DIFENDERE LA VERA FEDE

Un solo gregge un solo Pastore, Grazie Benedetto XVI

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    Caterina63
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    00 23/10/2009 14:22

    UN SOLO GREGGE UN SOLO PASTORE

    Riemenschneider Tilman - Altare dell'Ultima Cena - Rothenburg, Sankt Jakob (1499-1505)

    Articolo pubblicato su Petrus - www.papaweb.it

    di Francesco Colafemmina


    La decisione del Santo Padre di accogliere nel seno della Chiesa Cattolica alcuni gruppi di anglicani dissidenti rispetto a talune scelte della comunione anglicana (sacerdozio femminile e omosessuale), può essere letta seguendo un duplice registro.

    Il giorno seguente la comunicazione ai media di questo storico evento, i giornali si dividono fra una lettura "ecumenica" ed un'altra più "tradizionale" o addirittura "tradizionalista". Da un lato, si dice, il Papa ha voluto accogliere questi anglicani "senza patria", ormai orfani della loro Comunione ed in aperto contrasto con essa a causa delle sue terribili aperture mondane. E lo avrebbe fatto non solo dando ascolto alle richieste del suddetto gruppo di anglicani (vescovi, ministri e fedeli), ma anche facendo seguito ai dialoghi ecumenici con la Comunione Anglicana per un progressivo riavvicinamento.

    Dall'altro lato, invece, questo atto benevolo e paterno di Sua Santità è interpretato come un mezzo per unire la Chiesa Cattolica attorno alla "tradizione", integrando così "selettivamente" gruppi quali la FSSPX o la TAC (Traditional Anglican Communion), soltanto mirando al loro rispetto per la tradizione.

    A questo punto bisognerebbe guardare ad una terza via: il Papa riconduce alla comunione con Roma quei gruppi di cristiani che riconoscono il primato petrino e credono fermamente nei dogmi e nel magistero della Chiesa Cattolica. Cosa c'è di più semplice?

    Nonostante la retorica ecumenicistica e le vacue panzane dialogiche, è infatti evidente che il Santo Padre persegue quanto già espresso chiaramente durante la sua meravigliosa Omelia del 24 Aprile 2005, quando iniziava il ministero petrino:

    "Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell’immagine del pastore che in quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all’unità. “Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch’esse io devo condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione: “sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò” (Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità, che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!".

    L'unità è però evidentemente intesa in un senso che sfugge ai commentatori e spesso agli stessi fedeli. Rileggiamo quanto affermava il Card. Ratzinger nel lontano 1986:

    "Subito dopo l'attenuarsi del primo slancio conciliare, era affiorato il contromodello dell'ecumenismo «di base», il quale mirava a far sorgere l'unità «dal basso» se non era possibile farla discendere dall' alto. In questa concezione è giusto che l' «autorità» nella Chiesa non può realizzare nulla che non sia prima maturato nella vita della Chiesa, quanto a intelligenza ed esperienza di fede. Dove, però, non si faceva riferimento a questa maturazione, ma si andava affermando una divisione della Chiesa in «chiesa di base» e in «chiesa ministeriale», non poteva certo emergere una nuova unità di qualche rilievo. Un ecumenismo di base di questo genere crea alla fine soltanto dei gruppuscoli, i quali dividono le comunità, e tra loro stessi non realizzano un'unità più profonda, nonostante una propaganda comune di ampiezza mondiale. Per un certo lasso di tempo parve che le tradizionali divisioni delle chiese sarebbero state superate mediante una divisione nuova e che si sarebbero in futuro trovati contrapposti, da una parte dei cristiani «impegnati» in senso progressista e, dall'altra, dei cristiani «tradizionalisti», che avrebbero ambedue fatto adepti nelle diverse chiese finora esistenti. In tale ottica nacque allora il proposito di omettere del tutto dall'ecumenismo le «autorità», perché un eventuale accostamento o perfino unione su questo piano non avrebbe che rafforzato l'ala tradizionalista della cristianità e si sarebbe impedita la formazione di un cristianesimo nuovo e progressista.

