È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

DIFENDERE LA VERA FEDE

"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 13/06/2009 15:56
     

    In attesa di leggere l'Enciclica...

    «Separare la Carità dalla Verità,
    non è cattolico»

    Caritas in Veritate. Così sarà intitolata l’Enciclica sociale di Benedetto XVI, la cui uscita era prevista per il 15 aprile, è stata rinviata, fece sapere la Santa Sede a causa dell'aggravarsi della crisi per la quale, il Santo Padre, ha voluto rivedere alcune questioni per aggiornarle...
    Ora è prevista l'uscita per la fine di questo mese, il 29 giugno....

    Quel titolo, Carità nella Verità, molto riecheggia (indirettamente) il pensiero di un intellettuale cattolico del Novecento spesso dimenticato, ma ultimamente in via di riscoperta: Romano Amerio (1905-1997).

    Filologo e filosofo di Lugano, svizzero di nascita ma “romano” (nel senso di cattolico) per vocazione. Da sempre è considerato la bestia nera di ogni pensiero cattolico progressista, filone che, in effetti, ha steso un silenzio colpevole per decenni sulle sue due opere teologiche maggiori, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo (1985) e Stat Veritas. Sèguito a Iota unum (1997). Amerio fu colui che meglio teorizzò la disamina della crisi del cattolicesimo novecentesco in una semplice constatazione: «Separare l’amore, la Carità dalla Verità, non è cattolico» come annota in un testo inedito da poco pubblicato nel volume Romano Amerio, il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa cattolica del XX secolo, fresco di stampa per le Edizioni Fede & Cultura (145 pagine, 20 euro).

    Caritas in Veritate



    Caritas in Veritate

    L’anticipazione arriva da Oltreoceano, per di più da una fonte autorevole, la casa editrice americana Ignatius che pubblica abitualmente i libri di Benedetto XVI. Scrive la rivista Ignatius Insight, ripresa dall’agenzia Infocath della Conferenza episcopale francese, che la nuova enciclica sociale del Papa  sarà divisa in due parti, conterrà cento pagine (nell’edizione inglese) e si intitolerà Caritas in Veritate. Essa verterà su argomenti “caldi” come «la mondializzazione», «le urgenze alimentari», «i cambiamenti climatici» e altre questioni «che possono suggerire una valutazione morale della Chiesa».

    Quel titolo, Carità nella Verità, molto riecheggia (indirettamente) il pensiero di un intellettuale cattolico del Novecento spesso dimenticato ma ultimamente in via di riscoperta: Romano Amerio (1905-1997). Filologo e filosofo di Lugano, svizzero di nascita ma “romano” (nel senso di cattolico) per vocazione, Amerio fu studioso di Manzoni, Leopardi e Sarpi. Da sempre è considerato la bestia nera di ogni pensiero cattolico progressista, filone che, in effetti, ha steso un silenzio colpevole per decenni sulle sue due opere teologiche maggiori, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo (1985) e Stat Veritas. Sèguito a Iota unum (1997), entrambe uscite da Ricciardi, oggi esaurite.
     
    Già, perché Amerio fu – per dirlo in sintesi – colui che meglio teorizzò la disamina della crisi del cattolicesimo novecentesco in una semplice constatazione: «Separare l’amore, la carità dalla verità, non è cattolico» come annota in un testo inedito da poco pubblicato. Ovvero la questione da sempre dibattuta se il primato debba andare alla verità o alla carità. E già il titolo del prossimo documento magisteriale di Benedetto XVI annunciato per la primavera dimostra che la proposta “ameriana” è stata rivalutata in alto loco nei Sacri Palazzi.

    Continua Amerio nella sua analisi dei rapporti tra carità e verità: «La celebrazione indiscreta che la Chiesa e la teologia ammodernata fanno dell’amore è una perversione del dogma trinitario perché (…) l’amore è preceduto dal Verbo, è preceduto dalla cognizione, e non si può fare dell’amore un assoluto. (…) Difatti l’amore procede dalla conoscenza. Quando si dice che l’amore non procede dalla conoscenza si fa dell’amore un valore senza precedenti, invece c’è un valore che precede l’amore ed è la conoscenza. Quindi questo avvaloramento indiscreto dell’amore implica una distorsione del dogma trinitario».
     
    Giunge dunque a proposito Romano Amerio, il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa cattolica del XX secolo, fresco di stampa per le Edizioni Fede & Cultura (145 pagine, 20 euro), che contiene “La questione del Filioque, ovvero la dislocazione della divina Monotriade”, il testo mai finora pubblicato cui abbiamo fatto riferimento. Si tratta degli atti di un convegno realizzato ad Ancona nel 2007 su Amerio (che don Divo Barsotti definì «un vero cristiano»), cui hanno preso parte personaggi qualificati della cultura cattolica, tra cui Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso, monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, Enrico Maria Radaelli, filosofo e discepolo di Amerio, nonché Antonio Livi, docente di filosofia all’Università Lateranense.

    Una questione di alta levatura teologica, quella affrontata da Amerio, oppure invece un grido di allarme veritiero sulle condizioni del pensiero e dell’azione cattolici? Decisamente la seconda delle due. Il filosofo svizzero, infatti, ha la capacità di legare in maniera geniale grandi elucubrazioni teologiche con osservazioni pratiche quanto mai ficcanti. Un esempio? «La nostra fede porta che in principio sia il Padre, il Padre genera il Figlio, che è il Verbo, e, dal Padre e dal Figlio, si genera lo Spirito Santo, che è l’amore. L’amore è preceduto dal Verbo, è preceduto dalla cognizione. (…) Facendo dell’amore un assoluto si cade nell’errore degli Orientali, che non accettano il Filioque del nostro Credo».
     
    Senza il Figlio non esiste remora

    Fin qui l’argomentazione teologica. E il risvolto pratico? Amerio ne dà eloquenti esemplificazioni: «Questo del Filioque, che sembra un teorema di astratta teologia, è un atteggiamento formidabilmente pratico, perché il mondo è pervaso dall’idea che il valore vero sia l’azione, il dinamismo». Ma di qui ecco il rischio: «Si cade facilmente in un irenismo che vuole abbracciare ogni dottrina, ogni religione; questo abbraccio è possibile in quanto si prescinde dal Verbo, che è una verità, che è una legge».

    Ecco le concretizzazioni storiche di questo erroneo procedimento teologico, secondo il filosofo di Lugano: «I nazisti erano contro il Filioque, i comunisti sono contro il Filioque. I comunisti non sostengono il Filioque perché ripudiano la ragione: il comunismo è un sistema che maneggia l’uomo senza aver riguardo alla natura dell’uomo. (…) L’azione, in questi sistemi totalitari – nazismo e bolscevismo – non ha alcuna legge al di fuori di quella dell’azione stessa: perché ripudia il Filioque». E invece Amerio richiama la grande affermazione di Paolo VI: «Noi siamo i soli a difendere il potere della ragione», ripreso con altri accenti da Benedetto XVI nella sua memorabile lezione di Ratisbona e nell’appello ad «allargare i confini della ragione» rivolto al pensiero laico durante il convegno della Cei di Verona.

    Oggi gli eccessi della predominanza concettuale (e quindi pratica) della carità sulla verità, dell’ordine dell’amore sulla conoscenza, sono sotto gli occhi di tutti. Basta guardare le questioni della biopolitica, un campo in cui i radicali alla Pannella sono maestri nell’anteporre le cosiddette ragioni del cuore a quelle della ragione. Per avallare l’uccisione di una persona come Eluana Englaro si invoca “la compassione”, il “gesto di amore” di chi vuole «mettere fine alle sue sofferenze», invece che riconoscere la verità primordiale della dignità della persona e della vita umana.

    Anche per ottenere il riconoscimento dei “diritti” delle coppie gay si fa leva sull’“amore”, omettendo sempre la verità di cosa sia un matrimonio, l’unione di persone irriducibilmente diverse dal punto di vista sessuale. Come profetizzava Amerio, «al fondo del problema moderno c’è il Filioque, perché chi nega il Filioque concede il primato, indiscreto e assoluto, all’amore: l’amore non ha limiti, non ha remore; qualunque azione tu faccia “con amore”, quell’azione è buona». Anche così una povera ragazza indifesa di Lecco può essere tranquillamente mandata all’altro mondo. «Per amore
    ».


    di Lorenzo Fazzini
    Tempi 12 Gennaio 2009


    AA.VV.
    Romano Amerio, il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa Cattolica del xx secolo
    Con inedito di Romano Amerio

    Pagine 160
    Prezzo: € 20,00
    Edizioni Fede & Cultura

    Recensione:
    Nel decennale della morte la Chiesa riscopre con grande fervore - dopo anni di dimenticanza e ostracismo - un suo figlio gigante del pensiero e del rigore nello studio della Chiesa pre e post-conciliare. La sua opera è una Summa di tutto lo scibile cattolico e delle variazioni che ne hanno offuscato la visibilità nel secolo ventesimo. Sette grandi specialisti si confrontano con questo Autore e ne riportano in auge la genialità. Con un inedito di Romano Amerio.
    Gli Autori:
    Giuseppe Possedoni (prefatore e curatore del Convegno di Ancona del 9.11.2007), il Centro studi Oriente Occidente, Sandro Magister, giornalista, vaticanista di Repubblica, Agostino Marchetto, arcivescovo segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti, storico e canonista, Matteo D’Amico, docente di Storia e Filosofia, Enrico Maria Radaelli, saggista, scrittore, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Estetica dell’Associazione Internazionale Sensus Communis, Dario Sacchi, Università Cattolica del Sacro Cuore, Antonio Livi, Pontificia Università Lateranense, Pietro Cantoni, Studio Teologico Interdiocesano “Mons. Enrico Bartolett”, Camaiore (Lucca), ROMANO AMERIO, massimo filosofo svizzero studioso della dottrina cattolica del secolo XX.

    Per ordinazioni:
    Fede & Cultura Società Cooperativa
    via Camuzzoni, 5
    37138 Verona
    tel. 045-941851
    fax. 045-9251058 (all'att.ne di Fede & Cultura)
    e.mail:
    edizioni@fedecultura.com



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 13/06/2009 16:02
    Benedetto XVI anticipa alcune considerazioni sulla sua Enciclica di prossima pubblicazione....

    dice il Pontefice:

    " Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale"



                      Caritas in Veritate

    UDIENZA AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE"

    Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Fondazione "Centesimus Annus - Pro Pontifice" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

  • DISCORSO DEL SANTO PADRE


  • Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

  • illustri e cari amici!


  • Grazie per questa vostra visita, che si colloca nel contesto della vostra annuale riunione. Vi saluto tutti con affetto e vi sono grato per quanto voi fate, con provata generosità, al servizio della Chiesa. Saluto e ringrazio il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, vostro Presidente, che ha interpretato con fine sensibilità i vostri sentimenti, esponendo a grandi linee l’attività della Fondazione. Ringrazio anche coloro che, in lingue diverse, hanno voluto presentarmi l’attestato della comune devozione. L’odierno nostro incontro assume un significato e un valore particolare alla luce della situazione che vive in questo momento l’intera umanità.


  • In effetti, la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni. Bene ha fatto, quindi, la vostra Fondazione ad affrontare, nel Convegno internazionale svoltosi ieri, il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana.

  • Sono lieto di apprendere che avete esaminato, in particolare, le interdipendenze tra istituzioni, società e mercato partendo, in accordo con l’Enciclica Centesimus annus del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, dalla riflessione secondo la quale l’economia di mercato, intesa quale "sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia" (n. 42), può essere riconosciuta come via di progresso economico e civile solo se orientata al bene comune (cfr n. 43).

  • Tale visione però deve anche accompagnarsi all’altra riflessione secondo la quale la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi "in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale", una libertà responsabile "il cui centro è etico e religioso" (n. 42). Opportunamente l’Enciclica menzionata afferma: "Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti" (n. 43).

  • Auspico che le indagini sviluppate nei vostri lavori, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo, elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli.

  • Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale.

  • Prendo altresì atto con compiacimento di quanto state operando a favore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), alle cui finalità, da voi condivise, attribuisco grande valore per un dialogo interreligioso sempre più fecondo.

  • Cari amici, grazie ancora una volta per la vostra visita; assicuro per ciascuno di voi un ricordo nella preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.


  • [00928-01.01] [Testo originale: Italiano]

    www.vatican.va




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 13/06/2009 16:12
    Da un articolo ed intervista di Radio Vaticana del 1 maggio 2009 Festa di san Giuseppe lavoratore....


    La Chiesa festeggia San Giuseppe lavoratore. Il magistero sociale di Benedetto XVI sulla centralità della persona nell’economia

    Oggi, primo maggio, Festa internazionale del lavoro, la Chiesa ricorda San Giuseppe Lavoratore. Negli ultimi mesi, il Papa ha moltiplicato i suoi interventi sulla crisi economica, mettendo l’accento sul recupero di una dimensione etica del lavoro e sulla centralità della persona nei rapporti economici. Riflessioni che precedono l’annunciata pubblicazione della prima Enciclica sociale di Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Per rendere l’economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia”: all’inizio del 2009, nel discorso al Corpo diplomatico l’8 gennaio scorso, Benedetto XVI sprona la comunità internazionale a non scoraggiarsi di fronte alla crisi economica ed indica i principi su cui fondare un sistema economico che rispetti la dignità dell’uomo:

    Cet objectif ne pourra être atteint que par la mise...

    “Questo obiettivo - è il suo richiamo - può essere realizzato solo attraverso l’attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana”. “So quanto ciò sia impegnativo - riconosce il Papa - ma non è un’utopia!”.

    Di politiche economiche, Benedetto XVI parla nell’udienza agli amministratori locali di Roma e Lazio, il 12 gennaio, e ribadisce che compito della Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, è formare la coscienza di tutti i cittadini di buona volontà:

    “Forse mai come oggi la società civile comprende che soltanto con stili di vita ispirati alla sobrietà, alla solidarietà ed alla responsabilità, è possibile costruire una società più giusta e un futuro migliore per tutti”.

    Per questo, spiega il Papa, è una “priorità inderogabile” ridurre l’individualismo e la difesa degli interessi di parte “per tendere insieme al bene di tutti, avendo particolarmente a cuore le attese dei soggetti più deboli della popolazione”. E un appello per una nuova cultura della solidarietà, Benedetto XVI lo lancia nell’udienza ai dirigenti del sindacato Cisl, il 31 gennaio:

    “Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società”.

    Di economia, Benedetto XVI parla ampiamente, il 26 febbraio scorso, nel tradizionale incontro di inizio Quaresima con il clero romano. Il Papa si sofferma sulle ragioni che, a partire dagli Stati Uniti, hanno portato alla crisi economica mondiale:

    “Bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona». Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione”.

    Il Pontefice non manca poi di esprimere la propria vicinanza ai lavoratori in difficoltà.
    All’Angelus del primo marzo, si rivolge ai dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, ai lavoratori dei territori del Sulcis in Sardegna e di Prato in Toscana, uniti da una preoccupante condizione di precarietà:

    “Desidero esprimere il mio incoraggiamento alle autorità sia politiche che civili, come anche agli imprenditori, affinché con il concorso di tutti si possa far fronte a questo delicato momento. C’è bisogno, infatti, di comune e forte impegno, ricordando che la priorità va data ai lavoratori e alle loro famiglie”.

    E sul magistero sociale di Benedetto XVI e la riscoperta dell’etica nel mondo dell’economia e del lavoro, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace:

    R. - C’è una riscoperta dell’etica e anche dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, non soltanto per un motivo etico. Ci sono degli economisti che stanno cercando di far capire al mondo dell’economia, e al mondo in generale, che i principi etici migliorano l’economia. Questo è un principio che si sta diffondendo ma che non tutti ancora hanno afferrato.

    D. - E quale effetto positivo può avere, ad esempio, questo richiamo ai principi della solidarietà e della responsabilità, per quanto riguarda il mondo del lavoro?

    R. - Intanto, il primato della persona umana nel mondo del lavoro: mi pare ampiamente sperimentato che un’attenzione alla persona migliora anche l’esito del lavoro, i frutti del lavoro. Non è stressando la persona all’inverosimile che si ottengono risultati migliori. Un altro aspetto, ad esempio, è la sinergia tra mondo del lavoro e famiglia. Mi pare siano tutte piste di ricerca e di esperienza che ci aiutano a capire come l’etica e la solidarietà non siano affatto in concorrenza con l’economia.

    D. - Nella sua esperienza di pastore, nota che gli amministratori, le istituzioni politiche, chi si occupa del lavoro, sappiano ascoltare i richiami etici che arrivano dalla Chiesa?

    R. - Mi pare che l’ascolto sia interessante, notevole nei momenti dell’emergenza. Quando passano i momenti dell’emergenza, si tende ad andare avanti come sempre, dimenticando che le situazioni cambiano e dimenticando soprattutto che il mondo dei giovani è in attesa che si offra anche un modello diverso di sviluppo e non soltanto posti di lavoro numericamente sufficienti: direi proprio un modello di vita, uno stile di vita diverso. In questo mi pare si faccia molta fatica. Paradossalmente, le emergenze diventano a volte l’occasione per tirare fuori il meglio di noi e anche per rimettere un po’ in crisi certi modi di vivere e di organizzarsi.

    D. - In questo senso, la preannunciata Enciclica dedicata ai temi sociali di Papa Benedetto XVI arriva proprio al momento giusto...

    R. - Io credo che a ormai 18 anni dalla Centesimus annus sia davvero provvidenziale che arrivi un’occasione di riflessione globale per la Chiesa e per tutte le persone di buona volontà, proprio perché dai tempi della Centesimus annus molte cose sono accadute. Quindi, c'è bisogno di sedersi e di riprendere in mano i principi e declinarli nel momento attuale.

    Radio Vaticana


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 15/06/2009 11:04
    Vi proponiamo l'indice stupendo (e lincato) tratto dal Blog dell'amica RAFFAELLA....
    vi invitiamo a consultarlo in attesa di leggere l'Enciclica...




    ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": ANTICIPAZIONI



    IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG

    La ricetta del Papa: “L’etica sia il centro dell’economia” (Galeazzi)

    Il Papa e l’enciclica sulla crisi: servono regole etiche (Vecchi)

    Papa Ratzinger annuncia l'enciclica. Benedetto XVI: "Economia e lavoro per una convivenza libera e solidale" (Lorenzoni)

    Economia e lavoro, pronta l'enciclica del Papa (Bobbio)

    SERVIZIO DI STEFANO MARIA PACI

    Il Papa: «Una libera economia per liberi uomini» (Tornielli)

    Il Papa: Nella mia enciclica traccerò i valori da difendere instancabilmente (Pinna)

    Il Papa annuncia la prossima uscita della sua enciclica dedicata al vasto tema dell'economia e del lavoro

    Il Papa: la mia enciclica sociale verterà su economia e diritti dei deboli

    Un’enciclica del Papa contro «paradisi fiscali e off shore» (Galeazzi)

    Card. Martino: L'Enciclica Sociale di Papa Benedetto XVI potrebbe uscire il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo

    Papa Ratzinger convoca un summit segreto su crisi ed enciclica sociale (Rodari)

    L’enciclica «Caritas in veritate» sarà la terza pubblicata da Benedetto XVI (Tornielli)

    Il Papa riscrive l’enciclica: sarà un testo anti crisi (Tornielli)

    Caritas in Veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI (Tempi)

    Da Benedetto XVI un assaggio della prossima enciclica. Commento di Carlo Marroni

    Card. Martino: l'Enciclica sociale potrebbe uscire nei primi mesi del 2009

    L'enciclica sulla dottrina sociale può aspettare. Ma non la scommessa sui paesi poveri (Magister)

    La crisi nelle Sacre Stanze. E il Papa scrive un’enciclica economica (Ingrao)

    Card. Bertone: "L'enciclica sociale uscirà in autunno. Per ora il titolo è Caritas in veritate" (Apcom)

    Verso l'enciclica sociale. Il Papa: «Sussidiarietà e lotta alla diseguaglianze» (Marroni)

    Lo sviluppo responsabile che piace al Papa: la globalizzazione nella nuova enciclica (Gentili)

    Prima enciclica sociale per il Papa (Tosatti per "La Stampa")

    Il Papa: «La scuola dia un’educazione etica». La prossima enciclica sarà dedicata ai temi sociali (Il Messaggero)

    Arcangelo Paglialunga commenta l'udienza generale di ieri e le anticipazioni sulla "Caritas in veritate"

    È la «Caritas in veritate» la nuova enciclica di Benedetto XVI (Bobbio per "L'Eco di Bergamo")

    "Caritas in veritate": sarà questo il titolo della prossima enciclica di Benedetto XVI (Nina Fabrizio per l'Ansa)

    CARITAS IN VERITATE: L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA (Ansa)

    Il cardinale Bertone parla del rapporto con gli Ortodossi, della preghiera per gli Ebrei e dell'enciclica sociale del Papa...

