E poi volevo chiederle anche come affinare la nostra coscienza, in maniera tale che stare insieme a chi soffre non sia per noi una semplice beneficenza, ma riesca a convertire il nostro cuore, profondamente, e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto? Grazie, Santo Padre, perché fa sentire ciascuno di noi, in qualunque condizione ci troviamo, un figlio amato.

Papa Francesco:

Paola, qui ho scritte le tue due domande – sono due! Tu sai che a me piace dire – è un modo di dire, ma è la verità del Vangelo – che dobbiamo uscire e andare fino alle periferie. Uscire anche per andare alla periferia della trascendenza divina nella preghiera, ma sempre uscire. Il carcere è una delle periferie più brutte, con più dolore.
Andare in carcere significa prima di tutto dire a sé stesso: “Se io non sono qui, come questa, come questo, è per pura grazia di Dio”. Pura grazia di Dio. Se noi non siamo scivolati in questi sbagli, anche in questi reati o crimini, alcuni forti, è perché il Signore ci ha tenuto per mano. Non si può entrare in carcere con lo spirito di “io vengo qui a parlarti di Dio, perché, abbi pazienza, tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore…”. No, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo. Nel carcere uno può dirlo con tanto coraggio; ma dobbiamo dirlo sempre.
Quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce, o che fa una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio. Questa è una condizione indispensabile. Noi non possiamo andare nelle periferie senza questa coscienza. Paolo, Paolo aveva questa coscienza. Lui dice di sé stesso che è il più grande peccatore. Dice anche una parola bruttissima di sé stesso: “Io sono un aborto” (cfr 1 Cor 15,8). Ma questo è nella Bibbia, è la Parola di Dio, ispirata dallo Spirito Santo! Non è fare la faccia da immaginetta come dicono dei santi.
I santi si sentivano peccatori perché avevano capito questo! E la grazia del Signore ci sostiene. Se tu, se io, se ognuno di voi non ha questo non potrà prendere il mandato di Gesù, la missione di Gesù: “Andate fino ai confini del mondo, a tutte le nazioni, nelle periferie” (cfr Mt 28,20). E chi sono quelli che sono stati incapaci di ricevere questo?
Le persone chiuse, i dottori, quei dottori della legge, quella gente chiusa che non ha accettato Gesù, non ha accettato il suo messaggio di uscire. Sembravano giusti, sembravano gente di Chiesa, ma Gesù dice loro una parola non tanto bella: “Ipocriti”.
Così li chiama Gesù. E per farci capire come sono loro, la fotografia che Gesù fa di loro è: “Voi siete sepolcri imbiancati” (cfr Mt 23,27). Chi è chiuso, non può ricevere, è incapace di ricevere questo coraggio dello Spirito Santo, e rimane chiuso e non può andare in periferia. Tu chiedi al Signore di rimanere aperta alla voce dello Spirito, per andare in quella periferia. Poi domani, forse, ti chiederà di andare in un’altra, tu non lo sai… Ma sempre è il Signore che ci invia. E nel carcere dire sempre questo, anche con tante persone che soffrono: perché questa persona soffre e io no? Perché questa persona non conosce Dio, non ha speranza nella vita eterna, pensa che tutto finisce qua, e io no? Perché questa persona viene accusata nei tribunali perché è corrotta, per quest’altro…, e io no? Per la grazia del Signore! Questa è la più bella preparazione per andare nelle periferie.

Poi, tu dici: “Di quale speranza io parlo, con questa gente in carcere?”. Tanti sono condannati a morte… No, in Italia, non c’è la pena di morte, ma un ergastolano… L’ergastolo è una condanna a morte, perché si sa che di lì non si esce. E’ duro. Cosa dico a quell’uomo? Cosa dico a quella donna? Forse… non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei… Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Tante volte noi non possiamo dire niente, niente, perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. “Tu sei un ergastolano, qui, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo”. Quel condividere con l’amore, niente di più. Questo è seminare l’amore.

E poi metti il dito nella piaga: “Come affinare la nostra coscienza, perché stare insieme a chi soffre non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto?”. La beneficienza è uno scalino: Tu hai fame? – Sì – Ti do da mangiare, oggi. La beneficienza è il primo passo verso la promozione. E questo non è facile. Come promuovere i bambini affamati? Come promuovere… Parliamo di bambini, adesso: come promuovere i bambini senza educazione? Come promuovere i bambini che non sanno ridere e che se tu li accarezzi ti danno uno schiaffo, perché a casa loro vedono che il papà dà schiaffi alla mamma? Come promuovere? Come promuovere la gente che ha perso il lavoro, come accompagnare e promuovere, fare strada con loro? Con chi ha bisogno del lavoro, perché senza il lavoro una persona si sente senza dignità. Sì, sta bene, tu gli porti da mangiare. Ma la dignità è che lui, lei, portino da mangiare a casa: questo dà dignità! E’ la promozione - il presidente ne ha parlato [si riferisce al presidente delle CVX che ha parlato prima]: tante cose che voi fate… Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale – non dico la beneficienza per uscire dalle difficoltà più gravi –, tra la beneficienza abituale e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: “Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire”. La promozione ti inquieta l’anima: “Devo fare di più… E domani questo, e dopodomani quello, e cosa faccio…”. Quella sana inquietudine dello Spirito Santo.

