Sant'Ambrogio, (Lo Spirito Santo I,12-16).
"Ed ora presentiamo i piedi dell'anima nostra. Il Signore Gesù vuol lavare i piedi anche a noi. Non solo a Pietro, ma a ciascun fedele dice: Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me. Vieni, dunque, Signore Gesù, deponi la veste che hai indossato per me; spogliati per rivestirci della tua misericordia. Cingiti di un asciugatoio per cingerci con il tuo dono che è l'immortalità… Lava non soltanto i piedi, ma anche il capo, e non solo i piedi del nostro corpo, ma anche i piedi dell'anima. Voglio deporre tutta la sporcizia della nostra fragilità… Come un servitore lavi i piedi ai tuoi servi, come Dio mandi la rugiada dal cielo. E non solo ci lavi i piedi, ma ci invita anche a metterci a tavola con te e ci esorti con l'esempio della tua condiscendenza… Dunque anch'io voglio lavare i piedi ai miei fratelli, voglio adempiere il comandamento del Signore. Volle che non mi vergognassi, che non disdegnassi di fare ciò che lui ha fatto prima di me. E' a mio vantaggio il mistero dell'umiltà, perché mentre lavo la sporcizia degli altri, mi purifico dalla mia… C'è un'acqua che dobbiamo mettere nel catino dell'anima nostra: l'acqua che si ricava… dal libro dei Salmi. E l'acqua è la rugiada del messaggio celeste. Venga, dunque, Signore Gesù quest'acqua nella mia anima e nella mia carne… Lava i piedi dell'anima mia affinchè io non possa peccare ancora… Tu che hai redento il mondo, redimi anche l'anima di un singolo peccatore…" |
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| | «Di chi è l’immagine e l’iscrizione?» (Lc 20,24). In questo passo egli c’insegna che dobbiamo essere cauti nel respingere le accuse degli eretici oppure dei giudei. In un altro punto ha detto: «Siate astuti come i serpenti». Questo, diversi lo interpretano così: poiché la croce di Cristo fu preannunciata nel serpente levato in alto, affinché venisse distrutto il veleno serpigno degli spiriti del male, parrebbe che si debba essere accorti come il Cristo, e semplici come lo Spirito. Ecco dunque chi è il serpente che tiene sempre protetto il capo, ed evita così le ferite mortali. Quando i giudei gli chiedevano se avesse ricevuto dal cielo la sua autorità, egli rispose: «Il battesimo di Giovanni di dov’era, dal cielo o dagli uomini?» (Mt 20,4). E lo scopo era che essi, non osando negare che era dal cielo, si convincessero da soli della propria demenza nel negare che colui che lo dava era dal cielo. Egli chiede un didramma e domanda di chi è l’effigie: infatti diversa è l’effige di Dio, diversa l’effigie del mondo. Per questo anche colui ci ammonisce: «E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste» (1Cor 15,49).
Cristo non ha l’immagine di Cesare, perché egli è «l’immagine di Dio». Pietro non ha l’immagine di Cesare, perché ha detto: Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27). Non si trova l’immagine di Cesare in Giacomo o in Giovanni, perché sono i figli del tuono, ma essa si trova nel mare, dove vi sono sulle acque quei mostri dalle teste fracassate, e lo stesso mostro principale, col capo mozzo, vien dato come cibo ai popoli degli Etiopi. Ma se non aveva l’immagine di Cesare, perché mai ha pagato il tributo? Non l’ha pagato del suo, ma ha restituito al mondo ciò che apparteneva al mondo.
L'effige divina - S. AMBROGIO (397), Expositionis evangelii secundum Lucam, IX, 34-36 |
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| | Il frantoio. Un uomo piantò una vigna (Lc 20,9). Parecchi deducono diversi significati dal nome della vigna, ma è evidente che Isaia ha ricordato come la vigna del Signore di Sabaoth sia la casa d’Israele (cf. Is 5,7). Chi altro mai, se non Dio, ha creato questa vigna? E dunque lui che la diede in affitto e partì per andare lontano, non nel senso che il Signore si sia trasferito da un luogo all’altro, dato che egli è sempre dappertutto, ma perché è più vicino a chi lo ama, ma sta lontano da chi lo trascura. Egli fu assente per lunghe stagioni, per evitare che la riscossione sembrasse prematura. Quanto più longanime la benevolenza, tanto più inescusabile la ostinatezza. Per cui, secondo Matteo, giustamente trovi che «la circondò anche di una siepe» (Mt 21,33; Is 5,2), cioè la recinse munendola della protezione divina, affinché non fosse facilmente esposta agli assalti delle belve spirituali. E al tempo dei frutti mandò i suoi poveri servi. È giusto che abbia indicato il tempo dei frutti, non il raccolto, infatti dai Giudei non si ebbe alcun frutto, questa vigna non ha dato alcun raccolto, poiché di essa il Signore dice: «Attendevo che producesse uve, ma essa diede spine» (Is 5,2). Perciò i torchi traboccarono non di vino che rallegra, non di mosto spirituale, ma del sangue rosseggiante dei profeti. Del resto Geremia fu gettato in una cisterna (cf. Ger 38,6), di questa specie erano ormai i torchi dei Giudei, pieni non di vino ma di melma. E sebbene, come sembra, questa sia un’allusione generale ai profeti, tuttavia il passo ci permette di pensare che si tratti di quel ben noto Nabot (cf. i Re 21,1-14), il quale fu lapidato: sebbene di lui non ci sia stata tramandata nessuna parola profetica, ci è stata però tramandata la sua storia profetica, poiché preannunziò col proprio sangue che molti sarebbero stati i martiri a favore dl questa vigna. E chi è colui che viene colpito al capo? È certamente Isaia, a cui una sega poté più facilmente tagliare in due le membra del corpo che non far vacillare la fede, o sminuir la costanza, o troncare il vigore dell’anima. E ciò avvenne perché, quando ormai aveva designato tanti altri estranei, che i Giudei cacciarono senza onore e senza risultati, non essendo riusciti a cavarne nulla, per ultimo mandò anche il figlio unigenito, e quei perfidi, mossi dalla bramosia di eliminarlo perché era l’erede, l’uccisero (cf. Lc 20, l3ss) crocifiggendolo, lo respinsero rinnegandolo. Quante cose, e quanto importanti, in così brevi tratti! Anzitutto questo: che la bontà è una dote di natura, e il più delle volte si fida di chi non lo merita; inoltre, che Cristo è venuto come estremo rimedio delle perversità; infine, che chi rinnega l’erede, dispera del creatore. E Cristo (cf. Eb 1,2) è al tempo stesso erede e testatore; erede, perché sopravvive alla propria morte e raccoglie nei progressi che facciamo direi come i frutti ereditari dei testamenti, ch’egli stesso ha stabilito.
Il "frantoio", testimonianza dei profeti martiri che hanno preceduto Cristo S. AMBROGIO (397), Expositionis evangelii secundum Lucam, IX, 23,27 |
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