    Card. Bertone: «Presto l'incontro del Papa con Alessio II». «Reciprocità con gli Ebrei nelle preghiere» (Eco di Bergamo)

    Presto la terza enciclica di Benedetto XVI: sarà dedicata ai temi sociali (Arcangelo Paglialunga)

    L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA USCIRA' A PASQUA, ANCHE IN ARABO E CINESE

    Card. Bertone: "Il Papa prepara un´enciclica sociale" (Politi per "Repubblica")

    Ingrao (Panorama): l'enciclica sociale avrà la data del 1° maggio, festa di San Giuseppe lavoratore




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 28/06/2009 21:30

    Ultimi ritocchi per la 'Caritas in veritate'. Tra il 6 e il 7 luglio la presentazione. Alcuni stralci della terza e attesa Enciclica di Benedetto XVI

    Economia Globale: la Nuova Enciclica
    di Gian Guido Vecchi
    Corriere della Sera

    "Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali".

    L’ultima revisione di Benedetto XVI è ormai pronta, in queste ore si stanno rivendendo le ultime pagine della "Caritas in veritate", la terza enciclica del Papa "dedicata al vasto tema dell’economia e del lavoro" che porterà la data del 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, e sarà presentata tra il 6 e il 7 luglio.
     
    Il Pontefice ha consultato una quantità di esperti, tra economisti e prelati, ma rispetto all’ultima bozza di aprile ha compiuto la stesura definitiva da solo, parola per parola. In Vaticano si dice ne abbia portata una copia con sé pure nel viaggio in Terra Santa, il mese scorso. L’Enciclica, rinviata per tener conto della crisi e "rispondere in base agli elementi reali", richiama la necessità di "una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione approfondita e lungimirante sul modello di sviluppo".

    La globalizzazione non è il male ma neppure si regola da sé: se governata con "nuove regole" può diventare un’opportunità. E nel "nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale" che ha "modificato il potere politico degli Stati", il testo suggerisce "una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere", invita i sindacati a "instaurare nuove sinergie a livello internazionale" per affrontare "la riduzione delle reti di sicurezza sociale" e invoca "la presenza di una vera autorità politica mondiale", sulle tracce della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII: non un super-Stato né semplicemente l’Onu, ma un modello internazionale di governo della globalizzazione, un’autorità "che dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune e impegnarsi nella promozione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità della verità".
     
    Caritas in veritate, appunto: "Il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa". Benedetto XVI riconduce tutto ai suoi fondamenti teologici e teoretici.

    Fin dall’incipit: "La carità della verità, che Gesù Cristo ci ha mostrato con tutta la sua vita terrena e, soprattutto, con la Sua morte e risurrezione, è la principale risorsa a servizio del vero sviluppo di ogni singolo uomo e dell’umanità intera". La crisi, ha osservato il Papa, "è nata da un deficit di etica nelle strutture economiche". Un sistema infettato dalla cupidigia. Ma l’economia "ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento", o è contro l’uomo o lo distrugge.

    Di qui la necessità di un codice etico comune: fondato sulla "verità ad un tempo della fede e della ragione", una verità che quindi è accessibile a tutti, "la luce attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità". La ricerca della "giustizia" e del "bene comune" derivano da qui. Benedetto XVI parla di "responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, che tenga conto di tutti gli impatti sociali del suo agire". Fermo restando che anzitutto c’è la responsabilità personale: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune".

    Tutto si tiene, lotta alla fame e difesa della vita e attenzione allo "stato di salute ecologica del pianeta", visto che "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona": perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo nella sua integrità". Il Papa all’inizio richiama la "Populorum progressio" di Paolo VI, che nel ’67 denunciò la disuguaglianza tra Paesi ricchi e poveri, ma l’Enciclica recepisce anche la Humanae vitae, contro aborto e contraccezione. Così "l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" e "se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono". Del resto sviluppo economico e crescita demografica corrispondono. E una "apertura moralmente responsabile" alla vita rappresenta "una ricchezza sociale ed economica".

    Detto questo, "la carità nella verità chiede urgenti riforme per affrontare con coraggio e senza indugio i grandi problemi dell’ingiustizia nello sviluppo dei popoli".

    Dopo più di quarant’anni dalla "Populorum progressio" lo sviluppo che doveva essere "estensibile a tutti" è stato "e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". La fame, anzitutto: "Dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa". E "alimentazione e accesso all’acqua" sono "diritti universali".

    E i Paesi poveri devono essere sostenuti e coinvolti nei processi decisionali. La crisi preoccupa, ma "dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro migliore". 'Oikonomia' significa "legge" o "amministrazione" dell’oikos, la casa: "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia".

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/06/2009 19:44
    Al termine della preghiera mariana il Papa ha annunciato la prossima pubblicazione della sua terza enciclica, che - come ha detto - "porta la data proprio di oggi, 29 giugno", e ha salutato nelle varie lingue i numerosi fedeli convenuti in piazza San Pietro.

    È ormai prossima la pubblicazione della mia terza Enciclica, che ha per titolo Caritas in veritate. Riprendendo le tematiche sociali contenute nella Populorum progressio, scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967, questo documento - che porta la data proprio di oggi, 29 giugno, solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo - intende approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all'umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti.



    [SM=g1740738]

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:24
    Presentata la terza enciclica di Benedetto XVI

                             La carità nella verità
                                                       

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede. Solo nella verità la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" e "forza di liberazione nelle vicende sempre nuove della storia" afferma il documento papale, che rilegge la Populorum progressio di Paolo VI evidenziando l'attualità del suo messaggio a oltre quarant'anni dalla pubblicazione. "Il progresso - riconosce il Pontefice - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere, "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". L'enciclica non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro. O quando sperequazioni e speculazioni sottraggono a intere popolazioni il diritto al cibo e all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche. Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici". Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - senza forme di gratuità e solidarietà "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa". Si tratta, in definitiva, di governare la globalizzazione realizzando una autentica "civilizzazione dell'economia".


     

    IL TESTO ITALIANO
    DEL DOCUMENTO PAPALE


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:25
     

    Speranza e realismo


    Realismo e speranza, nonostante la crisi economica mondiale. Ecco la terza enciclica di Benedetto XVI in brevissima sintesi o, meglio, secondo l'approssimazione sommaria a un testo tanto importante e ricco quanto lunga è stata la sua elaborazione. Per continuare una tradizione di documenti papali avviata nel 1891 dalla celebre Rerum novarum di Leone XIII e poi sviluppata con vigore nel 1931 dalle due encicliche di Pio XI successive alla grande depressione economica e finanziaria manifestatasi due anni prima:  la Quadragesimo anno e la quasi sconosciuta Nova impendet sulla gravità della crisi e sulla follia della corsa agli armamenti, che manifestò già allora acuta percezione di un problema ancora attuale. Sino ad arrivare agli insegnamenti sociali di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
    In questa serie la Caritas in veritate si inserisce sottolineando, anche in questo ambito, la continuità tra la tradizione anteriore e quella successiva al Vaticano II. Richiamandosi in modo particolare alle encicliche del predecessore e soprattutto alle due ultime montiniane, che quaranta giorni prima di morire Paolo VI ricordò come specialmente espressive del suo pontificato:  la Populorum progressio, punto di riferimento continuo e quasi sottotesto di questo documento benedettino, e la Humanae vitae, della quale viene ripresa esplicitamente anche la lettura sociale, come un quarantennio fa avvenne soprattutto nel Terzo mondo a fronte della bufera di critiche, anche all'interno della Chiesa, che nelle ricche società occidentali investirono l'enciclica paolina e sembrarono quasi travolgerla.
    A reggere tutto l'impianto della Caritas in veritate, indirizzata non usualmente ai cattolici e "a tutti gli uomini di buona volontà", è il rapporto tra i due termini del titolo. Connessi con tale forza che da esso viene fatta discendere la possibilità di uno sviluppo integrale della persona e dell'umanità:  assicurato appunto solo dalla "carità nella verità", cioè dall'amore di Cristo. Come mostra con chiarezza l'introduzione. All'interno di questa cornice teologica l'enciclica disegna una summa socialis vigile e aggiornata, che smentisce - se ce ne fosse ancora bisogno - l'immagine di un Papa soltanto teologo chiuso nelle sue stanze e conferma invece quanto Benedetto XVI sia attento, come teologo e pastore, alla realtà contemporanea in tutti i suoi aspetti.
    A spiccare nel testo è dunque, a prima vista, l'attenzione ai fenomeni della mondializzazione e della tecnocrazia, di per sé neutri ma soggetti a degenerazioni a causa - "in termini di fede" specifica il Papa - del peccato delle origini. Uno sguardo meno fuggevole coglie tuttavia la fiducia nella possibilità di uno sviluppo davvero umano, quello che già Paolo VI vedeva racchiuso nel disegno della provvidenza divina, e segno, in qualche modo, del cammino progressivo dalla città dell'uomo a quella di Dio. L'atteggiamento di Benedetto XVI non può dunque essere qualificato come pessimistico a priori, come alcuni vorrebbero, ma nemmeno è assimilabile a ingenui e irresponsabili ottimismi, perché si fonda piuttosto sulla fiducia tipicamente cattolica in una ragione aperta alla presenza del divino.
    Così la sfera economica e la tecnica appartengono all'attività umana e non vanno demonizzate, ma neppure lasciate a se stesse perché devono essere vincolate al bene comune, e cioè governate dal punto di vista etico. Per limitarsi a un solo esempio, il puro fenomeno della globalizzazione non rende di per sé gli uomini fratelli, cosicché con evidenza sono necessarie regole e logiche che la indirizzino.
    Se allora la dimensione economica può - e, anzi, deve - essere umana, se il momento storico è propizio per abbandonare ideologie che soprattutto nel secolo scorso hanno lasciato dietro di sé soltanto rovine, allora davvero è venuto il momento di approfittare dell'occasione offerta dalla crisi mondiale per uscirne insieme, i credenti con le donne e gli uomini di buona volontà. A tutti infatti il Papa scrive che bisogna vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore.

    g. m. v.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:28
    L'introduzione della «Caritas in veritate»

    L'uomo verso la città di Dio


    1.La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore - "caritas" - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza:  in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr. Gv 8, 22). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, "si compiace della verità" (1 Cor 13, 6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico:  amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr. Gv 14, 6).

    2. La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l'insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr. Mt 22, 36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni:  rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni:  rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr. 1 Gv 4, 8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, "Dio è carità" (Deus caritas est):  dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.

    Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della "veritas in caritate" (Ef 4, 15), ma anche in quella, inversa e complementare, della "caritas in veritate". La verità va cercata, trovata ed espressa nell'"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio.

    3. Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità:  ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme "Agápe" e "Lógos":  Carità e Verità, Amore e Parola.

    4. Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è "lógos" che crea "diá-logos" e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore:  è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.

    5. La carità è amore ricevuto e donato. Essa è "grazia" (cháris). La sua scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo (cfr. Gv 13, 1) e "riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rm 5, 5). Destinatari dell'amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità.

    A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è "caritas in veritate in re sociali":  annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un'adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.

    6. "Caritas in veritate" è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione:  la giustizia e il bene comune.

    La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius:  ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del "mio" all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è "suo", ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso "donare" all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità:  la giustizia è "inseparabile dalla carità" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 22:  aas 59, 1967, 268; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 69), intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, "la misura minima" di essa (Discorso per la giornata dello sviluppo, 23 agosto 1968:  aas 60, 1968, 626-627), parte integrante di quell'amore "coi fatti e nella verità" (1 Gv 3, 18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia:  il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s'adopera per la costruzione della "città dell'uomo" secondo diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 aas 94, 2002, 132-140). La "città dell'uomo" non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.

    7. Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone:  il bene comune. È il bene di quel "noi-tutti", formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 26). Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale - possiamo anche dire politica - della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni (cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963:  aas 55, 1963, 268-270), così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio.

    8. Pubblicando nel 1967 l'Enciclica Populorum progressio, il mio venerato predecessore Paolo VI ha illuminato il grande tema dello sviluppo dei popoli con lo splendore della verità e con la luce soave della carità di Cristo. Egli ha affermato che l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo (cfr. n. 16:  l.c., 265) e ci ha lasciato la consegna di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza (cfr. ibid., 82:  l.c., 297), vale a dire con l'ardore della carità e la sapienza della verità. È la verità originaria dell'amore di Dio, grazia a noi donata, che apre la nostra vita al dono e rende possibile sperare in uno "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (Ibid., 42:  l.c., 278), in un passaggio "da condizioni meno umane a condizioni più umane" (Ibid., 20:  l.c., 267), ottenuto vincendo le difficoltà che inevitabilmente si incontrano lungo il cammino.

    A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell'ora presente. Questo processo di attualizzazione iniziò con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis, con cui il Servo di Dio Giovanni Paolo II volle commemorare la pubblicazione della Populorum progressio in occasione del suo ventennale. Fino ad allora, una simile commemorazione era stata riservata solo alla Rerum novarum. Passati altri vent'anni, esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea", che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione.

    9. L'amore nella verità - caritas in veritate - è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.

    La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 4:  aas 63, 1971, 403-404; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 1° maggio 1991, 43:  aas 83, 1991, 847) e non pretende "minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13:  l.c., 263-264). Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio:  essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 76).




    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:29
     

    Per leggere l'enciclica


    Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. (12)

    La Chiesa propone con forza il collegamento tra etica della vita e etica sociale. (15)

    Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata. (17)

    L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. (21)

    Continua "lo scandalo di disuguaglianze clamorose". La corruzione e l'illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. (22)

    Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. (25)

    L'insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. (25)

    L'estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. (25)

    Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità. (25)

    Il problema dell'insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. (27)

    È necessario che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni. (27)

    Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l'importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. (28)

    Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale. (28)

    Preoccupanti sono tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico. (28)

    La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall'interno. Il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza. (30)

    Le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di distinzione. (31)

    I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. (32)

    L'abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori o la rinuncia a meccanismi di ridistribuzione del reddito per far acquisire al Paese maggiore competitività internazionale impediscono l'affermarsi di uno sviluppo di lunga durata. (32)

    All'elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell'economia. (34)

    Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave. (35)

    I poveri non sono da considerarsi un "fardello", bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico. (35)

    L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. (36)

    Nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. (36)

    Ogni decisione  economica  ha  una conseguenza di carattere morale. (37)

    Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazione dell'economia. (38)

    La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. (39)

    La gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa:  i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. (40)

    Non è però lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile. (40)

    La concezione più ampia di imprenditorialità favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo. (41)

    Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico. (44)

    L'economia  ha  bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di  un'etica  qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona. (45)

    Si sviluppa una "finanza etica", soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno. (45)

    In questi ultimi decenni è andata emergendo un'ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Essa è costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione. (46)

    Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l'umanità intera. (48)

    La comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri. (49)

    Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico. (49)

    Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. (57)

    La cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano. (59)

    Una solidarietà più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggiore accesso all'educazione. (61)

    Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione. (62)

    Nella considerazione dei problemi dello sviluppo, non si può non mettere in evidenza il nesso diretto tra povertà e disoccupazione. I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano. (63)

    Il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. (64)

    C'è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell'impresa. (66)

    È fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l'urgenza della riforma sia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che dell'architettura economica e finanziaria internazionale. (67)

    Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l'assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell'uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. (74)

    La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo. (75)

    Lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un'"unità di anima e corpo", nata dall'amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. (76)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:52
     

    Un nuovo progetto di sviluppo globale


    di Francesco M. Valiante

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede.

    Già le premesse sgombrano il campo da equivoci e confusioni di ruolo. La Chiesa non ha in tasca "soluzioni tecniche" ai drammatici problemi della crisi mondiale né "pretende minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati". Tuttavia non rinuncia alla sua "missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua
    dignità, della sua vocazione".

    Nasce da qui la sua dottrina sociale, che è appunto caritas in veritate in re sociali, "annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società".

    Solo nella verità - "da qualsiasi sapere provenga" precisa il documento richiamando la necessità del dialogo tra fede e ragione - la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" ed "elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane". Senza di essa, invece, rischia di scivolare nel sentimentalismo o finire preda di manipolazioni che ne stravolgono il significato, trasformandola nel suo esatto contrario. La verità, si legge nell'enciclica, "esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia". Forza che trova il suo sbocco naturale nella giustizia - "chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro" ricorda il Papa - e nel bene comune, che della carità rappresenta "la via istituzionale" e "politica".

    Su questa base concettuale - in continuità con le due precedenti encicliche Deus caritas est e Spe salvi - la riflessione di Benedetto XVI propone una rilettura della Populorum progressio di Paolo VI, il cui messaggio è ancora attuale a distanza di oltre quarant'anni dalla pubblicazione. Tanto da spingere il Papa a definirla "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea, che illumina il
    cammino dell'umanità in via di unificazione". Ma in realtà è l'intero insegnamento sociale dei Pontefici - innestato nella "tradizione sempre vitale della Chiesa" e illuminato soprattutto dal Concilio Vaticano II - a fare da sfondo alla Caritas in veritate. Che dunque, al pari del testo montiniano, non può essere letta al di fuori di questo corpus di riferimento senza ridursi a un documento privo di radici o a un semplice elenco di "dati sociologici".

    In questa prospettiva le intuizioni della Populorum progressio - che ignorava i recenti sviluppi della globalizzazione ma ne ha anticipato profeticamente avvento e dinamiche - rivelano una sorprendente modernità. Anche perché mostrano quanto poco si è fatto in questi quarant'anni e quanto resta da fare per dar voce ai "popoli della fame" che ancora oggi "interpellano in maniera drammatica i popoli dell'opulenza", come scriveva nel 1967 Papa Montini. Il quale avvertiva, in particolare, che l'autentico sviluppo riguarda la persona nella sua integralità - "se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo" - e dipende dalla realizzazione di una reale fraternità tra i popoli.

    Alla verifica dei fatti le preoccupazioni di Paolo VI si sono rivelate fondate. "Il progresso - riconosce Benedetto XVI - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere per molte popolazioni del mondo "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi". La denuncia del Pontefice è netta e circostanziata:  nel mondo aumentano le disuguaglianze, nascono nuove povertà, permangono illegalità e corruzione, sono disattesi i diritti dei lavoratori, vengono sfruttate indiscriminatamente le risorse della terra. Per questo continua a essere "un dovere" per la comunità internazionale la "riprogettazione globale dello sviluppo" a partire da "una nuova sintesi umanistica". Occorrono realismo, fiducia e speranza - suggerisce il Papa - per affrontare soprattutto le inedite responsabilità derivanti dalla crisi economica, che può trasformarsi così in "occasione di discernimento e di nuova progettualità".

    L'enciclica evita le secche ideologiche e le disquisizioni accademiche - nel testo non compaiono mai termini come capitalismo, socialismo, comunismo, proprietà privata - ma non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro, con la conseguente creazione di "situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale". O quando sperequazioni agrarie, speculazioni e irresponsabilità internazionali sottraggono a intere popolazioni il diritto all'alimentazione e l'accesso all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico - basate sull'erronea convinzione che l'aumento della popolazione sia la causa del sottosviluppo - giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche in nome di un malinteso "progresso culturale". Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, la sua integrità". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici".

    Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - il "principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto entro la normale attività economica". Senza forme di solidarietà e fiducia reciproca - afferma - "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico". Si tratta, in definitiva, di realizzare "una forma concreta e profonda di democrazia economica" attraverso l'apertura dei rapporti mercantili ad attività produttive che - superando la tradizionale distinzione tra imprese profit e non profit - perseguano fini solidaristici con "quote di gratuità e comunione":  un'opera di "civilizzazione dell'economia" - la definisce il Pontefice - che risponde a "un'esigenza della stessa ragione economica" oltre che della verità e della carità.

    Per governare la globalizzazione Benedetto XVI invoca anche una rivalutazione del ruolo dei poteri pubblici nazionali. E chiede per le imprese "una più ampia responsabilità sociale" che tenga conto del "significato morale, oltre che economico" delle scelte di gestione e di investimento. Riproponendo il legame tra "ecologia ambientale" ed "ecologia umana", richiama a "un governo responsabile della natura" soprattutto attraverso oculate politiche energetiche e nuovi stili di vita più sobri. In ogni caso - avverte - il progresso tecnico deve sempre trovare un orizzonte di senso, evitando quella "mentalità tecnicistica" in base alla quale il vero coincide con il fattibile. Anche qui la strada indicata è quella di una riconciliazione tra fede e ragione sul terreno della difesa della vita - manipolazioni genetiche ed eutanasia preoccupano in particolare il Papa - e del futuro dell'uomo.