Questo è quello che mi viene di dirti. Che questo non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore. E questa inquietudine che ti dà lo Spirito Santo per trovare strade per aiutare, promuovere i fratelli e le sorelle, questo ti unisce a Gesù Cristo: questo è penitenza, questo è croce, ma questo è gioia. Una gioia grande, grande, grande che ti dà lo Spirito quando dai questo. Non so se ti aiuta, quello che ti ho detto… Perché, quando mi fanno queste domande, il pericolo – anche il pericolo del Papa – è credere che possa rispondere a tutte le domande … Ma l’unico che può rispondere a tutte le domande è il Signore. Il mio lavoro è semplicemente ascoltare e dire quello che mi viene da dentro. Ma molto insufficiente e molto poco.

Tiziana:

Santo Padre, sono Tiziana e vengo da Cagliari. Mi sento emozionata e felice: stare davanti a Lei è realizzare un sogno che ho avuto fin da bambina. Faccio parte della Comunità di Vita Cristiana e della Lega Missionaria Studenti, attraverso cui ho avuto il privilegio di vivere meravigliose esperienze di comunione e servizio. Però, oggi, parlando con il cuore in mano Le confido che la speranza a volte la perdo. A volte la mia fragilità è la stessa di tanti giovani. Aiuti me e tutti noi a capire che Dio non ci abbandona mai, che noi giovani possiamo ancora sognare in mezzo a chi vuole toglierci questo dono.

Papa Francesco:

Ai giovani mi piace dire: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Ma la tua domanda va oltre: “Ma di che speranza mi parla, Padre?”. Alcuni possono pensare che la speranza sia avere una vita comoda, una vita tranquilla, raggiungere qualcosa… E’ una speranza controllata, una speranza che può andare bene in laboratorio. Ma se tu stai nella vita e lavori nella vita, con tanti problemi, con tanto scetticismo che ti offre la vita, con tanti fallimenti, “di che speranza mi parla, Padre?”. Sì, io posso dirti: “Ma tutti andremo in Cielo”. Sì, è vero. Il Signore è buono. Ma io voglio un mondo migliore, e sono fragile, e non vedo come questo si possa fare.
Io voglio “immischiarmi”, per esempio nel lavoro della politica, o della medicina… Ma alcune volte trovo corruzione, lì, e lavori che sono per servire diventano affari. Io voglio “immischiarmi” nella Chiesa, e anche lì il diavolo semina corruzione e tante volte c’è… Io ricordo quella Via Crucis di Papa Benedetto XVI, quando ci invitava a cacciare via le sporcizie della Chiesa… Anche nella Chiesa c’è corruzione. Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può… Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi?
Oggi, all’inizio della Messa, c’era un versetto di un salmo molto bello, molto bello: “Quando Tu, Signore, camminavi in mezzo al tuo popolo, quando Tu lottavi con noi, la Terra tremava e i Cieli stillavano” (cfr Sal 68,8-9.20).
Sì. Ma non sempre si vede, questo. Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – ne sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro –: Dio cammina con il suo popolo. Dio mai abbandona il suo popolo. Lui è il pastore del suo popolo. Ma quando io faccio un peccato, quando io faccio uno sbaglio, quando io faccio una cosa ingiusta, quando io vedo tante cose, io domando: “Signore, dove sei? Dove stai?”. Oggi, tanti innocenti che muoiono: dove stai, Signore? E’ possibile fare qualcosa? La speranza è una delle virtù più difficili da capire, e alcuni grandi – penso che sia stato Péguy, uno di quelli che dicevano che è la più umile delle virtù, la speranza, perché è la virtù degli umili. Ma bisogna abbassarsi tanto perché il Signore ce la doni, perché il Signore ce la dia. E’ lui che ci sostiene.
Ma dimmi: che speranza può avere, dal punto di vista naturale, pensiamo a un ospedale: una suora che da 40 anni è nel reparto di malattie terminali, e ogni giorno uno, l’altro, l’altro, l’altro… Sì, credo in Dio, ma l’amore che dà quella donna sempre finisce, finisce, finisce… e a un certo punto quella donna può dire a Dio: “Ma questo è il mondo che Tu hai fatto? Si può sperare qualcosa da Te?”. La tentazione, quando noi siamo nelle difficoltà, quando noi vediamo le brutalità che succedono nel mondo, la speranza sembra cadere. Ma nel cuore umile rimane. E’ difficile capire questo perché la tua domanda è molto profonda. Come non lasciare la lotta e fare la dolce vita, così, senza speranza, è più facile… Il servizio è lavoro da umili, oggi l’abbiamo sentito nel Vangelo. Gesù è venuto per servire, non per essere servito. E la speranza è virtù degli umili. Credo che questa può essere la strada. Ti dico con sincerità: non mi viene di dirti un’altra cosa. Umiltà e servizio: queste due cose custodiscono la piccola speranza, la virtù più umile, ma quella che ti dà la vita.


