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DIFENDERE LA VERA FEDE

s.GREGORIO di Nissa : brani scelti

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    °Teofilo°
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    00 30/07/2009 22:48
    Nell`amore dei poveri costruiamo il nostro eterno futuro

             "Io ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero e nudo, e infermo e carcerato" (Mt 25,35). "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi (miei fratelli), l`avete fatto a me" (v. 40). Per cui, "venite", dice, "benedetti del Padre mio" (v. 34). Che cosa impariamo da queste cose? Che la benedizione e il più grande bene sono riposti nello zelo e nell`osservanza dei precetti; la maledizione e il massimo dei mali derivano dall`accidia e dal disprezzo dei comandamenti. Abbracciamo allora la prima e fuggiamo questa seconda, finché ci è possibile, affinché delle due noi possiamo avere quella che desideriamo. Infatti, in quello a cui con grande alacrità d`animo ci saremo inclinati, noi saremo stabiliti. Per la qual cosa, il Signore della benedizione, che parimenti accetterà da noi ciò che per sollecitudine e per dovere avremo fatto nei confronti dei poveri, come fatto a lui, rendiamocelo benevolo e costringiamolo almeno in questo tempo in cui a noi, mentre viviamo, è data la grande possibilità di osservare il comandamento; e sono molti che mancano del necessario, molti che sono carenti nello stesso corpo, logorati e consumati dalla stessa violenza del male. Cosicché, noi in questa cosa, cioè, per dirla più ampiamente, poniamo più cura e diligenza nel curare coloro che sono colpiti da gravissimo morbo, per conseguire quel magnifico premio promesso... (Cosa dirò forse degli angeli) quando lo stesso Signore degli angeli, lo stesso re della celeste beatitudine si è fatto uomo per te, e queste sordide e abiette spoglie della carne cinse a sé, unitamente all`anima che di esse era rivestita, affinché col suo contatto egli curasse le tue infermità? Tu invece, che sei della stessa natura di chi è ammalato, fuggi uomini di quel genere. Non ti piaccia, fratello, te ne prego, far tuo il cattivo proposito. Considera chi sei, e di chi ti interessi: uomo (sei) soprattutto, tra gli uomini, che nulla hai di proprio in te e nulla di estraneo alla natura comune. Non compromettere le cose future. Mentre infatti condanni la passione grande nel corpo altrui, pronunci una incerta sentenza di tutta la natura. Di quella natura, poi, anche tu sei partecipe, come tutti gli altri. Per la quale cosa, si decida come di cosa comune...

             Che cosa dobbiamo fare, perchè non sembri che noi pecchiamo contro la legge di natura? E` sufficiente che deploriamo le loro passioni e che con la preghiera togliamo via la malattia e ci commuoviamo al suo stesso ricordo? O non si richiede che, con dei fatti mostriamo verso di essi la misericordia e la benevolenza? E` proprio così. Infatti, il rapporto che sussiste tra le cose vere e le pitture appena abbozzate, è quello che c`è tra le parole separate dalle opere. Dice infatti il Signore che la salvezza non sta nelle parole, ma nel compiere le opere della salvezza. Per cui, quello che c`è comandato per causa di essi, occorre che noi lo facciamo per lui... "Via, lontano da me, nel fuoco eterno: perch‚ ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli, non l`avete fatto a me" (Mt 25,41.45).