    L'enciclica riafferma poi lo stretto rapporto tra sviluppo dei popoli e tutela dei diritti. Per la religione, in particolare, il Pontefice reclama libertà e "statuto di cittadinanza" nella sfera pubblica, invitando alla collaborazione credenti e non credenti. In questo contesto rilancia il principio di sussidiarietà come l'"antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista", ma al tempo stesso rinnova agli Stati più avanzati la richiesta di destinare maggiori aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri.

    Quanto al sistema finanziario globale - messo sul banco degli imputati per l'attuale crisi economica - Benedetto XVI auspica che esso recuperi i suoi fondamenti etici e torni a essere "uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo".

    Nell'immediato chiede soprattutto una regolamentazione del settore in grado di "garantire i soggetti più deboli e impedire scandalose speculazioni". Ma l'orizzonte dell'enciclica va oltre le visioni di corto respiro, per invocare una riforma complessiva dell'architettura economica e finanziaria internazionale che proceda di pari passo con quella dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con la creazione di un'"Autorità politica mondiale" - sulla scia dell'analoga richiesta fatta a suo tempo da Giovanni XXIII - ordinata alla realizzazione del bene comune e di "un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:53
     

    Progresso è difesa della vita


    Il 29 giugno 1978, solennità dei santi Pietro e Paolo. Per il XV anniversario della sua incoronazione Paolo VI pronunciò un'omelia che costituisce un vero e proprio bilancio dell'intero pontificato. È l'ultimo grande discorso pubblico di Papa Montini e in un passaggio - che qui di seguito riportiamo - richiama alcuni punti della Populorum progressio e dell'Humanae vitae ai quali l'odierna Caritas in veritate si richiama in modo esplicito e continuo.

    Noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con parole gravissime che "Dio, padrone della Vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita"! (Gaudium et spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l'assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.

    Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento.
    Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con l'enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967).

    Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ammoniva che "la vita, una volta concepita, dev'essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti" (51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna quando, dieci anni fa, promanammo l'enciclica Humanae Vitae (25 luglio):  ispirato all'intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!

    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:55
    Presentata la «Caritas in veritate»

    L'enciclica più attesa


    Sala stampa affollata come nelle grandi occasioni per la presentazione della Caritas in veritate, l'enciclica sociale di Benedetto XVI. Oltre duecento inviati di testate internazionali, una ventina di emittenti televisive, altrettante radiofoniche, decine di fotografi, cardinali, arcivescovi e vescovi in prima fila oltreché al tavolo della presentazione. Senza ombra di dubbio la Caritas in veritate un record lo ha già stabilito:  è l'enciclica più attesa della storia recente della Chiesa. Attesa non solo in ordine di tempo di pubblicazione - della sua uscita si parlava ormai da quasi due anni - ma anche per quanto riguarda i contenuti, nonostante le indiscrezioni dei media - "a volte molto fantasiose" come ha detto proprio questa mattina monsignor Crepaldi - e i numerosi accenni fatti dal Papa stesso in varie occasioni.



    Sta di fatto che questa mattina, martedì 7 luglio, l'aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, era gremita. I cardinali Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor unum, l'arcivescovo-vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, sino alla vigilia segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all'università di Bologna, hanno presentato ufficialmente l'enciclica.

    Dei loro interventi preordinati pubblichiamo ampie sintesi in questa pagina. Tuttavia le domande poste successivamente dai giornalisti presenti hanno chiamato i relatori a ulteriori approfondimenti su alcune questioni:  le più ricorrenti quelle relative alla possibile identificazione dell'enciclica come pro o contro il capitalismo, all'individuazione delle organizzazioni internazionali da rifondare come destinatarie del documento papale, ai motivi che avrebbero indotto a non citare mai l'indebitamento dei Paesi più poveri, le situazioni di guerra, ai possibili presupposti etici del capitalismo, sino all'evoluzione complessiva dell'enciclica.

    Alternandosi, i relatori hanno sostanzialmente ribadito intanto che nessun documento pontificio si può considerare pro o contro qualcosa o qualcuno. Dunque non sarebbe corretto definire questa enciclica più o meno anticapitalista; e ciò non cambia anche se nel testo non si usa mai la parola capitalismo. Secondo Zamagni il documento è da interpretare come un qualcosa che invita ad andare oltre queste categorie. Così come non si parla esplicitamente di Paesi indebitati perché - come ha sottolineato il cardinale Cordes - il Papa chiede di cambiare quelle regole finanziarie che inducono l'indebitamento dei Paesi poveri:  abbattere i loro debiti rientrerebbe nella logica degli interventi umanitari per l'immediato, i quali non risolvono il problema di fondo. Inutile dunque continuare a chiedere l'abbattimento del debito se non si cambiano le regole; se così non fosse dopo un certo numero di anni si ripresenterebbe la situazione dell'indebitamento.

    In questo senso la richiesta anche di una riforma delle Nazioni Unite. L'enciclica - ha spiegato il cardinale Martino - non chiede un supergoverno mondiale. Ma non lo chiede neppure la Santa Sede quando auspica un cambiamento dell'Onu, "invocandone anzi una maggiore autorità e una maggiore rappresentatività". Un atteggiamento - ha fatto notare monsignor Crepaldi - non nuovo nella storia della Chiesa "poiché già Giovanni XXIII, prima di scrivere la Pacem in terris, auspicò proprio un cambiamento nelle organizzazioni internazionali".

    Quanto alla genesi dell'enciclica è stato spiegato che la stesura non ha richiesto più di due anni di lavoro. Per quanto riguarda il sopraggiungere della crisi economico-finanziaria "quello che è accaduto - ha spiegato il cardinale Martino - era stato definito come possibile se le cose non fossero cambiate. E non sono cambiate. E avrebbero detto che l'encliclica sarebbe stata profetica". (
    mario ponzi)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:57
    Il cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

    Uno sviluppo umano integrale


    di Renato Raffaele Martino

    Cardinale, presidente del Pontificio Consiglio
    della Giustizia e della Pace


    La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un'enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione che siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII e arriva dopo diciotto anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, durante i quali grandi cambiamenti sono avvenuti nella società.
    Le ideologie politiche, che avevano caratterizzato l'epoca precedente al 1989, sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica.

    Secondo elemento:  l'accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati, da un lato, dalla fine dei blocchi contrapposti e, dall'altro, dalla rete informatica e telematica mondiale.

    Terzo elemento di cambiamento:  le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante, e talvolta esasperato, che tende a estromettere la religione dalla sfera pubblica.

    Quarto e ultimo cambiamento:  l'emergenza di alcuni grandi Paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé, ma dirompente e che ha bisogno di essere bene indirizzato. Torna qui il problema della governance internazionale.

    Queste quattro grandi novità basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All'origine della Caritas in veritate, c'è, però, un altro motivo. Essa infatti inizialmente era stata pensata come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio di Paolo VI.

    Il tema della Caritas in veritate non è lo "sviluppo dei popoli", ma "lo sviluppo umano integrale", senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire, quindi, che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche.

    La Caritas in veritate dimostra con chiarezza non solo che il pontificato di Paolo VI non ha rappresentato nessun "arretramento" nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa, come troppo spesso si è detto, ma che questo Papa ha contribuito in modo significativo ad impostare la visione della Dottrina sociale della Chiesa sulla scia della Gaudium et spes e della tradizione precedente e ha costituito le basi, su cui si è poi potuto inserire Giovanni Paolo II.

    A parte l'utilizzo di alcuni spunti particolari relativi alle problematiche specifiche dello sviluppo dei Paesi poveri, la Caritas in veritate fa proprie tre prospettive di ampio respiro, contenute nell'enciclica di Paolo VI. La prima è l'idea che "il mondo soffre per mancanza di pensiero". La Caritas in veritate sviluppa questo spunto articolando il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo fino a sottolineare l'esigenza di una interdisciplinarità ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano. La seconda è l'idea che "non vi è umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto" e anche la Caritas in veritate si muove nella prospettiva di un umanesimo veramente integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini è ancora davanti a noi. La terza è che all'origine del sottosviluppo c'è una mancanza di fraternità. Anche Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava ad operare "con tutto il loro cuore e tutta la loro intelligenza".

    La Caritas in veritate parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto e i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell'enciclica non è questo, però la Caritas in veritate non si è sottratta alla problematica. L'ha affrontata, non in senso tecnico, ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa e all'interno di una visione più generale dell'economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la Caritas in veritate, che la necessità di ripensare il modello economico cosiddetto "occidentale", richiesta dalla Centesimus annus, non è stata attuata fino in fondo.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:58
    Il cardinale Cordes, presidente di Cor Unum

    Non è una «terza via»


    di Paul Josef Cordes

    Cardinale, presidente
    del Pontificio Consiglio «Cor Unum»


    La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, sulla teologia della carità, conteneva indicazioni sulla dottrina sociale. Ora siamo di fronte a un testo dedicato interamente a questa materia. Ma balza agli occhi che il concetto centrale resta la caritas, intesa come amore divino manifestato in Cristo.

    La Chiesa è stata costituita per essere sacramento di salvezza per tutti i popoli. La sua missione la strappa a un malinteso ricorrente:  secolarizzarla fino a farne un agente politico. La Chiesa ispira, ma non fa politica. La Chiesa non è un partito né un attore politicizzante. Lo stesso cardinale Ratzinger si è opposto negli anni '80 a questo possibile malinteso.

    Questo implica che la dottrina sociale della Chiesa non è una "terza via", cioè un programma politico da realizzare per giungere a una società perfetta. Chi la pensa così rischia paradossalmente di preparare una teocrazia, dove i principi validi nel discorso della fede diventano tout court principi da applicare al vivere sociale, sia per chi crede, sia per chi non crede, abbracciando anche la violenza. Di fronte a tali errori, la Chiesa salvaguarda, insieme alla libertà religiosa, la giusta autonomia dell'ordine creato.

    In positivo, l'enciclica Caritas in veritate esprime il significato della dottrina sociale della Chiesa in diverse parti, quando ne va del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana. Mentre finora l'accento della dottrina sociale era piuttosto sull'azione per promuovere la giustizia, ora si avvicina in senso lato alla pastorale:  la dottrina sociale è affermata elemento dell'evangelizzazione. Cioè l'annuncio di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli ha una sua attualizzazione anche rispetto al vivere sociale.

    Quest'affermazione contiene due aspetti. Non possiamo leggere la dottrina sociale fuori dal contesto del Vangelo e del suo annuncio. La dottrina sociale, come mostra questa enciclica, nasce e si interpreta alla luce della rivelazione. D'altra parte, la dottrina sociale non si identifica con l'evangelizzazione, ma ne è un elemento. Il Vangelo riguarda il vivere dell'uomo anche in relazioni sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono, ma non si può restringere l'uomo al suo vivere sociale. E dunque la dottrina sociale della Chiesa non può sostituire tutta l'opera di annuncio del Vangelo.

    Nella logica di questa enciclica si affaccia prepotentemente un ulteriore passaggio, forse una terza fase della riflessione della dottrina sociale. Non è un caso se si è posta la carità come punto di snodo:  dunque la carità divina cui risponde come atto umano una virtù teologale. L'uomo non si pone solo come obiettivo di un processo, ma come il soggetto di questo processo. L'uomo che ha conosciuto Cristo si fa attore di cambiamento perché la dottrina sociale non resti lettera morta.




    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 20:59
    L'arcivescovo Giampaolo Crepaldi

    Le principali novità


    di Giampaolo Crepaldi

    Arcivescovo-vescovo di Trieste

    Il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l'annuncio di Cristo. Da ciò derivano le importanti precisazioni della Caritas in veritate sulla natura della dottrina sociale.
    La prima riguarda la sua appartenenza alla Tradizione viva della Chiesa. La seconda è che il punto di vista non è la realtà sociologicamente intesa, ma la fede apostolica. Queste importanti precisazioni di Benedetto XVI provengono dalla considerazione dell'importanza fondativa della Verità e dell'Amore per l'organizzazione sociale.

    Altra novità:  i due fondamentali diritti alla vita e alla libertà religiosa trovano per la prima volta un'esplicita e corposa collocazione in un'enciclica sociale. Non che nelle precedenti encicliche fossero stati trascurati, ma certamente qui sono organicamente collegati con il tema dello sviluppo e la Caritas in veritate ne mette in evidenza le ricadute negative anche di ordine economico e politico sullo sviluppo quando non venissero rispettati. Nella Caritas in veritate la cosiddetta "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale". La procreazione e la sessualità, l'aborto e l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l'accoglienza del debole. Queste indicazioni della Caritas in veritate non hanno solo valore esortativo, ma invitano ad un nuovo pensiero e a una nuova prassi per lo sviluppo che tengano conto delle sistematiche interconnessioni tra i temi antropologici legati alla vita e alla dignità umana e quelli economici, sociali e culturali relativi allo sviluppo.

    Ci sono inoltre nell'enciclica due tematiche nuove. La prima è quella dell'ambiente richiamata anche dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. La Caritas in veritate propone un'impostazione in termini di precedenza del ricevere sul fare:  da una natura come deposito di risorse materiali alla natura vista come parola creata. I due diritti alla vita e alla libertà religiosa, sono strettamente collegati dalla Caritas in veritate con l'ecologia ambientale. Questa, infatti, deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità. Tentazioni ideologiche oggi presenti in molte versioni dell'ecologismo. L'impegno per l'ambiente non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana.

    L'altro tema nuovo è l'ampia trattazione del problema della tecnica:  è la prima volta che un'enciclica affronta in modo così organico questo tema, dopo gli approfondimenti antropologici sulla tecnica della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. L'idea di fondo è che la crisi delle grandi ideologie politiche abbia lasciato il campo alla nuova ideologia della tecnica o, possiamo dire, alla "tecnicità" come mentalità. Si tratta della più grande sfida al principio della precedenza del ricevere sul fare. La mentalità esclusivamente tecnica, infatti, riduce tutto a puro fare. Per questo essa si sposa bene con la cultura nichilista e relativista.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Cattolico_Romano
    Post: 259
    Sesso: Maschile
    00 07/07/2009 21:01
    L'economista Stefano Zamagni

    Un nuovo ordine economico


    di Stefano Zamagni

    Università di Bologna

    Tre sono i principali fattori strutturali dell'attuale crisi. Il primo concerne il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi consolidatosi nell'ultimo trentennio.
    A partire dalla metà degli anni '70 del secolo scorso, i Paesi occidentali hanno condizionato le loro promesse in materia pensionistica a investimenti che dipendevano dalla profittabilità sostenibile dei nuovi strumenti finanziari. Al tempo stesso, la creazione di questi strumenti ha via via esposto l'economia reale ai capricci della finanza, generando il bisogno crescente di destinare alla remunerazione dei risparmi in essi investiti quote crescenti di valore aggiunto.

    Il secondo fattore è la diffusione a livello di cultura popolare dell'ethos dell'efficienza come criterio ultimo di giudizio e di giustificazione della realtà economica. Per un verso, ciò ha finito col legittimare l'avidità - che è la forma più nota e più diffusa di avarizia - come una sorta di virtù civica. Per l'altro esso è all'origine dell'alternanza sistematica di avidità e panico.

    La terza causa ha a che vedere con la matrice culturale che si è andata consolidando negli ultimi decenni sull'onda del processo di globalizzazione e dall'avvento della terza rivoluzione industriale:  quella delle tecnologie info-telematiche, della quale due aspetti specifici sono rilevanti. Il primo riguarda la presa d'atto che alla base dell'economia capitalistica è presente una seria contraddizione di tipo pragmatico. Quella capitalistica è certamente un'economia di mercato, cioè un assetto istituzionale in cui sono presenti e operativi i due principi basilari della modernità:  la libertà di agire e fare impresa; l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

    Al tempo stesso, però l'impresa capitalistica è andata edificandosi nel corso degli ultimi tre secoli sul principio di gerarchia. Ha preso così corpo un sistema di produzione in cui vi è una struttura centralizzata alla quale un certo numero di individui cedono, in cambio di un prezzo (salario), alcuni dei loro beni e servizi, che una volta entrati nell'impresa sfuggono al controllo di quanti li hanno forniti.

    Il secondo aspetto riguarda l'insoddisfazione, sempre più diffusa, circa il modo di interpretare il principio di libertà, e le sue tre dimensioni costitutive:  autonomia, immunità, capacitazione (capacità di azione). Mentre l'approccio liberal-liberista vale ad assicurare la prima e la seconda l'approccio stato-centrico, vuoi nella versione dell'economia mista vuoi in quella del socialismo di mercato, tende a privilegiare la seconda e la terza a scapito della prima. La sfida da raccogliere è allora quella di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà.

    È dunque quanto mai opportuna l'insistenza della Caritas in veritate sulla necessità di attuare una governance globale, di tipo sussidiario e poliarchico. Ciò implica il rifiuto di dare vita a una sorta di superstato e l'urgenza di completare e aggiornare l'opera svolta nel 1944 a Bretton Woods quando si disegnò il nuovo ordine economico internazionale. Si tratta di affiancare all'attuale assemblea delle Nazioni unite una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale; dare vita al Consiglio di sicurezza socio-economica delle Nazioni unite in appoggio a quelle di sicurezza militare; istituire una Organizzazione mondiale delle migrazioni e una Organizzazione mondiale per l'ambiente; intervenire sul Fondo monetario internazionale per affrontare il problema di una valuta globale e realizzare la riforma delle riserve monetarie globali, come è stato proposto dalla conferenza delle Nazioni unite del 23 giugno scorso.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 17/07/2009 12:06
     Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo [20]. [SM=g1740722]
    È giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra Enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale [
    21]. Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta. La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono [22]. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo « patrimonio » dottrinale [23] che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa [24].

    La dottrina sociale è costruita sopra il fondamento trasmesso dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e poi accolto e approfondito dai grandi Dottori cristiani. Tale dottrina si rifà in definitiva all'Uomo nuovo, all'« ultimo Adamo che divenne spirito datore di vita » (
    1 Cor 15,45) e che è principio della carità che « non avrà mai fine » (1 Cor 13,8). È testimoniata dai Santi e da quanti hanno dato la vita per Cristo Salvatore nel campo della giustizia e della pace.

    In essa si esprime il compito profetico dei Sommi Pontefici di guidare apostolicamente la Chiesa di Cristo e di discernere le nuove esigenze dell'evangelizzazione. Per queste ragioni, la Populorum progressio, inserita nella grande corrente della Tradizione, è in grado di parlare ancora a noi, oggi.

    LETTERA ENCICLICA
    CARITAS IN VERITATE
    DEL SOMMO PONTEFICE
    BENEDETTO XVI


    [SM=g1740738] [SM=g1740720] [SM=g1740717]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/08/2009 11:00

    L’enciclica, parola per parola

    L’analisi delle parole ricorrenti, soprattutto quando è applicata ad un testo destinato a rimanere nella storia come sempre è un enciclica, e quando è fatta a caldo, non è esercizio esaustivo, ma certo è d’aiuto ad attraversare la realtà del testo scandagliando parole che, mai come in queste occasioni, non sono mai scelte a caso.

    Sul numero di
    Vita (sul sito da domani e in edicola da venerdì) troverete l’elenco completo delle parole e delle loro ricorrenze. Qui di seguito le parole principali (in neretto) e il numero, tra parentesi, delle ricorrenze parola per parola.

    Il primo risultato dell’analisi delle parole più ricorrenti aiuta a cogliere il tama di fondo dell’enciclica: lo sviluppo (250 ricorrenze). È lo sviluppo e non altro il focus dei ragionamenti e della dottrina di Caritas in veritate. È lo sviluppo e il suo modello ad essere messo a tema, già nella parte teologica dove si sgombra il campo da qualsiasi tentazione alla decrescita pianificata o programmata (richiamando Paolo VI, citato ben 47 volte, al paragrafo 16 si dice che “lo sviluppo è vocazione” propria dell’uomo), e dove si situa la scommessa della carità nella sua dimensione pubblica e fin’anche economica (sempre citando Paolo VI “Il Vangelo è elemento fondamentale dello sviluppo”), giacchè il sottosviluppo è frutto, prima ancora di cause materiali della mancanza di fraternità (16) tra gli uomini.

