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Bernardino da Siena, il Santo che fa fiorire il lino

di Carlo Lapucci


Nato a Massa Marittima l’8 settembre 1380 dalla nobile famiglia degli Albizzeschi, Bernardo rimase orfano della madre Nera a tre anni e del padre Tollo a sei, per cui venne allevato da una zia materna, quindi, a 11 anni, andò presso altri zii a Siena. Nel 1400, appena ventenne, organizzò il soccorso agli appestati per la grave pestilenza di Siena e diresse l’ospedale, trasportando i malati e i morti, per cui prese la peste, ma ne guarì.

Nel 1402 vestì l’abito francescano, prima tra i Conventuali, poi passò tra gli Osservanti che, anche per la sua opera, da 130 passarono a 4000.


Promosse la devozione al SS. Nome di Gesù nel monogramma Jesus Hominis Salus: J H S[SM=g1740720]


Inciso su tavolette di legno, veniva, e viene ancora distribuito come benedizione e immagine sacra. Viene posto su stendardi, muri delle case, stanze, sui pubblici edifici e sedi delle compagnie. Oggi si trova ancora a Firenze (Palazzo Vecchio), a Bologna, Milano, Volterra.


Diffuse la riforma dell’Osservanza, ma soprattutto fu predicatore dagli effetti inimmaginabili. I suoi sermoni convertivano, pacificavano, commuovevano al punto di provocare mutamenti improvvisi nelle folle, conversioni e pacificazioni benefiche nelle città dove predicava. Uomo esile dal viso smunto, gli occhi acuti, l’ossatura minuta, ma dalla voce portentosa, tanto potente da sopravanzare, si dice, nella predica e nel canto anche i tuoni più fragorosi che non turbavano affatto le funzioni. Usava predicare a Siena, in Piazza del Campo spesso davanti a grandi folle che lo ascoltavano incantate. Divenne protettore di coloro che sono rauchi o perdono la voce.


La trascrizione delle sue prediche in Piazza del Campo a Siena fu fatta da un tal Benedetto, cimatore di panni. Questi, esperto in una forma di tachigrafia, fu la nonna della nostra stenografia, si recava ogni volta che il Santo parlava trascriveva con uno stilo, parola per parola, il sermone su tavolette di cera che poi trascriveva in un codice. Per questo San Bernardino protegge anche gli stenografi.


Dobbiamo a questo operaio molte prediche che abbiamo di Bernardino, le quali sono un testo letterario e una fonte di notizie fondamentale.

Morì all’Aquila, dove è sepolto e dove si era recato per predicare, il 20 maggio 1444.

Il suo corpo versò sangue finché la città non si fu rappacificata. La festa del Santo si celebra il 2 di maggio.


Ricordato, amato e onorato a Siena condivide il culto con altri due santi locali di rande fama. Il più antico è San Sano, della prima predicazione cristiana, circondato da un grande leggendario raccolto in un’antica passio. L’altra figura è tra le più grandi: Santa Caterina.[SM=g1740734]


L’eloquenza e le prediche

In quei tempi la predica era uno dei momenti forti della vita religiosa e sociale. Il predicatore di grido aveva fama internazionale e la gente accorreva anche da molto lontano per ascoltarlo. Non era un puro esplicatore del messaggio religioso, ma un interprete della parola sacra, un centro di pensiero e un punto di riferimento preciso per l’opinione pubblica. I predicatori giudicavano, condannavano, si opponevano al potere politico: San Giovanni Gualberto riformò la chiesa fiorentina facendo deporre il vescovo simoniaco Mozzabarba; il Savonarola si oppose alla corruzione della Chiesa di Alessandro VI, e così il Beato Brandano predicò a Roma contro Clemente VII. Il più famoso fu certo Lutero che con la predicazione dette inizio allo scisma protestante.


La predica aveva una sua regia, uno scenario, una complessa messa in scena paragonabili a quelli dei nostri concerti in piazza. I predicatori ricorrevano ad espedienti di ogni genere, con gesti plateali, invocazioni, forme di drammatizzazione, soprattutto per quanto riguardava i temi della morte, dell’inferno, del peccato, della Passione di Cristo. Questa tendenza si andò accentuando fino alle potenti, e spesso pesanti ed esagerate scenografie secentesche, delle quali sono rimasti gli smisurati e fastosi pulpiti.

