DIFENDERE LA VERA FEDE

ATTENZIONE: SUSSIDIO PER DIRETTORI E CONFESSORI SPIRITUALI

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    Caterina63
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    00 04/07/2011 11:22

    Commento del cardinale Piacenza al Sussidio della Congregazione per il Clero per Confessori e Direttori spirituali (Radio Vaticana)



    A circa quattro mesi dalla sua pubblicazione, il cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, fa il punto sul sussidio per Confessori e Direttori spirituali sul ministero della penitenza e della riconciliazione, nella prospettiva della santità cristiana. Il documento - inviato a tutte le Conferenze episcopali del mondo – offre orientamenti pratici: dal mondo di suscitare le disposizioni adatte nel penitente, all’esame di coscienza per i sacerdoti e per la confessione dei sacerdoti stessi. Roberto Piermarini ha chiesto al cardinale Piacenza quali sono gli scopi di questo documento:

    R. – Le rispondo prima di tutto con un’espressione di Sua Santità, quando ha parlato ai partecipanti al 21.mo Corso sul “foro interno”, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica nel marzo scorso, quando disse: è necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in cui abitare più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio, conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della misericordia di Dio accanto alla presenza reale nell’Eucaristia. Mi pare che da queste parole del Santo Padre, con le quali si rivolgeva ai confessori, si evinca l’importanza e la conseguente urgenza apostolica di riscoprire il sacramento della riconciliazione sia da parte dei sacerdoti sia come penitenti - quindi usufruendone i sacerdoti stessi – e sia come generosi ministri di questo sacramento. Accanto alla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia la disponibilità ad ascoltare le confessioni, ad accogliere il penitente laddove richiesto, ad accompagnarlo spiritualmente in quella che chiamiamo la direzione spirituale, siano la reale misura della carità pastorale alla quale è chiamato il sacerdote.

    D. – E’ opinione comune che ci sia stato un notevole calo della frequenza alle confessioni, rispetto alla frequenza alla santa comunione. Viene proposto qualche rimedio?

    R. – Sì, intanto questo fatto è un fatto oggettivo, perché per esempio vediamo che, durante la santa Messa, la quasi totalità delle persone presenti si accosta alla comunione. Questo, da una parte, per me è motivo di grande gioia – è evidente – perché c’è la partecipazione piena, ma, dall’altra parte, è motivo anche di un po’ di preoccupazione, perché non c’è una folla altrettanto brulicante ai confessionali. E’ chiaro che non è che ad ogni comunione debba corrispondere una confessione, però chi si accosta con frequenza – fortunatamente – alla santa comunione dovrebbe accostarsi almeno con regolare frequenza alla confessione, anche se non la stessa frequenza, perché sappiamo che la necessità assoluta è davanti ai peccati gravi, però c’è tutta un’opacità nella vita di ogni giorno, ci sono delle renitenze alla generosità, quindi, non ci sono solo i peccati in senso tipico gravi, ma anche le imperfezioni, le sfumature. Noi siamo chiamati alla santità, ce lo ricorda molto bene il Concilio Vaticano II, parlando della vocazione universale alla santità di tutte le membra del corpo di Cristo, e, quindi, è chiaro che la confessione frequente costituisca comunque una grande spinta, un grande aiuto alla santificazione nel vivere la propria vocazione di sacerdoti, di religiosi, di padri, di mariti, di fidanzati, di ragazzi, di bimbi e così via. Credo, quindi, che bisognerebbe ragionare di più a volte anche sulla frase di San Paolo, per cui ci viene detto: “chi non mangia e non beve il corpo e il sangue di Cristo non avrà parte alla vita eterna, ma chi mangia e beve indegnamente il corpo e il sangue di Cristo mangia e beve la sua condanna”. Ci vuole, indubbiamente, un pochino di attenzione maggiore. Si aprirebbe qui un grande discorso sulla vita cristiana, sulla coerenza e così via. Il sussidio, però, richiamando tutto questo esorta poi, anche sul piano molto pratico, per esempio alla disponibilità del confessore. Laddove c’è un confessore disponibile, presto o tardi arriva un penitente e laddove persevera, persino in maniera ostinata qualche volta, nonostante la bassa frequenza, e la disponibilità del confessore continua, allora arriveranno anche i penitenti. Spesso accade in certe chiese, quando il confessore prende l’abitudine di essere nel confessionale - recitando magari lì il breviario, facendo la sua lettura spirituale, dicendo il suo rosario, facendo meditazione - che prima o poi arrivino i penitenti, dopo un mese, due, tre o un anno che la gente vede una presenza in un determinato orario. Allora c’è da tenere presente anche questa arte pastorale del farsi trovare: la riscoperta del sacramento della riconciliazione come penitenti e come ministri diventa la misura dell’autentica fede nell’agire salvifico di Dio, che si manifesta più efficacemente nella potenza della grazia che nelle umane energie organizzative di iniziative anche pastorali, talvolta anche molto buone, ma talvolta anche un pochino dimentiche dell’essenziale. Quindi, non dimentichiamo che il dinamismo pastorale nasce dalla tranquillità della coscienza pulita e da una vita eucaristica che va in tandem con quella penitenziale.

    D. – C’è una relazione fra questo documento e la nuova evangelizzazione?

    R. – Sì, indubbiamente c’è una relazione, anche perché la nuova evangelizzazione deve partire - non è uno slogan, è una realtà – dalla concretezza. Per noi la concretezza è proprio la vita sacramentale, è la vita di grazia. Si intende offrire con il presente sussidio, che è frutto ulteriore dell’anno sacerdotale, proprio uno strumento utile per quella formazione permanente del clero, che è indispensabile per avere un clero adeguato alla nuova evangelizzazione. E’ un aiuto alla riscoperta del valore imprescindibile della celebrazione del sacramento della riconciliazione e della direzione spirituale se si vuole rievangelizzare. Diciamo che la nuova evangelizzazione è il rinnovamento permanente della Chiesa. Diciamo giustamente, sull’onda della tradizione, che “Ecclesia semper reformanda”, deve riformarsi continuamente nelle sue membra. E la vera riforma della Chiesa non è fare una cosa nuova, un’altra e un’altra, può anche essere, ma l’essenziale della riforma è ripartire continuamente da persone che siano sempre più vicine al loro modello, che si purifichino continuamente, che traggano dinamica linfa vitale da reale santificazione. E quindi, il confessionale e la direzione spirituale sono mezzi certamente indispensabili ad un cammino veramente di riforma.

    D. – Com’è strutturato questo sussidio?

    R. – Il sussidio è diviso in alcune parti. Una prima parte è il ministero della penitenza e della riconciliazione nella prospettiva della santità cristiana. Quindi, c’è l’importanza attuale, c’è l’importanza di richiamare la grazia, c’è un invito urgente, c’è la missione di Cristo che opera nella Chiesa, l’aprirsi all’amore e alla riconciliazione, la testimonianza e la direzione dei pastori, l’esempio tipico del santo curato d’Ars e della sua dedizione al confessionale e il ministero di misericordia in genere. Ci sono poi delle linee fondamentali, come la natura del sacramento della penitenza e così via, alcuni orientamenti pratici – e questo è più ampio, perché la prima parte vuole soprattutto richiamare gli aspetti dottrinali – e poi ci sono gli orientamenti pratici nelle attuali circostanze; quindi, il modo di suscitare le disposizioni adatte nel penitente, le norme pratiche stabilite dalla Chiesa come espressione della sua carità pastorale, l’orientare nel cammino di santità, in sintonia con l’azione dello Spirito Santo, la disponibilità ministeriale, come fare l’accoglienza, perché sia paterna davvero, poi nuove situazioni e nuovo fervore che si richiede nei ministri sacri. C’è poi un esame di coscienza per i sacerdoti e per la confessione dei sacerdoti e questo credo sia abbastanza importante. E' stato strutturato in modo che le domande per esaminare la propria coscienza e accedere quindi fruttuosamente alla confessione siano tratte da inviti evangelici. Faccio un esempio. “Ho sete” Giovanni 19,28 e da qui l’esame di coscienza: ho pregato e mi sono sacrificato veramente con generosità per le anime che Dio mi ha affidato, compio i miei doveri pastorali, ho sollecitudine verso i defunti e così via? Prendendo tutto da “ho sete di anime”. Oppure “Ecco tuo figlio, ecco tua madre” e allora: ricorro con la preghiera del Rosario alla Vergine che il Signore mi ha affidato come Madre e alla quale mi ha affidato come figlio e così via? Quindi, dalle frasi dirette di Gesù nel Vangelo viene tratto un esame di coscienza che spero possa essere fruttuoso. Poi ci sono anche delle preghiere in fondo, per rendere per esempio sempre più cosciente il confessore di quello che sta facendo: di essere ministro di misericordia e quindi disporlo a ben accogliere il penitente. E allora ci sono alcune preghiere che si offrono da poter recitare eventualmente, quando si è chiamati al confessionale e poi quando si torna dal confessionale, quasi per accompagnare ancora con il proprio impegno personale di preghiera e di carità pastorale i penitenti che sono ricorsi all’azione del sacerdote.(ap)



    CLICCATE QUI PER IL TESTO INTEGRALE DI 72 PAGINE




    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 06/07/2011 14:39
    Pubblicato, dunque, sul sito della Congregazione per il Clero il corposo "sussidio per confessori"

    Bello, ma forse troppo lungo per molti sacerdoti indaffarati e che forse non leggeranno mai...., sicché solo i più diligenti lo leggeranno.....