    Sottolinea Benedetto XVI che in fondo la Dottrina sociale della Chiesa è “caritas in veritate in re socaili”, ovvero annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. Quindi si tratta di una verità (96) che sempre si esprime nella carità (90), nell’amore donato, nell’amare (68).

    Ogni società, scrive il Papa, elabora un proprio sistema di giustizia (45), e la giustizia “è la misura minima della carità”. Ma che società è la nostra se produce così tante disuguaglianze e ingiustizie? Ragiona l’enciclica, se produce povertà intollerabili e lascia soli i poveri (30)? La crisi (22) economico-finanziaria sarà un’opportunità per ripensare un modello di svluppo che ha “mostrato tanti limiti”? Questo è l’invito dell’enciclica. Ma perché questo accada bisogna che l’impresa (30), la politica (28), l’economia (28), la tecnica (27) rimettano al centro la persona (57) protagonista nella sua libertà (38) e responsabilità (51) cioè, cioè la persona al lavoro (50).

    Perciò la dimensione sociale (109) deve diventare spazio pubblico di relazione con l’altro (38) in una logica di fraternità e reciprocità (16) così da riscoprire la dimensione della comunità (24) e della comunione (10) fra uomini e fra Stati (26) nella prospettiva di una società che diventi vera famiglia umana (10).

    Perciò il mercato (33) deve diventare spazio plurale in cui anche il dono e la gratuità (36) informino l’economia nel perseguimento del bene comune (19), vera declinazione dell’etica (19), parola troppo spesso vuota. Gli strumenti? Una logica di sussidiarietà (13) anche per il governo della globalizzazione (30) e un metoto la collaborazione e la cooperazione (21).

    Da segnalare, infine, l’ingresso di molte parole nuove nel corpus della Dottrina della chiesa cattolica. Come exempla di percorsi positivi in cui il principio della reciprocità informa l’intraprendere economico ecco l’ingresso di nuove parole, di un nuovo lessico per lo sviluppo possibile: Microcredito, Microfinanza, Finanza etica (4); Responsabilità sociale dell’impresa (3); non profit (2); Terzo settore (1); economia civile e di comunione (2)




    da non sottovalutare....il termine ecumenismo o ecumenico, nell'Enciclica, NON c'è....ciò lo vedo e lo leggo in modo positivo....


    [Modificato da Caterina63 30/08/2009 11:10]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 30/08/2009 11:19
    " Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme « Agápe » e « Lógos »: Carità e Verità, Amore e Parola." (3)

    " Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività." (4)



    " La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire [
    10] e non pretende « minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati » [11]. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli [12]." (8)



    LETTERA ENCICLICA
    CARITAS IN VERITATE
    DEL SOMMO PONTEFICE
    BENEDETTO XVI








    Buona accoglienza della "Caritas in Veritate" tra i protestanti evangelici


    56 personalità firmano un messaggio di sostegno all'Enciclica


    di Inma Álvarez

    WASHINGTON, venerdì, 28 agosto 2009 (ZENIT.org).- 56 personalità del mondo protestante evangelico statunitense, tra professori universitari, editori e rappresentanti di varie istituzioni, hanno firmato il 27 luglio un messaggio di sostegno all'ultima Enciclica di Papa Benedetto XVI, "Caritas in Veritate".

    Nella dichiarazione, intitolata "Doing the Truth in Love", a cui ZENIT ha potuto avere accesso, i firmatari "lodano" il testo e chiedono "ai cristiani di ogni parte, e soprattutto ai nostri membri evangelici", di leggerlo.

    Allo stesso modo, esortano tutti i cristiani a un "serio dialogo" sulle proposte dell'Enciclica.

    I firmatari si congratulano soprattutto con "il modo in cui questa Enciclica considera lo sviluppo economico in termini di traiettoria del vero fiorire umano" e chiedono "una nuova visione dello sviluppo che riconosca la dignità della vita umana nella sua pienezza", il che presuppone la "preoccupazione per la vita dal concepimento alla morte naturale, per la libertà religiosa, per l'alleviamento della povertà e per la cura del creato".

    In particolare, si dicono d'accordo con il concetto di "sviluppo umano integrale" e con la visione del fenomeno della globalizzazione.

    "La globalizzazione deve diventare un processo di integrazione centrato sulla persona e orientato alla comunità", segnala il testo.

    I firmatari apprezzano anche che la "Caritas in Veritate" non compia un'analisi semplificatrice della polarizzazione tra il libero mercato e l'eccessivo intervento statale, ma inquadri l'economia nelle relazioni umane, ritenendola quindi soggetta a norme morali.

    "La vita economica non è amorale o autonoma - affermano -. Le istituzioni economiche, inclusi gli stessi mercati, devono essere caratterizzate da relazioni interne di solidarietà e fiducia".

    Sostengono anche "l'enfasi della 'Caritas in Veritate' sull'impresa sociale, cioè sullo sforzo degli affari guidato da un principio che trascende la dicotomia del beneficio sì/beneficio no".

    "In termini più generali, esortiamo gli evangelici a considerare l'invito di Papa Benedetto XVI a riflettere su chi deve essere considerato agente imprenditoriale e sul significato morale dell'investimento".

    Ad ogni modo, sostengono che nell'Enciclica manchi "una critica più forte contro l'elevazione del denaro a uno stato di idolatria e il conseguente dominio dei mercati finanziari su altri elementi dell'economia mondiale".

    Sostengono infine la preoccupazione dell'Enciclica per la decadenza dei sistemi di sicurezza sociale, per il potere sempre minore dei sindacati e per la pressione di una mobilità lavorativa socialmente distruttiva.

    Concordano poi sul timore per la "crescita di un welfare State arrogante, che degrada il pluralismo sociale e civico. Siamo quindi d'accordo sul fatto che la sussidiarietà e la solidarietà devono procedere insieme, come propone la 'Caritas in Veritate'". Non "più Stato", ma "Stato migliore".

    "Con la 'Caritas in Veritate', ci impegniamo a non essere vittime della globalizzazione, ma suoi protagonisti, lavorando per la solidarietà globale, la giustizia economica e il bene comune, come norme che trascendono e trasformano le ragioni del beneficio economico e del progresso tecnologico", conclude il messaggio.

    [Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



     

    [Modificato da Caterina63 31/08/2009 17:18]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 08/09/2009 00:33

    Il commento di Sandro Magister ad un articolo interessante.....

    Su MissiOnLine, il giornale on line del Pontificio Istituto Missioni Estere, il direttore Gerolamo Fazzini si è messo in caccia dei “bersagli” non detti della “Caritas in veritate“. Cioè dei personaggi, delle organizzazioni, delle correnti di pensiero ai quali l’enciclica allude senza chiamarli per nome, mostrando di condividerne o di respingerne le tesi.

    Di questi bersagli, i segugi di MissiOnLine ne hanno individuati diciassette. E li passano in rassegna in un servizio messo in rete il 15 luglio col titolo: “Caritas in veritate, i bersagli nascosti“.

    Ad esempio, quando al paragrafo 14 dell’enciclica Benedetto XVI respinge l’idea che si debba frenare o addirittura arrestare lo sviluppo, il primo dei bocciati è il pensatore francese Serge Latouche, il più celebre dei predicatori della decrescita.


    Oppure, là dove il papa denuncia “alcune organizzazioni non governative” che “operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promuovendo talvolta nei paesi poveri l’adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli” (n. 28), il pensiero va, tra le altre, ad Amnesty International, e alla sua decisione di inserire il “diritto all’aborto” tra i “nuovi diritti umani” dell’era attuale.

    O ancora, quando al n. 42 la “Caritas in veritate” respinge le posizioni di chi si oppone ciecamente e in modo preconcetto alla globalizzazione, tra gli “apocalittici” presi di mira c’è sicuramente Noam Chomsky.

    O viceversa, quando l’enciclica approva il microcredito, essa mostra di condividere l’azione del fondatore della Grameen Bank e premio Nobel per la pace Mohammed Yunus.

    Un altro riferimento polemico non esplicitato è l’induismo, là dove l’enciclica, al n. 55, scrive che “permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche”.

    Insomma, ce n’è per tutti, nel bene e nel male. Un servizio tutto da leggere, questo di MissiOnLine.



    15/07/2009   
    Vaticano
    «Caritas in veritate», i bersagli nascosti
    di Gerolamo Fazzini

    Viaggio nell'enciclica di Benedetto XVI a caccia di allusioni e riferimenti non citati ma ben intuibili. Con qualche sorpresa.

    Prendetelo come un gioco. Serio, però. Dopo una lettura approfondita, Missionline.org si è avventurato in un'operazione rischiosa ma (ci pare) intellettualmente stimolante. E fors'anche utile: rintracciare i riferimenti ideali, i personaggi della cultura o quelli del mondo cattolico, i temi e le polemiche che - osiamo immaginare - Benedetto XVI cita indirettamente lungo il suo argomentare.

    Dietro questo che a qualcuno potrà sembrare un divertissement estivo, c'è il tentativo di collocare il messaggio di Papa Ratzinger nel contesto culturale di oggi, provando a individuare nodi culturali e argomenti di dibattito tutt'altro che ignoti alla Chiesa e al Papa. Del resto, la nostra sensazione, come già abbiamo avuto modo di spiegare, è che forse non tutti quelli che hanno applaudito la "Caritas in veritate" l'abbiano realmente letta integralmente. Ecco il risultato della nostra esplorazione.

    No alla "decrescita", sì a "nuovi stili di vita"

    In apertura di enciclica il Papa si dice aperto sostenitore dello sviluppo, a patto che sia a misura d'uomo. Dietro le righe è possibile individuare una presa di distanza da quanti - Serge Latouche su tutti - predicano la decrescita ("felice" o "sobria" fin che si vuole) come l'unica alternativa possibile. Il pensatore francese lo ha scritto in diversi saggi in cui lancia affronta i nodi della globalizzazione e le possibili risposte. Secondo Latouche - sociologo dell'economia ed epistemologo delle scienze umane, membro dell'INCAD (International Network for Cultural Alternatives to Development, Montreal) - "bisogna imparare a frenare, a rallentare, all'occorrenza a fermarsi, prima che altri lutti, altri cataclismi, altre guerre ci mettano a nudo di fronte alla nostra stupidità".

    Ma la "Caritas in veritate" boccia l'idea che si debba "tornare indietro" sulla strada dello sviluppo. Ecco cosa sostiene il pontefice: "Si assiste all'insorgenza di ideologie che negano in toto l'utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente antiumano e portatore solo di degradazione. si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un'opportunità di crescita per tutti. L'idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell'uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l'uomo è costitutivamente proteso verso l'"essere di più". Vagheggiare l'utopia di un'umanità tornata all'originario stato di natura [è un modo ] per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità". (n. 14).

    Questo paragrafo, però, va letto in collegamento col n. 51 laddove il Papa dichiara la società odierna "a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all'edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano". E aggiunge: "È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, "nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti".

    La "società in rete"? Da sola non basta

    Al punto 19 dell'enciclica si legge un passaggio illuminante: "La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli". Qui il riferimento "nascosto" potrebbe essere La società in rete (Università Bocconi editore, 2002), un'opera citatissima del sociologo spagnolo Manuel Castells. L'interdipendenza tecnologico-mediatica, sembra dire il Papa, è un dato di fatto, ma da sola non dà all'uomo le ragioni per fondare la solidarietà.

    Aggiunge Benedetto XVI: "La ragione, da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna". (n. 19)

    Libertà, uguaglianza e fraternità era anche il motto dell'illuminismo: ma quali sono stati i frutti reali di una Rivoluzione concepita senza Dio? Una ragione che non ammetta l'ipotesi-Dio, fa capire papa Benedetto XVI - schiude la porta alla violenza, nel momento in cui l'altro non è più riconosciuto come fratello.

    Sì ai "farmaci generici", timida apertura per Ogm

    Chi ancora pensasse che l'enciclica si muove entro gli angusti spazi di gabbie ideologiche, potrebbe essere smentito con due esempi limitati fin che si vuole ma significativi.

    Al punto 22 Papa Ratzinger fa felici quanti, specie nel mondo del volontariato e della cooperazione, sostengono il diritto dei Paesi poveri (India, Brasile...) a realizzare farmaci generici, bypassando le multinazionali. "Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario".

    Pochi paragrafi dopo, al n. 27, l'enciclica apre invece (seppur - molto cautamente - agli Ogm), laddove afferma che "potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell'ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate". Stavolta non mancherà chi, dalla sponda no-global, mostrerà sorpresa e delusione.

    Echi del Nobel Joseph Stiglitz

    Uno dei più critici accusatori delle istituzioni finanziarie internazionali è Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia 2001 e già membro del board della Banca mondiale. Ebbene, al paragrafo 25, l'enciclica sembra riecheggiare le forti denunce di Stiglitz (che, fra l'altro, è membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali), quando afferma che "le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle Istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi; tale impotenza è accresciuta dalla mancanza di protezione efficace da parte delle associazioni dei lavoratori". Echi di Stiglitz (e dei suoi due libri La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi 2005, e La globalizzazione che funziona, Einaudi 2006) sono rintracciabili qua e là nel testo.

    "Colonizzazione dell'immaginario": un pericolo

    C'è un passaggio dell'enciclica - al n. 26 - che richiama alla memoria Aminata Traorè, ex ministro del Mali, e il suo libro L'immaginario violato, Ponte delle grazie 2002. Leggiamo il Papa: "Il pericolo opposto, che è costituito dall'appiattimento culturale e dall'omologazione dei comportamenti e degli stili di vita. In questo modo viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni, delle tradizioni dei vari popoli, entro le quali la persona si misura con le domande fondamentali dell'esistenza".

    Clicca qui per leggere una recente intervista a Aminata Traorè.

    No alle ong umanitarie e abortiste

    Fece scalpore, nel 2007, la decisione di una delle più grandi ong a difesa dei diritti umani, Amnesty International, di inserire il "diritto all'aborto" come uno dei "nuovi diritti umani" dell'era attuale. Una decisione che porto diversi esponenti di Chiesa a disdire la propria partecipazione alla benemerita associazione: anche la Comunità di Sant'Egidio, per bocca del suo fondatore Andrea Riccardi, prese le distanze da tale scelta.

    E il Papa non lesina critiche a scelte di questo genere. Si legge al n. 28: "Alcune Organizzazioni non governative, poi, operano attivamente per la diffusione dell'aborto, promuovendo talvolta nei Paesi poveri l'adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli."

    Clicca qui per un intervento sul caso Amnesty. L'ultimo caso di tale posizione di Amnesty è di questi giorni in Perù. Clicca qui per approfondire la questione.

    Aborto in cambio di aiuti internazionali

    Sempre in tema di rispetto della vita, Benedetto XVI denuncia la prassi sempre più in voga di concedere aiuti internazionali da parte degli Stati più ricchi in cambio dell'imposizione legislativa dell'aborto nei Paesi in via di sviluppo. Ancora al punto 28: "Vi è inoltre il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di fatto l'imposizione di un forte controllo delle nascite".

    Di recente è da segnalare il caso del governo svedese che ha deciso di tagliare gli aiuti internazionali verso quei paesi del Sud del mondo che non promuovono politiche abortiste, ad esempio Honduras, Guatemala, Perù.  

    Lobbying eutanasiche nel Sud del mondo

    Sempre al punto 28 il Papa denuncia la deriva eutanasica in atto in alcune zone del Sud del mondo grazie ad azioni di lobby da parte di organizzazioni che promuovono la legalizzazione della "dolce morte". Il caso più recente è quello del Messico e della Colombia.

    Clicca qui per un'interessante carrellata sulla situazione latinoamericana.

    Ecco il riferimento del testo dell'enciclica: "Preoccupanti sono altresì tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico".

    Libertà religiosa e ateismo di Stato

    Nel paragrafo 29, dedicato al tema della libertà religiosa, Benedetto XVI stigmatizza "l'ateismo pratico da parte di molti Paesi" che "contrasta con la necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane".

    Ma quali sono gli esempi concreti in cui l'ateismo di Stato resta ancora valido? Seppur con sfumature diverse, possiamo citare i casi di Cina, Vietnam, Corea del Nord, Laos, paesi a guida comunista dove vige ancora l'indottrinamento material-marxista.

    Clicca qui per visionare il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre 2008 sulla libertà religiosa nel mondo.

    Plauso all'economia di comunione

    Benedetto XVI non la cita direttamente, ma il riferimento all'esperienza dell'economia di comunione - nata all'interno del movimento dei focolari - è chiaro e suffragato dalle indicazioni di principio esposte nel punto 34. Laddove il Papa scrive: "Perché dono ricevuto da tutti, la carità nella verità è una forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini. La comunità degli uomini può essere costituita da noi stessi, ma non potrà mai con le sole sue forze essere una comunità pienamente fraterna né essere spinta oltre ogni confine, ossia diventare una comunità veramente universale: l'unità del genere umano, una comunione fraterna oltre ogni divisione, nasce dalla con-vocazione della parola di Dio-Amore. Nell'affrontare questa decisiva questione, dobbiamo precisare, da un lato, che la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un secondo momento e dall'esterno e, dall'altro, che lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità".

    Clicca qui per conoscere qualcosa in più sull'economia di comunione.

    Vade retro, Cassandre no-global

    Il pontefice non apprezza le visioni "apocalittiche" del movimento no-global, anche nelle sue versioni "impegnate" di teorizzazione della presenza di un Impero anonimo, totalizzante, fagocitante (Noam Chomsky, per fare un nome).

    E lo scrive bene al punto 42: "Nonostante alcune sue dimensioni strutturali che non vanno negate ma nemmeno assolutizzate, «la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno».  Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi, con il rischio di perdere una grande occasione di inserirsi nelle molteplici opportunità di sviluppo da esso offerte. I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l'intero mondo. Bisogna correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione, come una cattiva gestione della situazione attuale potrebbe farci temere."

    Bene Yunus e il microcredito

    Il fondatore della Grameen Bank e premio nobel per la pace Mohammud Yunus trova in Benedetto XVI un inedito plauso. Laddove il Papa loda il microcredito come misura economica efficace per causare sviluppo nei Paesi poveri. Sentiamolo al punto 45: "Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico. L'economia infatti ha bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di un'etica qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona. Oggi si parla molto di etica in campo economico, finanziario, aziendale. Nascono Centri di studio e percorsi formativi di business ethics; si diffonde nel mondo sviluppato il sistema delle certificazioni etiche, sulla scia del movimento di idee nato intorno alla responsabilità sociale dell'impresa. Le banche propongono conti e fondi di investimento cosiddetti «etici». Si sviluppa una «finanza etica», soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno".

    Va peraltro ricordato, qui, che in diversi Paesi del Sud del mondo, esperienze di microcredito sono state condotte con successo da missionari assai prima del decollo di Grameen Bank.

    Caste e spiritismo, freni allo sviluppo

    Non viene citato, ma il Papa fa un chiaro riferimento all'induismo, con la sua visione di una società su scala religiosa determinata in maniera fatalistica. Tale visione dà origine alla pratica delle caste - il sistema sociale basato sulla classificazione religiosa delle persone - che opprime milioni di "intoccabili" nell'India ipertecnologica di oggi. Un problema, quello degli "intoccabili", che sta molto a cuore alla Chiesa indiana. Sentiamo l'Enciclica al n. 55: "Permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche, in credenze magiche irrispettose della dignità della persona, in atteggiamenti di soggezione a forze occulte. In questi contesti, l'amore e la verità trovano difficoltà ad affermarsi, con danno per l'autentico sviluppo.".

    Oltre che all'induismo, l'enciclica potrebbe alludere anche a quei contesti (specie africani), in cui magia e spiritismo esercitano ancora oggi un forte condizionamento sulla persona e a livello sociale. Il Papa dice chiaramente che una "soggezione a forze occulte" mina l'esercizio della libertà, l'amore fatica ad affermarsi e il vero sviluppo viene così bloccato.

    La religione fai-da-te frammenta la socialità

    Sorprendente un passaggio del paragrafo 55, laddove il Papa sembra prendersela con il New Age: "Il mondo di oggi è attraversato da alcune culture a sfondo religioso, che non impegnano l'uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche. Anche una certa proliferazione di percorsi religiosi di piccoli gruppi o addirittura di singole persone, e il sincretismo religioso possono essere fattori di dispersione e di disimpegno. Un possibile effetto negativo del processo di globalizzazione è la tendenza a favorire tale sincretismo, alimentando forme di "religione" che estraniano le persone le une dalle altre anziché farle incontrare e le allontanano dalla realtà".

    La religione fai-da-te, conclude Ratinger, non impegnando l'uomo alla comunione di fatto si rivela fattore di disgregazione.