             Se infatti pensassero di conseguire tali cose in quel modo, non arriverebbero mai a subire quella sentenza, allontanando da sé coloro che soffrono, né stimerebbero contagio per la nostra vita l`impegno per gli sventurati. Per cui, se consideriamo che colui che promise è fedele, ottemperiamo ai suoi comandi, senza dei quali non possiamo essere degni delle sue promesse. Il forestiero, il nudo, l`affamato, il malato, il carcerato, e tutto quello che ricorda il Vangelo, in questo misero ti viene posto dinanzi. Egli va errabondo e nudo e infermo, e a causa della povertà che consegue alla malattia, manca del necessario. Chi infatti non ha a casa di che sostentarsi, né d`altronde può guadagnare col lavoro, questi manca delle cose che le necessità della vita esigono. Per tale motivo, quindi, è schiavo perchè legato dai vincoli della malattia. Pertanto, in ciò avrai adempiuto l`essenziale di tutti i comandamenti, e lo stesso Signore di tutte le cose, per quello che gli avrai prestato con benignità, avrai legato e obbligato a te (cf.Pr 19,17). Perché dunque fai assegnamento su ciò che è la rovina della tua vita? Colui, infatti, che non vuole avere amico il Signore di tutte le cose, è a se stesso grandemente nemico. A quel modo, infatti, che viene realizzata l`osservanza dei comandamenti, viene liberato dalla crudeltà (del supplizio eterno) "Prendete" (dice) "il mio giogo su di voi" (Mt 11,29). Chiama giogo l`osservanza dei comandamenti, obbediamo a colui che comanda.

             Facciamoci giumento di Cristo, rivestendo i vincoli della carità. Non rifiutiamo questo giogo, non scuotiamolo, esso è soave e lieve. A chi si sottomette, non opprime il collo, ma lo accarezza. "Seminiamo in benedizione", dice l`Apostolo, "perchè possiamo anche mietere nelle benedizioni" (2Cor 9,6). Da un tale seme germinerà una spiga dai molti grani. Ampia è la messe dei comandamenti, sublimi sono le stirpi della benedizione. Vuoi capire a quale aitezza si libra il rigoglio di tale progenie? Esse toccano gli stessi vertici del cielo. Tutto ciò che infatti in esse avrai portato, lo troverai al sicuro nei tesori del cielo. Non diffidare delle cose dette, non ritenere che sia da disprezzare la loro amicizia. Le loro mani certamente sono mutilate, ma non inidonee a recare aiuto. I piedi sono divenuti inutili, ma non vietano di correre a Dio. Vien meno la luce degli occhi, ma con l`anima scelgono quei beni che l`acutezza della vista non può fissare... Non c`è infatti chi non sappia, chi non consideri eccellente il premio prima nascosto che viene conferito umanamente e benignamente nelle altrui sventure. Poiché infatti le umane cose signoreggia l`una e medesima natura. E a nessuno è data certezza che a lui in perpetuo le cose saranno prospere e favorevoli. In tutta la vita, occorre ricordare quel precetto evangelico secondo il quale quanto vogliamo che gli uomini facciano a noi, noi lo facciamo loro. Perciò, finché puoi navigare tranquillamente, stendi la mano a colui che ha fatto naufragio; comune è il mare, comune la tempesta, comune il perturbamento dei flutti gli scogli che si nascondono sotto le onde, le sirti, gli inciampi, e tutte infine quelle molestie che alla navigazione di questa vita incutono un uguale timore a tutti i naviganti.

             Mentre sei integro, mentre con sicurezza attraversi il mare di questa vita, non trascurare inumanamente colui la cui nave andò a urtare. Chi può garantire, qui, che avrai sempre una felice navigazione? Non sei ancora pervenuto al porto della quiete (cf Sal 106,19). Non sei ancora stabilito fuori dal pericolo dei flutti. La vita non ti ha ancora collocato in luogo sicuro. Nel mare della vita sei ancora esposto alla tempesta. Quale ti mostrerai verso il naufrago, tali verso di te troverai coloro che insieme navigano.

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             (Gregorio di Nissa, Oratio II: De pauper. amandis)


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    Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 23/11/2002 17.12
    L`amore a Cristo nei poveri

             Niente infatti ha l`uomo di così divino, quanto il meritare bene dagli altri: sebbene quello (Dio) conferisca maggiori benefici, e questo (l`uomo) minori, l`uno e l`altro, io credo, in ragione delle proprie forze. Quegli formò l`uomo, e di nuovo lo raccoglie una volta che si sia dissolto: tu non disprezzare il caduto. Egli ne ha avuto compassione nelle cose di ben altro peso, quando a lui dette, oltre al resto, la Legge, i profeti e ancor prima la legge naturale non scritta, censore delle cose che vengono fatte, riprendendo, ammonendo, castigando; infine, donando se stesso per la redenzione del mondo...