    Eppure il contenuto è davvero interessante e la finalità eccellente: rianimare il sacramento che più ha sofferto nella 'nuova ecclesiologia di comunione' postconciliare, ossia la Confessione.

    Così il Prefetto della Congregazione per il Clero, il card. Piacenza , in obbedienza alle richieste del santo Padre, ha firmato questo Sussidio che tornerà utile anche ai Laici....nell'appendice riporta un'ispirato "esame di coscienza per sacerdoti" ma oserei dire anche per noi laici sempre pronti a pretendere dal sacerdote le mezze misure

    LEGGERE L'ESAME DI COSCIENZA SUL ROSARIO al n.19

    ESAME DI COSCIENZA PER I SACERDOTI

    1. « Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità » (Gv 17,19)
    Mi propongo seriamente la santità nel mio sacerdozio? Sono convinto
    che la fecondità del mio ministero sacerdotale viene da Dio e che, con la
    grazia dello Spirito Santo, devo identifi carmi con Cristo e dare la mia vita
    per la salvezza del mondo?

    2. « Questo è il mio corpo » (Mt 26,26)
    Il Santo Sacrifi cio della Messa è il centro della mia vita interiore? Mi preparo
    bene, celebro devotamente e dopo, mi raccolgo in ringraziamento?
    La Messa costituisce il punto di riferimento abituale nella mia giornata per
    lodare Dio, ringraziarlo dei suoi benefi ci, ricorrere alla sua benevolenza e
    riparare per i miei peccati e per quelli di tutti gli uomini?

    3. « Lo zelo per la tua casa mi divora » (Gv 2,17)
    Celebro la Messa secondo i riti e le norme stabilite, con autentica motivazione,
    con i libri liturgici approvati? Sono attento alle sacre specie conservate
    nel tabernacolo, rinnovandole periodicamente? Conservo con cura
    i vasi sacri? Porto con dignità tutte le vesti sacre prescritte dalla Chiesa,
    tenendo presente che agisco in persona Christi Capitis?

    4. « Rimanete nel mio amore » (Gv 15,9)
    Mi procura gioia rimanere davanti a Gesù Cristo presente nel Santissimo
    Sacramento, nella mia meditazione e silenziosa adorazione? Sono fedele
    alla visita quotidiana al Santissimo Sacramento? Il mio tesoro è nel tabernacolo?

    5. « Spiegaci la parabola » (Mt 13,36)
    Faccio ogni giorno la mia meditazione con attenzione, cercando di superare
    qualsiasi tipo di distrazione che mi separi da Dio, cercando la luce del
    Signore che servo? Medito assiduamente la Sacra Scrittura? Recito con
    attenzione le mie preghiere abituali?

    6. È necessario « pregare sempre, senza stancarsi » (Lc 18,1)
    Celebro quotidianamente la Liturgia delle Ore integralmente, degnamente,
    attentamente e devotamente? Sono fedele al mio impegno con Cristo
    in questa dimensione importante del mio ministero, pregando a nome di
    tutta la Chiesa?

    7. « Vieni e seguimi » (Mt 19,21)
    È, nostro Signore Gesù Cristo, il vero amore della mia vita? Osservo con
    gioia l’impegno del mio amore verso Dio nella continenza celibataria?
    Mi sono soffermato coscientemente su pensieri, desideri o atti impuri;
    ho tenuto conversazioni sconvenienti? Mi sono messo nell’occasione
    prossima di peccare contro la castità? Ho custodito il mio sguardo? Sono
    stato prudente nel trattare con le varie categorie di persone? La mia vita
    rappresenta, per i fedeli, una testimonianza del fatto che la purezza è
    qualcosa di possibile, di fecondo e di lieto?

    8. « Chi sei Tu? » (Gv 1,20)
    Nella mia condotta abituale, trovo elementi di debolezza, di pigrizia, di
    fi acchezza? Le mie conversazioni sono conformi al senso umano e soprannaturale
    che un sacerdote deve avere? Sono attento a far sì che nella
    mia vita non si introducano particolari superfi ciali o frivoli? In tutte le
    mie azioni sono coerente con la mia condizione di sacerdote?

    9. « Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » (Mt 8,20)
    Amo la povertà cristiana? Ripongo il mio cuore in Dio e sono distaccato,
    interiormente, da tutto il resto? Sono disposto a rinunciare, per servire
    meglio Dio, alle mie comodità attuali, ai miei progetti personali, ai miei
    legittimi affetti? Possiedo cose superfl ue, ho fatto spese non necessarie
    o mi lascio prendere dall’ansia del consumismo? Faccio il possibile per
    vivere i momenti di riposo e di vacanza alla presenza di Dio, ricordando
    che sono sempre e in ogni luogo sacerdote, anche in quei momenti?

    10. « Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli
    » (Mt 11,25)
    Ci sono nella mia vita peccati di superbia: diffi coltà interiori, suscettibilità,
    irritazione, resistenza a perdonare, tendenza allo scoraggiamento,
    ecc.? Chiedo a Dio la virtù dell’umiltà?

    11. « E subito ne uscì sangue e acqua » (Gv 19,34)
    Ho la convinzione che, nell’agire « nella persona di Cristo », sono direttamente
    coinvolto nel medesimo Corpo di Cristo, la Chiesa? Posso dire
    sinceramente che amo la Chiesa e che servo con gioia la sua crescita, le
    sue cause, ciascuno dei suoi membri, tutta l’umanità?

    12. « Tu sei Pietro » (Mt 16,18)
    Nihil sine Episcopo – niente senza il Vescovo – diceva Sant’Ignazio di Antiochia:
    queste parole sono alla base del mio ministero sacerdotale? Ho
    ricevuto docilmente comandi, consigli o correzioni dal mio Ordinario?
    Prego specialmente per il Santo Padre, in piena unione con i suoi insegnamenti
    e intenzioni?

    13. « Che vi amiate gli uni gli altri » (Gv 13,34)
    Ho vissuto con diligenza la carità nel trattare con i miei fratelli sacerdoti
    o, al contrario, mi sono disinteressato di loro per egoismo, apatia o noncuranza?
    Ho criticato i miei fratelli nel sacerdozio? Sono stato accanto a
    quanti soffrono per la malattia fi sica o il dolore morale? Vivo la fraternità
    affi nché nessuno sia solo? Tratto tutti i miei fratelli sacerdoti e anche i
    fedeli laici con la stessa carità e pazienza di Cristo?

    14. « Io sono la via, la verità e la vita » (Gv 14,6)
    Conosco in profondità gli insegnamenti della Chiesa? Li assimilo e li
    trasmetto fedelmente? Sono consapevole del fatto che insegnare ciò che
    non corrisponde al Magistero, sia solenne che ordinario, costituisce un
    grave abuso, che reca danno alle anime?

    15. « Va’ e d’ora in poi non peccare più » (Gv 8,11)
    L’annuncio della Parola di Dio porta i fedeli ai sacramenti. Mi confesso
    con regolarità e con frequenza, conformemente al mio stato e alle cose
    sante che tratto? Celebro con generosità il sacramento della riconciliazione?
    Sono ampiamente disponibile alla direzione spirituale dei fedeli
    dedicandovi un tempo specifi co? Preparo con cura la predicazione e la
    catechesi? Predico con zelo e con amore di Dio?

    16. « Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui » (Mc 3,13)
    Sono attento a scorgere i germi di vocazione al sacerdozio e alla vita
    consacrata? Mi preoccupo di diffondere tra tutti i fedeli una maggiore
    coscienza della chiamata universale alla santità? Chiedo ai fedeli di pregare
    per le vocazioni e per la santifi cazione del clero?

    17. « Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire » (Mt 20,28)
    Ho cercato di donarmi agli altri nel quotidiano, servendo evangelicamente?
    Manifesto la carità del Signore anche attraverso le opere? Vedo nella
    Croce la presenza di Gesù Cristo e il trionfo dell’amore? Impronto la mia
    quotidianità allo spirito di servizio? Considero anche l’esercizio dell’autorità
    legata all’uffi cio una forma imprescindibile di servizio?

    18. « Ho sete » (Gv 19,28)
    Ho pregato e mi sono sacrifi cato veramente e con generosità per le anime
    che Dio mi ha affi dato? Compio i miei doveri pastorali? Ho sollecitudine
    anche per le anime dei fedeli defunti?

    19. « Ecco il tuo fi glio! Ecco la tua madre! » (Gv 19,26-27)
    Ricorro pieno di speranza alla Santa Vergine, Madre dei sacerdoti, per
    amare e far amare di più suo Figlio Gesù? Coltivo la pietà mariana? Riservo
    uno spazio in ogni giornata per il Santo Rosario? Ricorro alla Sua
    materna intercessione nella lotta contro il demonio, la concupiscenza e la
    mondanità?