Bartolo
:

Carissimo Santo Padre, mi chiamo Bartolo e sono sacerdote diocesano da nove anni. Attualmente la missione affidatami è quella di formatore di seminaristi e docente presso il Seminario campano interregionale di Napoli, retto dai Padri Gesuiti; luogo in cui tante volte si danno molte cose per scontate: la formazione in genere … Da circa dieci anni collaboro con padre Massimo Nevola nell’animazione dei campi missionari, in particolare a Cuba, proposti a giovani adulti della Lega Missionaria Studenti. Attraverso queste esperienze ho toccato con mano le ferite del Signore nella povertà degli uomini del nostro tempo, che mi hanno messo in crisi e mi hanno spinto a cercare di più il Suo volto. E questo ha rafforzato molto la mia vocazione presbiterale, che sento sempre più come un dono per tutta l’umanità e la Chiesa. Le volevo chiedere, vista anche la presenza di tante parrocchie: che apporto specifico può offrire un movimento di ispirazione ignaziana, quale la Cvx, per la formazione cristiana di operatori pastorali, e la Lega missionaria studenti per il coinvolgimento e l’educazione alla mondialità di giovani? Grazie.

Papa Francesco:

Il presidente ha fatto memoria di un motto ignaziano: “contemplativo nell’azione”. Essere contemplativo nell’azione non è camminare nella vita guardando il cielo, perché cadrai in una buca, di sicuro!… Bisogna capire cosa significa questa contemplazione. Tu hai detto una cosa, una parola che mi ha colpito: ho toccato con mano le ferite del Signore nelle povertà degli uomini del nostro tempo. E questa credo che sia una delle migliori medicine per una malattia che ci colpisce tanto, che è l’indifferenza. Anche lo scetticismo: credere che non si possa fare niente.
Il patrono degli indifferenti e degli scettici è Tommaso: Tommaso ha dovuto toccare le ferite. C’è un bellissimo discorso, una bellissima meditazione di san Bernardo sulle piaghe del Signore. Tu sei prete, puoi trovarla nella terza settimana di Quaresima, nell’Ufficio delle Letture, non ricordo in che giorno. Entrare nelle ferite del Signore: noi serviamo un Signore piagato d’amore; le mani del nostro Dio sono mani piagate di amore.
Essere capaci di entrare lì… E ancora Bernardo continua: “Sii fiducioso: entra nella ferita del suo fianco e contemplerai l’amore di quel cuore”. Le ferite dell’umanità, se tu ti avvicini lì, se tu tocchi – e questa è dottrina cattolica – tocchi il Signore ferito.
Questo lo troverai in Matteo 25, non sono eretico dicendo questo. Quando tu tocchi le ferite del Signore, tu capisci un po’ di più il mistero di Cristo, di Dio incarnato. Questo è proprio il messaggio di Ignazio, nella spiritualità: una spiritualità dove al centro è Gesù Cristo, non le istituzioni, non le persone, no. Gesù Cristo. Ma Cristo incarnato!
E quando tu fai gli Esercizi spirituali, lui ti dice che vedendo il Signore che soffre, le ferite del Signore, sforzati di piangere, di sentire dolore. E la spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi… è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un “Dio-spray”, un Dio diffuso, un Dio etereo… Ignazio voleva che tu incontrassi Gesù Cristo, il Signore, che ti ama e ha dato la sua vita per te, ferito per il tuo peccato, per il mio peccato, per tutti… E le ferite del Signore sono dappertutto.
In questo che tu hai detto c’è proprio la chiave. Noi possiamo parlare tanto di teologia, tanto… cose buone, parlare di Dio… ma la strada è che tu sia capace di contemplare Gesù Cristo, leggere il Vangelo, cosa ha fatto Gesù Cristo: è Lui, il Signore! E innamorarti di Gesù Cristo e dire a Gesù Cristo che ti scelga per seguirlo, per essere come Lui.
E questo si fa con la preghiera e anche toccando le ferite del Signore. Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite. Lui è stato ferito per noi. Questa è la strada, è la strada che offre la spiritualità ignaziana a tutti noi: il cammino…
E vado anche un po’ oltre: tu sei formatore di futuri sacerdoti. Per favore, se tu vedi un ragazzo intelligente, bravo, ma che non ha questa esperienza di toccare il Signore, di abbracciare il Signore, di amare il Signore ferito, consigliagli di andarsene a prendere una bella vacanza di uno o due anni… e gli farai del bene. “Ma, Padre, noi siamo pochi sacerdoti: ne abbiamo bisogno…”. Per favore, che l’illusione della quantità non ci inganni e ci faccia perdere di vista la qualità! Abbiamo bisogno di sacerdoti che preghino. Ma che preghino Gesù Cristo, che sfidino Gesù Cristo per il loro popolo, come Mosè che aveva la faccia tosta per sfidare Dio e salvare il popolo che Dio voleva distruggere, con quel coraggio davanti a Dio; sacerdoti che abbiano anche il coraggio di soffrire, di portare la solitudine e dare tanto amore. Anche per loro vale quel discorso di Bernardo sulle piaghe del Signore. Capito? Grazie.


Gianni
:

Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla CVX dell’Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno – specialmente chi è più giovane tra noi – comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera. Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie.