             Colui che naviga, è vicino al naufragio, e lo è tanto di più, quanto più naviga con audacia; e chi coltiva il corpo, è più vicino ai mali del corpo, tanto di più, quanto più cammina altezzoso, e non si accorge di coloro che giacciono davanti a lui. Mentre viaggi col vento favorevole, porgi aiuto a colui che fa naufragio: mentre sei sano e ricco, soccorri chi è ridotto male. Non aspettare di apprendere per diretta esperienza quanto male sia l`inumanità, e quale bene mettere a disposizione dei poveri le proprie sostanze. Non voler far esperienza di Dio che stende la mano contro coloro che alzano il collo, e passano oltre (senza curarsi) dei poveri. Nelle disgrazie altrui impara questo, a chi ha hisogno da` qualcosa: non è poco infatti per chi manca di tutto, anzi neppure allo stesso Dio è impari considerare le rispettive forze. Che tu abbia al posto della più grande dignità la sollecitudine dell`animo: se non hai nulla, versa lacrime. Grande sollievo è la compassione per chi ha l`animo colpito da grande calamità. . .

             O tu ritieni che la benevolenza non sia per te necessaria ma libera? che sia consiglio, anziché norma? Anche questo in sommo grado vorrei e stimerei, ma mi spaventa quella mano sinistra, e i capri, e gli anatemi lanciati da chi li ha collocati lì; non perchè saccheggiarono i templi, o commisero adulterio, o fecero altra cosa di quelle vietate con sanzione, ma perchè non si curarono minimamente di Cristo nei poveri.

             Di conseguenza, se ritenete di dovermi ascoltare in qualcosa, servi di Cristo, e fratelli, e coeredi, visitiamo Cristo, tutto il tempo che ci è possibile, curiamo Cristo, nutriamo Cristo, vestiamo Cristo, riuniamo Cristo, onoriamo Cristo, non solo alla mensa, come qualcuno, né con gli unguenti, come Maria, né soltanto al sepolcro, come Giuseppe d`Arimatea, né con le cose che riguardano la sepoltura, come quel Nicodemo che amava Cristo solo a metà, né infine con l`oro, l`incenso e la mirra come i Magi prima ancora di tutti coloro che abbiamo nominato, ma poiché da tutti il Signore esige la misericordia e non il sacrificio, e la cui misericordia supera le migliaia di pingui agnelli, e questa portiamogli attraverso i poveri prostrati a terra in questo giorno, affinché quando saremo usciti di qui, essi ci ricevano nei tabernacoli eterni nello stesso Cristo Signore nostro, a cui è la gloria nei secoli. Amen.

    Gregorio di Nazianzo, Oratio XIV de pauper. amore, 27 s., 39 s.)

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    00 30/07/2009 22:49
    Venga il tuo regno
    Se dunque vogliamo pregare che scenda su di noi il regno di Dio, questo gli chiediamo con la potenza della Parola: che io sia allontanato dalla corruzione, sia liberato dalla morte, sia sciolto dalle catene dell’errore; non regni mai la morte su di me, non abbia mai potere su di noi la tirannia del male, non domini su di me l’avversario né mi faccia prigioniero attraverso il peccato, ma venga su di me il tuo regno affinché si allontanino da me o, meglio ancora, si annullino le passioni che ora mi dominano e signoreggiano.
    Come infatti si dissolve il fumo, così esse si dissolveranno; come si scioglie la cera al cospetto del fuoco, così esse periranno. Né infatti il fumo, una volta che si è sparso nell’aria, lascia qualche traccia della propria natura, né la cera, liquefattasi a contatto con il fuoco, è più reperibile.
    Così, quando venga tra noi il regno di Dio, tutte le cose che ora ci dominano saranno condannate alla sparizione.


    Gregorio di Nissa, La preghiera del Signore 3

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 17.55
    Originaria bellezza dell’uomo

    "Tutto quanto Dio creò era ottimo: ce lo testimonia il racconto della creazione (cf. Gen 1,31). Fra le cose ottime c’era anche l’uomo, ornato di una bellezza di gran lunga superiore a tutte le cose belle. Cos’altro, infatti, poteva esser bello al pari di chi era simile alla bellezza pura e incorruttibile? Ora, se tutto era bellissimo, ma più di tutto l’uomo, allora certamente in lui non c’era la morte.