    20. « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,44)
    Sono sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti ai moribondi?
    Considero nella mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria
    predicazione la dottrina della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la
    grazia della perseveranza fi nale ed invito i fedeli a fare altrettanto? Offro
    frequentemente e con devozione i suffragi per le anime dei defunti?


    VIVA LA CHIESA, VIVA IL PAPA, VIVA "I SACERDOTI -ZELANTI... che danno origine a tanti santi -!!" (cfr san Padre Pio lo diceva ai suoi frati )

    VI RICORDIAMO ANCHE IL DOCUMENTO:
    "IL SERVIZIO DELL'AUTORITA' E DELL'OBBEDIENZA "


    P.S. vi ricordiamo anche la REDEMPTIONIS SACRAMENTUM :

    [41.] Per suscitare, promuovere e alimentare il senso interiore della partecipazione liturgica risultano particolarmente utili la celebrazione assidua ed estesa della Liturgia delle Ore, l’uso dei sacramentali e gli esercizi della pietà popolare cristiana.
    Tali esercizi, «che, sebbene non riguardino a rigore di diritto la sacra Liturgia, sono invero provvisti di particolare importanza e dignità», vanno ritenuti, soprattutto quando risultano elogiati e approvati dallo stesso Magistero,[103] dotati di un qualche legame con il contesto liturgico, come è specialmente per la preghiera del Rosario.[104]

    Poiché, inoltre, queste opere di pietà guidano il popolo cristiano alla partecipazione ai sacramenti, e in particolar modo all’Eucaristia, «nonché alla meditazione dei misteri della nostra redenzione e all’imitazione degli insigni esempi dei santi in cielo, esse allora ci rendono partecipi del culto liturgico non senza giovamento di salvezza».[105]



    [Modificato da Caterina63 11/07/2011 10:21]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    Caterina63
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    Sesso: Femminile
    00 07/07/2011 18:53
    [SM=g1740733] Cari Amici,
    la Congregazione per il Clero ha emanato un Sussidio per i Confessori e i Direttori Spirituali, per aiutare TUTTI i Sacerdoti a rivitalizzare questo nobile ed importante Sacramento.
    In questo breve video
    www.gloria.tv/?media=173585
    vi diamo un sunto che ci appare interessante non solo per i Sacerdoti, ma anche per noi Laici, onde evitare di pretendere da loro le "assoluzioni" facili.....
    Vi invitiamo così a prendere tutto il Sussidio integralmente, leggerlo e meditarlo, farlo proprio e farne anche dono ai nostri Parroci....

    PER SCARICARE IL DOCUMENTO leggete sopra


    Movimento Domenicano del Rosario
    www.sulrosario.org
    info@sulrosario.org

    RINGRAZIAMO DI CUORE IL SANTO PADRE Benedetto XVI,
    e S.EM.za il cardinale Piacenza, per questo prezioso Documento....



    [SM=g1740717]

    [SM=g1740722]

    [SM=g1740733] SANTA MARIA GORETTI, la Santa della PUREZZA.... il modello della purezza, il modello del vero senso del pudore....certo, le è costato la vita, ma ha mantenuto puro il suo corpo e per l'eternità VIVE nella santità...

    OTTIMA OMELIA DI DON LEONARDO MARIA POMPEI nella Parrocchia di Latina, è così che si predica cari Sacerdoti!!
    ecco un esempio pratico dell'applicazione di questo Sussidio....


    qui l'audio: www.gloria.tv/?media=173259




    [SM=g1740717]



    [SM=g1740722] VI PROPONIAMO ANCHE :

    San Leopoldo da Castelnuovo 30/07/2011

    www.gloria.tv/?media=180610

    Frate Cappuccino che passò 40 anni della sua vita LETTERALMENTE NEL CONFESSIONALE..tra il Tabernacolo ai piedi del quale depositava le Confessioni che riceveva pregando per la salvezza dei penitenti che la Provvidenza gli mandava, e tra il Confessionale che prodigiosamente fu l'unico angolo che si salvò dai bombardamenti ed è ora meta di pellegrinaggio....

    Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire. Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, "assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti" a Padova. A più di 50 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano con la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine.

    E’ nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo. Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati. Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino cammina tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo. Vuole andare in Oriente, e per due volte crede di fare il primo passo, quando lo mandano a Zara e a Capodistria.

    Ma nella guerra del 1915-18, essendo croato (ossia “suddito nemico”), deve risiedere nel Meridione d’Italia. Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi. E la missione in Oriente sembra farsi realtà. Ma interviene il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e dice ai Cappuccini: "La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto". Insomma, i padovani non ci stanno. E riescono a recuperare il piccolo confessore, che passa giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza. E anche lui capisce: "Il mio Oriente è qui, è Padova".

    Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi brucia tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia. Lui però non è un tipo bonario per naturale tranquillità. Al contrario, è bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota san Gerolamo. E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: "Abbi pietà di me che sono dàlmata!".

    Sembra impossibile che resista, sempre più fragile, a questo genere di vita, inasprito da preghiere, penitenze, digiuni. Ed è anche vecchio: "Ma la verità non invecchia", usa ripetere; e quando nel 1942 lo portano in ospedale trova modo di confessare anche lì. Gli riscontrano però un tumore all’esofago. Torna allora in convento e muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa. E via via, come ha detto Paolo VI beatificandolo nel 1976, "la vox populi sulle sue virtù, invece che placarsi col passare del tempo, si è fatta più insistente, più documentata e più sicura". E Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i santi.
    Il Martirologio Romano mette la festa il 30 luglio.

    Normalmente il santo o il beato si ricorda nel giorno della morte a meno che per motivi liturgici o pastorali segnalati da chi ha la responsabilità e valutati dal Maestro delle Cerimonie liturgiche prima della beatificazione o canonizzazione non stabilisca diversamente. Nel caso di san Leopoldo è stato chiesto, dopo la canonizzazione, la festa nel giorno non della morte ma della nascita (12 maggio).

    CORAGGIO SACERDOTI! [SM=g1740721] ...


    [SM=g1740717]

    [Modificato da Caterina63 30/07/2011 16:12]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 29/07/2012 19:41

    “Conversione e missione”

    Tragedia per la Chiesa: il sacramento della confessione dimenticato


    «Una delle défaillance più tragiche che la Chiesa ha subìto nella seconda metà del XX secolo è l’aver trascurato il dono dello Spirito Santo nel sacramento della penitenza». Conferenza del cardinale Joachim Meisner arcivescovo di Colonia su “conversione e missione”


    Intervento del cardinale Joachim Meisner - maggio 2010 da 30giorni

    Il cardinale Joachim Meisner  in occasione dell’incontro internazionale dei sacerdoti, a conclusione dell’Anno sacerdotale, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma, il 9 giugno 2010 [© Romano Siciliani]

    Il cardinale Joachim Meisner in occasione dell’incontro internazionale dei sacerdoti, a conclusione dell’Anno sacerdotale, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma, il 9 giugno 2010 [© Romano Siciliani]

    Cari confratelli! Non intendo certo esporvi ancora una volta la teologia della penitenza e della missione. Vorrei piuttosto, insieme a voi, lasciarmi guidare alla conversione dal Vangelo stesso, per poi, inviati dallo Spirito Santo, portare agli uomini l’annuncio di Cristo.
    Lungo questa strada, vorrei ora soffermarmi con voi su 15 spunti di riflessione.

    1 Dobbiamo diventare di nuovo una “Chiesa che va incontro agli uomini” (Geh-hin-Kirche), come amava dire il cardinale Joseph Höffner, mio predecessore come arcivescovo di Colonia. Questo però non può accadere a comando. A ciò ci deve muovere lo Spirito Santo.
    Una delle défaillance più tragiche che la Chiesa ha subìto nella seconda metà del XX secolo è l’aver trascurato il dono dello Spirito Santo nel sacramento della penitenza. In noi sacerdoti questo ha determinato una tremenda perdita di profilo spirituale. Quando dei fedeli cristiani mi chiedono: «Come possiamo aiutare i nostri sacerdoti?», rispondo sempre: «Andate da loro a confessarvi!». Laddove il sacerdote non è più confessore, diventa un operatore sociale di carattere religioso. Gli viene infatti a mancare l’esperienza del più grande risultato pastorale, di collaborare cioè affinché un peccatore, grazie anche al suo aiuto, lasci il confessionale nuovamente santificato. Nel confessionale il sacerdote può penetrare nei cuori di molte persone e da questo gli derivano impulsi, incoraggiamenti e ispirazioni per la propria sequela di Cristo.