Papa Francesco:

Credo che a questa domanda che tu hai fatto risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui, no, non l’ho visto… - Lui è stato uno bravo! Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma si sente dire: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”. Questa non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma… un partito solo dei cattolici”. Non serve, e non avrà capacità di coinvolgere, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. “Ma Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto… alla fine tu non puoi andare avanti…”. Cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco… ma si fa.
Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche che hanno favorito la pace tra le Nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione.
Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominarne più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore; ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e vai avanti!”. Ma fare, fare…

E lottare per una società più giusta e solidale. Qual è la soluzione che oggi ci offre questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l’uomo e la donna, no. Il denaro. Il dio denaro.
Questo al centro. Tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo ciò che non serve al dio denaro si scarta. E ciò che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta. Si scartano i bambini, perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere. Si scartano gli anziani, perché… gli anziani non servono… Ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti! Ma servono momentaneamente. Si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù – non voglio sbagliare, correggimi – il 40-41% è senza lavoro. Si scarta… Ma questo è il cammino della distruzione. Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Da’ il meglio di te. Se il Signore ti chiama a quella vocazione, va’ lì, fai politica. Ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Scarta anche il creato, perché il creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quella parola del beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. Non so se ho risposto…

Io avevo scritto un discorso… forse noioso, come tutti i discorsi; ma lo consegnerò, perché ho preferito questo dialogo…

[Poi il Papa recita con tutta l’Assemblea una Preghiera alla Madonna della Strada.]

E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.


Caterina63
00sabato 8 agosto 2015 15:52

INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
CON IL MOVIMENTO EUCARISTICO GIOVANILE (MEG)

Aula Paolo VI
Venerdì, 7 agosto 2015

[Multimedia]




 

MAGAT DIOP (ITALIA)

Mi chiamo Magat sono nata a Pescara da genitori senegalesi. Non sono ancora stata battezzata, ma ho comunque incontrato il Signore negli occhi di mia madre e mio padre che a sei mesi mi presero in affido.

Credevo di essere stata abbandonata perché ero una bambina. Crescendo invece ho scoperto di essere stata data in affido perché mi fosse garantito un futuro migliore.

Oggi è il mio compleanno, compio 18 anni. Ho aspettato tanto questo giorno. Il mio battesimo è sempre più vicino. Sono felice.

Il MEG è stato fondamentale. Mi ha aiutato molto. Sento che è il luogo dove conta ciò che sono e non tanto i beni che possiedo; è il luogo dove ho potuto vivere esperienze stupende e conoscere persone meravigliose. Sento che il MEG è la mia casa, capace di farmi sentire parte di una terra che per legge ancora non mi appartiene. Il MEG è la mia Terra!

Domanda: La famiglia è il luogo dove noi giovani viviamo l’amore gratuito, ma spesso è anche il luogo dove facciamo esperienza di forti tensioni e lotte tra due generazioni che sembrano non potersi incontrare. Quali passi possiamo fare noi, e quali i nostri genitori, per poter vivere pienamente la famiglia nel nostro tempo?

GREGORIUS - INDONESIA (parla in indonesiano)

Mi chiamo Gregorius, indonesiano e studente della Scuola Superiore Canisio di Giacarta. Sono anche chierichetto nella mia parrocchia dal 2010.

La prima volta che sono arrivato nella mia scuola ho incontrato molti ragazzi in gamba. Ma pensavo: davvero il diploma è l’unica cosa che fa di un giovani una “persona”? Successivamente sono stato impegnato in attività artistiche e sportive fino a quando sono stato candidato al consiglio studentesco. Questa è stata per me una sfida. La formazione è stata talmente dura che sentivo che non ce l’avrei fatta. E una volta nominato ero così spaventato dalle responsabilità che ho fatto molti errori. Poi, però, un docente mi disse che come giovane non dovevo aver paura di esplorare, di essere creativo. E ciò mi ha dato coraggio.

Come chierichetto in parrocchia ho imparato che senza motivazione e senza la chiamata interiore al servizio, non avrei potuto essere un buon chierichetto. E che non ero niente senza Dio. È questo ciò che ci rende speciali.

Domanda: L’Indonesia è un paese con grandi diversità culturali, religiose ed etniche. I cattolici sono una minoranza e, a causa di tale pluralità a cui si aggiunge il pregiudizio politico, la pace è sempre a rischio. Quale è la speranza che il Santo Padre ripone nella gioventù cattolica nel contesto di una comunità così pluralista e diversificata?

ANA CAROLINA SANTOS CRUZ (BRAZIL)

Meu nome é Ana Carolina, tenho 19 anos, sou brasileira, nascida em São Paulo.

Caríssimo Papa Francisco,

É com grande alegria que estou presente nesta comemoração de 100 anos de história. Sou mejista há 8 anos, comecei a participar do MEJ, na Paróquia São Geraldo das Perdizes, em São Paulo. Com apenas 11 anos de idade já participava de algumas pastorais com tanto gosto em estar na Igreja e ser igreja, e poder dizer sim ao Sagrado Coração de Jesus. Em 2013, por motivos de força maior saí de algumas pastorais, ficando somente no MEJ. No início senti um vazio por deixar tantos outros trabalhos da Igreja, mas Jesus veio e abriu diversas portas e uma delas foi ser Coordenadora Arquidiocesana de São Paulo, e hoje estou aqui contando à Vossa Santidade um pouco da minha história. Agradeço imensamente esta oportunidade e a todas as pessoas envolvidas na minha vida.

Domanda: Qual foi o maior desafio ou dificuldade que o senhor Papa enfrentou na Missão como religioso?