    L’uomo non sarebbe stato qualcosa di bello, se avesse recato su di sé il segno sinistro e infamante della morte. Egli, riflesso e immagine della vita eterna, era bello davvero, anzi bellissimo, col raggiante segno della vita sul volto."


    Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 12

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 17.55
    La regale dignità dell’uomo

    "Quaggiù gli artisti conferiscono ai loro strumenti la forma idonea all’uso al quale questi ultimi sono destinati. Non diversamente il migliore degli artisti forgia la nostra natura in maniera da renderla adatta all’esercizio della regalità. Attraverso la superiorità emanata dall’anima, per mezzo della conformazione medesima del corpo, egli dispone le cose in modo che l’uomo sia realmente idoneo al potere regale.

    Codesto crisma della regalità, infatti, che eleva d’altronde l’uomo assai al di sopra delle sue condizioni, l’anima lo manifesta spontaneamente, attraverso la sua autonomia e la sua indipendenza: è in tal modo che l’anima diviene, nella sua condotta, maestra della sua propria volontà.

    E di chi mai è proprio tutto ciò, se non di un re? Aggiungetevi, altresì, che la sua creazione a immagine di quella natura che tutto governa, dimostra appunto che l’anima umana possiede, fin dal principio, una natura regale.

    Secondo quanto accade solitamente, gli autori dei ritratti di prìncipi, oltre alla rappresentazione dei lineamenti, esprimono la loro dignità regia vestendoli di abiti purpurei. Di fronte a immagini del genere, infatti, si ha l’abitudine di dire: «ecco il re». Similmente la natura umana, creata per dominare il mondo in virtù della sua rassomiglianza con il re universale, è stata concepita come un’immagine vivente che partecipa del proprio archetipo nella dignità e nel nome. Non l’avvolge la porpora, né lo scettro né il diadema illustrano la sua dignità (l’archetipo, neppure lui, possiede tutto ciò); al posto della porpora, invece, essa è rivestita della virtù, il più regale di tutti gli abiti; in luogo dello scettro, essa si sostiene sulla beata immortalità; al posto del diadema regale, essa reca la corona di giustizia. In essa dunque, grazie alla sua precisa rassomiglianza con la bontà dell’archetipo, ogni cosa palesa la sua dignità regale."

    Gregorio di Nissa, La formazione dell’uomo, 4

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 17.56
    Ricordati di me

    Dio eterno, verso il quale mi sono slanciata fino dal seno di mia madre, che la mia anima amò con tutta la sua forza,
    al quale consacrai e la mia carne e il mio spirito dalla mia giovinezza fino ad ora, tu mettimi accanto un angelo
    luminoso che mi conduca per mano al luogo del refrigerio, dove si trova l’acqua del riposo, presso il seno dei santi patriarchi.
    Tu che hai spezzato la spada fiammeggiante e hai restituito al paradiso l’uomo che è stato crocifisso insieme a te
    e che si era affidato alla tua misericordia, anche di me «ricordati nel tuo regno» (Lc23,42), perché anch’io sono stata
    crocifissa insieme a te, io che ho inchiodato le mie carni per rispetto religioso di te e che ho temuto i tuoi giudizi.