    2 Alle porte di Damasco, un piccolo uomo sofferente, san Paolo, cade a terra accecato. Nella seconda Lettera ai Corinzi, egli stesso ci dice l’impressione che faceva la sua persona ai suoi avversari: era fisicamente debole e incapace di parlare (cfr. 2Cor 10, 10). Alle città dell’Asia Minore e dell’Europa è però attraverso questo piccolo uomo sofferente che, negli anni successivi, verrà annunciato il Vangelo. Le meraviglie di Dio non accadono mai sotto i riflettori della storia mondiale. Esse si realizzano sempre in disparte: alle porte della città, appunto, come nel segreto del confessionale. Questo può essere per tutti noi di grande conforto, per noi che abbiamo grandi responsabilità, ma allo stesso tempo siamo consapevoli delle nostre spesso limitate possibilità. Appartiene alla strategia di Dio ottenere effetti grandiosi con piccoli mezzi. Paolo sconfitto alle porte di Damasco diviene il conquistatore delle città dell’Asia Minore e dell’Europa. La sua missione è di radunare i chiamati nella Chiesa, nella Ecclesia di Dio. Anche se questa – vista dal di fuori – è soltanto una piccola e oppressa minoranza, ed è osteggiata dal di dentro, Paolo la paragona al corpo di Cristo, anzi la identifica con il corpo di Cristo, che è appunto la Chiesa. Questa possibilità di “ricevere dalle mani del Signore” nella nostra esperienza umana si chiama “conversione”. La Chiesa è la Ecclesia semper reformanda, e in essa sia il sacerdote che il vescovo sono semper reformandi: come Paolo a Damasco devono essere sempre di nuovo gettati a terra da cavallo, per cadere nelle braccia di Dio misericordioso che ci invia poi nel mondo.

    3 Perciò non è sufficiente nel nostro lavoro pastorale voler solo apportare correzioni alle strutture della Chiesa per farla apparire più attraente. Non basta! Ciò di cui c’è bisogno è una conversione del cuore, del mio cuore. Solo un Paolo convertito ha potuto cambiare il mondo, non già un esperto di “ingegneria ecclesiale”. Il sacerdote, con il suo essere assimilato alla forma di vita di Gesù, è così abitato da Lui che Gesù, nel sacerdote, diventa percepibile dagli altri. In Giovanni 14, 23 leggiamo: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Questa non è solamente una bella immagine! Se il cuore del sacerdote ama Dio e vive in grazia, Dio uno e trino viene personalmente e prende dimora nel cuore del sacerdote. Certo, Dio è onnipresente, Dio abita dappertutto, il mondo intero è come una grande chiesa di Dio. Ma il cuore del sacerdote è come il tabernacolo della chiesa. Lì Dio abita in modo del tutto misterioso e speciale.

    4 L’ostacolo maggiore, che non consente che attraverso di noi Cristo sia percepito, è il peccato. Esso impedisce la presenza del Signore nella nostra esistenza e per questo niente ci è più necessario della conversione, anche ai fini della missione. Si tratta, per dirla in breve, del sacramento della penitenza. Un sacerdote che non si colloca con frequenza sia da un lato che dall’altro della grata del confessionale subisce danni permanenti per la sua anima e per la sua missione. Qui sta certamente una delle cause principali della multiforme crisi in cui il sacerdozio si è venuto a trovare negli ultimi cinquant’anni. La grazia tutta particolare del sacerdozio è proprio che il sacerdote può sentirsi “a casa sua” da entrambi i lati della grata del confessionale: come penitente e come ministro del perdono. Quando il sacerdote si allontana dal confessionale, entra in una grave crisi di identità. Il sacramento della penitenza è il luogo privilegiato per l’approfondimento dell’identità del sacerdote, il quale è chiamato a far sì che lui stesso e i credenti ritornino ad attingere la pienezza di Cristo.
    Nella preghiera sacerdotale, Gesù parla al suo e nostro Padre di questa identità: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità: la tua parola è verità» (Gv 17, 15-17). Nel sacramento della penitenza si tratta della verità in noi. Come è che non ci piace guardare in faccia la verità?

    <I>Gesù a mensa con i peccatori</I>,  mosaico di padre Marko Ivan Rupnik

    Gesù a mensa con i peccatori, mosaico di padre Marko Ivan Rupnik

    5 Forse dobbiamo chiederci se abbiamo mai sperimentato la gioia di riconoscere un errore, ammetterlo e chiedere perdono a chi abbiamo offeso: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te» (Lc 15, 18). Perché, se è così, non conosciamo nemmeno la gioia di vedere l’altro allargare le braccia come il papà del figliol prodigo: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15, 20). E non possiamo nemmeno immaginare la gioia del Padre che ci ha ritrovato: «E cominciarono a far festa» (Lc 15, 24). Visto che questa festa in cielo viene celebrata ogni volta che ci convertiamo, perché non ci convertiamo più frequentemente? Perché – se possiamo esprimerci così – siamo tanto avari con Dio e con i santi del cielo, da lasciar loro così raramente la gioia di celebrare una festa per il fatto che ci siamo lasciati stringere al cuore dal Signore, dal Padre?

    6 Spesso non amiamo questo esplicito perdono. E tuttavia Dio non si mostra mai così tanto Dio come quando perdona. Dio è l’amore! Lui è il donare in persona! Egli dona la grazia del perdono. Ma l’amore più forte è quello che supera l’ostacolo principale dell’amore, cioè il peccato. La più grande grazia è l’essere graziati e il dono più prezioso è il dare (die Vergabung), è il perdonare (die Vergebung). Se non ci fossero peccatori che hanno più bisogno del perdono che del pane quotidiano, non potremmo proprio conoscere le profondità del Cuore divino. Il Signore lo sottolinea in modo esplicito: «Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Come mai – domandiamoci ancora una volta – un sacramento che evoca così grande gioia in cielo suscita così tanta antipatia sulla terra? Ciò è dovuto alla nostra superbia, alla costante tendenza del nostro cuore a trincerarsi, a bastare a sé stesso, a isolarsi, a chiudersi su di sé. Cosa preferiamo in realtà: essere peccatori ai quali Dio perdona, o essere apparentemente senza peccato, cioè vivere nell’illusione di bastare a sé stessi facendo a meno della manifestazione dell’amore di Dio? Basta davvero stare in pace con sé stessi? Ma cosa siamo senza Dio? Solo un’umiltà da bambino, come ce l’hanno i santi, ci fa sopportare con letizia la sproporzione tra la nostra indegnità e la gloria di Dio.

    7 Scopo della confessione non è che noi, dimenticando i peccati, non pensiamo più a Dio. La confessione ci consente piuttosto l’accesso a una vita dove non si può pensare a nient’altro che a Dio. Dio ci dice nell’intimo: “La sola ragione per cui hai peccato è perché non puoi credere che io ti amo abbastanza, che mi stai veramente a cuore, che in me trovi la tenerezza di cui hai bisogno, che mi rallegro del più piccolo gesto che testimoni la tua accoglienza, per perdonarti tutto quello che mi porti nella confessione”. Conoscendo un perdono così, un amore così, saremo come inondati di gioia e di gratitudine, tanto da perdere piano piano l’attrazione per il peccato; e la confessione diventerà un appuntamento fisso di gioia nella nostra vita. Andare a confessarsi significa cominciare ad amare Dio un po’ più col cuore, sentirsi ridire e sperimentare efficacemente – perché la confessione non è incoraggiamento solo dall’esterno – che Dio ci ama; confessarsi significa ricominciare a crederci, e allo stesso tempo a scoprire che fino ad ora non ci abbiamo mai creduto abbastanza profondamente e che, per questo, si deve chiedere perdono. Davanti a Gesù ci si sente peccatori, ci si scopre come peccatori che non corrispondono alle Sue attese. Confessarsi significa lasciarsi elevare dal Signore al suo livello divino.

    8 Il figliol prodigo abbandona la casa paterna perché è divenuto incredulo. Non ha più fiducia nell’amore del Padre, che esso lo soddisfi, e quindi esige la sua parte di eredità per risolvere da solo le sue faccende. Quando si decide a ritornare e a chiedere perdono, il suo cuore è ancora morto. Crede che non sarà più amato, che non sarà più considerato figlio. Ritorna solo per non morire di fame. Questa si chiama contrizione imperfetta. Ma il padre lo aspettava già da tanto tempo. Da tanto tempo niente gli dava più gioia del pensiero che un giorno il figlio sarebbe potuto ritornare a casa. Non appena lo intravvede, gli corre incontro, lo abbraccia, non gli dà nemmeno il tempo di finire la sua confessione e chiama la servitù per farlo vestire, nutrire e curare. Poiché gli viene mostrato un amore così grande, a quel punto anche il figlio comincia a percepirlo, e se ne lascia invadere. Un pentimento inaspettato lo investe. Questa è la contrizione perfetta. Solo quando il padre lo abbraccia, egli misura tutta la propria ingratitudine, la propria insolenza e la propria ingiustizia. Solo allora ritorna veramente, ridiventa figlio, aperto e pieno di fiducia nel padre, torna a essere vivo: «Tuo fratello era morto ed è tornato in vita» ( Lc 15, 32), dice il padre al figlio che era rimasto a casa.