Con Bernardino siamo nel pieno della eloquenza umanistica: le corti pullulano di letterati, dotti, filologi, conoscitori del latino, esperti delle lingue classiche che operano come segretari di politici e cardinali, amministratori, poeti, scrittori, storici, insegnanti e pedagoghi, ambasciatori. Il potere si serve di loro ed essi servono il potere. La politica italiana va verso la struttura signorile dello stato: le repubbliche scompaiono e, se rimangono, lo sono solo di nome.

Adeguandosi al potere si hanno innumerevoli vantaggi, che i letterati italiani hanno sempre apprezzato e perseguito senza vergogna, magari mugugnando contro i padroni, duchi e cardinali, e altri donrodrighi, ma obbedendo. Comincia dal Rinascimento la decadenza italiana che ha radici profonde nella crisi economica e nella nascita delle grandi monarchie nazionali.


Il predicatore comune, come il letterato umanista, è di solito un portavoce del potere: ha due sole preoccupazioni personali: essere gradito a chi governa, dare una veste elegante a un pensiero che gli viene proposto da altri e che lui non contribuisce né a formare, né a modificare. Pressappoco le cose somigliano a quanto accade con i nostri giornali e la televisione: il conformismo è la regola; l’originalità l’eccezione che viene subito controllata o sopraffatta dal potere. Se invece al potere sfugge di mano una figura, una situazione, si ha un sovvertimento del sistema.


Allora i predicatori d’apparato traevano il pensiero ufficiale dalla gerarchia religiosa e da quella politica e trasferivano i messaggi in una forma di splendida classicità, secondo i dettami dell’incipiente nuova cultura, secondo l’armonia della frase, la rotondità dell’espressione, lo stile ciceroniano, sallustiano, di Quintiliano, con calchi continui dell’oratoria esemplare. Tutto viene farcito di eleganti sentenze, exempla, riferimenti a Seneca, Virgilio e, naturalmente alle scritture, i padri della Chiesa e la letteratura religiosa.


Andarono per la maggiore Mariano da Genazzano, capace di ornare il vuoto con artifici retorici come si fa col buio attraverso i fuochi d’artificio: fu portato alle stelle da Agnolo Poliziano. Marsilio Ficino ebbe il suo idolo in fra’ Paolo Attavanti, battezzandolo l’Orfeo cristiano, pur trattandosi di un puro e semplice retore, vuoto e inconsistente.


Gli Spirituali, i primi contestatori dei Conventuali francescani, poi gli Osservanti e gli altri appartenenti a correnti riformatrici della Chiesa, abbandonano questo tipo di predicazione per una forma più diretta di discorso alla folla. Via i fronzoli classicheggianti, la retorica latineggiante, l’apparato di frasi ad effetto, le citazioni dotte, le sentenze, le auctoritates, gli exempla stereotipati, che diventano «essempli». Affrontano i problemi della fede, della vita, la realtà quotidiana, spiegano con semplicità il Vangelo. Questi nuovi predicatori non piacciono per nulla agli umanisti e, prima che a loro, non piacciono ai potenti. Poggio Bracciolini, il campione di questi intellettuali a tutto servizio, li chiama molestos latratores ac rabulas: importuni abbaiatori e avvocaticchi.


San Bernardino fu uno dei nuovi predicatori e intese parlare «chiarozzo chiarozzo», come dice nel Predicatore sottile, alla gente semplice come ai dotti.


Vita e usi del tempo

Invece di farcire le sue prediche, secondo lo stile umanistico del tempo, di citazioni ciceroniane, S. Bernardino soleva prendere gli esempi dalla vita quotidiana, dal lavoro degli operai e dei contadini, dai fatti del giorno, dai discorsi delle massaie e le loro faccende quotidiane (del resto come faceva Gesù). In più, essendo uomo di fine umorismo e di temperamento lieto, metteva nelle prediche, quando calzavano a proposito, frasi comuni, detti popolari, proverbi e apologhi che correvano sulla bocca di tutti.