    Simili idee oggi non sono ancora del tutto spente, ma sembra tuttavia che il tempo della fioritura sia ormai alle spalle. Un'esistenza cristiana, che si definisce quanto all'essenza secondo i criteri dell' «engagement», è troppo labile nei suoi confini per poter alla lunga creare unità e generare solidità in una vita cristiana comune. Le persone perseverano nella chiesa non perché vi trovano feste comunitarie e gruppi di azione, bensì perché sperano di trovarvi le risposte a domande vitali indispensabili.Tali risposte non sono state escogitate dai parroci o da altre autorità, ma vengono da un'autorità più grande e sono fedelmente mediate e amministrate, semmai, dai parroci. Gli uomini soffrono anche oggi, forse ancora più di prima; non basta ad essi la risposta che viene dalla testa del parroco o da qualche «gruppo attivistico». La religione penetra oggi come sempre in profondità nella vita degli uomini per attingervi un punto di assoluto e, a tanto, serve solo una risposta che viene dall' assoluto. Là dove i parroci o i vescovi non appaiono più come i mediatori di quanto è assoluto anche per essi, ma hanno solamente da offrire le loro proprie azioni, è allora che diventano una «chiesa ministeriale» e, come tali, superflui."


    E aggiungeva:


    "Ma, stando così le cose, che cosa dobbiamo fare? In vista di una risposta mi è assai di aiuto la formula che Oscar Cullmann ha coniato per tutta la discussione: unità attraverso pluralità, attraverso diversità. Certamente la spaccatura è dal male, specie quando porta all'inimicizia e all'impoverimento della testimonianza cristiana. Ma se a questa spaccatura viene a poco a poco sottratto il veleno dell'ostilità e se, nell'accoglimento reciproco della diversità, non c'è più riduzionismo, bensì ricchezza nuova di ascolto e di comprensione, allora la spaccatura può diventare nel trapasso una felix culpa, anche prima che sia del tutto guarita. "



    Questa "diversità nell'unità" affermata dal Cardinal Ratzinger non è tuttavia una sorta di "relativismo" interno all'unità ecclesiale, perchè si rapporta al contrario con l'unica Verità che è Cristo. Il Santo Padre allo stesso modo intende dimostrarci che il reintegro della comunità lefebvriana, come quello della comunione anglicana tradizionale sono evidenti gesti che tendono ad armonizzare ed arricchire la Chiesa alla luce della Verità di Cristo. Riunire le membra del Corpo Mistico, significa glorificare Cristo e procedere in armonia verso di Lui.
    D'altra parte questa idea di ecumenismo cattolico, inteso quale ritorno alla Verità, quale accoglienza positiva e gioiosa (ricordate le parole dell'Omelia succitata!) delle pecorelle smarrite, non può non accadere grazie al Vicario di Cristo ed alla sua amorevole azione riconciliatrice, al suo ministero di unione paterna del popolo di Dio.

    Svaniscono dunque decenni di tronfia ed insulsa retorica ecumenicistica, fatta di parole, abbracci, concelebrazioni, fondati sulle buone intenzioni ma raramente su saldi ed autentici principi. Svaniscono semplicemente perchè costantemente vissuti quali tentativi di minimizzazione e negazione delle differenze e delle divisioni che tuttora sussistono, come se snaturando la propria identità fosse più semplice il dialogo e la ricerca di unità.
    No. L'unita è appunto frutto di una ricerca, di un percorso comunitario di necessario e volontario ritorno all'unità. E quell'unità non può che consistere nella stessa Chiesa Cattolica e Pietro. Non è la Chiesa Cattolica ad aver negato l'unità di Anglicani, Lefebvriani e Protestanti. La Chiesa Cattolica è stato il seno da cui sono emerse realtà scismatiche o più semplicemente nel caso della Fraternità San Pio X, realtà fedeli a Pietro che hanno però leso l'unità ponendo in essere l'atto scismatico dell'ordinazione episcopale senza mandato pontificio.

    Come dichiarava nel 2006 l'Arcivescovo John Hepworth della Traditional Anglican Communion, a proposito dell'ordinazione di donne sacerdoti: "nello stesso momento le grandi dottrine della Creazione, Incarnazione e Redenzione sono negati. La vita sacramentale della Chiesa, attraversol la quale Gesù porta la grazia salvatrice della redenzione di ciascuno di noi, diventa oggetto di sospetto ed incertezza. Mettere una donna sacerdote in una diocesi è sempre una "rottura della comunione", perchè rende l'atto autentico della comunione impossibile". Se dunque sono queste le ragioni "essenziali" del ritorno al Cattolicesimo della comunione anglicana tradizionale, come si può continuare a parlare di un vago "ecumenismo" decontestualizzato ed imcomprensibile? Come si può affermare che i fedeli della TAC sarebbero semplicemente dei "fuori posto" nell'anglicanesimo e pertanto li si stipa oggi nelle fila dei cattolici, quasi come accadeva alle popolazioni balcaniche quando agli inizi del secolo scorso gruppi etnici venivano scambiati fra una nazione e l'altra di quella tormentata regione?