    Il confessionale del santo Curato d’Ars [© Romano Siciliani]

    Il confessionale del santo Curato d’Ars [© Romano Siciliani]

    9 Il figlio maggiore, “il giusto”, ha vissuto un cambiamento simile – così si desidererebbe continuasse la parabola. Il caso di questo figlio è però molto più difficile. Non si può dire che Dio ama i peccatori più che i giusti! Una madre non ama il suo bimbo malato, al quale rivolge le sue cure particolari, più dei suoi bambini sani che lascia giocare da soli, ai quali esprime il suo amore – non certo minore – in modo diverso. Fino a quando le persone si rifiutano di riconoscere e confessare i propri peccati, fino a quando restano peccatori orgogliosi, a questi Dio preferisce gli umili peccatori. Con tutti ha pazienza. Anche con il figlio che è restato a casa, il padre ha pazienza. Lo prega, e gli parla con bontà: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo, ma bisognava rallegrarsi e far festa» ( Lc 15, 31-32). Il perdono della insensibilità del figlio maggiore qui non viene espresso, ma è implicito. Come deve essere grande la vergogna del figlio maggiore di fronte a una tale clemenza! Aveva previsto tutto, ma certo non questa umile tenerezza del padre. Improvvisamente si trova disarmato, confuso, compartecipe della gioia comune. E si chiede come avrebbe potuto pensare di starsene di proposito in disparte, come avrebbe potuto, anche solo per un istante, preferire di essere infelice tutto solo, mentre tutti gli altri si amavano e si perdonavano a vicenda. Per fortuna il padre è lì e lo prende in tempo. Per fortuna il padre non è come lui! Per fortuna il padre è molto meglio di tutti gli altri messi insieme! Solo Dio può rimettere i peccati. Solo Lui può compiere questo gesto di grazia, di gioia e di sovrabbondanza di amore. Ecco perché il sacramento della penitenza è la fonte di permanente rinnovamento e di rivitalizzazione della nostra esistenza sacerdotale.

    10 Per questo la maturità spirituale per ricevere l’ordinazione sacerdotale da parte di un candidato al presbiterato, secondo me, diventa evidente per il fatto che costui riceve regolarmente – almeno con la frequenza di una volta al mese – il sacramento della penitenza. Infatti nel sacramento della penitenza incontro il Padre misericordioso con i doni più preziosi che ha da dare, e cioè il donare (Vergabung), il perdonare (Vergebung), e il farci grazia. Ma quando qualcuno, proprio per la sua scarsa frequenza alla confessione, di fatto dice al Padre: “Tieni per te i tuoi doni preziosi! Io ho non bisogno di te e dei tuoi doni!”, allora smette di essere figlio, perché si esclude dalla paternità di Dio, perché non vuole più ricevere i suoi doni preziosi. E se uno non è più figlio del Padre celeste, allora non può diventare sacerdote, perché il sacerdote prima di tutto è figlio del Padre attraverso il battesimo, e poi, mediante l’ordinazione sacerdotale è, con Cristo, figlio con il Figlio. Solo allora può davvero essere fratello per gli uomini.

    11 Il passaggio dalla conversione alla missione in primo luogo si può evidenziare nel fatto che si passa da un lato all’altro della grata del confessionale, dal lato del penitente a quello del confessore. L’aver trascurato il sacramento della penitenza è la radice di molti mali nella vita della Chiesa e nella vita del sacerdote. E la cosiddetta crisi del sacramento della penitenza non è solo dovuta al fatto che la gente non viene più a confessarsi, ma anche al fatto che noi sacerdoti non siamo più presenti nel confessionale. Un confessionale in cui è presente un sacerdote, in una chiesa vuota, è il simbolo più toccante della pazienza di Dio che attende. Così è Dio. Egli ci attende tutta la vita.
    Nei miei trentacinque anni di ministero episcopale ho conosciuto esempi struggenti di sacerdoti presenti quotidianamente in confessionale senza che venisse un solo penitente; fino a quando, un giorno, il primo o la prima penitente, dopo mesi o anni di attesa, si è fatto finalmente vivo. Così, si potrebbe dire, si è sbloccata la situazione. Da quel momento il confessionale ha cominciato a essere molto frequentato. Qui il sacerdote è chiamato a prescindere da tutto il lavoro esteriore di pianificazione della pastorale con i gruppi, per calarsi nelle necessità personali di ciascuno. Qui non ha innanzitutto da parlare, ma da ascoltare. Una ferita purulenta sul corpo può guarire solo se può sanguinare sino alla fine. Il cuore ferito di un uomo può guarire solamente se può sanguinare fino in fondo, cioè se può sfogarsi del tutto. E ci si può sfogare solo se c’è qualcuno che ascolta, in quella assoluta discrezione del sacramento della penitenza. Per il confessore non è importante prima di tutto parlare, ma ascoltare. Quanti impulsi interiori sperimenta e riceve il sacerdote, per la sua sequela di Cristo, proprio nell’amministrazione del sacramento della penitenza! Qui egli può sentire e verificare quanto siano più avanti di lui, nella sequela di Cristo, semplici fedeli cattolici, uomini, donne e bambini.

    12 Quando va perduto questo ambito essenziale del servizio sacerdotale, noi sacerdoti cadiamo facilmente in una mentalità funzionalista o a un livello di mera tecnica pastorale. Il nostro collocarci da entrambi i lati della grata del confessionale ci porta, con la nostra testimonianza, a far sì che Cristo diventi percepibile per la gente. Per chiarire con un esempio in negativo: chi entra in contatto con del materiale radioattivo, diviene anche lui radioattivo. Se poi viene in contatto con un altro, allora anche questi verrà ugualmente contaminato dalla radioattività. Ora però volgiamo l’esempio in positivo: chi viene in contatto con Cristo, diventa “Cristo-attivo”. E se poi il sacerdote, essendo “Cristo-attivo”, viene in contatto con altre persone, queste saranno certamente “contaminate” dalla sua “Cristo-attività”. Questa è la missione, così come era presente fin dall’inizio del cristianesimo. La gente si stringeva attorno alla persona di Gesù per toccarlo, anche quando fosse stato solo l’orlo del suo vestito. E venivano guariti pure quando lui era girato di spalle: «Poiché da lui usciva una forza che guariva tutti» ( Lc 6, 19).

    13 A noi, invece, spesso le persone ci rifuggono, non si avvicinano per entrare in contatto con noi. Al contrario, ci rifuggono. Per evitare che questo accada, dobbiamo porci la domanda: con chi entrano in contatto quando vengono in contatto con me? Con Gesù Cristo, nel suo sconfinato amore per gli uomini, oppure con qualche privata opinione teologica o qualche lamentela sulla situazione della Chiesa e del mondo? [SM=g1740722] Entrando in contatto con noi, entrano in contatto con Gesù Cristo? Se è così, allora le persone verranno. Così parleranno tra loro di un sacerdote del genere, si esprimeranno su di lui con parole di questo tipo: “Con quello lì si può parlare. Mi capisce. Può aiutarmi davvero”. Sono profondamente convinto che la gente ha nostalgia di sacerdoti così, nei quali poter incontrare autenticamente Cristo, che li rende liberi da tutti i lacci e li unisce alla sua Persona.

    <I>Il perdono alla donna adultera</I>,  mosaico di padre Marko Ivan Rupnik

    Il perdono alla donna adultera, mosaico di padre Marko Ivan Rupnik

    14 Per poter perdonare veramente abbiamo bisogno di tanto amore. L’unico perdono che possiamo realmente concedere è quello che abbiamo ricevuto da Dio. Solo se si è sperimentato il Padre misericordioso, si diventa fratelli misericordiosi per gli altri uomini. Colui che non perdona, non ama. Colui che perdona poco, ama anche poco. Chi perdona molto, ama molto. Quando lasciamo il confessionale, che è il punto di partenza della nostra missione, sia da un lato che dall’altro della grata, ma specialmente dal lato del penitente, allora si vorrebbe proprio abbracciare tutti, per chieder loro perdono. Io stesso ho sperimentato l’amore di Dio che perdona in modo così gratificante da non chiedere con urgenza altro che: “Accogli anche tu il Suo perdono! Prendi una parte del perdono che ho ricevuto ora in sovrabbondanza. E perdonami che te lo offro così male!”. Con un unico e medesimo gesto (la confessione) si rientra nell’amore di Dio e nell’amore fraterno, nell’unione con Dio e con la Chiesa, dalla quale ci aveva escluso il peccato. Possiamo e dobbiamo amare tutti gli uomini, se Dio ci ha insegnato ad amare in modo nuovo. Se non fosse così, sarebbe un segno che non ci siamo confessati bene e che, pertanto, dovremmo confessarci di nuovo.
    Probabilmente il più grande confessore della Chiesa è il santo Curato d’Ars. Grazie a lui abbiamo l’Anno sacerdotale e perciò il nostro attuale incontro, come sacerdoti e vescovi, con il Santo Padre, qui a Roma. Con questo santo parroco ho riflettuto sul mistero della santa confessione, giacché il suo quotidiano ministero della riconciliazione, nel confessionale ad Ars, lo ha fatto diventare un grande missionario per il mondo: si è detto che come confessore ha vinto spiritualmente la Rivoluzione francese. Ciò che mi ha ispirato questo dialogo spirituale con Jean-Marie Vianney l’ho detto qui. Però, mi ha ricordato ancora qualcosa di molto importante.

