Girolamo cita Tobia 12,7 nel suo commento al libro dell’Ecclesiaste dell’anno 386-387; cita Giuditta 9 nel suo commento a Matteo del 398, introdotto dall’espressione " leggiamo nella Scrittura…." Cita Sapienza 4,8 nel commentario a Geremia del 414-416, preceduto dall’espressione "l’eloquente profeta". Afferma, come riportavo nel mio post precedente ad es. (a. 395) che "il libro di Tobia, pur non essendo nel canone è adoperato da molti autori ecclesiastici" (PG 25, 1119); e finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta con Rut ed Ester "donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri" (PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu adoperato come libro sacro ecc. Per queste e tante altre sue citazioni dei deuterocanonici, (se ne contano appunto circa 200 ) vi è un libro di L.Sanders intitolato Etudes sur St.Jerome, Parigi 1903 pag.216-221 così come lo trovo citato in un libro di studi sul canone biblico. Non dimentichiamo che Girolamo era profondamente cattolico e quindi non poteva completamente ignorare il pensiero comune della Chiesa riguardo a tutti i libri sacri, compresi i cosiddetti deuterocanonici. Pertanto, nelle sue citazioni vedrei una maturazione e non proprio una contraddizione. Se osserviamo il nostro stesso modo di scrivere o di pensare possiamo vedere che dopo un certo numero di anni, arricchiti di nuove conoscenze ed esperienze, il nostro modo di ragionare e di scrivere può modificarsi. Pertanto, anche se, Girolamo non ha fatto una pubblica ritrattazione del suo prologo goleato, di fatto, attraverso i suoi commenti alla Scrittura ha cercato di uniformare le sue espressioni a quelle del sentire comune della Chiesa a cui si sentiva indissolubilmente legato. Egli così scriveva a Teofilo, vescovo di Alessandria: "Sappi dunque che nulla ci sta più a cuore che salvaguardare i diritti del Cristianesimo, non cambiar nulla al linguaggio dei Padri e non perdere mai di vista questa Romana fede, di cui l’Apostolo fece l’elogio.(Epistola 63,2)." L’opera di questo grande padre della Chiesa è stata valorizzata soprattutto per quanto riguarda le traduzioni fatte dai testi originali in lingua ebraica, a prescindere dalla sua opinione. Se, all’epoca di Girolamo, la Chiesa avesse già formulato un pronunciamento definitivo e vincolante circa il canone, egli non avrebbe avuto certamente nessun problema a rinunciare alla sua opinione personale. Girolamo, influenzato dai rabbini, suoi esosi maestri per la lingua ebraica , nel cosiddetto Prologo Goleata, premesso quasi corazza (donde il nome) al primo volume della sua traduzione dall'ebraico (Sam.-Reg.; ca. 390), dopo aver dato il canone ebraico, adoperò l’ espressione "ogni altro libro al di fuori di questi va annoverato fra gli apocrifi". Successivamente però si mostrò più riservato; nelle sue opere si contano circa 200 citazioni tratte dai cosiddetti "deuterocanonici". Quando afferma, ad es. (a. 395) che "il libro di Tobia, pur non essendo nel canone è adoperato da molti autori ecclesiastici" (PG 25, 1119); e finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta con Rut ed Ester "donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri" (PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu adoperato come libro sacro ecc. L'opinione personale espressa nel Prologo Goleata si trova pertanto diverse volte contraddetta da lui stesso; ad essa infatti, eco della influenza rabbinica, si opponeva il senso cattolico della tradizione ecclesiastica, così vivo dappertutto nella grandiosa opera di Girolamo. E la traduzione primitiva continua negli scritti di tutti gli altri Padri in Oriente e in Occidente. Basti ricordare s. Agostino, e con s. Agostino i tre concili africani, che formularono il canone consacrato dalla tradizione che, ben può dirsi, assorbì e sommerse i dubbi sorti nel IV sec. E subito si ritornò all'unanimità dei primi secoli. Se qualcuno, al tempo del Concilio di Trento, riesumò i dubbi sui deuterocanonici, fu solo per influsso della grande autorità di s. Girolamo, cui esplicitamente, ma indebitamente, si riferiva.
Il problema si pose a causa della revisione effettuata dai farisei dell’anno 100, e quindi in una situazione ormai completamente "fuori gioco" per gli ebrei, ai quali era stata tolta la chiave della conoscenza e la vigna da lavorare era stata affidata ad altri. Dare retta alle loro decisioni prese quando ormai le decisioni spettavano ai consessi apostolici ed episcopali, significa fare un grossolano errore, soprattutto se si tiene presente che i giudei del tempo di Gesù approvavano la versione dei settanta, che, lo ripetiamo, contenevano i deuterocanonici. E quando Paolo dice: "tutta la Scrittura è ispirata e utile …. ", si riferisce appunto a quella versione dei settanta del Vecchio Testamento, compreso i deuterocanonici, anche se questi non vengono direttamente citati, così come daltra parte nel NT, non vengono citati altri libri canonici. Probabilmente S.Giuda considerava ispirati i libri di Enoch e dell’Assunzione di Mosè, visto che li cita nella sua lettera canonica. Ma neanche la sua opinione è stata considerata determinante ai fini della definizione del Canone. Vi sono stati anche altri Padri che hanno avuto opinioni personali, soprattutto riguardo a libri del NT, ma le loro opinioni personali sono state serbate solo come ricordo. Alla fine ha prevalso il criterio, secondo me molto valido, di tenere in conto di quello che era il sentire comune della Chiesa.
Il criterio espresso da S.Agostino teneva conto della trasmissione dei libri sacri, conservata presso intere chiese, tra cui quelle di maggiore importanza, per poter discernere i libri ritenuti ispirati. E questo alla fine ha determinato la scelta. Non la singola opinione di Girolamo, per quanto avesse il suo peso. Il fatto che tutti i deuterocanonici si trovavano nella versione dei "settanta" utilizzata dagli stessi apostoli, il fatto che nelle assemblee liturgiche si leggesse correntemente anche i brani tratti dai deuterocanonici, e che tali libri si trovassero in tutte le varie versioni della Vetus latina, anteriore alla versione della Vulgata di Girolamo, di cui egli stesso si servì, testimonia che la Chiesa non facesse una distinzione discriminante tra i vari libri. Questi fatti costituirono poi i criteri per affermare la canonicità degli scritti sacri secondo la Chiesa, che s.Girolamo ignorò, almeno in teoria, preferendo le decisioni tardive degli ebrei. Mentre S.Agostino molto più opportunamente riporta questi criteri, nel libro 2 della "dottrina cristiana", come segue: 8.12… Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità. Nota: Per quanto riguarda i libri citati da Agostino occorre notare che cita: Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, Si tratta dei libri che hanno due titoli e che ora conosciamo comunemente con i seguenti nomi: libro di Giosuè (Gesù figlio di Nave), libri dei Re (o dei Regni), e libri delle Cronache (o Paralipomeni). Si tratta esattamente dei libri che sono stati mantenuti integri ed intatti fino ad oggi, dal momento in cui gli stessi apostoli li avevano nella loro versione dei settanta.
Canone biblico accettato da Agostino.8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach 12; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni. Ed è questo il canone che fu approvato nel Concilio di Ippona, di Cartagine, di Firenze e infine, in modo vincolante e dogmatico al Concilio di Trento . |