    Aiuti allo sviluppo; sì, però...

    Cosa dirà l'economista africana, Dambisa Moyo, originaria dello Zambia, formatasi a Oxford, leggendo il passaggio sugli aiuti internazionali allo sviluppo nell'enciclica? La Moyo è autrice di un libro che ha fatto molto discutere, Aid Dead, dedicato a quanto di nocivo nelle società africane causano gli aiuti umanitari.

    Sentiamo la Caritas in veritate al n. 58: gli aiuti internazionali allo sviluppo "al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all'interno del Paese aiutato. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, non devono perseguire secondi fini. Devono essere erogati coinvolgendo non solo i governi dei Paesi interessati, ma anche gli attori economici locali e i soggetti della società civile portatori di cultura, comprese le Chiese locali".

    Clicca qui per leggere un articolo del Washington Post dedicato a Dambisa Moyo.

    Benedetto turismo responsabile

    L'enciclica mostra di apprezzare apertamente il turismo responsabile. "Il turismo internazionale, non poche volte, - si legge al paragrafo 61 - è vissuto in modo consumistico ed edonistico, come evasione e con modalità organizzative tipiche dei Paesi di provenienza, così da non favorire un vero incontro tra persone e culture. Bisogna, allora, pensare a un turismo diverso, capace di promuovere una vera conoscenza reciproca, senza togliere spazio al riposo e al sano divertimento: un turismo di questo genere va incrementato, grazie anche ad un più stretto collegamento con le esperienze di cooperazione internazionale e di imprenditoria per lo sviluppo".

    Sul sito di AITR (Associazione italiana turismo responsabile) una recente ricerca sul tema.
    Clicca qui per consularla

    Jacques Ellul bocciato

    Jacques Ellul è stato un filosofo e storico francese, di confessione protestante, molto versatile nella ricerca e nell'indagine intellettuale. Il suo pensiero si è affermato come una critica risoluta e inesorabile contro la Tecnica, come testimonia il suo libro "Il sistema tecnico" (Jaca Book).

    Eppure Benedetto XVI non è così categorico rispetto alla tecnica e anzi la considera qualcosa di "provvidenziale". Vedi il paragrafo 69: "La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l'uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità. La tecnica è l'aspetto oggettivo dell'agire umano, la cui origine e ragion d'essere sta nell'elemento soggettivo: l'uomo che opera. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l'uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell'animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di "coltivare e custodire la terra" (cfr Gn 2,15), che Dio ha affidato all'uomo e va orientata a rafforzare quell'alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere".




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 09/09/2009 16:55

    La dimensione teologico-pastorale della “Caritas in veritate”


    di Paolo Asolan*


    ROMA, sabato, 18 luglio 2009 (ZENIT.org).- Vari i timori che hanno accompagnato la gestazione dell’enciclica: su tutti, la persuasione diffusa e condivisa che i temi sociali non appartenessero alle corde profonde della teologia e della pastorale di Joseph Ratzinger. Un papa “teologo”: appassionato a questioni di fede e all’affermazione della verità soprattutto ad intra Ecclesiae, solo occasionalmente dedito a questioni ad extra Ecclesiae e soltanto quando si tratti di difendere la possibilità della religione di chiesa nel mondo e nella cultura post-moderni.

    1.Carità nella verità: reciproca inclusione di teoria e prassi

    Invece il primo dato, emergente fin dal titolo, è l’affermazione dell’unità profonda di verità e di carità, di fede creduta e di vita vissuta, di fides quae e di fides qua. Chi si occupa di teologia pastorale avrà tirato un sospiro di sollievo, ritrovando nella riflessioni introduttive (i nn. 1-7) il filo che trattiene inestricabilmente teoria e prassi, teologia speculativa e teologia pratica. Su tale filo si regge la teologicità non solo della teologia pastorale ma anche della Dottrina sociale della chiesa, nonchè la loro legittimità, tanto ad intra che ad extra. Il tema della reciproca inclusione di teoria e di prassi nonchè della loro specificità è giustificato dall’enciclica a partire da un’unità originaria del conoscere, che possiamo qui riassumere come unità di intelligenza e di amore. Già in Deus caritas est, 10 il papa dimostrava come questo fosse un dato che sporge non solo dall’esperienza umana elementare, ma pure dalla rivelazione cristiana. Si comprende così perchè la teologia si interessi di tutte le questioni pratiche umane, e dunque anche di quelle sociali. Che l’azione sia inscritta nella comprensione, è tanto dato originario dell’uomo quanto nota peculiare della Rivelazione cristiana, la cui attestazione non è mai solo informativa, ma sempre performativa: cioè conversione interiore e cambio della vita. Anche sociale.

    2. La Dottrina sociale ha il suo “luogo” nella Tradizione della fede apostolica

    “Appartiene da sempre alla verità della fede [...] che la Chiesa, essendo a servizio di Dio, è a servizio del mondo in termini di amore e di verità” (n.11). Tale dato originario è richiamato dal papa attraverso il rapporto che egli stabilisce tra l’enciclica, il Concilio, il magistero sociale precedente e soprattutto la Populorum progressio di Paolo VI (nn. 8-11 e l’intero primo capitolo), omaggiata di un impegnativo riconoscimento: “esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come ‘la Rerum novarum’ dell’epoca contemporanea” (n. 8). Questa unità tra pronunciamenti sociali diversi ma tutti con le medesime radici è spiegata dal papa come sviluppo della Tradizione della fede apostolica (n. 10). Si tratta di un tema “classico” e in fondo prevedibile in un pontefice che interpreta il Concilio entro l’ermeneutica della continuità.

    Ciò che appare se non nuova almeno ribadita con fermezza, è l’uso di una tale ermeneutica per il corpus della Dottrina sociale. Il che può significare non tanto (come certamente si affanneranno a interpretare – e scrivere – altri, non noi) che al potenziale di emancipazione sociale iscritto nel cristianesimo si vuol mettere la museruola di una riduzione conservatrice, ma che nella chiesa non si è ancora sufficientemente compreso e agito intendendo la Dottrina sociale come “parte integrante della nuova evangelizzazione”. Dunque come un ambito che non può essere trascurato dalla ordinaria predicazione e dalla pastorale ordinaria delle comunità cristiane. La Dottrina sociale – nella sua valenza culturale e con la sua pretesa di offrire non solo precetti, ma anche una visione complessiva dell’uomo e della società, coestensiva alla visione cristiana della vita, è un capitolo strutturale del contributo che la fede cristiana può e desidera offrire al superamento della crisi della ragione moderna occidentale, ricollocando l’uomo nella sua costitutiva relazionalità sociale.

    3. Una questione sociale complessa, non solo per via della globalizzazione

    Tale “crisi antropologica” è in fondo alla base delle molte cose che non vanno anche in economia, politica e sistemi sociali vari (cfr. n. 34), cosicchè si potrebbe sostenere che la questione sociale oggi viene a coincidere con la “questione antropologica” di ruiniana memoria (cfr. n. 51). La carità nella verità vede urgente ricomporre un intero che sia di nuovo l’uomo-non-scisso: in cui, ad esempio, fede e ragione si sostengono e si “allargano” a vicenda, i regni di Dio tornano ad essere uno (e non uno nella mano destra e un altro nella sinistra, come sosteneva Lutero), l’anima e il corpo non si ignorano tra loro, l’individuo sia parte di una società, e più in generale l’uomo non tratti Dio da nemico.

    Tali scissioni - per certi versi senz’altro all’origine della modernità, nonchè di quell’esito che è la differenziazione luhmanniana - necessitano di essere risignificate anche nella sfera sociale della vita a partire da un centro. Questo centro non può essere costitutito da un sottosistema-quale-che-sia (n.34).

    La religione cattolica ritiene che dall’incarnazione del Figlio di Dio in poi, un tale centro sia offerto a tutti: in forza dell’unione ipostatica Dio e l’uomo non sono scissi o separati tra loro, così che il papa può sorprendentemente ri-affermare che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo” (n. 8; PP n. 16). Questo sviluppo ‘integrale’ si dà entro un’intelaiatura chel’enciclica tesse tra la questione della vita umana, quella del diritto al vangelo e quella sociale. Proprio ricalcando il magistero montiniano, Benedetto XVI lega Humanae vitae (HV), Evangelii nuntiandi (EN) e Populorum progressio (PP). La questione della vita umana (HV), del progresso sociale ed economico (PP) e del diritto al vangelo (EN) si saldano tra loro fondando la dignità inviolabile e l’effettiva possibilità dello sviluppo dei popoli e dei singoli a un livello che non rimanga puramente quello del potere e dell’economia (o del potere dell’economia). Per quanto affermato fin dall’inizio a proposito del legame tra tra teoria e prassi, risulta chiaro che una certa visione della procreazione umana porta implicito un certo legame o non-legame con il Dio rivelato dal vangelo e dunque un certo modello di rapporti sociali ed economici. E così via. Sarà a carico di chi rigetterà l’enciclica esplicitare il proprio apparato teorico a riguardo dell’antropologia e dell’evangelizzazione, implicito in quel rifiuto pratico; e sostenere la congruenza tra la sua posizione e quella espressa da Gesù, così come ci è stata trasmessa finora. Possibilmente, senza creare nuove scissioni.

    4. Gv 21, 25 a

    Cioè: “Vi sono ancora molte altre cose...” nell’enciclica che meriterebbero di essere riprese. Una osservazione si può ancora fare: quanto è bella la chiesa quando non parla solo di se stessa! Quando il sale o il lievito di cui essa dispone vengono immessi dentro la pasta che è la vita del mondo. Isolare le prese di posizione della Chiesa e trattarle come distillati da laboratorio, senza farli regire con situazioni e contesti concreti, non porta che a un’estenuazione del dato di fede. A dibattiti che, avvitandosi su se stessi, rendono incomprensibile se non inutile la fede, perchè privata del suo essenziale supposto che è non l'uomo astratto, ma quello reale (cfr. RH n. 14).

    Che pena se la recezione dell’enciclica in Italia si limitasse al dibattito “meglio per la Chiesa lasciar perdere la bioetica e concentrarsi sulle questioni sociali”- come se non esistesse tra loro la connessione di cui sopra!

    Sarà interessante raccogliere le reazioni e i dibattiti di quanti sono impegnati nella pastorale sociale e nella Caritas, più o meno internationalis: ci aiuteranno a coniugare la carità nella verità? O si perpetueranno – anche qui – le “moderne” scissioni: carità/giustizia, evangelizzazione/promozione umana, impegno sociale/vita spirituale, cittadino/cristiano?

    -------------

    *Don Paolo Asolan insegna Teologia Pastorale all’Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” della Pontificia Università Lateranense.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 19/09/2009 21:29
    A Genova un convegno sull'enciclica «Caritas in veritate»

    Il primo e principale fattore di sviluppo


    La saldatura tra etica sociale ed etica della vita è un imperativo categorico

    Pubblichiamo integralmente il testo della lectio magistralis che il cardinale arcivescovo di Genova, che è presidente della Conferenza episcopale italiana, ha tenuto sabato 19 settembre nel Palazzo della Borsa Valori di Genova in occasione del convegno "Caritas in veritate. Lettera enciclica di Papa Benedetto XVI". All'incontro, introdotto da Davide Viziano, presidente dell'Unione cristiana imprenditori dirigenti, e da Paolo Odone, presidente della Camera di Commercio di Genova, sono intervenuti anche Bernard Scholz, presidente della Compagnia delle opere, e l'economista Ettore Gotti Tedeschi.

    del cardinale Angelo Bagnasco

    La terza enciclica di Benedetto XVI si snoda con coerente linearità rispetto alle due precedenti (Deus caritas est e Spe salvi) e porta alla luce una connessione che è presente già nello stesso titolo e cioè che "solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta" (n. 3). Come è noto, il Papa parte da questa persuasione per rileggere in modo critico la res sociale di oggi, che va sotto il nome di globalizzazione e che pone una sfida inedita. Infatti "il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze" (n. 9). Per questo si richiede non solo una volontà determinata, ma ancor prima un pensiero lucido che sappia proporre "una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali" (n. 31) dello sviluppo. Insomma si richiede "l'allargamento del nostro concetto di ragione e  dell'uso  di  essa", secondo  il  pressante appello che muove - sin dal suo inizio - il magistero di Benedetto XVI (cfr. Discorso di Ratisbona).

    Il richiamo esplicito a Paolo vi e alla Populorum Progressio (1967), così come quello indiretto alla Sollicitudo rei socialis (1987) di Giovanni Paolo ii, diventa nella riflessione di Benedetto XVI lo spunto per una importante affermazione di carattere generale e cioè la riaffermazione della Dottrina sociale come un "corpus dottrinale" (n. 12), che affonda le sue radici nella fede apostolica e si colloca a pieno titolo nell'alveo della Tradizione, secondo un processo di rigorosa continuità. Così facendo il Santo Padre intende chiarire il suo punto di vista, che non è ispirato da alcuna situazione sociologicamente intesa, ma rispecchia una precisa prospettiva teologica e cioè che "l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo" (n. 8). 
    Caritas La percezione della sfida e l'esigenza di un nuovo pensiero (non solo economico-sociale) in grado di dire al meglio la novità dei fatti che sono sotto gli occhi di tutti e che proprio la recente crisi finanziaria ha ancor più aggravato, spinge a riconsiderare luoghi comuni e pregiudizi inveterati per addentrarci dentro una interpretazione originale del fatto umano della globalizzazione. Guidano la riflessione della Caritas in veritate due presupposti, da cui scaturisce una prospettiva di grande respiro per la vita della società e della Chiesa.

    I due presupposti di fondo sono da un lato la convinzione che lo sviluppo non è solo una questione quantitativa, ma risponde piuttosto a una vocazione e dall'altra il fatto che la giustizia, pure necessaria, non è autosufficiente perché esige la carità, così come la ragione ha bisogno della fede. La prospettiva che emerge è dunque "una visione articolata dello sviluppo" (n. 21), che porta a ritenere come la questione sociale sia oggi inscindibilmente legata alla questione antropologica. Vorrei ora, sia pure brevemente, sviluppare questi tre aspetti per giungere a una osservazione di fondo conclusiva.

    Affermare che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità:  l'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale" (n. 25) significa sottrarre a un cieco determinismo la lettura della globalizzazione e ribadire che anche questo complesso fenomeno è legato alla variabile umana. Non si dà cioè la fatalità di attenersi solo a dati ritenuti oggettivi e scientifici dimenticando quanto la componente umana giochi un ruolo decisivo nelle scelte che di volta in volta vengono prese. Ciò fa comprendere che lo sviluppo non è un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, ma è determinato dalla qualità umana degli attori chiamati in causa. Per questo Benedetto XVI invita a una interpretazione che non si accontenta della semplice analisi delle strutture umane, ma rimanda a un livello più profondo. "In realtà - egli scrive - le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione e, quindi, comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio:  senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell'uomo, che cade nella presunzione dell'autosalvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato" (n. 11). 


    caritas Ciò richiede un preciso esame di coscienza, cui l'enciclica non si sottrae, facendo riferimento ai progressi effettivamente fatti o non fatti nella direzione auspicata dalla Populorum Progressio. Certamente molti risultati sono stati raggiunti, ma la Fao - ancora lo scorso 19 giugno - ha comunicato le sue nuove stime:  la fame nel mondo raggiungerà un livello storico nel 2009 con 1,02 miliardi di persone in stato di sotto nutrizione.

    La pericolosa combinazione della recessione economica mondiale e dei persistenti alti prezzi dei beni alimentari in molti Paesi ha portato circa 100 milioni di persone in più rispetto all'anno scorso oltre la soglia della denutrizione e delle povertà croniche. L'enciclica rende avvertiti che "gli attori e le cause sia del sottosviluppo sia dello sviluppo sono molteplici, le colpe e i meriti sono differenziati". Per poi aggiungere:  "Questo dato dovrebbe spingersi a liberarsi dalle ideologie, che semplificano in modo spesso artificioso la realtà, e indurre a esaminare con obiettività lo spessore umano dei problemi" (n. 21). Infatti "i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani" (n. 32).
     
    Non si fatica d'altra parte a capire che "l'aumento massiccio della povertà... non solo tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette in crisi la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del "capitale sociale", ossia quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile" (ibidem). Solo se lo sviluppo è una vocazione e non un destino si può sperare di avere ancora margini di cambiamento e soprattutto di trasformazione. Infatti "nonostante alcune sue dimensioni strutturali che non vanno negate ma nemmeno assolutizzate, "la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno". Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità" (n. 42).

    Ma come aiutare la ragione a non cedere a una lettura rassegnata della realtà e soprattutto come aiutarla a far emergere le potenzialità che sono dentro la risorsa che è l'uomo? Una risposta sta certamente nel fatto che già nella Deus caritas est (n. 28), la Dottrina sociale della Chiesa venga presentata come il luogo in cui la carità purifica la giustizia. Questa purificazione, peraltro, non è altro che un momento di quella più ampia purificazione che la fede è chiamata a esercitare nei riguardi della ragione.
    Il concetto di "purificazione" è tutt'altro che negativo, come potrebbe sembrare a prima vista ed è agli antipodi della semplice negazione o della pura condanna. Ciò vuol dire che la giustizia è assunta ma allo stesso tempo potenziata dalla carità. Tra queste due realtà c'è insomma una relazione che va in entrambe le direzioni:  per un verso non c'è carità senza giustizia perché si tratterebbe di semplice assistenzialismo, per altro verso non si dà giustizia senza carità perché si finirebbe nelle secche di un arido legalismo.

    Arrivare a intuire l'eccedenza e ancor prima la necessità della carità, vista l'insufficienza della giustizia, è però il frutto di una intuizione che va ben oltre la semplice ragione. Si richiede il recupero  di  una  categoria, quella della fraternità, che, non a caso, Benedetto XVI pone in testa alla relazione tra sviluppo economico e società civile al capitolo terzo della Veritas in caritate. La grande sfida che abbiamo davanti "è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell'etica sociale, quali la trasparenza, l'onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma che anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità devono trovare posto entro la normale attività economica" (n. 36).

    Nasce da qui una interessante serie di riflessioni che spaziano dentro il ruolo del non profit e alludono all'ibridazione dei comportamenti economici e delle imprese, aprendo ad approcci inabituali nell'interpretazione dei rapporti internazionali. Per arrivare a un'affermazione forte:  "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia" (n. 53). Questa chiara affermazione che dal Vaticano ii (Gaudium et spes, n. 77) è un punto fermo richiede in realtà "un nuovo slancio del pensiero" e obbliga "a un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l'apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell'uomo" (n. 53). In tal modo il Papa si fa carico, ancora una volta, di restituire dignità alla domanda su Dio e di riaprire all'interno del dibattito pubblico la questione della fede (cfr. n. 56), che è chiamata a purificare la ragione, così come la carità orienta e finalizza la giustizia, se il mondo non vuole soccombere alle sue logiche disumanizzanti.

    Si comprende allora perché il Vangelo si riveli il maggior fattore di sviluppo e, di conseguenza, perché la Chiesa dia il proprio apporto allo sviluppo anzitutto quando annuncia, celebra e testimonia Cristo, quando, cioè, adempie alla propria missione di evangelizzazione.

    Il punto di approdo di quanto detto sul rapporto tra giustizia e carità e la prospettiva più originale del testo pontificio è ricondurre la questione sociale alla questione antropologica, marcando la necessaria correlazione che esiste tra queste due dimensioni che stanno o cadono insieme. Per questo Benedetto XVI propone con forza il collegamento tra etica della vita ed etica sociale, dal momento che non può "avere solide basi una società che - mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace - si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata" (n. 15). In concreto, questo vuol dire che lo sviluppo vero non può tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia e che sbagliano quanti in questi anni, anche nel nostro Paese, si sono contrapposti tra difensori dell'etica individuale e propugnatori dell'etica sociale. In realtà le due cose stanno insieme.