    15 Amiamo tutti, perdoniamo tutti! Attenzione però, in questo, a non dimenticare una persona! Esiste un essere, infatti, che ci delude e ci pesa, un essere del quale siamo costantemente insoddisfatti: noi stessi. Spesso ne abbiamo abbastanza di noi stessi. Siamo stufi della nostra mediocrità e stanchi della nostra propria monotonia. Viviamo in uno stato d’animo freddo e anche con un’incredibile indifferenza per questo prossimo, che è il più prossimo che Dio ci ha affidato perché facciamo in modo che sia toccato dal perdono divino. Questo prossimo più prossimo siamo noi stessi. Si legge, infatti, che dobbiamo amare il nostro prossimo come noi stessi (cfr. Lv 19, 18). Dunque dobbiamo amare anche noi stessi, così come cerchiamo di amare il nostro prossimo. Dobbiamo chiedere a Dio, allora, che ci insegni a perdonare a noi stessi: la rabbia del nostro orgoglio, le delusioni della nostra ambizione. PreghiamoLo che la bontà, la tenerezza, la pazienza e la fiducia indicibile con la quale Egli ci perdona ci conquisti a tal punto che ci liberiamo dalla stanchezza di noi stessi che ci accompagna dappertutto, e spesso neanche ci causa vergogna. Non possiamo riconoscere l’amore di Dio per noi senza modificare anche l’opinione che abbiamo di noi stessi, senza riconoscere a Dio stesso il diritto di amarci. Il perdono di Dio ci riconcilia con Lui, con noi, con i nostri fratelli e sorelle e con tutto il mondo. Ci rende autentici missionari.
    Lo credete, cari fratelli? Provate a farlo, oggi stesso!


    (traduzione dal tedesco di Lorenzo Cappelletti)

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
    Post: 39.988
    Sesso: Femminile
    00 19/08/2012 11:19

    Circa i peccati e le tre censure ecclesiastiche.

     
     

    La Chiesa è Madre, e ha il dovere di educare nella fede e nell’amore in Dio per aiutare tutti a conseguire la Salvezza Eterna dell’Anima, i Sacramenti istituiti da Cristo stesso e depositati nella Chiesa, sono in ordine a tale scopo.

     
    Quindi, la Chiesa nella sua Eterna Sapienza stabilisce che per ricevere la Santissima Eucaristia o Comunione bisogna essere in grazia di Dio, cioè non avere commesso peccati gravi o mortali dopo l’ultima confessione ben fatta.
     
    Normalmente il buon cristiano si confessa ogni mese. Ma certamente una volta all’anno.
     
     
    Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC)
     
    CCC 1458 Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa. In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come lui.
     
     
    Quali sono i peccato gravi/mortali?
     
    Cosa è il peccato:
     
    CCC 1849 Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. E' stato definito "una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna" [Sant'Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6].
     
    CCC 1850 Il peccato è un'offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" ( Sal 51,6 ). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare "come Dio" ( Gen 3,5 ), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è "amore di sé fino al disprezzo di Dio" [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9 ].
     
    CCC 1851 E' proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell'ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, [Cf Gv 14,30 ] il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.
     
    Una breve distinzione tratta dal Compendio (CCCC) circa il peccato mortale ed il peccato veniale:
     
    CCCC 395. Quando si commette il peccato mortale?
     
    CCC 1855-1861; 1874
     
    Si commette il peccato mortale quando ci sono nel contempo materia grave, piena consapevolezza e deliberato consenso. Questo peccato distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell'inferno se non ci si pente. Viene perdonato in via ordinaria mediante i Sacramenti del Battesimo e della Penitenza o Riconciliazione.
     
    CCCC 396. Quando si commette il peccato veniale?
     
    CCC 1862-1864; 1875
     
    Il peccato veniale, che si differenzia essenzialmente dal peccato mortale, si commette quando si ha materia leggera, oppure anche grave, ma senza piena consapevolezza o totale consenso. Esso non rompe l'alleanza con Dio, ma indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per i beni creati; ostacola i progressi dell'anima nell'esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene purificatorie temporali.

    Venendo ai peccati mortali in modo più specifico
     
    Tenendo conto di quanto detto, possiamo affermare che si commette un peccato mortale quando si infrangono (alle condizioni precedentemente esposte nel Compendio) i Dieci Comandamenti:
     
    1. Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che Me
     
    2. Non nominare il Nome di Dio invano
     
    3. Ricordati di santificare le feste
     
    4. Onora il padre e la madre
     
    5. Non uccidere
     
    6. Non commettere atti impuri
     
    7. Non rubare
     
    8. Non dire falsa testimonianza
     
    9. Non desiderare la donna d’altri
     
    10. Non desiderare la roba d’altri
     
     
    Si veda sul Catechismo della Chiesa Cattolica con precisione i vari tipi di azioni che costituiscono, se realizzate con piena avvertenza e deliberato consenso, peccato grave.
     
    Se volessimo fare un elenco non esaustivo potremmo dire che sono peccati gravi/mortali i seguenti atti: 
     
    Idolatria, magia, stregoneria, occultismo, ateismo, astrologia, avversione e persecuzione e diffamazione verso la Chiesa Cattolica (questi puniti con la scomunica latae sententiae), spergiurare su Dio, omicidio, suicidio assistito, eutanasia, suicidio, aborto (questo punito con la scomunica latae sententiae), violenza sessuale sui minori, e cultura pedofila in genere, atti sessuali fuori dal Matrimonio Cattolico, convivenzamore uxorio, atti sessuali disordinati all’interno del Matrimonio Cattolico, adulterio, contraccezione, prostituzione, atti omosessuali, visione e detenzione di materiale pornografico, masturbazione, furto (tale peccato viene assolto solo con la restituzione del mal tolto), diffamazione, odio, mancanza di perdono, bugia dannosa, calunnia, riduzione in schiavitù.
     
    ***
     
    Circa il dare la Santissima Eucaristia a coloro che dopo la separazione o il divorzio dal Matrimonio Cattolico, convivono more uxorio con un altro partner (anche se risposati civilmente).
     
    La Chiesa è Madre e ha il dovere di educare nella fede, pur avendo a cuore questi fratelli che vivono la lacerante sofferenza dell’essere vittime di un matrimonio fallito. Questi nostri fratelli e sorelle fanno parte della Chiesa, e sono invitati a ritrovare il loro rapporto, attraverso la preghiera con il Signore e a partecipare alla Santa Messa, ma il viverestabilmente e irremovibilmente nello stato di convivenza more uxorio non da loro la possibilità di ricevere l’Assoluzione Sacramentane (perché impenitenti) e quindi nel ricevere la Comunione a meno che o decidono di separarsi o si impegnano davanti a Dio a cambiare il loro stato di convivenza (si sforzano a vivere come fratello e sorella).
     
    ***
     
    Le tre censure ecclesiastiche: la scomunica, l'interdetto e lasospensione a divinis
     
     
    La scomunica è una delle tre censure ecclesiastiche previste dal diritto canonico: La scomunica può essere inflitta solo ad una persona fisica, laica od ecclesiastica, non ad enti e confraternite, e cessa con l'assoluzione che può e deve essere data (con le dovute licenze) non appena lo scomunicato si pente sinceramente della colpa commessa. Le altre censure sonol'interdetto e la sospensione a divinis (quest'ultima può essere inflitta solo ai sacerdoti).
     
     
    Scomunica latae sententiae è una pena gravissima e la Chiesa vi ricorre come estremo tentativo per riportare un fedele sulla retta via.
     
     
    Le scomuniche si definiscono latae sententiae se scaturiscono da un comportamento delittuoso in quanto tale e non è necessario che vengano esplicitamente comminate da un ente ecclesiastico: chi compie un certo atto si trova ad essere scomunicato ipso facto. Si definiscono invece ferendae sententiae se non sono automatiche, ma devono essere inflitte da un organismo ecclesiale.
     
     
    Esistono anche le scomuniche "riservate": infatti in genere una scomunica può essere tolta dal Sacerdote durante una normale confessione; se però la scomunica è riservata al vescovo, può essere tolta solo da un vescovo o da un suo delegato; se è riservata alla Santa Sede, può essere tolta sempre da un Sacerdote ma solo quando questo sia ricorso in via riservata e assolutamente anonima al competente Ufficio della Curia Romana, cioè la Penitenzieria Apostolica, la quale in tempi rapidissimi deciderà circa l'Assoluzione e la Penitenza. Naturalmente le scomuniche "riservate" sono quelle associate ai delitti più gravi.
     
    Le scomuniche sono disciplinate dal Codice di diritto canonico ai canoni 1331 e 1364-1398.
     
     
    I. SCOMUNICHE latae sententiae riservate alla Santa Sede
     
    Viene scomunicato ipso facto e deve ricorrere alla Santa Sede:
     
    1. Chiunque profana le specie consacrate (ostie) dell'Eucaristia, oppure le asporta dalla riserva eucaristica o le conserva a scopo sacrilego (can. 1367).
     