    Gregorio di Nissa, La vita di Macrina 24

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 17.59
     
    L’uomo, signore della creazione
    "È così che l’insieme degli esseri raggiunge la sua perfezione. Il cielo e la terra e ogni sostanza situata fra loro furono compiuti; ciascuna cosa accolse la bellezza che le è propria: il cielo, lo splendore degli astri; il mare e l’aria, gli animali che vi nuotano e vi volano; la terra, la diversità delle piante e degli animali, di tutti quegli esseri, insomma, che ricevono insieme la loro vitalità dalla volontà divina e che la terra mise al mondo nel medesimo istante. La terra, che aveva fatto germogliare nello stesso tempo fiori e frutti, si riempiva di splendore. I prati si ricoprivano di tutto quanto vi cresce. Le rocce e le cime delle montagne, i versanti delle colline e le pianure, tutte le valli si ornavano di erba fresca e della magnifica varietà degli alberi: quest’ultimi spuntavano appena dal suolo, che già avevano raggiunto la loro perfetta bellezza.
    Naturalmente, tutte le cose erano nella gioia. Gli animali dei campi, condotti alla vita grazie al comando di Dio, saltavano nei boschi a frotte, divisi a seconda delle diverse razze. Ovunque le ombre boscose riecheggiavano del canto armonioso degli uccelli. Si può anche immaginare lo spettacolo che si offriva agli sguardi di fronte a un mare ancora calmo e tranquillo in tutte le sue onde. I porti e i rifugi che si erano spontaneamente scavati lungo le coste secondo il volere divino, univano il mare al continente. I placidi movimenti delle onde rispondevano a quelle vicine, facendo lievemente increspare la superficie dei flutti sotto l’effetto di dolci e benefiche aurette. Tutta la ricchezza della creazione, sulla terra e sul mare, era pronta; ma colui al quale essa è donata, non ancora era là.
    Quel grande e prezioso essere che è l’uomo non aveva ancora trovato posto nella creazione. Non era infatti giusto che il capo facesse la sua apparizione prima dei suoi sudditi; soltanto dopo la preparazione del suo regno, allorché il Creatore dell’universo aveva, per così dire, allestito il trono di colui che doveva regnare, doveva logicamente essere rivelato il re.
    Ecco qui la terra, le isole, il mare e, al di sopra di questi, a guisa di un tetto, la volta del cielo. Ricchezze d’ogni specie erano state riposte in questi palazzi: per «ricchezze» intendo riferirmi a tutta la creazione, a tutto ciò che la terra produce e fa germogliare, a tutto il mondo sensibile, vivente e animato, così come anche (se si deve contare fra queste ricchezze quelle sostanze che la bellezza rende preziose agli occhi degli uomini, come l’oro, l’argento e queste pietre tanto ambite) a tutti quei beni che Dio pone in abbondanza nel seno della terra come in cantine reali.
    Unicamente allora Iddio fa apparire l’uomo in questo mondo, affinché egli sia, delle meraviglie dell’universo, il contemplatore e la guida. Il Signore vuole che il loro godimento, infatti, doni all’uomo l’intelligenza di colui che gliele ha fornite, in maniera che la grandiosa bellezza di ciò che egli vede lo ponga sulle tracce della potenza ineffabile e inesprimibile del Creatore.
    Ecco perché l’uomo è condotto per ultimo nella creazione. Non che costui venga relegato con disprezzo all’ultimo posto, ma perché, fin dalla sua nascita, comprendesse di essere il sovrano di quel suo regno. Un buon padrone di casa, d’altronde, non introduce il suo invitato che dopo i preparativi del pranzo, allorché egli abbia messo tutto a posto come si deve e adeguatamente decorato la casa, il divano e la tavola. Soltanto allora, pronta la cena, fa sedere il suo convitato. Allo stesso modo, colui il quale, nella sua immensa ricchezza, è l’anfitrione della nostra natura adorna dapprima la dimora di bellezze d’ogni genere, allestendo questo grande e vario festino. A questo punto egli introduce l’uomo per rivelargli non il possesso di beni che questi non ancora detiene, bensì il godimento di quanto a lui si offre. Ecco perché, nel creare la nostra natura, Iddio getta un duplice fondamento all’unione del divino con il terrestre, affinché, attraverso l’uno e l’altro carattere, l’uomo godesse doppiamente sia di Dio, grazie alla sua natura divina, sia dei valori terreni, in virtù di quella sua sensibilità che appartiene alla loro stessa dimensione."
    Gregorio di Nissa, La formazione dell’uomo, 1-2
     

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 18.00
    Si allontana da Dio chi non si unisce a lui con la preghiera