    Un esempio eloquente è dato dalla crescente consapevolezza che la questione demografica, che attiene certamente alla dinamica affettiva e familiare, rappresenti pure uno snodo decisivo delle politiche economiche e perfino del Welfare. Aver sottovalutato l'impatto della famiglia sul piano sociale ed economico riconducendola a una questione privata, quando non addirittura ad un retaggio culturale del passato, è stata una miopia di cui oggi pagano le conseguenze soprattutto le generazioni più giovani, sempre meno numerose e sempre meno importanti. La saldatura tra etica sociale ed etica della vita è un imperativo categorico anche in altri ambiti sensibili e porta a convincersi ad esempio che l'eugenetica è molto più preoccupante della perdita della biodiversità nell'ecosistema o che l'aborto e l'eutanasia corrodono il senso della legge e impediscono all'origine l'accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado. Come sottolinea con vigore il Papa:  "Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono" (n. 28).
     
    caritasAncora una volta l'enciclica aiuta a far emergere un più profondo senso dello sviluppo che sa porre in relazione i diritti individuali con un quadro di doveri più ampio, aiutando così ad intendere correttamente la libertà individuale che deve sempre fare i conti anche con la responsabilità sociale. Taluni fenomeni di degrado politico cui assistiamo oggi e che rivelano mancanza di progettualità e resa ad interessi di corto respiro, così come recenti episodi di abbruttimento finanziario che hanno portato al collasso del sistema economico, colpendo le fasce più deboli dei risparmiatori, confermano che l'etica sociale si regge soltanto sulla base della qualità delle singole persone. Lo dice espressamente il Papa:  "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle coscienze l'appello del bene comune" (n. 71). 

    Concludo, facendo riferimento a un tema che ha colpito la pubblica opinione e che può rappresentare una sorta di controprova sperimentale della validità della lettura dello "sviluppo integrale", che Benedetto XVI propone a tutti gli uomini di buona volontà, sulla scia della grande intuizione della Populorum progressio di Paolo vi. Mi riferisco al tema dell'ambiente, cui è espressamente dedicata una parte significativa del capitolo IV (nn. 48-52) e che rileva una ricorrente preoccupazione nel magistero dell'attuale Pontefice. Scrive Benedetto XVI:  "La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come un'ecologia dell'uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana:  quando l'ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l'ecologia ambientale ne trae beneficio" (n. 51).

    La crisi ecologica dunque non può essere interpretata come un fatto esclusivamente tecnico, ma rimanda ad una crisi più profonda perché ai "deserti esteriori" corrispondono "i deserti interiori" (cfr. Benedetto XVI, Omelia per l'inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005), così come alla morte dei boschi "attorno a noi" fanno da pendant le nevrosi psichiche e spirituali "dentro di noi", all'inquinamento delle acque corrisponde l'atteggiamento nichilistico nei confronti della vita. Quando infatti l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera "ecologia umana" si scatenano le dinamiche perverse delle povertà, compromettendo fatalmente anche l'equilibrio della Terra. Una prova ulteriore, se ce ne fosse ancora bisogno, che "il problema decisivo dello sviluppo è la complessiva tenuta morale della società" (n. 51).

    La crisi in atto mette in evidenza dunque la necessità di ripensare il modello economico cosiddetto "occidentale", come, del resto, già auspicato nella Centesimus annus (1991). Ma lo sguardo dell'enciclica è tutt'altro che pessimista o fatalista. Al contrario con realismo apre al futuro con il seguente invito che intendo fare mio:  "La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente" (n. 21).


    (©L'Osservatore Romano - 20 settembre 2009)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 01/10/2009 10:06

    Encicliche Benedetto XVI


    Come leggere la «Caritas in veritate»

    Niente sentimentalismi nella dottrina sociale


    Carità globale. Commento alla Caritas in veritate (Città del Vaticano - Roma, Libreria Editrice Vaticana - Ave, 2009, pagine 178, euro 8) è il titolo di un volume che raccoglie alcune letture dell'ultima enciclica di Benedetto XVI. Pubblichiamo ampi stralci del contributo del preside della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, vescovo ausiliare di Milano.

    di Franco Giulio Brambilla


    Lungamente attesa, annunciata più volte come imminente, l'enciclica sociale di Benedetto XVI è giunta, tuttavia, come una sorpresa. Non solo per la sua felice pubblicazione in prossimità del vertice di risonanza internazionale dell'Aquila, che ha ritrovato il protagonismo dei Paesi emergenti, non ancora per la ripresa della Populorum progressio di Paolo vi, poco dopo il quarantesimo anniversario della sua pubblicazione (1967), ma soprattutto per la riproposizione del tema dello sviluppo integrale dei popoli nel contesto globalizzato sullo scenario della terribile crisi internazionale del 2008-2009.

    Vent'anni dopo la caduta del Muro e delle ideologie allo scoccare preciso dei duecento anni - nemesi storica! - della Rivoluzione francese (1989), è avvenuta l'implosione dell'economia occidentale globalizzata, che perde il contatto vivo con la radice sociale e umana. L'enciclica è un forte richiamo che rappresenta quasi un manifesto per il nuovo bisogno di "etica sociale" che tenti di regolare l'avidità e talvolta la truffaldina voracità della finanza internazionale, senza riferimento al legame sociale, al rischio dell'imprendere e alla fatica del lavoro umano. Sullo sfondo sta lo scenario della terribile disparità tra i popoli del globo.

    Del manifesto, però, l'enciclica non ha il tono declamatorio, ma quello di un disteso e pacato disegno argomentato, di una riflessione tenace che tesse pazientemente la trama di un arazzo di dimensioni mondiali, attraversato da tutte le armoniche che devono risuonare nell'ora presente. Né altrimenti ci si poteva aspettare dal "Papa teologo", che ci ha abituati allo spessore e al sapore della parola che dischiude al vero e al bene.

    La cosa più sorprendente, che appare a un incontro più avvicinato con la scrittura dell'enciclica, è l'esercizio di interpretazione della dottrina sociale della Chiesa che il Pontefice ci propone. Si tratta di un caso di interpretazione "magisteriale" del Magistero sociale che, dalla Rerum novarum fino ai nostri giorni, ha assunto il tratto di un vero e proprio corpus dottrinale. All'analisi dei teologi di morale socio-politica, questo corpus appare come una costellazione dottrinale che non ha, e non pretende di avere, la forma di una trattazione organica e completa, ma piuttosto intende offrire il discernimento delle istanze del tempo a cui i diversi interventi papali fanno riferimento. Tuttavia, proprio l'embricatura degli anniversari, che sovente motivano la "ripresa" della dottrina sociale, suggerisce l'idea di un discorso completo della visione della fede cristiana in re sociali. Fino a farne materia di una trattazione di "Dottrina sociale della Chiesa", la quale assumerebbe la consistenza teologica del trattato di morale sociale. Nello spazio accademico, molte volte avviene che questa regione della morale cristiana sia concepita e proposta come un "commentario" al Magistero sociale, al massimo collocato nello sviluppo storico degli oltre cent'anni dalla "prima" enciclica sociale di Leone xiii.

    Ed è qui che cade il tratto sorprendente dell'intervento di Papa Benedetto:  esso si presenta come un esercizio emblematico di quell'""ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa", che il Papa aveva proposto in forma inattesa e nella cornice inconsueta del Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005, appena all'inizio del suo pontificato. Quell'intervento colpì molti perché, celebrando i quarant'anni della chiusura del concilio Vaticano ii, rivendicava la continuità nel rinnovamento della Chiesa prima e dopo il concilio, rispetto a una superficiale "ermeneutica della discontinutà e della rottura" che si fondava sulla separazione tra spirito del concilio e sua traduzione testuale, inevitabilmente contrassegnata dal compromesso tra le diverse anime dei Padri conciliari. Per di più propiziata - non è un caso che il riferimento principale dell'enciclica sia a Paolo vi - dalla volontà del Papa bresciano di raccogliere attorno ai pronunciamenti conciliari il massimo del consenso.

    L'encilica fa un esplicito riferimento (al numero 12 e alla nota 19) a questo discorso di metodo:  "Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo" E se è "giusto rilevare le peculiarità dell'una o dell'altra Enciclica, dell'insegnamento dell'uno o dell'altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell'intero corpus dottrinale", d'altra parte "coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta" (Caritas in veritate, 12).

    Nel Discorso del 2005 l'esemplificazione della "fedeltà dinamica" riguardava con grande piglio il punto più controverso della dottrina conciliare circa la libertà religiosa (si veda, in quell'intervento, la bella pagina con cui a partire dal caso Galileo si approda alla formulazione conciliare). Nell'enciclica l'esercizio dell'ermeneutica conciliare si distende pacatamente a rettificare la cesura tra prima e dopo il concilio per quanto concerne la dottrina sociale:  "La Populorum progressio e il concilio Vaticano ii non rappresentano una cesura tra il magistero sociale di Paolo vi e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa" (n. 12).

    L'idea di "fedeltà dinamica", di "rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa" riprende la nozione di Chiesa che è traditio tradens e che trova nel traditum un suo necessario, ma non esaustivo discernimento delle istanze della storia. Essa esige, dunque, un'ermeneutica che non accentui le rotture, ma ritrovi sempre la continuità creativa (di guardiniana memoria) della vita e nella vita della Chiesa per potersi "rinnovare alle origini". L'atto ermeneutico è anzitutto un atto pratico con cui la Chiesa non solo ripensa i suoi principi dottrinali connettendoli all'origine della Parola di Dio, ma insieme discerne il tempo attuale dentro l'alveo della tradizione vivente.

    Nel contesto del Discorso programmatico, il Papa ribadiva che "è proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma". Continuità a livello dei principi e delle decisioni strategiche, necessaria flessibilità a livello dei discernimenti pratici riferiti alle "decisioni (riguardanti) cose contingenti". Così il Papa suggeriva allora che "bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l'aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare" (ivi).

    L'"ermeneutica della riforma" rimanda dunque a una "pratica del discernimento storico" (la vita della Chiesa nella sua creativa continuità), di cui la dottrina sociale della Chiesa rappresenta, per così dire, la condensazione della voce del magistero papale che rilegge e si riposiziona di fronte al mutamento sociale.

    Prima di procedere a svolgere il tema dell'enciclica (lo sviluppo integrale dei popoli), il Papa sente il bisogno di collocarlo nel quadro del suo magistero complessivo, in particolare nel punto focale della sua prima enciclica programmatica Deus caritas est. L'audace introduzione riveste una duplice funzione:  collegare la dottrina sociale con il centro del Mistero trinitario, mostrando come la caritas teologale si irradi in re sociali; fornire un'interpretazione forte della caritas come principio istitutivo della dottrina sociale, che la sottragga a una comprensione ridotta e irrilevante. Come se la carità fosse solo un correttivo accanto e parallelo al principio della giustizia, su cui soltanto si reggerebbero i rapporti sociali:  "La carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr. 1 Giovanni, 4, 8. 16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, "Dio è carità":  dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza" (Caritas in veritate, 2).

    Per evitare un'interpretazione "marginale" e "sentimentale" della carità rispetto ai rapporti sociali in ipotesi regolati dalla (sola) giustizia (e compresi alla luce della "sola" ragione, magari "laica"), Benedetto XVI sente il bisogno di potenziarne la nozione riferendola alla verità della visione dell'uomo, su cui non solo essa si deve misurare, ma che esprime esattamente la forma piena della vita umana, personale e sociale.
    Di qui l'importanza strategica dell'introduzione all'enciclica, che forma, per così dire, il quadro di riferimento teorico della successiva ripresa della nozione di sviluppo integrale. Caritas in veritate indica l'asse con cui la carità è coestensiva a una comprensione solidale dei rapporti sociali:  essi sono giusti non solo se danno a ciascuno il suo, ma se si radicano e, insieme, alimentano quei legami sociali e culturali con cui l'uomo perviene a se stesso (la coscienza di sé), decidendosi dinanzi al proprio destino (il compimento personale) all'interno dell'alleanza sociale (il bene comune).
     
    Proprio questo ingresso, che a taluni potrà apparire persino ardito, come se ci si trovasse in una baita davanti alla parete altissima che svetta sulla cima maggiore, è l'antidoto a una comprensione terapeutica e medicinale della caritas. Esso, infatti, curerebbe i rapporti nella città dell'uomo e nel concerto delle nazioni, una volta che la giustizia avesse fallito il suo compito, compensando i rapporti "giusti", quando fossero feriti e lacerati, con i rapporti "buoni" che provengono dall'iniziativa libera dei soggetti privati e/o di gruppo. In tal modo la carità teologale (la comunione con Dio e la comunione fraterna) non avrebbe un risvolto pubblico:  la "fraternità" che pure l'Illuminismo aveva emblematicamente indicato nella sua triade, nientemeno come erede della tradizione occidentale, non avrebbe alcun rilevo pubblico, se non perché raccoglie le vittime e cura i feriti lasciati sul campo nell'agone sociale.

    Il valore "politico" della carità è risolto nella sua funzione terapeutica, ma non presiede e non alimenta il rapporto sociale. Per questo il Papa sente "il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della "veritas in caritate" (Efesini, 4, 15), ma anche in quella, inversa e complementare, della caritas in veritate. La verità va cercata, trovata ed espressa nell'"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale" (n. 2).

    La caritas in veritate è, dunque, la sfida per sottrarre la dottrina sociale della Chiesa a una comprensione "sentimentale" dell'aspetto solidale che deve animare i rapporti tra gli uomini e tra i popoli. In un'espressione icastica, il Papa indica con chiarezza questa deriva:  "Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali" (n. 4). "Marginali" rispetto alle regole del vivere civile, il quale non si lascerebbe in nessun modo dirigere dalle forme della relazione buona con l'altro, come se le forme buone della relazione libera fossero solo o terapeutiche o compensative dei modi vincolanti della relazione giusta, una volta fallita o ferita.

    Occorre, dunque, arrivare a discutere lo schema che separa e accosta giustizia e carità. Afferma il Papa, infatti, che:  "La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. E, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi" (n. 5). La verità è ciò che consente di tenere insieme l'eccedenza della carità rispetto alla necessità della giustizia:  la carità eccede la giustizia solo se la include e la supera; la giustizia, però, può essere se stessa solo se si alimenta alla forma buona del rapporto sociale che deriva dall'eccedenza del dono e del perdono. Essa ha bisogno dell'alleanza tra gli umani che tende al "bene comune" (e non solo alla salvaguardia parcellizzata dei "beni comuni") come l'atmosfera che fa respirare i rapporti giusti, regolati dal diritto. Nei numeri 6 e 7, giustizia e bene comune sono indicati come le mediazioni operative della caritas in veritate. Essi non possono non riferirsi all'immagine dello sviluppo integrale dell'uomo. All'interno di tale quadro si dispiega il tema dell'enciclica.



    (©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2009)

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 11/04/2010 23:42
    Giustizia e la pace alla luce della "Caritas in veritate"

    La responsabilità di essere fratelli



    Pubblichiamo stralci della lectio magistralis del vescovo segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace tenuta in occasione del dies academicus presso la Scuola Superiore Internazionale di Scienze della Formazione, a Venezia-Mestre, sabato 10 aprile 2010.

    di Mario Toso


    La giustizia e la pace non si ottengono solo mettendo a disposizione di tutti beni materiali o opportunità di scelta, quanto piuttosto rendendo accessibile ciò che consente la realizzazione di una vita virtuosa, la "vita buona" di tutti i popoli, ossia il bene umano universale, che è il bene comune della famiglia umana. L'educazione non può ignorare questa verità basilare, perché la stessa giustizia e la stessa pace rimarrebbero prive della loro anima etica.

    L'odierno impegno a favore della giustizia e della pace spesso si avvale di etiche neoutilitaristiche e relativistiche, a causa di quelle dicotomie che la Caritas in veritate censisce con precisione e con lucida consapevolezza della posta in gioco. Al riguardo giova ricordare che il bene comune universale, la giustizia e la pace non possono affermarsi quando l'azione sociale è dominata e pervasa da orientamenti consumistici e nihilisti che inducono atteggiamenti e stili di vita egoistici e predatori. Proprio su questo fronte, la Caritas in veritate offre alla cultura odierna e alla responsabilità pedagogica un apporto sapienziale e umanistico decisivo.
     
    La svolta storica, che Benedetto XVI intende avviare all'inizio del terzo millennio, pone Dio alla base della morale e della pedagogia, contrariamente al progetto groziano che mirava all'elaborazione di un'etica etsi Deus non daretur. L'ordine morale viene dapprima scoperto nei suoi elementi basici - si pensi alle regole d'oro:  "fa il bene ed evita il male"; "non fare a nessuno ciò che non vuoi sia fatto a te" - presenti nella coscienza di ogni uomo e, poi, viene "costruito" finalizzandolo al Sommo Bene e al Sommo Vero. Su queste premesse teorico-pratiche, la politica e l'educazione sociale sono ripensate e riconfigurate anzitutto nei termini propri di un umanesimo teocentrico, che viene incluso, pervaso e posseduto dall'alto di una pienezza d'amore e di verità, quella del Figlio di Dio, che ama sino alla follia della Croce e che inaugura l'umanesimo cristiano.

    Secondo l'articolazione di uno schema culturale teo-antropocentrico, la politica e l'impegno per la giustizia e la pace sono orientati da una coscienza ove Dio è considerato come bene e fine ultimo; e l'unione del cuore e della mente con Dio è il criterio del vero ordine dei fini nell'azione costruttrice di una società giusta e pacifica e nell'azione formatrice delle coscienze.

    Per la Caritas in veritate, l'assenza di fraternità  è  causa  di sottosviluppo prima  ancora  della carenza di pensiero (20). Lo stesso può dirsi con riferimento alla giustizia, alla pace e all'azione educativa corrispondente. Proprio per questo, Benedetto XVI assegna alla fraternità universale un ruolo imprescindibile nel conseguimento dello sviluppo integrale della famiglia umana, nella realizzazione della giustizia, del bene comune e della pace, nel compimento umano dei singoli e dei gruppi. La ragione di questo orientamento morale non è arbitraria o aprioristica. La fraternità non va perseguita come qualcosa che si aggiunge dall'esterno all'impegno della crescita umana, alla ricerca di relazioni eque, di un ordine sociale pacifico. Essa, infatti, segna e caratterizza intimamente le persone nel loro dinamismo relazionale di autotrascendimento.

    La fraternità, assunta e vissuta con responsabilità, alimenta una vita di comunione e di condivisione, sostiene la dedizione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti. E questo, mentre sono svolte le normali attività del quotidiano.

    Detto altrimenti, la fraternità a cui fa riferimento la Caritas in veritate non è un vago sentimento o una prospettiva etica che alimenta forme di solidarietà di tipo breve, meramente assistenzialistiche, ispirate dalla compassione. Si tratta, invece, di un comportamento virtuoso, che anima e informa di sé ogni attività, sia caritativa che istituzionale, mediante il quale si persegue il bene comune della comunità politica nazionale e mondiale. La fraternità, pertanto, entra a qualificare moralmente sia l'offerta di un'elemosina al povero sia lo scambio di beni e di servizi, sia il business, sia l'equa distribuzione del reddito.

    L'odierno fenomeno della globalizzazione, nonché i grandi flussi migratori, popolano le nostre società di molteplici culture e religioni che proclamano fratellanza e pace, beni strettamente interdipendenti con lo sviluppo integrale. E così, le accresciute possibilità di interazioni tra culture e religioni danno spazio a nuove prospettive di dialogo interculturale e interreligioso, in vista della giustizia e della pace.

    Per Benedetto XVI, specie da parte di chi educa, va tuttavia esercitato un prudente e costante discernimento sia nei confronti di quell'"eclettismo culturale" che accosta semplicemente e acriticamente le religioni e le culture, considerandole sostanzialmente equivalenti e intercambiabili tra di loro (26), sia rispetto a quelle religioni e a quegli atteggiamenti religiosi e culturali che non assumono pienamente il principio dell'amore e della verità. "Il mondo di oggi - puntualizza il Pontefice - è attraversato da alcune culture a sfondo religioso, che non impegnano l'uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche. Anche una certa proliferazione di percorsi religiosi di piccoli gruppi o addirittura di singole persone, e il sincretismo religioso possono essere fattori di dispersione e di disimpegno. (...) Contemporaneamente, permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche, in credenze magiche irrispettose della dignità delle persone, in atteggiamenti di soggezione a forze occulte" (55).

    Il criterio per valutare e per purificare le culture e le religioni da relativismi, fanatismi e fondamentalismi, dannosi per l'autentico sviluppo è, a giudizio di Benedetto XVI, "tutto l'uomo e tutti gli uomini". Un tale criterio - ciò non deve sfuggire agli educatori - prende forma entro l'orizzonte sapienziale della "carità nella verità", ove si svolge un dialogo fecondo tra fede e ragione. Proprio il contesto sapienziale della carità nella verità, che nel suo grembo fa crescere una sintesi ordinata tra saperi naturali e saperi sovrannaturali, è garanzia della reciproca e proficua purificazione tra ragione e religione, a vantaggio della giustizia e della pace.