    2. Chiunque usa violenza fisica contro il Santo Padre, il Papa (can. 1370 §1).
     
    3. Il Sacerdote che in confessione assolve il proprio complice nel peccato contro il sesto dei dieci comandamenti, cioè assolve la persona con cui egli stesso ha avuto rapporti sessuali (can. 1378). Questa assoluzione, inoltre, è anche invalida (can. 977).
     
    4. Il Vescovo che consacra un altro Vescovo senza mandato pontificio (can. 1382)
     
    5. Il Sacerdote che viola direttamente il sigillo sacramentale della Confessione, cioè rende pubblica l'identità di un fedele e i suoi peccati (can. 1388)
     
     
    II. SCOMUNICHE latae sententiae non riservate alla Santa Sede.
     
    Viene scomunicato ipso facto:
     
    1. Chi ricorre all'aborto ottenendo l'effetto voluto e chi procura tale aborto e chi ne è complice (es. chi incoraggia e chi accompagna all’ospedale) (can. 1398); attualmente questascomunica è stata riservata al vescovo, il quale può decidere se e quali sacerdoti hanno l'autorizzazione per rimettere tale scomunica.
     
    2. Chi si macchia del delitto di Apostasia, Eresia e Scisma (can. 1364 §1).
     
    3. Anche la Simonia o altri accordi condizionanti l'elezione del papa nel conclave, come stabilito dalla Costituzione Apostolica Universi dominici gregis, fanno incorrere nella scomunica latae sententiae.
     
     
     
    III. L'INTERDETTO è una punizione rivolta ad un singolo individuo. È come una scomunica in quanto la persona non può ricevere i Sacramenti e partecipare al culto pubblico se è Diacono. Il laico o il Dicono interdetto non potrà mai più accedere al Sacramento dell’Ordine (o del secondo grado dell’Ordine, se è Dicono).
     
    Sono quindi interdetti chi:
     
    Ø Fa violenza fisica contro un vescovo.
     
    Ø Tenta di presiedere o concelebrare una Santa Messa, essendo un diacono o un laico.
     
    Ø Ascolta e/o assolve le Confessioni, essendo un diacono o un laico.
     
    Ø Accusa falsamente un Sacerdote di incitare il penitente contro il sesto comandamento durante la Confessione.
     
    Ø Tentare di sposarsi avendo fatto voto di castità perpetua.
     
     
    IV. LA SOSPENSIONE è un provvedimento disciplinare gravissimo della Chiesa Cattolica. Tale provvedimento, è rivolto verso un ecclesiastico che va in modo assoluto, certo e grave contro la Fede e la Morale. Il Sacerdote è quindi sospeso "a divinis" e ridotto allo stato laicale. Per lo stesso è proibito di esercitare il suo ufficio sacerdotale e celebrare i sacramenti. 
     
    Accade quando:
     
    Ø C’è violenza fisica contro un Vescovo da parte di un Sacerdote (can. 1370).
     
    Ø Quando il Sacerdote con i suoi atti va contro la Fede della Chiesa Cattolica in modo da nuocere e diffamare la Chiesa Cattolica Stessa.
     
    Ø C’è attentato al matrimonio, anche solo civilmente, da parte di un Sacerdote (can. 1394 §1).
     
    Ø Il Sacerdote abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo. (can. 1395).
     
    ***
    L’APOSTASIA
     
    Si tratta di una totale negazione della fede: è il caso di chi nega Cristo dopo averlo conosciuto. Chi aderisce a credenze Magiche come la stessa Magia la Cartomanzia (lettura delle carte), l’Astrologia (lettura degli oroscopi) e tutte le pratiche Esoteriche; e si converte ad altre fedi religiose es.: la Massoneria, i Rosacroce, l’Islam, le Chiese cristiane protestanti e o separate dalla Chiesa Cattolica, Testimoni di Geova, I Mormoni, Scientology, Religioni e filosofie Orientali (induismo, buddismo), Credenze Occulte Diaboliche Idolatriche ecc.
     
    Ma è anche il caso di chi, cresciuto all’interno della Chiesa Cattolica, non abbia mai accettato né Cristo nella propria vita né la fede Cattolica nella sua interezza contestando o perseguitando la Chiesa Cattolica pubblicamente anche se abbia comunque compreso il Vangelo e anche se sia rimasto formalmente nella Chiesa Cattolica stessa (Apostasia silenziosa). 
     
    L’ERESIA
     
    A differenza dell’apostasia, l’eresia è una negazione parzialedelle Verità Fede. E’ il caso di chi accoglie la rivelazione biblica solo in quelle parti che gli piacciono, riservandosi di escludere quelle spiacevoli o non conformi alle sue aspettative.
     
     
    LO SCISMA
     
    Il termine, (dal greco schìsma: lacerazione, divisione) designa la formale separazione dalla Chiesa di un gruppo di fedeli originata da dissensi di carattere disciplinare, ma non necessariamente su verità di fede (elemento, questo, che distingue lo scisma dall'eresia).
     
     
    SIMONIA
     
    Il termine viene utilizzato per definire l'acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro, e deriva dal nome di Simon Mago, taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo, che propose a San Pietro di vendergli il potere di conferirgli i doni dello Spirito Santo.

    Un atto simoniaco è per esempio il mercimonio delle Reliquie dei Santi.
     
    fonte: Maranathà

    Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/#ixzz23ywclcU6

    [SM=g1740771]


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 25/08/2012 23:03

    Un buon pastore si confessa e dice il rosario


    «Abbiamo ribadito anche noi non solo che il vescovo deve invitare i preti ad essere dei buoni confessori, ma anche che deve confessarsi lui. Un vescovo che non si confessi ogni settimana puntualmente, non dica il suo rosario e non faccia la sua adorazione eucaristica quotidiana, non potrebbe essere maestro di preghiera e doctor veritatis».

    Intervista con Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce da 30giorni ottobre 2001


    di Gianni Cardinale


    Cosmo Francesco Ruppi

    Cosmo Francesco Ruppi

    Se non si confessa puntualmente ogni settimana, se non recita ogni giorno il rosario e se quotidianamente non si mette in ginocchio davanti al tabernacolo, un vescovo non può essere maestro di preghiera e dottore di verità. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce, ricorda che i vescovi, come i semplici fedeli, sono chiamati anzitutto a vivere i gesti semplici della tradizione cristiana.
    Ruppi è uno dei trentadue ecclesiastici chiamati direttamente dal Papa a presenziare al Sinodo dei vescovi. È stato relatore di uno dei gruppi italiani, quello B, presieduto dal cardinale Dionigi Tettamanzi, ed ha svolto un apprezzato intervento in aula sinodale. Pugliese di Alberobello, il paese dei trulli, Ruppi è stato nominato vescovo di Termoli il 13 maggio del 1980 e dal 1988 è arcivescovo di Lecce.
    Da anni il suo carico pastorale si è aggravato, in quanto il presule non si risparmia nell’opera di accoglienza degli immigrati che sempre più numerosi sbarcano nella Puglia meridionale, il lembo d’Italia più proteso verso l’Oriente. Incontriamo Ruppi nel chiostro del palazzo dell’ex Sant’Uffizio, a pochi passi dall’aula Paolo VI dove si svolgono i lavori sinodali. Affabile, risponde cordialmente alle nostre domande e ci racconta del Sinodo e della grande preoccupazione con cui i vescovi vivono questi giorni di crisi internazionale.


    cl Sinodo si è svolto durante la grande crisi conseguente all’atto terroristico dell’11 settembre…
    COSMO FRANCESCO RUPPI: Nel mio intervento ho voluto ricordare che non è la prima volta che si tiene un Sinodo mondiale in presenza di grandi eventi della storia, perché il primo Sinodo, quello del 1966, fu convocato da Paolo VI durante la guerra del Viet Nam. Lo scenario in quell’epoca non era di molto dissimile da quello di oggi. Non c’è dubbio che il Sinodo, aprendosi a due settimane dagli eventi di New York, abbia avuto dinanzi la situazione reale del mondo: il Sinodo non è fuori dal mondo, ma nel mondo. A questo proposito abbiamo visto che il vescovo di Islamabad ha lasciato il Sinodo per raggiungere il suo popolo, seguito, dopo qualche giorno, dal cardinale di New York, tornato negli Stati Uniti per celebrare il trigesimo di tutti quei morti. Sono convinto che lo scenario politico mondiale, e in particolare il problema del terrorismo, ha avuto un suo peso se non nella discussione, certamente nella coscienza dei vescovi, perché ne abbiamo parlato spesso tra di noi. Stando a contatto con i vescovi dell’Oriente e del mondo arabo, mi sono reso conto di quanto sia complessa la situazione e di difficile comprensione, soprattutto per noi europei. Ma è emerso un fatto importante: se non si è uniti nello sconfiggere il terrorismo la situazione si aggraverà sempre di più.