    La parola divina ci presenta un insegnamento sul modo di pregare e con ciò insegna ai discepoli ben disposti, che con amore e impegno ricercano questa scienza, come sia utile ottenere con la preghiera che Dio ci ascolti. Si allontana da Dio chi non si unisce a lui con la preghiera. Dovete dunque prima di tutto imparare questo, riguardo all'orazione: che bisogna pregare sempre senza stancarsi. Attraverso la preghiera riusciamo a stare con Dio. Ma chi è con Dio è lontano dal nemico. La preghiera è sostegno e difesa della castità, freno dell'ira, acquietamento e dominio della superbia. La preghiera è custodia della verginità, protezione della fedeltà del matrimonio, speranza per coloro che vegliano, abbondanza di frutti per gli agricoltori, sicurezza per i naviganti.

    Anche se continuassimo per tutta la vita il colloquio con Dio pregando e ringraziando, saremmo ben lontani dal contraccambiarlo adeguatamente, come se neanche ci fosse venuto in mente di ricambiare chi ci elargisce tanti benefici. Nel corso del tempo si distinguono tre momenti: il passato, il presente e il futuro. In tutti e tre si scorge il bene che ci viene dal Signore. Se consideri il presente, è lui la tua vita; se il futuro, egli è per te la speranza di ciò che attendi; se il passato, tu non avresti l'esistenza se egli non ti avesse creato. La tua stessa nascita è dono suo. E dopo esser nato, vieni ricolmato di beni vivendo e muovendoti in lui, come dice l'Apostolo. La speranza delle cose future deriva dalla stessa sua potenza operatrice.

    Tu invece puoi disporre solo dell'attimo presente. Perciò, anche se per rutta la vita non cesserai di ringraziare Dio, potrai adempiere il dovere del ringraziamento solo per il tempo presente perché non puoi escogitare la maniera di contraccambiare i doni del futuro. E noi, che siamo così lontani dal poter offrire un ringraziamento adeguato, non dimostriamo neppure la gratitudine che ci è possibile, perché non dedichiamo all'invito del Signore, non dico tutto il giorno, ma neppure una piccola parte di esso. Chi ha ricondotto al primitivo splendore l'immagine divina offuscata in me dal peccato? Scacciato dal paradiso, allontanato dall'albero della vita e caduto nel baratro di un'esistenza priva della grazia di Dio, chi mi riporta alla primitiva felicità? "Nessuno se ne dà pensiero", dice la Scrittura (Ger 12, 11).
    Se riflettessimo su queste cose, offriremmo certamente un ininterrotto e costante rendimento di grazie per tutto il tempo della nostra vita. Invece, quasi tutto il genere umano, si preoccupa solo di ciò che riguarda la vita materiale. Ma sembra opportuno anche considerare la sentenza evangelica riguardante la quantità delle parole che si devono usare per essere esauditi. È infatti chiaro che se apprenderemo il modo di formulare convenientemente una domanda, otterremo ciò che desideriamo. Qual è dunque questo insegnamento? "Pregando" ? disse - "non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole" (Mt 6, 7).


    Tratto da: L'ORA DELL'ASCOLTO, UMIL, Lezionario biblico - patristico a ciclo biennale per l'Ufficio delle Letture; PIEMME, Ed. del Deserto, p. 2028 - 2029

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 18.01
    Tutti i discorsi su Dio ce ne offrono solo un’apparenza

    "Ogni dottrina sull’ineffabile essenza divina, nonostante l’apparenza di discorso elevato e rispondente alla realtà di Dio, è soltanto una somiglianza dell’oro, non l’oro vero. Infatti, un valore che supera l’intelligenza e ogni concetto razionale, non è possibile che sia mostrato nella sua interezza e perfezione. Ancorché si tratti di un Paolo, iniziato in paradiso agli arcani misteri: egli ascoltò sì parole ineffabili (2Cor 12,4), ma ineffabili rimangono i pensieri su Dio. Egli stesso afferma infatti che questi pensieri non si possono esprimere a parole.