PIN JU - TAIWAN (parla in cinese)

Sono Pin Ju, di Taiwan. Sono nata da famiglia cattolica, Sono molto orgogliosa della mia fede, nonostante la percentuale di popolazione cattolica taiwanese sia meno dell’1,3% di quella totale. Come membro del MEG penso sempre a che cosa posso fare per la mia fede. Quando ero una studentessa universitaria, ho organizzato un gruppo musicale per cantare canzoni che piacessero ai giovani. Ora lavoro come marketing manager e canto in una band. La gioventù taiwanese gradualmente si sta impegnando perché sempre più persone riconoscano l’amore di Gesù. La nostra band vuole anche condividere la bellezza di Dio e il suo amore con altre persone. Dopo lunghi sforzi, il nostro album sarà pubblicato in questo mese di agosto. Vogliamo anche incoraggiare le persone a trovare la propria strada per testimoniare intorno a sé l’amore di Dio. Fallo e basta. Nel Suo amore possiamo tutto.

Domanda: Quale è stato il momento di gioia più grande dopo essere diventato Papa? Vede dei segnali reali di gioia nella Chiesa e nel mondo per questo ventunesimo secolo?

LOUISE COURANT (FRANCE)

Je m’appelle Louise, j’ai 24 ans et je viens de France. Cela fait un an que j’ai commencé à travailler au Ministère de la Culture et en parallèle je fais beaucoup de musique. La musique a une part importante dans ma vie mais également dans l’histoire de ma foi. Elle m’a fait découvrir le MEJ d’abord à travers ses chants. J’ai animé des camps de jeunes puis j’ai intégré une équipe MAGIS il y a 3 ans. Le slogan du MEJ « un tremplin pour la vie, un élan pour la foi » résume ce que je vis aujourd’hui. Jésus est présent dans ma vie comme un chemin et je cherche à le connaître davantage. Le MEJ et MAGIS sont très importants pour moi car ils m’aident à me sentir membre d’une communauté et j’ai pu y découvrir l’importance de la relecture, du service et de la prière.

Domanda : Dans l’Evangile Jésus nous dit : « Vous êtes mes amis si vous faites ce que je vous commande ». Mais dans cette relation d’amitié doit-t-on aussi attendre en retour une manifestation de sa présence ?

AGUSTÍN ASCHOFF (ARGENTINA)

Mi nombre es Agustin Aschoff. Vivo en villa Cura Brochero, Córdoba (Argentina). Es un pueblo chiquito pero con una fe inmensa que espera la pronta canonización de Beato Cura Brochero. En mi familia somos 4 integrantes. Mi madre, Miriam Rosel, mi papá Arturo Aschoff y mi hermano mayor Matias Aschoff. Curso el 5to Año del Instituto técnico Cristo Obrero y participo del MEJ desde hace 4 años. En el MEJ aprendí a misionar. Me gusta conocer a las personas y compartir con ellas la fe. Cada vez que voy a misionar siento que tengo que poner el corazón más cerca de Jesús para poder acercarme más a los demás. Para mí el MEJ es un estilo de vida. Me cambió la vida y estaré para lo que Dios necesite porque Él estuvo conmigo. 

Domanda: Papa Francisco, qué le diría a los jóvenes para que descubran la profundidad de la Eucaristía?

 

Papa Francesco:

Grazie tante per le domande.

Ci sono due parole, all’inizio delle domande, che mi hanno colpito, e sono parole che si vivono nella vita quotidiana, sia nella società, sia nella famiglia. Le parole sono “tensione” e “conflitto”. Magat Diop ha parlato di “tensione” nei rapporti familiari, e Gregorius Hanzel ha parlato dei “conflitti”. Il conflitto. Ma cosa sarebbe – pensiamo – una società, una famiglia, un gruppo di amici, senza tensioni e senza conflitti? Sapete cosa sarebbe? Un cimitero. Perché non ci sono le tensioni e non ci sono i conflitti soltanto nelle cose morte. Quando c’è vita, c’è tensione e c’è conflitto; e per questo è necessario sviluppare questo concetto e cercare, nella mia vita, quali sono le vere tensioni, come vengono queste tensioni, perché sono tensioni che dicono che io sono vivo; e come sono questi conflitti. Soltanto in Paradiso non ce ne saranno! Tutti saremo uniti nella pace con Gesù Cristo. E ognuno deve individuare le tensioni della propria vita. Le tensioni ti fanno crescere, sviluppano il coraggio. E un giovane deve avere questa virtù del coraggio! Un giovane senza coraggio è un giovane “annacquato”, è un giovane vecchio. Alcune volte mi viene di dire ai giovani: “Per favore, non andare in pensione!”. Perché ci sono giovani che se ne vanno in pensione a vent’anni: hanno tutto sicuro, nella vita, tutto tranquillo e non hanno “tensioni”.

Le tensioni ci sono nella famiglia, è chiaro. Come si risolve una tensione? Con il dialogo. Quando in una famiglia c’è il dialogo, quando c’è questa capacità di dire spontaneamente cosa uno pensa, le tensioni si risolvono bene. Più in alto, più in alto… Non bisogna avere paura delle tensioni. Ma bisogna anche stare attenti, perché se tu ami la tensione per la tensione, questo ti farà male e tu sarai un giovane conflittuale in senso negativo, uno che ama sempre essere in tensione. No, questo no. La tensione viene per aiutarci a fare un passo verso l’armonia, ma l’armonia pure provoca un’altra tensione per essere più armonica.