    La realtà è invece un'altra. La Traditional Anglican Communion ha serenamente e coerentemente basato il suo avvicinamento a Pietro ed alla Chiesa Cattolica sui fondamenti della Dichiarazione di Saint Louis del 1977: fedeltà ai dogmi, fedeltà alla morale, fedeltà alla tradizione. Principi che già furono ribaditi quali cardini di un percorso ecumenico da Papa Paolo VI e dal Primate Anglicano Ramsey nel 1966: "Quam mutuam necessitudinem fovere ac provehere volentes, proponunt, ut inter Ecclesiam Catholicam Romanam et Communionem Anglicanam sedulo instituantur colloquia, quorum veluti fundamenta sint Evangelium et antiquae Traditiones utrisque communes, quaeque ad illam unitatem pro qua Christus oravit, in veritate perducant."

    Diceva quindi la loro dichiarazione congiunta: "siano considerati quali fondamenti dei colloqui fra Chiesa Cattolica Romana e Comunione Anglicana il Vangelo e le antiche Tradizioni (con la T maiuscola) ad entrambe comuni, perchè conducano nella verità a quella unità per la quale Cristo pregava".

    Oggi però si adempie non solo la preghiera del Signore, ma anche la paterna e benevola del grande Papa Leone XII! Infatti fu egli nella Bolla Apostolicae Curae nell'anno 1896 ad affermare, dopo aver dichiarato invalide le ordinazioni compiute con il rito anglicano, quanto segue:

    "Rimane questo: con lo stesso nome e con lo stesso animo del "grande pastore" con cui ci siamo adoperati per dimostrare la verità assoluta di una realtà così importante, vogliamo dare coraggio a coloro che con volontà sincera desiderano e ricercano i benefici degli ordini e della gerarchia. Forse fino ad ora, pur ricercando l'ardore della cristiana virtù, riflettendo più devotamente sulle divine Scritture, raddoppiando le pie preghiere, si sono tuttavia arrestati, incerti e inquieti, di fronte alla voce di Cristo che già da tempo esorta interiormente. Vedono già esattamente che Colui che è buono li invita e li vuole. Se ritornano al suo unico ovile conseguiranno veramente sia i benefici richiesti, sia i rimedi della salvezza che ne conseguono, e di cui egli stesso ha fatto ministra la chiesa, quasi custode perpetua e amministratrice della sua redenzione fra le genti. Allora veramente "attingeranno l'acqua con gioia dalle fonti del Salvatore", i suoi meravigliosi sacramenti; da questi le anime fedeli, rimessi veramente i peccati, sono restituite all'amicizia di Dio, sono nutrite e rafforzate con il pane celeste, e con gli aiuti più grandi pervengono al raggiungimento della vita eterna. Assetati realmente di tali beni, "il Dio della pace, il Dio di ogni consolazione", voglia benigno con questi ricolmarli e appagarli. Vogliamo poi che la Nostra esortazione e i Nostri desideri riguardino soprattutto coloro che sono considerati ministri della religione nelle loro comunità. Gli uomini che per l'ufficio stesso sono superiori in dottrina e autorità, e ai quali senza dubbio sta a cuore la gloria divina e la salvezza delle anime, vogliano mostrarsi particolarmente alacri e obbedire a Dio che chiama, e dare di sé un chiarissimo esempio.

    Certamente la madre chiesa li accoglierà con gioia specialissima e li abbraccerà con ogni bontà e con ogni cura, perché una più generosa forza d'animo li ha ricondotti al suo seno attraverso ardue difficoltà. Per tale forza, è impossibile dire quale lode sia loro riservata nelle assemblee dei fratelli per l'orbe cattolico, quale speranza e fiducia davanti a Cristo giudice, quali premi da lui nel regno celeste! Noi poi, per quanto sarà possibile, con ogni mezzo, non cesseremo di favorire la loro riconciliazione con la chiesa; dalla quale e i singoli e gli ordini, cosa che desideriamo con forza, possono prendere molto per imitarla. Frattanto preghiamo tutti e supplichiamo per le viscere di misericordia del nostro Dio affinchè cerchino fedelmente di assecondare l'abbondante flusso della verità e della grazia divina."