Questo lo faceva per rendere amabili le sue parole e gl’insegnamenti, per risvegliare l’attenzione della gente che si perdeva nell’udire l’esposizione di problemi religiosi o morali. Non bisogna dimenticare che le piazze del tempo erano riempite per lo più da analfabeti e Bernardino sapeva mettersi a livello della loro capacità di comprensione, come sapeva intrattenere i dotti.


Di conseguenza le prediche del Santo sono un vasto documento di descrizione della vita quotidiana del tempo, della realtà sociale, del lavoro, delle usanze, del diritto, nonché una miriade di preziose e anche minute notizie. Non soltanto, le prediche costituiscono un testo di valore letterario e un capitolo della storia dell’oratoria, e insieme una fonte autorevole per quanto riguarda la lingua, il suo uso dotto e popolare, i detti, i proverbi, la fraseologia e soprattutto gli apologhi, le favole di tipo esopiano che circolavano nel tempo e di cui nessuno si curava.

Molte favole che sono comparse poi nelle raccolte dei favolisti, che dal Cinquecento in poi vennero di moda e dilagarono addirittura nel Settecento, si trovano già narrate con vivacità e umorismo nelle prediche di San Bernardino da Siena.

APOLOGHI E NOVELLETTE

Tra i bozzetti sparsi nelle prediche tenute in Piazza del Campo sono stati scelti questi due esempi. Uno lo riportiamo in lingua originale per dare idea della sprizzante vivacità della lingua del Santo; l’altro è stato trascritto per comodità del lettore in una forma più accessibile per i nostri tempi.


La volpe e il lupo

…Udiste tu mai quella novella della volpe e del lupo? Se tu l’hai udita io te la voglio ricordare, e notala. Essendo una volta la volpe in una contrada dove essa faceva molto danno, e’ le fu fatto un lacciolo con una gallina sur un pozzo d’acqua. E venendo la volpe, vidde questa gallina: saglie su al pozzo; egli era ordinato che come ella toccasse la gallina, ogni cosa cadesse nel pozzo.
E così avvenne. Come ella ciuffò la gallina, subito cadde nel pozzo, e per non affogare, ella entrò nella secchia, e ine si stava.

Avvenne che ’l lupo passava e vidde la volpe caduta giuso, e dissele:
– O che vuol dire questo, suora mia? O, tu se’ sì savia e maestra, come se’ così male capitata? Dice la volpe:
– O, io so’ pura pura! Ma tu sai che noi siamo d’una condizione, cioè che tu e io viviamo di rapire; aitiamci insieme, come noi doviamo; doh! Io mi ti raccomando che tu m’aiti di quello che tu puoi. Disse il lupo:
– Che vuoi ch’io facci? Dice la volpe:
– Entra in cotesta secchia vuota, e viene quaggiù ad aiutarami. Dice il lupo:
– Hai tu da mangiare nulla? Dice la volpe:
– Elli c’è una gallina.
Ed elli, udendo questo, entrò nella secchia, e come elli vi fu dentro, subito per la gravezza a un tratto egli andò in giù e la volpe che era nell’altra secchia andò in su. Dice il lupo alla volpe:
– O, o, o, tu te ne vai costassù? Che modi so’ i tuoi? Ella disse:
– Oh, questo mondo è fatto a scale: chi le scende e chi le sale.


Il leone, l’asino, la capra, la volpe e la pecora radunati in capitolo

Toh! mi viene a proposito un bellissimo esempio.

Il leone udì una volta che i frati usavano riunirsi accusandosi a turno dei peccati che avevano commessi, chiedendo perdono.
Disse il leone:
– Se i frati si riuniscono davanti all’abate, io che sono il maggiore di tutti gli animali della terra, e sono signore di tutti loro, voglio fare altrettanto.
E subito ordinò che tutti gli animali venissero davanti a lui. E, radunatisi quelli, si mise in trono e comandò che tutti si ponessero a sedere intorno a lui. Poi disse:
– Io voglio che noi facciamo come fanno i frati. In questa adunanza voglio che ognuno dica ogni peccato e male che ha fatto, perché io saprò e giudicherò le vostre colpe.
Toccò per primo all’asino e andò davanti al leone e, inginocchiatosi, disse:
– Messere, misericordia!
Rispose il leone:
– Che male hai fatto, che hai fatto? Dillo.
– Messere, disse l’asino, una contadina, mia padrona, talvolta mi carica di paglia e mi porta a venderla. Qualche volta io mi sono girato e ne ho preso un boccone, mentre camminavo.
Allora disse il leone:
– Ladro, ladro, traditore, malvagio; non pensi tu quanto male hai fatto? E quando potrai tu restituire ciò che valeva quello che hai rubato e mangiato?
E subito comandò che quest’asino fosse preso e fosse bastonato.