    E allora, coloro che suggeriscono qualche valida considerazione sull’intelligenza dei misteri, non possono affermare come questi siano in se stessi, ma si limitano a descrivere lo splendore della gloria, l’immagine dell’essenza, la bellezza di Dio; ad affermare che in principio era il Verbo, che il Verbo è Dio. E tutto ciò a noi, che non abbiamo visto quel divino tesoro, sembra che sia oro; invece, per coloro che possono contemplare la verità, appare come oro, ma non lo è...

    L’essenza divina è al di sopra dell’ambito del pensiero. Anzi, il concetto che ne abbiamo è solo un’immagine di quello dovuto. Infatti, esso non mostra l’autentica realtà di colui che nessuno ha conosciuto né può conoscere o vedere, ma, come in uno specchio e in una figura misteriosa, ne descrive soltanto un’apparenza...

    L’anima invece, condotta per mano attraverso tali pensieri alla concezione delle cose ineffabili, con la sola fede deve ospitare in sé quell’essenza che supera ogni intelletto."


    Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 3

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    Da: Soprannome MSN°Gino¹Inviato: 24/01/2004 18.01

    Gregorio di Nissa la nostra vocazione alla santità. Creati a immagine di Dio.

    Sappi quanto sei stata (l'anima) onorata dal creatore al di sopra del resto della creazione.

    Non il cielo è stato fatto immagine di Dio, non la luna, non il sole, non la bellezza delle stelle, nessun altra delle cose che appaiono nella creazione.

    Solo tu sei stata fatta immagine della natura che sovrasta ogni intelletto, somiglianza della bellezza incorruttibile, impronta della vera divinità, ricettacolo della vita beata, immagine della vera luce, guardando la quale tu diventi quello che egli è, perché tu imiti colui che brilla in te per mezzo del raggio riflesso proveniente dalla tua purezza.

    Nessuna cosa che esiste è così grande da essere commisurata alla tua grandezza.

    Il cielo intero è compreso dal palmo della mano di Dio, la terra e il mare sono contenuti nel suo pugno (cf. Is 42,12).

    E ciononostante, colui che è tale e tanto, colui che stringe tutta la creazione con il suo palmo, diviene tutto quanto da te contenibile ed abita in te (cf. Ef 3,17), e non sta allo stretto se dimora nella tua natura colui che disse (cf. 2 Cor6, 16):

    «Abiterà e camminerà in essi». Se tu guarderai queste cose, non volgerai lo sguardo a nessuna cosa terrena.

    Ma che dico?
    Nemmeno il cielo tu lo considererai mirabile.

    Come puoi, infatti, ammirare i cieli, o uomo, se tu guardi te stesso, che sei più stabile dei cieli?

    Quelli, infatti, passano (cf. Sal 101,27), mentre tu duri per l’eternità insieme con colui che sempre è.

    Non ammirerai le distese della terra, nè i mari che si protendono all’infinito, dal momento che sei stato posto a governarli, come un auriga di una coppia di puledri possedendo obbedienti al tuo volere e a te sottomessi questi elementi.

    La terra, infatti, è tua serva per fornirti tutto quello che ti serve per la vita, e il mare, come un cavallo alla briglia, sottopone a te il suo dorso e accetta l’uomo perché vi monti sopra. Dunque, se tu conoscessi te stessa, o bella tra le donne, tu disprezzerai tutto il mondo, e se volgerai sempre il tuo sguardo al bene immateriale, tu non ti curerai dell’errore delle impronte che percorrono questa vita.

    Presta, allora, sempre attenzione a te stessa, e non andrai errando attorno ai branchi dei capretti; non sarai rivelata, nel giorno del giudizio, capretto invece di agnello (cf. Mt 25,33), né sarai esclusa dalla sede alla destra del Signore, ma ascolterai la dolce parola, che dice agli angeli lanuti e mansueti: «Venite, benedetti dal Padre mio, ereditate il regno che è stato preparato per voi prima della fondazione del mondo» (cf. Mt 25,34).

    Possiamo anche noi essere considerati degni di quel regno, in Gesù Cristo Signor nostro! A lui la gloria nei secoli, amen.



    Gregorio di Nissa (395), Omelie sul Cantico dei Cantici, II.