    Grazie dunque a Sua Santità Benedetto XVI per questo grande dono che ci ha elargito accogliendo nella Chiesa tanti nuovi fratelli e sorelle nel Signore che con gioia abbracciamo e cui va il nostro amorevole benvenuto!

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 09/06/2012 15:04

    [SM=g1740733] Il programma del Papa?
    Solo il Vangelo
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    Quello pubblicato in questa pagina (Avvenire 8 giugno 2012) è il testo – quasi integrale – dell’introduzione scritta da monsignor Georg Gaenswein, segretario particolare del Papa, al libro «Gesù di Nazaret all’università. Il libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI letto e commentato negli atenei italiani» edito dalla Libreria editrice vaticana (pp. 300, euro 18) a cura di Pierluca Azzaro. Il volume raccoglie i testi degli interventi pronunciati in occasione della presentazione del «Gesù di Nazaret» di papa Ratzinger fatta in dieci università italiane, secondo un progetto – ricorda Azzaro nella presentazione – che «nasce da un’intuizione del direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa». (G. C.)

    Pope's personal secretary father Georg Ganswein (R) smiles next to Pope Benedict XVI during his weekly general audience in St. Peter's Square on June 6, 2012.
     
    Non è passato troppo tempo da quando qua e là dei professori universitari deridevano quegli studenti di teologia che citavano le opere di Joseph Ratzinger. Molti consideravano il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il gendarme del Papa, anche solo in forza di quel suo ufficio.

    In effetti, il cardinale divenne come una spina nel fianco di un mondo postmoderno nel quale la questione della verità è considerata priva di senso, di una società dell’opulenza e dell’avidità che sembra sempre più voltare le spalle a Dio; era un uomo scomodo che, senza tanto discutere, aveva preso su di sé un giogo pesante. Ma chi è in realtà quest’uomo? Come fu possibile che, nell’arco di sole ventiquattr’ore dalla sua elezione a Romano Pontefice, trasmise un’immagine di sé completamente diversa? Insieme agli abiti aveva forse cambiato anche la propria natura? Oppure eravamo noi stessi ad avere una falsa idea di questo studioso di Dio tanto saldo quanto umile? È venuto il tempo di sottoporre a una profonda revisione l’immagine che alcuni media hanno prodotto dell’ex Prefetto. E questo non solo per fare giustizia a una grande personalità, ma anche per potere ascoltare senza pregiudizi cosa ha da dire quell’uomo che sta sul trono di Pietro. Il ministero di supremo pastore della Chiesa possiede una dimensione che fa sì che possano esprimersi nel modo più pieno e limpido la natura dell’uomo Joseph Ratzinger ed i doni che gli sono stati dati.
    In questo il Papa non è un politico ed il suo pontificato non è un progetto. Non si tratta né di esercitare una singolare creatività, né di mettersi in particolare rilievo. Non è un caso che la parola "Provvidenza" venga spesso utilizzata dal Papa. Il 24 aprile 2005, alla Messa per l’inizio del ministero petrino, Benedetto XVI affermò dimostrativamente di rinunciare ad un «programma di governo»; perché, in realtà, quel programma era stato già fissato da tempo, da circa duemila anni per essere precisi.

    E il Papa disse chiaro e forte: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia». Dal giorno in cui pronunciò quelle parole sono passati 7 anni. Per un pontificato non si tratta certo di un lungo periodo, e tuttavia è un lasso di tempo sufficiente per tracciare un primo bilancio. Per che cosa si batte Benedetto XVI? Che messaggio vuol portare agli uomini? Cosa lo muove e cosa è riuscito lui stesso a smuovere? Quale «servo dei servi di Dio», è d’esempio con la sua bontà, cura la collegialità fra i pastori, concentra il suo ministero sull’essenziale, in primo luogo sul rinnovamento nella fede, sul dono dell’Eucaristia e sull’unità della Chiesa. Ed evidentemente, proprio grazie al rafforzamento di queste fondamenta e in virtù del lascito del suo grande predecessore è riuscito in quello che, in un lasso di tempo così breve, ben pochi credevano possibile: la rivitalizzazione della Chiesa in un tempo difficile. Nlla curia ha dato nuova linfa a forme antiche e al contempo ha potato rami secchi. (…)