    In una società che accoglie molteplici culture e religioni, in vista della loro convivialità e del loro convergente apporto al bene comune, colui che educa a una socialità equa e ordinata può far leva non solo sull'opera di purificazione di cui sopra, ma principalmente sul fatto che in tutti i cittadini, a qualsiasi religione appartengano, è insita una comune capacità di vero, di bene e di Dio. È su tale base che si possono incentivare la comunione in un bene umano universale, la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell'umanità (57). È grazie a tale comune struttura antropologica ed etica che si può riconoscere ciò che unisce tutti in una piattaforma di beni-valori compartecipati, e si possono "vagliare e valorizzare le differenze come ricchezza espressiva di una medesima natura umana". La Caritas in veritate è fiduciosa nella capacità conoscitiva e di bene degli uomini e delle donne, soprattutto quando essa usufruisce dell'apporto della carità e della fede.


    (©L'Osservatore Romano - 11 aprile 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 04/06/2010 20:34
    Da san Bonaventura alla "Caritas in veritate"

    Il mistero del dono e la tirannia dell'autosufficienza



    Il 5 e il 6 giugno si svolge a Bagnoregio il cinquantottesimo Convegno di Studi Bonaventuriani "La carità rivelazione della verità". Il sottosegretario del Sinodo dei vescovi ha anticipato a "L'Osservatore Romano" una sintesi del suo intervento.

    di Fortunato Frezza

    "La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono". Sono queste le prime parole del terzo capitolo dell'enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, seguite da altre:  "La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza (...) La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l'uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale" (n. 34).

    Verità, carità, dono, gratuità, felicità sono categorie essenziali dell'intera enciclica, ne fondano lo statuto dottrinale, ne indicano l'appello testimoniale, ne rivelano tratti anche antropologicamente fecondi. In merito a dono e gratuità è richiamata nel documento la dottrina di sant'Agostino, il quale nel Dialogo sul libero arbitrio sembra voler precisare l'indeterminato, dare corpo all'invisibile, fornire razionalità teologale a un "senso interno", come intuitus alieno da pretese gnostiche, rivelatore di una certezza speculativa ed esistenziale, che dall'interiore umano rimanda a una verità eterna, che si chiama Dio o porta il nome santo di Gesù Cristo.

    Se stupefacente è l'esperienza del dono, è perché questo salto da una evidenza introspettiva al riconoscimento di una eternità altissima è vertiginoso. Del resto l'enciclica non esita a spiegare che "l'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza", accedendo alla quale l'uomo trova Dio con il suo nome.

    È, dunque, certo che la verità, essendo dono come la carità, è più grande di noi, ci oltrepassa e oltrepassa i nostri meriti. Nello stesso dinamismo della verità è coinvolta la capacità di donazione, che come tale non si lascia imbrigliare dagli intrighi e dai grovigli del calcolo. Se una regola ha, essa è l'eccedenza, prossima alla trascendenza di Dio che in essa si dona. Infatti nell'ambito del dono l'eccedenza ha la duplice accezione di esigenza di oltrepassare i limiti convenzionali o banali del dare in contropartita e anche di sublimazione dell'autocoscienza fino alla carità increata di Dio.

    Non a caso tale valicamento nell'Itinerarium di Bonaventura è chiamato excessus mentis, excessus contemplationis, che manifesta come Bonaventura si ispiri ad Agostino e proceda poi verso una novità, attraverso una tipica operazione bonaventuriana di dono, quale si manifesta nella contemplazione, come gratuito scambio tra Dio e la creatura nella stessa trascendenza di Dio. Si tratta di una vera e propria eccedenza della reciprocità mistica.

    Bonaventura, commentando nel vangelo di Luca l'episodio dei dieci lebbrosi, spiega analiticamente le parole che Gesù rivolge all'unico guarito che torna sui suoi passi per ringraziare:  "Per approvazione della gratitudine aggiunge:  "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato". "Alzati", per penitenza, "Va'", per giustizia, ossia per obbedienza che è l'atto più nobile della giustizia, come un procedere da Dio a Dio, secondo Dio e per Dio. "La tua fede ti ha salvato", per fiducia; infatti la fede è l'inizio della nostra salvezza, essa rende noto il nome di Gesù Cristo. Di questa salvezza la speranza è sostegno; la carità è perfezione. Cristo dona la salvezza della fede".

    L'incontro di Gesù con i lebbrosi è sollecitato dal loro grido univoco, unisono:  "Gesù maestro, abbi pietà di noi". Nessun altro, al di fuori della cerchia dei discepoli, ha mai chiamato Gesù con il titolo di "maestro", eppure, a miracolo avvenuto, i nove non hanno imparato la lezione e così facendo non cercano più il maestro, non avvertono l'impulso dell'obbedienza che procede da un interiore senso della giustizia nel riconoscere la fonte del dono, si assentano dall'ulteriore dialogo della salute recuperata e non scoprono, come secondo insegnamento, il segreto della guarigione, che è uno solo, la fede, anch'essa dono, dono di salvezza.

    Salute e salvezza sono un doppio dono non corrisposto, amputato della reciprocità, privato della gratitudine:  una ingratitudine che tuttavia ha partorito paradossalmente la conoscenza della gratuità. Non c'è, infatti, momento maggiore di gratuità che l'assenza di gratificazione per il dono elargito. La sovrana libertà del dono, gratia gratis data, è quella che non ha riconoscimento e basta a se stessa, come segno di una carità suprema, amore che è stipendio a se stesso, eccedenza netta.
    Nel solco della condotta ingrata affondano le radici ulteriori di infecondità, come nel caso dei nove, i quali, associati nell'egoistica euforia del beneficio, ma lontani dal maestro e dal compagno grato, si privano anche della festa della fraternità e della solidarietà. Per un dono che arriva, altri si sottraggono, e così l'incapacità di dono fomenta l'infelicità che non conosce l'alterità e tanto meno l'eccedenza.

    L'autosufficienza recuperata può far regredire a uno stadio anteriore della coscienza, in cui si manifesta la presunzione "di far coincidere la felicità con forme immanenti di benessere" autonomo e irriconoscente. Bonaventura, l'abbiamo già detto, ha la felice, sorprendentemente moderna intuizione di introdurre nel discorso della gratitudine il riferimento alla giustizia. Il comando di Gesù al lebbroso grato è:  "Va'!" e Bonaventura attribuisce questa ingiunzione a una esigenza di giustizia, attratta comunque in una relazione pienamente teologale che trova in Dio l'origine, il fine, la dedicazione degli atti e della condotta di vita, "da Dio a Dio, secondo Dio e per Dio".

    E Benedetto XVI dichiara:  "La logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone a essa in un secondo momento e dall'esterno e (...) lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità" (n. 34). Il riconoscimento dei campi di ciascuno, del dare e dell'avere di ogni persona o istituzione fonda la stessa possibilità dell'eccedere quei necessari e giusti ambiti di esperienza accertata, al di là dei quali si espande l'atto del dono.


    (©L'Osservatore Romano - 4-5 giugno 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 23/06/2010 00:05
    Presentato il rapporto 2009

    Da Caritas italiana 30 milioni di euro
    per progetti nel mondo



    Roma, 22. Circa trentadue milioni di euro utilizzati nel 2009 per progetti e attività in Italia e nel mondo, per rispondere alle grandi emergenze economico-sociali e umanitarie e a una quotidianità di vicinanza a chi soffre. Sono le cifre contenute nel Rapporto annuale 2009 di Caritas italiana, presentato, oggi, martedì, a Roma durante la riunione di presidenza di Caritas. Di trentadue milioni utilizzati, Caritas italiana ha cercato di concretizzare, nel corso del 2009, il tema dell'anno pastorale:  "Scegliere di animare. Percorsi di discernimento per parrocchie e territori". Circa diciannove milioni e mezzo sono stati destinati in Italia, 8.725.797 nel mondo, 3.446.151 per le spese complessive di gestione.

    Dai numeri contenuti nel Rapporto emerge che il novantasette per cento delle Caritas diocesane ha attivato un centro d'ascolto, mentre il settantuno per cento ha attivato un Osservatorio delle povertà e il sessantanove per cento il Laboratorio Caritas parrocchiali.

    Sono stati 3.089 i volontari inviati dalle sedici delegazioni regionali Caritas nelle tendopoli e tra le popolazioni abruzzesi terremotate, da aprile 2009 a marzo 2010. Più di ventitremila persone hanno fatto offerte a Caritas italiana per il terremoto in Abruzzo consentendole di raccogliere e impiegare (anche per gli anni futuri) oltre trentadue milioni di euro.

    Tra le strutture realizzate o in fase di realizzazione, centri di comunità, edilizia sociale abitativa, scuole, edifici per servizi sociali e caritativi, centri sociali parrocchiali.

    Il Rapporto, inoltre, sottolinea che in Italia 1.273 giovani prestano servizio civile in ottantadue Caritas diocesane, a cui si aggiungono cinquantasei all'estero, mentre in autunno sono stati immessi in servizio poco meno di mille giovani in Italia e settantasei all'estero. Sono stati, invece, centonovantacinque i progetti 8 per mille presentati da centoquattordici Caritas diocesane, per un valore di circa dodici milioni di euro richiesti alla Conferenza episcopale italiana (Cei) e una compartecipazione delle diocesi di 9,5 milioni di euro. Centoventicinque progetti specifici sono stati monitorati da Caritas italiana e realizzati da Caritas diocesane nel 2009, per far fronte alle conseguenze della crisi su persone e famiglie. Sono state, inoltre, organizzate cinquanta giornate di formazione rispetto al 2008.

    Sul versante delle politiche sociali, è entrata nel vivo l'attività dei tavoli di lavoro su Aids, rom, sinti e camminanti, salute mentale e ospedali psichiatrici giudiziari.

    Sempre nel 2009 sono state condotte due ricerche sul rapporto tra giovani e volontariato e tra famiglie e crisi. È stato anche promosso, insieme a Fondazione culturale Responsabilità etica e Centro culturale Ferrari, l'Osservatorio regionale e nazionale sul costo del credito, promotore di una ricerca sull'accesso al credito legato ai mutui per la casa.

    Riguardo al complesso fenomeno dell'immigrazione, un evento significativo è stato, in maggio, l'incontro del Coordinamento nazionale immigrazione a Lampedusa, proprio nel periodo di polemiche e di discussioni più infuocate sull'approvazione del "pacchetto sicurezza".
    Il 2009 è stato anche l'anno della preparazione nell'ambito della rete di Caritas Europa, della campagna "zero poverty", lanciata in vista del 2010, Anno europeo di lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Mentre sul versante internazionale, in ottanta Paesi del mondo sono stati realizzati decine di progetti e duecentottanta microprogetti.

    Caritas italiana ha anche aderito all'iniziativa "stand up!", della campagna Onu del millennio, che ha portato 820.800 di italiani a dire "no" alla povertà nell'ottobre del 2009.


    (©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 12/09/2010 16:11

    La “Caritas in veritate” di Benedetto XVI: riflessioni pastorali



    di Stefano Fontana*


    ROMA, giovedì, 9 settembre 2010 (ZENIT.org).- La “Caritas in veritate” doveva essere un’enciclica sullo sviluppo e, secondo il disegno originario, avrebbe dovuto commemorare il 40mo anniversario della Populorum progressio (PP) di Paolo VI. Non temo però di dire che essa è ben più che una enciclica sullo sviluppo. A mio modo di vedere il suo tema è “il posto di Dio nel mondo”, e il guardarsi reciproco tra Chiesa e mondo, fede e ragione, natura e sopranatura. Nella CV la questione sociale non solo diviene la “questione antropologica”, ma diventa addirittura la “questione teologica”: appunto il posto di Dio nel mondo.

    Precisazioni metodologiche

    Un primo tratto caratteristico della CV è comunque il riferimento alla PP di Paolo VI. Nonostante che, per molti motivi, la data del 2007 non sia stata rispettata, l’enciclica mantiene un importante riferimento alla PP e a Paolo VI. Tra l’altro, questo riferimento assume due aspetti di grande importanza. Il primo riguarda il ricordo di questo pontefice e il riconoscimento della sua grandezza anche per la DsC. Non va dimenticato che molti hanno parlato in passato di “incertezze” di Paolo VI in questo campo, viste come segno di un ripensamento della natura della DsC secondo le linee teologiche che la interpretavano come ideologia. Si diceva che il Vaticano II non aveva dedicato una attenzione sistematica alla Dsc e aveva adoperato l’espressione in modo marginale. Quando nel 1971 Paolo VI pubblicò la Octogesima adveniens in forma non di Enciclica ma di Lettera apostolica, una diminutio quindi, molti vi lessero un ulteriore segno che anche nel magistero di Paolo VI la DsC non assumeva più il ruolo occupato precedentemente al Concilio. Tutto ciò animava la distinzione tra due DsC una preconciliare ed una postconciliare, quando non addirittura la improponibilità della DsC nel postconcilio. Siccome simili posizioni sono ancora, e largamente, presenti, è di grande significato che Benedetto XVI abbia riletto il magistero di Paolo VI come per nulla incerto o debole nei confronti della DsC ma, anzi, fortemente propositivo e lungimirante. Della PP egli dice infatti che è da considerarsi come la Rerum novarum dell’epoca postconciliare e sottolinea gli stretti legami di questa enciclica con la Humanae vitae del 1968, anticipazione ante litteram di come già allora la questione sociale si ponesse come questione antropologica.

    Alla rivalutazione, se così possiamo dire, di Paolo VI, la CV associa l’idea che il punto di vista della DsC è la “tradizione apostolica” e che non è possibile separare due DsC, l’una preconciliare e l’altra conciliare. Vediamo brevemente questi due importanti aspetti.

    Per molto tempo si è sostenuto che partire dalla rivelazione trasmessa nella tradizione apostolica faceva della DsC un sistema deduttivo. A ciò si contrapponeva un procedimento induttivo. Il punto di partenza, o addirittura il punto di vista, doveva essere la situazione, la prassi o i dati delle scienze umane. Si tratta di posizioni tipiche degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma ancora molto presenti tra i teologi e i docenti degli Istituti di Scienze Religiose. Già ad Aparecida, davanti all’episcopato latinoamericano e poi nella CV, Benedetto XVI afferma invece che il punto di vista – o luogo ermeneutico – è la fede apostolica, e che partire dalla situazione, dalla prassi o dalle sole scienze umane è ideologico. Egli rovescia così il percorso, segnalando che anche il magistero di Paolo VI, come del resto il Concilio, è su questa linea.

    La tradizione apostolica però è una sola ed ecco l’applicazione dell’ermeneutica della continuità del Concilio vaticano II anche alla DsC [più di recente, il papa l’ha applicata anche alla figura del sacerdote]. Quanti Manuali di DsC che ostentavano, articolavano e sistematizzavano questa contrapposizione dovrebbero essere rivisti e riscritti! Queste contrapposizioni sono frutto della sovrapposizione alla DsC di categorie ideologiche ad essa estranee, che impediscono di riconoscere il suo vero messaggio.

    Una nuova valutazione dell’economia

    Un secondo tratto caratteristico della CV è una nuova considerazione dell’attività economica. L’affermazione forse più sorprendente è che la logica del dono deve essere presente fin dall’inizio nella normale attività economica. Questo principio viene ripetuto più volte nell’enciclica e articolato anche con buoni criteri scientifici, oltre che teologici e morali. E’ un principio dalle molteplici conseguenze: non c’è prima il produrre e poi il distribuire; l’economia non può essere separata dalla società come se la prima mirasse all’efficienza e la seconda alla solidarietà; la suddivisione tra pubblico e privato o tra non profit e profit non sono più sufficienti a interpretare la realtà dell’economia; la gratuità e il dono non riguardano solo il terzo settore, ma anche il settore privato e quello cosiddetto pubblico; gli esperti devono impegnarsi a configurare giuridicamente e scientificamente nuove forme di imprenditorialità; l’imprenditorialità va intesa in modo polivalente con la possibilità di scambi reciproci tra i diversi tipi di imprenditori; e così via.

    Un punto, a questo proposito, è di fondamentale importanza. Il mercato è inteso come l’ambito che rende disponibili i beni. Il papa sostiene – ma a dirlo sono ormai molti economisti – che il mercato, per funzionare, ha bisogno di beni indisponibili. Per poter produrre il mercato deve presupporre beni che esso stesso non può produrre. Partendo da questa constatazione per l’economia, la CV la amplia all’intera realtà, sostenendo che l’intero sviluppo umano si fonda su una vocazione che non gli è disponibile, ma che gli viene incontro in dono. Nessun livello di realtà può darsi da solo la sua verità. Quando un livello della realtà si chiude in se stesso, presumendo di poter bastare a se stesso, diventa prigioniero di se stesso. Senza Dio, l’uomo può produrre solo uno sviluppo disumanizzato.

    Tre nuovi ambiti tematici

    Questo spunto ermeneutico fondamentale viene applicato da Benedetto XVI a tre grandi tematiche dell’attualità storica: l’ateismo e le religioni, l’ambiente e la natura umana, la tecnica e la bioetica. Nessuna enciclica precedente aveva affrontare in modo così ampio ed approfondito questi elementi che sono emersi in modo dirompente dopo la famosa “crisi delle ideologie” e che contengono in sé nuove preoccupanti ideologie.

    Se lo sviluppo ha bisogno di nutrirsi di una vocazione che sia altro da sé, l’ateismo è nemico dello sviluppo. E non solo, dice il papa, l’ateismo militante e persecutorio della religione, ma anche l’ateismo dell’indifferenza, o nichilismo, che viene sistematicamente propagandato anche nelle società che un tempo erano cristiane. L’ateismo soffoca le energie più autentiche dell’uomo, ne appiattisce l’impegno su obiettivi meschini, guasta le relazioni umane e impedisce agli uomini di sacrificarsi per ciò che veramente è bello e grande.

    La libertà di religione è quindi un diritto fondamentale per lo sviluppo, ma va correttamente intesa. Essa non comporta che tutte le religioni siano messe sullo stesso piano – non comporta cioè l’indifferenza religiosa. C’è l’arbitro, lo Stato, che garantisce la libertà di religione ma sa anche fischiare qualche fallo, quando le religioni minacciano i diritti umani e il bene comune. Ci sono poi i giocatori, e tra essi i cattolici, che non devono farsi riguardo dal giocare la loro partita perché questo offenderebbe le altre religioni. La libertà di religione né toglie alla ragione politica l’impegno di valutare quando esse comportino una lesione dei diritti umani, né chiede che si costituisca un ambito pubblico neutro dalla religione come nel modello francese, né chiede che i cristiani debbano rinunciare ad evangelizzare.

    La cura dell’ambiente e la difesa della natura umana devono essere sempre collegati insieme. La natura non va disprezzata, ma neppure sacralizzata in nuove forme di paganesimo. L’ecologismo rischia di diventare una nuova religione. La tutela dell’ambiente naturale non deve riguardare solo l’aria e l’acqua ma anche e soprattutto l’uomo. Il cristiano ha il dovere di difendere il creato, prima fra tutti la natura della persona umana che pure appartiene al creato, e non solo le foche. La difesa della vita e della famiglia non può essere separata dalla difesa della natura. Viceversa l’ecologia diventa ideologia. La difesa della vita umana è affrontata dalla CV a tre riprese e viene organicamente collegata con tutti i temi del vero sviluppo. Non sarà più possibile, da ora in avanti, parlare di ecologia e di sviluppo dimenticando le tematiche della vita.

    Infine la tecnica. L’intero capitolo VI è dedicato a questo argomento, con dei passaggi di grande profondità. La tecnica è vista anche come estrema configurazione del rifiuto di un senso e quindi come estremo nemico dello sviluppo, in quanto lo riduce al massimo a crescita o ad aumento del Pil. L’enciclica vede il pericolo del tecnicismo in molti aspetti della nostra vita sociale: nella finanziarizzazione dell’economia, nei mass media, negli aiuti allo sviluppo che servono più a mantenere gli apparati che non a favorire l’uscita dalla povertà, eccetera. Ma lo vede soprattutto nel campo bioetico. C’è un genocidio in atto e quasi nessuno ne parla. I dati pubblicata recentemente dal IPF di Madrid sono agghiaccianti. L’aborto è fenomeno di massa, le nuove pratiche diagnostiche prenatali confluiscono ormai automaticamente nell’aborto quando si riscontrasse qualche malattia anche ipotetica nel feto, è in atto una spietata selezione eugenetica sia in ordine alla salute del nascituro sia in ordine al suo sesso che terrificano, i tentativi di negare la natura complementare di maschio e femmina e di mettere le mani sulla stessa identità umana fanno rabbrividire, con l’inseminazione artificiale si è superata una soglia oltre la quale non è più possibile parlare di rispetto della dignità umana. E’ qui che il papa dice che la questione sociale è diventata la questione antropologica.