Per dirlo in modo chiaro: primo, non avere paura delle tensioni, perché ci fanno crescere; secondo, risolvere le tensioni con il dialogo, perché il dialogo unisce, sia in famiglia sia nel gruppo di amici, e si trova una strada per andare insieme, senza perdere la propria identità; terzo, non attaccarsi troppo a una tensione perché questo ti farà male. Chiaro? Le tensioni fanno crescere, le tensioni si risolvono con il dialogo, ed essere attenti a non attaccarsi troppo a una tensione, perché questo alla fine distrugge. Ho detto che un giovane senza tensioni è un giovane “in pensione”, un giovane “morto”; ma un giovane che sa vivere soltanto in tensione, è un giovane ammalato. Questo lo si deve distinguere.

Gregorius ha parlato dei conflitti: il conflitto in una società come l’Indonesia, dove si respira una grande diversità interna di culture. Un conflitto sociale. Anche i conflitti possono farci bene, perché ci fanno capire le differenze, ci fanno capire come sono le cose diverse e ci fanno capire che se non troviamo una soluzione che risolva questo conflitto, ci sarà una vita di guerra. Il conflitto, per essere affrontato bene, dev’essere orientato verso l’unità, e in una società come la tua [si rivolge al giovane che ha posto la domanda], che ha una cultura con tante culture diverse dentro, deve cercare l’unità ma nel rispetto di ciascuna identità. Il confitto si risolve con il rispetto delle identità. Noi vediamo, quando guardiamo la tv o sui giornali, conflitti che non si sanno risolvere, e finiscono in guerre: una cultura non tollera l’altra. Pensiamo a quei fratelli nostri Rohingja: sono stati cacciati via da un Paese e da un altro e da un altro, e vanno per mare… Quando arrivano in un porto o su una spiaggia, danno loro un po’ d’acqua o un po’ da mangiare e li cacciano via sul mare. Questo è un conflitto non risolto, e questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama uccidere. E’ vero: se io ho un conflitto con te e ti uccido, è finito il conflitto. Ma questa non è la strada. Se tante identità – siano culturali, religiose – vivono insieme in un Paese, ci saranno i conflitti, ma soltanto con il rispetto dell’identità dell’altro. E con questo rispetto si risolve il conflitto. Le tensioni – in famiglia, tra amici – ho detto che per risolverle è necessario il dialogo; i veri conflitti sociali, anche culturali, si risolvono con il dialogo, ma prima con il rispetto dell’identità dell’altra persona. Anche in Medio Oriente stiamo vedendo che tanta gente non è rispettata: le minoranze religiose, i cristiani, ma non solo, non sono rispettati: tante volte sono uccisi, perseguitati. Perché? Perché non si rispetta la loro identità. Nella nostra storia, sempre ci sono stati conflitti di identità religiosa, per esempio, che venivano fuori per non rispettare l’identità dell’altra persona. “Ma questo non è cattolico, non crede in Gesù Cristo…” – “Rispettalo. Cerca quello che ha di buono. Cerca nella sua religione, nella sua cultura, i valori che ha. Rispetta”. Così i conflitti si risolvono con il rispetto dell’identità altrui. E le tensioni – i conflitti comportano tensioni – si risolvono con il dialogo. E così risponderei alla tua domanda, dall’Indonesia.

La tifosa di Pelé [la ragazza brasiliana] ha fatto questa domanda: qual è stata la più grande sfida o difficoltà che Papa Francesco ha affrontato nella sua missione come religioso? Io direi: trovare sempre la pace nel Signore, quella pace che soltanto Gesù ti può dare. Nei lavori, nei compiti, la sfida è trovare quella pace che significa che il Signore ti accompagna, che il Signore è vicino. E c’è anche un’altra sfida: saper distinguere la pace di Gesù da un’altra pace che non è di Gesù. Capito? E questa è una cosa che voi dovete imparare bene, e chiedere al Signore la grazia di saper discernere la vera pace dalla falsa pace. Discernere. Questa è una sfida. E la vera pace viene sempre da Gesù. Alcune volte viene “incartata” in una croce. Ma è Gesù che ti dà la pace in quella prova. Non sempre viene come una croce, ma sempre la vera pace è di Gesù. Invece, l’altra pace, quella superficiale, quella pace che ti fa contento, ti accontenta un po’ ma è superficiale, viene dal nemico, dal diavolo, e ti fa contento: “Io sono contento, non mi preoccupo di questo, sono in pace…”. Ma dentro, dentro c’è un inganno! E qui è necessario chiedere questa grazia, di saper distinguere, di saper conoscere qual è la pace di Gesù e qual è la pace che viene dal nemico, che ti distrugge. Sempre il nemico distrugge: ti fa credere che questa è la strada e poi, alla fine, ti lascia solo. Perché ricordate questo: il diavolo è un cattivo pagatore, non paga mai bene! Sempre ti truffa, è un truffatore! Ti fa vedere le cose truccate, e tu credi che quella cosa sia buona, che ti dia la pace, vai di là e alla fine non trovi la felicità. Cercare sempre la pace di Gesù: questa è una sfida, una sfida che ho avuto io, che ho io e che avete tutti voi. E qual è il segno della pace di Gesù? Come so che questa pace la dà Gesù? Il segno è la gioia, quella gioia profonda. Il diavolo mai ti dà la gioia. Ti dà un po’ di divertimento, fa un po’ di “circo”, ti fa felice un attimo, ma mai ti dà quella gioia. Quella gioia può darla soltanto Gesù dandoti lo Spirito Santo. E la sfida di tutti noi – anche la mia – è cercare sempre la pace di Gesù; anche nei brutti momenti, ma la pace di Gesù. E saperla distinguere da quell’altra pace truccata, che alla fine è una truffa: finisci male e non ti pagano bene. E Gesù è un buon pagatore, paga bene: paga molto bene!