    La questione di Dio non è qualcosa che appartiene al passato; al contrario: è attualissima; perché l’uomo trova il suo compimento in una vita che si abbevera alla fonte della fede cristiana. Questo è il messaggio fondamentale delle omelie e dei discorsi di Benedetto XVI. Perché solo Dio libera l’uomo dal peccato e dalle difficoltà di questa vita. Allo stesso modo ha destato in noi meraviglia come l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con il suo calore e la sua semplicità così spontanea e vera, riesca senza sforzo alcuno ad avvincere il cuore degli uomini. Notevole è anche il suo coraggio: Benedetto XVI non teme il confronto e i dibattiti. Chiama per nome le insufficienze e gli errori dell’Occidente, critica quella violenza che pretende di avere una giustificazione religiosa. Non smette mai di ricordarci che si voltano le spalle a Dio con il relativismo e l’edonismo non meno che con l’imposizione della religione attraverso la minaccia e la violenza. Al centro del pensiero del Papa sta la questione del rapporto tra fede e ragione; tra verità e libertà, tra religione e dignità dell’uomo.
    La nuova evangelizzazione dell’Europa e di tutto il mondo, ci dice il Papa, sarà possibile quando gli uomini comprenderanno che fede e ragione non sono in contrasto, ma in relazione tra loro. Una fede che non si misura con la ragione diviene essa stessa irragionevole e priva di senso. E, al contrario, una concezione della ragione che riconosce unicamente ciò che è misurabile non basta per comprendere l’intera realtà. In fondo, al Papa interessa riaffermare il nocciolo della fede cristiana: l’amore di Dio per l’uomo, che trova nella morte in croce di Gesù e nella sua risurrezione l’espressione insuperabile. Questo amore è l’immutabile centro sul quale si fonda la fiducia cristiana nel mondo, ma anche l’impegno alla misericordia e alla carità, la rinuncia alla violenza. Non a caso la prima enciclica di Benedetto XVI è intitolata Deus caritas est, «Dio è amore».
    È un segnale chiaro; di più, una frase programmatica del suo pontificato. Benedetto XVI vuole far risaltare, in tutto il suo splendore, la grandiosità della verità cristiana. L’uomo trova la sua pienezza e il suo compimento in una vita che si disseta alla fonte della fede. È un punto centrale questo. Nella prospettiva del Santo Padre, sta qui la forza e anche la possibilità di futuro per la fede. Il messaggio del successore di Pietro è tanto semplice quanto profondo: la fede non è un problema da risolvere, è un dono che va scoperto nuovamente, giorno per giorno. La fede dà gioia e pienezza. Più di ogni altra cosa è questo che caratterizza il pontificato del Papa teologo. Ma questa fede non è affatto avulsa dal mondo e dalla storia. È una fede cha ha un volto d’uomo, il volto di Gesù Cristo. In lui, il Dio nascosto è divenuto visibile, tangibile. Dio, nella sua grandezza incommensurabile, si dona a noi nel suo Figlio. Al Santo Padre preme annunciare il Dio fatto carne, <+corsivo>urbi et orbi<+tondo>, a piccoli e grandi, a chi ha potere e a chi non ne ha, dentro e fuori la Chiesa, che lo si gradisca o meno. E anche se tutti gli occhi e le telecamere sono puntati sul Papa, non si tratta in definitiva di lui.

    Il Santo Padre non mette al centro se stesso, non annuncia se stesso, ma Gesù Cristo, l’unico redentore del mondo. Chi vive in pace con Dio, chi si lascia riconciliare con lui, trova anche la pace con se stesso, con il prossimo e con la creazione che lo circonda. La fede aiuta a vivere, la fede regala gioia, la fede è un grande dono: questa è la convinzione più profonda di Papa Benedetto. Per lui è un sacro dovere lasciare tracce che conducano a questo dono. E di questo dono egli vuole rendere testimonianza, «in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».



    Pope Benedict XVI listens during a meeting with Milan's authorities and entrepreneurs at the archbishopric in Milan on June 2, 2012. Thousands of young pilgrims greeted Pope Benedict XVI at the Church-sponsored World Meeting of Families on Saturday, in a welcome distraction from Vatican infighting for the aged pontiff.

    [SM=g1740738]


    [Modificato da Caterina63 09/06/2012 15:05]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)