Dopo l’asino toccò alla capra, che allo stesso modo s’inginocchiò umilmente chiedendo misericordia.
– E tu cosa hai fatto? le domandò il leone.
– Signore mio, rispose la capra, è stata mia colpa essere andata talvolta in certi orti di donne a far danno, e specialmente nell’orto d’una vedova, dov’erano molte piante e molte volte mi mangiai cavoli e degli ortaggi novelli prendevo le cime che erano più tenere. E come feci là ho fatto in molti orti, talvolta non lasciandovi nulla di verde.
Disse il leone:
– Toh! Tu hai troppa coscienza e quel ladro dell’asino troppo poca. Vai in pace! Non te ne preoccupare! Non bisogna ritenere certe cose un peccato: è nella natura delle capre di fare questo. Io ti perdono e non ci pensare.

Venne il turno della volpe, la quale disse:
– Messere, la mia colpa è che ho ammazzato molte galline e me le sono mangiate. Talvolta sono entrata nel pollaio e quante ne ho potute prendere, tante ne ho sgozzate e me ne sono portate via o una o più.
Rispose il leone:
– Oh, quante storie! Vai in buon’ora, vai: è naturale che tu faccia questo e io non ti do nessuna penitenza, e non te lo considero peccato: in più ti dico che tu hai fatto benissimo a fare quello che hai fatto, e non ti dispiaccia se non di quelle galline che non hai potuto prendere.

Partita la volpe toccò al lupo, e disse:
– Signor mio, io sono andato spesso intorno al gregge e ho ammazzato più pecore di quel che avevo, e me ne sono venuto via prendendone una.
Il leone esclamò:
– Ma questa è un’altra coscienza delicata. Sai che ti rispondo? Non ti preoccupare mai di tali cose; vai e d’ora in poi fai sempre così senza dartene pensiero.

Si presentò la pecora col capo basso, dicendo:
– Bee, bee.
Che hai fatto, disse il leone, signora ipocrita?
– Messere, rispose quella, talvolta sono passata per le viottole, dal lato dove sono seminate le biade e, vedendo quell’erbette verdi e tenerelle, me ne son fatta qualche bocconcello.
Allora tuonò il leone:
– Maledetta ladra traditrice, sicché tu hai fatto una cosa simile! Vai dicendo sempre bee bee, e rubi per la strada! O maledetta ladra, quanto male hai fatto! Datele parecchie bastonate e rompetele le ossa, poi tenetela tre giorni senza mangiare.

Oh, quanta sapienza c’è in questa novella! Avete inteso? Quando si tratta d’un cattivo lupo o d’una mala volpe che fa una cosa malvagia si dice: – Copri, copri! che non si veda. Ma se è l’asino o la pecoruccia, cioè la vedova, o il pupillo, o un poveretto che dica o faccia una piccola cosa, allora si grida: – Ammazza, ammazza! Lupo e lupo non si mangiano insieme, ma mangiano le altrui carni.
E però vi dico: o tu che giudichi e governi, non bastonare l’asino e la pecora per una piccosa cosa, e non lodare il lupo e la volpe per le loro grandi colpe.

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PROVERBI

A S. Bernardino la fioritura del lino. Il lino fiorisce nella seconda metà di maggio; viene raccolto a giugno - luglio. La festa è il 20 maggio.


Per San Bernardino il lino vuol fiorire alto o piccino
.


Il lino a San Bernardino spiga grande o piccolino, e quel che non ha spigato fa da concime al prato
. Il lino che non va a buon fine viene usato nel sovescio, ossia arato e messe sotto terre come concime azotante.


A Sante Livardine Vunghile chine chine, si li vunguli ssò bacante Sante Livardine non è sante.
In Irpinia: A San Bernardino le fave sono piene, se sono vuote San Bernardino non è santo.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)