Pin-Ju Lu mi ha chiesto se vedo segnali reali di gioia nella Chiesa, nel mondo per questo XXI secolo. I segnali ci sono: questo è uno! [indica i giovani presenti nell’Aula]. Questo è un segnale di speranza, vedere i giovani come voi che credono che Gesù sia nell’Eucaristia, che credono che l’amore sia più forte dell’odio, che la pace sia più forte della guerra, che il rispetto sia più forte del conflitto, che l’armonia sia più forte delle tensioni… Questo è una speranza, questo a me dà gioia! E questo dà speranza, perché la domanda di Pin-Ju Lu era: “Qual è stato il momento di gioia più grande dopo essere diventato Papa?”, e poi i segni di speranza o positivi in questo mondo dove ci sono tante guerre. Siamo in una guerra: io mi ripeto tanto dicendo che questa è la terza guerra mondiale a pezzi. Ma siamo in guerra. E questo è negativo. Ma ci sono segni di speranza e ci sono segni di gioia.

E io vorrei riprendere un’espressione di Magat Diop, all’inizio, una parola dalla quale ho preso la parola “tensione”: la famiglia. “Forti tensioni e lotte tra due generazioni”. Io domanderò: quali sono le due generazioni? Ditemi: quali sono? Domando io, perché si vede che siete tutti muti. Quelle dei genitori e dei figli? Queste sono le due generazioni? Sì, le tensioni tra papà e mamma e me: il fatto che io voglio una cosa perché penso la vita così, e loro la pensano in un altro modo… Ma c’è un’altra generazione. Perché non avete parlato dei nonni? Ecco, io vi dirò una cosa - ma non è un rimprovero a voi - i nonni sono i grandi dimenticati di questo tempo. Adesso un po’ meno, qui in Italia, perché siccome non c’è lavoro e loro hanno la pensione, ecco, si ricordano dei nonni! Ma i nonni sono i grandi dimenticati. E i nonni sono la memoria di una famiglia, la memoria del Paese, la memoria della fede, perché sono loro a darla a noi. I nonni. E io vi faccio questa domanda: voi parlate con i vostri nonni? [Rispondono: “Sì!”]. Voi domandate ai nonni: “Nonno, nonna, come è stato quello? Come si fa? Cosa facevi tu?”. Fatelo, fatelo! Perché i nonni sono una fonte di saggezza, perché hanno la memoria della vita, la memoria della fede, la memoria delle tensioni, la memoria dei conflitti… E sono bravi, i nonni! A me piace tanto parlare con i nonni. Vi dico un aneddoto. L’altro giorno, in piazza, in una delle udienze del mercoledì, io giravo con la “papamobile”, e ho visto una nonnina, lì, anziana: si vedeva che era anziana! Ma aveva gli occhi brillanti di gioia. E io ho fatto fermare la papamobile e sono sceso. E sono andato a salutarla. E sorrideva. “Mi dica, nonna: quanti anni ha lei?” – “92!” – “Ah, bene, brava! Gioiosa! Ma, mi dia la ricetta di come arrivare a 92 così”. E mi ha detto: “Sa, mangio i ravioli!”. E poi ha aggiunto: “E li faccio io!”. Ma questo è un aneddoto per dirvi che incontrare i nonni è sempre una sorpresa. I nonni sempre ci sorprendono: sanno ascoltarci, hanno una pazienza!… Parliamo di tre generazioni, di tre, almeno. E anche quando i nonni vivono a casa, aiutano tanto a risolvere le tensioni, normali in una famiglia. Non dimenticare i nonni. Capito?

Louise: Nel Vangelo Gesù ci dice: “Voi siete miei amici se fate quello che vi comando”. Ma in questa relazione di amicizia dobbiamo anche aspettarci in cambio una manifestazione della sua presenza?

Un’amicizia è sempre a due: io sono tuo amico e tu sei mio amico. E Gesù si manifesta sempre – ne ho parlato di questo – nella sua pace. Se tu ti avvicini a Gesù ti dà una pace, ti dà una gioia. E quando tu incontri Gesù, nella preghiera, in un’opera buona, in un’opera di aiuto all’altro - ci sono tante maniere per trovare Gesù - sentirai la pace e anche la gioia. Questa è la manifestazione, Louise. E’ così. Gesù si manifesta in questo contraccambio. Ma tu devi cercarlo sia nella preghiera, sia nell’Eucaristia, nella vita quotidiana, nella responsabilità dei tuoi compiti e anche nell’andare a cercare i più bisognosi e aiutarli: lì c’è Gesù! E te lo farà sentire. Alcune volte sentirai quello che è proprio soltanto dell’incontro con Gesù: lo stupore. Lo stupore di incontrare Gesù. Incontrare Gesù: questa parola non dimenticarla, per favore. Incontrare Gesù!