    Il posto di Dio nel mondo

    Vorrei a questo punto indicare un quarto ed ultimo tratto caratteristico della CV, uno schema ermeneutico che essa indica e che può esserci di grande aiuto anche nella nostra attività pastorale. Ho detto all’inizio che la CV ha come tema di fondo il posto di Dio nel mondo. Non è un tema nuovo se laRerum novarum diceva che non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, se la PP affermava che il principale fattore di sviluppo è il Vangelo e se la Centesimus annus diceva che la Chiesa ha un diritto di cittadinanza nella società. In altri termini la DsC non può rinunciare alla pretesa che, come dice la CV, il cristianesimo non sia solo utile ma anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Ma ecco il punto: come può questa pretesa non soffocare l’autonomia delle realtà terrene, la responsabilità umana, la luce della ragione e l’importanza dei saperi scientifici? Dal punto di vista pastorale si tratta di un problema chiave. La CV lo risolve in questo modo: la luce che viene da Cristo – si rilegga la Gaudium et spes su questo punto – svela l’uomo all’uomo, non ne soffoca le capacità ma anzi lo rende maggiormente capace di sé, più maturo. La luce della rivelazione non soffoca la luce della ragione, ma la aiuta ad essere se stessa. La fede cristiana può dialogare con i saperi dell’uomo in quanto non li mortifica ma li invita a scendere maggiormente in profondità dentro se stessi e produrre i loro frutti migliori. La pretesa della fede cristiana di essere “dal volto umano” sveglia la ragione, le impedisce di essere prigioniera di se stessa e la invita a non fermarsi mai. E’ per questo che la pretesa cristiana di essere la religio vera non è una imposizione ma un dialogo con la ragione, certo non con ogni tipo di ragione, ma solo con quella che non rifiuta l’invito ad allargarsi che le deriva dalla fede.

    --------

    *Stefano Fontana è Direttore dell'Osservatorio Internazionale "Cardinale Van Thuân" sulla dottrina sociale della Chiesa.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 21/09/2010 18:41
    La "Caritas in veritate" di fronte alla globalizzazione

    Economia
    e identità cristiana


    È in libreria il volume Denaro e paradiso. I cattolici e l'economia globale (Torino, Lindau, 2010, pagine 155, euro 15) di Ettore Gotti Tedeschi e Rino Cammilleri. Pubblichiamo la prefazione scritta dal cardinale segretario di Stato e, sotto, un breve stralcio del primo capitolo.
     

    di Tarcisio, cardinale Bertone

    Parlare di morale in economia oggi è quanto mai opportuno, dato che è stato ampiamente riconosciuto che la crisi economica globale ancora in atto è stata generata dallo sfaldamento o dal misconoscimento dei valori morali. Ben venga allora ogni riflessione su questo aspetto cruciale, dato che la ricerca di soluzioni alla crisi economica lascia immaginare che ci saranno significativi cambiamenti nella geopolitica e, conseguentemente, nel novero dei valori morali che saranno alla base delle scelte politiche ed economiche.

    Nell'enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI troviamo esplicitata la proposta morale cristiana per giungere a uno sviluppo veramente degno della persona umana nella sua integralità, ed è proprio per illustrare i cardini di questo importante documento pontificio che prende vita la nuova edizione del libro Denaro e paradiso. Ne sono autori due personaggi di grande esperienza:  Ettore Gotti Tedeschi, stimato economista, ora presidente dell'Istituto per le Opere di Religione della Santa Sede, e Rino Cammilleri, uno dei maggiori scrittori apologeti italiani.

    La recente enciclica ha suscitato molto interesse e si sono letti commenti lusinghieri anche su giornali e riviste specializzate in economia. Un dato che la contraddistingue è di aver trattato per la prima volta, in un documento pontificio, di globalizzazione, dei suoi rischi e delle sue opportunità. L'uscita di Caritas in veritate ha subìto un ritardo rispetto alla data prevista (con essa si intendeva commemorare il quarantesimo anniversario della Populorum progressio di Paolo vi [1967-2007]) proprio in ragione della crisi economica, che stava sviluppandosi e che lasciava prevedere cambiamenti importanti di carattere economico e sociale.


    Occorreva perciò integrarla con una riflessione sul fenomeno contingente, del quale non si poteva non tener conto. È vero che un documento magisteriale della Chiesa è "senza tempo", tuttavia, essendo questa enciclica un richiamo pastorale e dottrinale sul senso da dare alle azioni umane secondo lo spirito cristiano, essa doveva inserirsi "nel tempo" per relazionarsi con i problemi reali dell'uomo di oggi. A Benedetto XVI è stato riconosciuto il pregio di aver saputo evidenziare con chiarezza il fenomeno della crisi, offrendo un'analisi di portata universale e di importanza storica.

    La mia non vuole essere un'ulteriore analisi e, per questo, rimando alla lettura del libro. Mi limito a notare che il deficit dei valori morali e le scelte che hanno ignorato Dio, e conseguentemente l'uomo - scelte sempre negative per la crescita materiale e spirituale della società - ci hanno messi di fronte al danno prodotto dalla progressiva crescita di quella cultura nichilista che, volendo ignorare verità e valori assoluti, ha svilito la dignità dell'uomo. Ne discende l'importanza dell'appello lanciato da Benedetto XVI di un'"emergenza educativa", cioè del bisogno urgente di far crescere l'uomo in conoscenza e saggezza, affinché acquisisca la necessaria maturità per gestire i sofisticati strumenti tecnici e scientifici che sono a sua disposizione, pena il rischio "che gli sfuggano di mano". Occorre fare in modo che la società possa disporre di una nuova generazione di uomini e di donne capaci di elaborare con competenza e rigore soluzioni di sviluppo sostenibile, impegnando in questo compito le migliori energie morali.

    Nell'enciclica Caritas in veritate troviamo fin dall'"Introduzione" il riferimento fondamentale per l'economia, che consiste nel progetto di Dio sull'uomo e, conseguentemente, nel bisogno della verità della fede e della carità che ne deriva. Si tratta, infatti, di due realtà fondamentali, non estrinseche all'uomo o addirittura imposte a lui in nome di una qualsivoglia visione ideologica, ma di realtà che hanno un profondo radicamento nella persona stessa. "Amore e verità" afferma Benedetto XVI, "sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo" (1) che, secondo la Sacra Scrittura, è appunto creato "a immagine e somiglianza" del suo Creatore, cioè del "Dio biblico, che è insieme Agàpe e Lògos:  Carità e Verità, Amore e Parola" (3). Benedetto XVI vuol ricordare che solo ancorandosi a questo duplice criterio della veritas e della caritas, fra loro inseparabilmente congiunte, si può costruire l'autentico bene dell'uomo, fatto per la verità e l'amore.

    Già la Populorum progressio di Paolo vi illustrava e raccomandava i principi che devono ispirare l'azione economica, perché il progresso e lo sviluppo anche materiale sono una vocazione dell'uomo, purché questi - dal momento che non è solo "carne" - venga considerato non soltanto negli aspetti visibili e concreti. A seguire, la Caritas in veritate ha ribadito i valori di riferimento per chi si occupa di economia:  volere uno sviluppo economico non egoistico, non scoraggiante la vita umana, non falsato e non illusorio. Esigenze quali "il ritorno sull'investimento", la "creazione di valore per l'azionista" e la "valutazione del rischio", non possono prescindere dal valore umano:  i principi economici, infatti, sono da considerare soprattutto nella dinamica oggettiva della natura umana.
     
    Ne consegue, come dicevamo all'inizio, che parlare di morale in economia è quanto mai opportuno, per scongiurare il pericolo che corre la società se l'economia assume una sua autonomia dalla morale. Esperti economisti di ispirazione cristiana e non, possono facilmente dimostrare che ogni decisione economica ha un impatto di carattere etico; essa è il frutto di responsabilità personale. Fare vera economia sostenibile in un'ottica a lungo termine significa pensare agli altri con i quali condividere sviluppo e benessere. Quando queste raccomandazioni vengono disattese, la tecnica prende il controllo dell'uomo e diventa pericolosamente autosufficiente, in un chiuso egoismo. La Caritas in veritate mette in guardia da uno sviluppo che sia ripiegamento su se stessi, invitando a "vivere e orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione" (42).

    Il momento di crisi che stiamo attraversando incita il cristiano a testimoniare la propria identità anche nel contesto dell'agire economico. Afferma l'enciclica che "l'amore di Dio (...) ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti" (78). E ancora:  "Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio" (79). Di ciò la Chiesa è maestra poiché ha dell'uomo non solo una visione naturale ma anche soprannaturale.

    La Chiesa si concentra particolarmente nell'educare i discepoli di Cristo, affinché sappiano mostrare concretamente nella vita personale e familiare, nella vita sociale, culturale e politica, che la fede permette di leggere in modo nuovo e profondo la realtà e di trasformarla; che la speranza cristiana allarga l'orizzonte limitato dell'uomo e lo proietta verso la vera altezza del suo essere, verso Dio; che la carità nella verità è la forza più efficace in grado di cambiare il mondo; che il Vangelo è garanzia di libertà e messaggio di liberazione; che i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa - quali la dignità della persona umana, la sussidiarietà e la solidarietà - sono di grande attualità e valore per la promozione di nuove vie di sviluppo al servizio di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Questi imprescindibili impegni del cristiano sono stati ricordati recentemente da Benedetto XVI nel corso dell'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, riunita per discutere come i christifideles laici possano essere testimoni di Cristo nella comunità politica. Il Papa ha evidenziato quanto sia necessaria nel contesto della società odierna una vera "rivoluzione dell'amore".

    Questo libro offre ulteriori motivi per riflettere sul senso da dare alla propria vita e alle proprie azioni, su cosa significhi fare economia in senso autentico perché, in realtà, l'economia ispirata ai criteri morali cristiani non manca di produrre dei veri e propri vantaggi competitivi. Non si tratta di un'irrealistica e velleitaria utopia, ma della concreta possibilità, oggi più che mai attuale, di un'economia capace di far convivere esigenze produttive, benessere materiale e pienezza umana.


    (©L'Osservatore Romano - 22 settembre 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
  • OFFLINE
    Caterina63
    Post: 39.989
    Sesso: Femminile
    00 19/10/2010 18:43
    Le rotte della politica e dell'economia per uscire dalla crisi globale

    Bisogna puntare sull'uomo


    Pubblichiamo l'intervento tenuto a Roma il 15 ottobre dal cardinale segretario di Stato ai rappresentanti dei vertici degli Istituti Aspen nel mondo.

    di Tarcisio + cardinale Bertone

    L'attuale crisi economica ci ha richiamato in modo ineludibile a un dato che ha sempre accompagnato la vita umana, ma che nel corso degli ultimi anni sembra essere stato dimenticato, anche a causa del crescente benessere materiale. Essa ci ha ricordato la precarietà della vita e il senso della finitezza umana. Tale limite si scontra con l'irrequietezza dei nostri desideri, i quali costituiscono profondamente la nostra natura, che porta iscritta nel suo Dna un'incancellabile domanda di eternità.

    Nonostante la sua drammaticità, che ha trasmesso un senso di sfiducia e di scoraggiamento, la crisi può costituire paradossalmente l'occasione positiva per riscoprire i più autentici desideri umani e per aprirci a uno sguardo nuovo sull'uomo e sul tempo presente. Nella sua enciclica, Papa Benedetto XVI afferma che:  "La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente" (Caritas in veritate, 21).

    Il Santo Padre ci sprona dunque a guardare avanti con fiducia, poiché la presente crisi, lungi dal favorire un ripiegamento su noi stessi, può, al contrario, incentivare lo sviluppo di nuove creatività e iniziative, oggi più che mai necessarie, le quali devono tuttavia fondarsi su solide radici. Un insegnamento al riguardo può venirci proprio dalla storia europea. Il mondo che san Benedetto trovò davanti a sé millecinquecento anni fa era un mondo in crisi, politicamente, economicamente e socialmente. San Benedetto tuttavia non disperò, al contrario, attraverso i monasteri da lui fondati e la regola da lui scritta, che sapeva fondere in sé la dimensione spirituale, trascendente dell'uomo (l'ora) con quella materiale (il labora), contribuì a plasmare una nuova epoca, foriera di cultura, di una diversa concezione economica e di un rinnovato respiro politico.

    Quale fu il genio di Benedetto? Sinteticamente potremmo dire che egli seppe intuire la necessità di collocare nuovamente l'uomo al centro, valorizzando tutte le sue dimensioni, i suoi bisogni e i suoi desideri. Ora, quando il Santo Padre parla di una dimensione etica dell'economia non si riferisce proprio alla necessità di ricollocare l'uomo al centro proprio come fece Benedetto (Caritas in veritate, 45)? Ciò significa innanzitutto prendere coscienza dei legami originari e insopprimibili che costituiscono l'essere umano.

    Un'indubbia causa della crisi economica è costituita dalla diffusione di una malintesa etica dell'efficienza, volta ad assolutizzare il profitto personale. Alle spalle di questa "etica" sta non solo l'avidità, soprattutto c'è una concezione dell'uomo svincolato da ogni legame:  un uomo fondamentalmente solo, che persegue la propria realizzazione all'interno di un orizzonte ristretto esclusivamente materialistico. Al contrario, ricollocare l'uomo al centro, significa anzitutto riscoprire i legami che lo costituiscono e che permettono la sua crescita umana integrale. Si tratta non di legami meramente funzionali, ma che potremmo definire "ontologici".

    Ricordava l'allora cardinale Ratzinger parlando della crisi delle culture:  "Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità" (L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena, 2005, p. 64). Porre l'uomo al centro significa dunque valorizzare e favorire la sua dimensione trascendente. Non vi è vera centralità dell'uomo se nel suo orizzonte egli non afferma una contemporanea centralità di Dio. E, di conseguenza se le scelte economiche non garantiscono le condizioni di vita indispensabili perché la persona si possa elevare verso Dio.

    Nello stesso tempo occorre favorire anche quei legami orizzontali originari, che caratterizzano la crescita dell'essere umano. Al loro centro vi è indubbiamente la famiglia, riflesso della comunione d'amore fra Dio e gli uomini (Cfr. Giovanni Paolo ii, Familiaris consortio, 12). La famiglia è il luogo principale della crescita di ciascuno, poiché attraverso di essa l'uomo si apre alla vita e al mondo intero. I legami che essa crea, sono pertanto imprescindibili per lo sviluppo e lo possiamo costatare con i nostri occhi:  laddove la famiglia è più forte, anche le ricadute della recente crisi sono state umanamente meno gravose. Innanzitutto, perché la famiglia genera legami di fiducia ed educa a essa.

    Non è pensabile riprendersi da una crisi che ha minato fin nelle basi il sistema fiduciario, senza l'ausilio di "luoghi di fiducia", poiché "la vita umana diventa impossibile quando non si può più prestare fiducia all'altro o agli altri, quando non ci si può appoggiare sulla loro esperienza, sulla loro conoscenza" (L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, pp. 99-100). La famiglia, inoltre, può aprire tutta quanta l'umanità alla dimensione di una vera fraternità, "al riconoscimento di essere una sola famiglia" (Caritas in veritate, 53). Lo ricordava ancora il Santo Padre:  "Il tema dello sviluppo coincide con quello dell'inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell'unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace" (n. 54).

    Quale compito spetta dunque alla politica nell'attuale contesto? Essa è chiamata anzitutto a contribuire a ricollocare l'uomo al centro, favorendo quei legami originari di cui poc'anzi ho parlato. In questo senso è cruciale il ruolo dello Stato. Da un lato, esso non può essere "interventista", ovvero assoluto regolatore della vita dei singoli, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista sociale perseguendo legislazioni che, in base a malintesi principi di libertà e uguaglianza, rischiano di minare alla base la convivenza civile.

    D'altra parte, lo Stato non può essere nemmeno mero "spettatore", che guarda alla società come a un grande "mercato" in grado di autoregolamentarsi e trovare il proprio equilibrio. Al contrario la presente crisi sprona a valorizzare il ruolo statale, come sussidiario alle famiglia e alla società civile. In tal senso, le autorità pubbliche collocate ai diversi livelli di governo devono consentire, anzi favorire, la nascita e il rafforzamento di un contesto politico ed economico in cui possano operare soggetti diversi, evitando quelle logiche sperequative che hanno contribuito alla genesi della crisi scoppiata due anni fa.

    Una politica che ponga al centro l'uomo nelle sue dimensioni integrali, piuttosto che i singoli interessi particolari, non solo potrebbe favorire una ripresa economica più stabile e a beneficio di tutti, ma contribuirebbe in modo positivo a superare quella crisi di fiducia che ha coinvolto non solo gli operatori economici, ma, soprattutto in occidente, anche il mondo delle istituzioni.

    Al centro di questo rinnovato impegno vi deve essere "un'etica amica della persona" (Caritas in veritate, 45) che valorizzi quella grande ricchezza che è il lavoro - il cosiddetto capitale umano - e che allo stesso tempo favorisca un'idea d'impresa nella quale il perseguimento del profitto non costituisca un fine esclusivo e autoreferenziale.

    Un simile approccio può anche favorire un adeguato governo della globalizzazione. La "rete" rappresenta oggi forse il simbolo più emblematico della globalizzazione. Migliaia di informazioni possono essere disponibili contemporaneamente su tutto l'orbe a una moltitudine di persone. Non può che risultare evidente il rischio di un processo di spersonalizzazione della comunicazione a detrimento anzitutto di relazioni umane autentiche. E proprio la centralità della persona umana e il valore della testimonianza personale saranno il centro del Messaggio della prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che verrà pubblicato il prossimo 24 gennaio e che il Santo Padre ha voluto intitolare:  "Verità, annuncio e autenticità di vita nell'era digitale".

    La comunicazione globale pone seri interrogativi, sui quali avete avuto modo di riflettere nel corso della conferenza di ieri, sia per ciò che concerne l'uso politico della rete, che per quanto riguarda la tutela della privacy. Anche in questo caso può essere d'aiuto, mutatis mutandis, ricorrere all'esempio di Benedetto da Norcia.

    Il santo abate intuì che uno dei drammi del suo tempo era costituito dal rischio di perdere il grande patrimonio culturale dell'età antica. Incaricò così i suoi monaci di provvedere alla custodia e alla trasmissione di quel patrimonio, dando vita a quella fitta rete di biblioteche che ha permesso al nostro mondo di oggi, di poter godere delle ricchezze degli antichi. San Benedetto compì una vera e propria operazione culturale, in un contesto in cui era estremamente difficile reperire e accedere alle grandi opere che avevano contribuito a forgiare il mondo allora conosciuto.

    Tale limite ora non esiste più, eppure paradossalmente uno dei rischi è che il grande flusso di informazioni di cui disponiamo, anziché generare cultura, associ dati in modo acritico, si limiti a diffondere pettegolezzo, a investigare nella vita privata delle persone, a influenzare, non sempre positivamente, la vita di interi Paesi. Anche in questo campo è compito fondamentale della politica ricercare soluzioni che siano centrate "sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animate dalla carità e siano poste al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale" (Caritas in veritate, 73). In tal senso - prosegue il Papa - "i media possono costituire un valido aiuto per far crescere la comunione della famiglia umana e l'ethos della società, quando diventano strumenti di promozione dell'universale partecipazione nella ricerca di ciò che è giusto" (n. 73).

    Ciò che deve animare le scelte politiche non è dunque solo la preoccupazione, pur necessaria, per la gestione e la regolamentazione della "rete", quanto piuttosto una più ampia riflessione sulla qualità della comunicazione nel mondo globale per il bene dei singoli e delle società.

    L'attuale crisi non ci deve fare indulgere nella disperazione, nello sconforto, né può limitarsi a essere l'occasione per ricercare esclusivamente nuovi tecnicismi volti a uscire dalla presente congiuntura. Al contrario essa può essere una proficua occasione per una riflessione a tutto campo sull'uomo e sulla sua esistenza.

    Credo che il senso della mia presenza qui oggi sia quello di condividere quello sguardo positivo che la Chiesa da sempre promuove e che ci fa guardare all'uomo animati dalla realistica consapevolezza che l'anima di ogni riforma è in ultima analisi data dalla riforma di ogni anima. Una vera riforma consiste nell'acquisire una maggiore consapevolezza della responsabilità personale di ciascuno verso il proprio destino e verso il prossimo. Come scriveva il grande poeta inglese Thomas Stearns Eliot:  "C'è un lavoro comune / E un impegno per ciascuno / Ognuno al suo lavoro" (1 cori da "La rocca", Bur, Milano 1994, 43).


    (©L'Osservatore Romano - 20 ottobre 2010)
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)