Pensiamo a quel giorno (cfr Gv 1,35-42): potevano essere le dieci del mattino, Gesù passava e Giovanni e Andrea erano con Giovanni Battista, chiacchieravano, lì, di tante cose. E Giovanni Battista disse: “E’ lui, quello, l’Agnello di Dio. E’ lui”. E loro, incuriositi, sono andati dietro a Gesù, per cercarlo. E’ la curiosità… E Gesù fa un po’ finta di niente e si rivolge a loro e dice: “Cosa cercate?” – “Dove abiti?” – “Venite!” (vv. 38-39). E loro sono rimasti – dice il Vangelo – con Gesù tutta la giornata. Ma cosa è successo dopo? Andrea è andato di corsa da suo fratello Simone: era pieno di gioia, una gioia grande; era pieno di stupore per aver incontrato Gesù. E dice: “Abbiamo incontrato il Messia!” (v. 41). E Giovanni ha fatto lo stesso con Giacomo. E’ così. L’incontro con Gesù ti dà questo stupore. E’ la sua presenza. Poi passa, ma ti lascia la pace e la gioia. Non dimenticare mai questo: stupore, pace, gioia. C’è Gesù. Questo è il contraccambio.

E adesso “Maradona” [il ragazzo argentino]. Papa Francesco cosa direbbe ai giovani affinché scoprano la profondità dell’Eucaristia?

Aiuta sempre pensare all’Ultima Cena. E quella parola che Gesù ha detto quando ha dato il pane e il vino, il suo Corpo e il suo Sangue: “Fate questo in memoria di me”. La memoria di Gesù presente lì; la memoria di Gesù che, in ogni Messa, è lì, e ci salva lì! La memoria di quel gesto di Gesù, che dopo se n’è andato nell’Orto degli Ulivi ad incominciare la sua Passione. La memoria di un amore così grande che ha dato la sua vita per me! Ognuno di noi può dire questo.

La grazia della memoria, della quale ho parlato quando ho parlato dei nonni. La grazia della memoria: la memoria di quello che Gesù ha fatto. Non è un rituale soltanto, non è una cerimonia. Ci sono cerimonie bellissime, cerimonie militari, culturali… no, no. E’ un’altra cosa: è andare lì, sul Calvario, dove Gesù ha dato la sua vita per me. Ognuno deve dire questo. E con questa memoria, vedendo Gesù, ricevendo il Corpo e il Sangue di Gesù, tu approfondisci il mistero dell’Eucaristia. “Eh, Padre, quando io vado a Messa mi annoio…”. Perché non è un rituale. Se tu vuoi approfondire il mistero dell’Eucaristia, ricordati. Questo verbo è bello, perché Paolo lo dice a uno dei suoi discepoli prediletti - non ricordo se a Tito o a Timoteo, ma ad uno dei due, che erano due vescovi che lui aveva fatto vescovi. Ricordati di Gesù Cristo (cfr 2 Tm 2,8). Ricordati di Gesù Cristo. Quando sono a Messa, lì, che sta dando la sua vita per me. E così si approfondisce il Mistero. E poi, quando non vai a Messa, ma vai a pregare davanti al Tabernacolo, ricordati che Lui è lì, e che ha dato la sua vita per te. La memoria. E’ stato il comando che Gesù ha dato ai suoi: “Fate questo in memoria di me”. Ossia ogni volta che fate questa celebrazione, ricordatevi di me; ogni volta che andate a pregare davanti al Tabernacolo, ricordatevi di questo. E non dimenticare quello che san Paolo diceva al suo discepolo, vescovo pure: Ricordati di Gesù Cristo!

Così finiamo il nostro dialogo di oggi. Vi ringrazio. Io avevo le domande scritte, ma non le avevo lette. Questo che ho detto è venuto dal cuore, come veniva al momento.

E pensate queste parole: tensione-dialogo; conflitto-rispetto-dialogo; contraccambio della presenza di Gesù-amicizia con Gesù: pace e gioia; incontro con Gesù: stupore, gioia, pace; approfondire l’Eucaristia: memoria di quello che ha fatto Gesù. E così andrete avanti. Il mondo ha tante cose brutte, stiamo in guerra; ma ci sono anche tante cose belle e tante cose buone, e tanti santi nascosti nel popolo di Dio. Dio è presente. Dio è presente e ci sono tanti, tanti motivi di speranza per andare avanti. Coraggio e avanti!

Possiamo, prima di dare la benedizione, chiedere aiuto alla Madonna. Perché i bambini quando incominciano a camminare cercano la mano della mamma per non sbagliare strada. E noi dobbiamo andare sulla strada della vita con la mano della mamma. Preghiamo la Madonna, ognuno nella propria lingua.

“Ave Maria…”

[Benedizione]

E per favore, per favore, vi chiedo: non dimenticate di pregare per me.




Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:08.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com