    Rispetto a questa crisi internazionale, quali opinioni ha registrato tra i padri sinodali?
    RUPPI: Le sensibilità variano da età a età, da situazione a situazione, ma posso dire che nei colloqui privati durante gli intervalli spesso l’accento è caduto sul terrorismo internazionale, e sui bombardamenti dell’Afghanistan. È accaduto spesso che si facesse un po’ in fretta a cenare la sera per andare a vedere la televisione e lì, durante le trasmissioni, coglievo diversi e contrastanti sentimenti: chi sosteneva che gli americani stanno sbagliando tutto, chi pensava che stanno solo perdendo tempo e chi invece riteneva inevitabile quel tipo di reazione. L’unica costante in tutti i nostri discorsi è stata la speranza che questa guerra finisca il più presto possibile e produca meno danni possibile.


    Uno dei temi più attesi di questo Sinodo era quello della collegialità.
    RUPPI: Non direi. Il tema della collegialità è stato sfiorato come tanti altri, ed è stato inquadrato nel tema più complessivo della comunione. Il tema invece che maggiormente è stato presente nella coscienza e nella discussione dei padri sinodali è stato quello della figura del vescovo e del servizio che questi, oggi, è chiamato a fare. Dall’esame delle “proposizioni” che si sono presentate nei vari circoli minori è emerso come tema dominante quello di individuare i compiti e le responsabilità del vescovo all’inizio del terzo millennio, sulla scia di quello che lo stesso Giovanni Paolo II sta facendo emergere in questi anni.


    Tra gli interventi è emerso l’auspicio di recuperare l’importanza delle province ecclesiastiche.
    RUPPI: Se ne è parlato, per la verità un po’ meno di quanto mi aspettassi, e si è riconosciuto che una forma di collegialità possa essere raggiunta anche attraverso la valorizzazione di quelle realtà ecclesiali molto antiche quali sono le metropolie ecclesiastiche. Si sa che le conferenze episcopali sono di data recentissima, in quanto le più antiche hanno appena settanta, ottanta anni. Invece le metropolie ecclesiastiche, intese come province ecclesiastiche, hanno millecinquecento, milleseicento anni. Se non che, nella formulazione del nuovo Codice, non si è sottolineato il ruolo e il valore della metropolia ecclesiastica come punto di incontro tra la sede centrale, la Curia romana e i vescovi, perché nel frattempo si sono inserite le conferenze episcopali nazionali e, per l’Italia, le conferenze episcopali regionali, che hanno messo in ombra le province ecclesiastiche. Ma è evidente che una rivalutazione delle province ecclesiastiche, ossia delle metropolie, deve anche comprendere una revisione delle stesse, perché in alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, sono forse in numero eccessivo.


    Uno dei punti qualificanti della Relazione “post disceptationem” riguardava il vescovo come maestro di fede. Il cardinale Joseph Ratzinger ha detto che, se il vescovo fa veramente il vescovo, la collegialità è già attuata...
    RUPPI: L’intervento del cardinale Ratzinger come al solito è stato illuminante e stimolante, ma la verità è che durante tutto il lavoro del Sinodo è emerso come fondamentale il tema del vescovo quale doctor veritatis e magister veritatis. Abbiamo sottolineato da tutte le parti la responsabilità magisteriale del vescovo di oggi: un vescovo che non si senta custode della verità non può considerarsi membro del collegio apostolico. Se la Chiesa è stata affidata da Gesù agli apostoli e, attraverso gli apostoli, ai loro successori, è naturale che il primo compito del vescovo deve essere quello della tutela e dell’annuncio fedele della verità. Sarebbe però pericoloso vedere nel vescovo soltanto il guardiano dell’ortodossia, bisogna considerarlo anche come l’evangelizzatore della verità, colui che va alla ricerca dei metodi nuovi, dei mezzi nuovi, dei nuovi linguaggi per portare il Vangelo di sempre all’uomo di oggi.


    La custodia del deposito della fede è raccomandata nella lettera di Paolo…
    RUPPI: …a Timoteo… Sono stato per nove anni custode delle reliquie di Timoteo come vescovo di Termoli. E oggi sono, come tutti i vescovi, un destinatario della parola di Paolo a Timoteo: custodisci la verità, predica opportune ed importune. Il peso del Vangelo, che è stato messo sulle spalle del vescovo al momento dell’ordinazione, è indubbiamente uno dei pesi maggiori, ma anche, vorrei dire, dei più affascinanti. È molto bello insegnare il catechismo oggi, alla gente di oggi, soprattutto aÛ poveri, sebbene impegni molto sotto il profilo dell’aggiornamento sociologico, psicologico e metodologico, pur rimanendo sempre fedeli all’insegnamento del Maestro che non è mai cambiato e mai cambierà nella storia.


    Al Sinodo è stata ribadita la centralità della parrocchia.
    RUPPI: Si è parlato molto della parrocchia, oltre che delle vocazioni e della formazione dei presbiteri, ed è stato unanimemente riconosciuto che la parrocchia è valida ancora oggi, e bisogna sostenerla. C’è stato anche qualche vescovo che ha lamentato una forte contrazione del numero delle parrocchie in alcune aree europee, soprattutto in Francia, in Belgio e in Italia.


    A questo proposito si è parlato delle “aree pastorali”.
    RUPPI: Il problema è che, dove diminuiscono i preti e non c’è la possibilità di assicurare un pastore in maniera permanente, si va verso l’unificazione delle parrocchie e verso nuove forme pastorali, chiamate appunto “zone pastorali”, che non annullano la parrocchia, ma ne esaltano la potenzialità in una nuova prospettiva sociale. Penso che la parrocchia vada ribadita ed è stata ribadita dal Sinodo come un fatto importante, ma, allo stesso tempo, essendo una istituzione temporale, deve essere soggetta anche alle varianti storiche e sociali che si presentano in maniera dissimile da regione a regione.


    Altro tema oggetto di particolare riflessione è stato quello della povertà.
    RUPPI: È stato un tema dominante anche del circolo italiano del quale sono stato relatore. Abbiamo fatto una proposizione molto ampia su quello che è il valore della povertà, lo stile di povertà del vescovo, la povertà delle strutture diocesane e la necessità che il vescovo sia sempre dalla parte dei poveri. Io stesso sono intervenuto, sia in assemblea che nei circoli, per sostenere che la povertà soprattutto nel mondo di oggi non è un fatto accessorio, ma è un fatto sostanziale, determinante per quanto riguarda la credibilità stessa della Chiesa. La cosa importante però, sottolineata da alcuni padri sinodali, è che la povertà non deve essere intesa soltanto in senso sociologico, cioè non dobbiamo preoccuparci soltanto dei poveri di denaro, dei poveri di casa, ma anche dei poveri di spirito, dei poveri di salute, dei poveri di speranza: lo spettro della povertà deve essere quanto più evangelico possibile e tutte le istanze dei poveri devono trovare nel vescovo delle risposte.


    Come arcivescovo di Lecce conosce bene anche la povertà legata al fenomeno dell’emigrazione.
    RUPPI: Il tema dell’accoglienza e il tema dell’emigrazione sono emersi qua e là e hanno trovato uno sviluppo anche nelle proposizioni finali. Il tema è stato sollevato perché nella situazione di forte mobilità umana (si parla di oltre 150 milioni di uomini che sono in movimento nel mondo) e soprattutto con l’impoverimento di alcune aree, con gli squilibri territoriali sempre più gravi, è da prevedere che l’emigrazione continuerà a tenere banco ancora per molto tempo nella coscienza non soltanto della Chiesa, ma anche dei governi.


    Più di un padre sinodale si è soffermato molto sul sacramento della confessione.
    RUPPI: Abbiamo ribadito anche noi non solo che il vescovo deve invitare i preti ad essere dei buoni confessori, ma anche che deve confessarsi lui. Un vescovo che non si confessi ogni settimana puntualmente, non dica il suo rosario e non faccia la sua adorazione eucaristica quotidiana, non potrebbe essere maestro di preghiera e doctor veritatis.

    [SM=g1740766]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 26/08/2012 17:14

    [SM=g1740720] È il Signore che opera


    «... nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti roviniamo quello che il Signore va operando».

    Così raccomandava padre Leopoldo Mandic, il confessore della misericordia di Dio


    di Stefania Falasca


    Una delle ultime foto di padre Leopoldo Mandic

    Una delle ultime foto di padre Leopoldo Mandic

    Confessarsi da lui era cosa breve. Anzi brevissima. Non si dilungava mai in parole, spiegazioni, discorsi. Aveva imparato dal Catechismo di san Pio X che la brevità è una delle caratteristiche di una buona confessione. Eppure il suo confessionale è stato per più di quarant'anni una specie di porto di mare per le anime. Tanti erano quelli che andavano, che assiduamente lo frequentavano. Padre Leopoldo era sempre lì, dodici, tredici, quindici ore al giorno. Confessava e assolveva oves et boves, cioè tutti.

    E di quella sua amabile delicatezza, di quell’umiltà semplicissima, fiduciosa nell’infinita misericordia di Dio e nell'azione della grazia che opera attraverso i sacramenti, sono testimoni quanti lo conobbero. La sua celletta confessionale è rimasta com’era, lì dove tuttora si trova, accanto alla chiesa di Santa Croce, nel convento dei frati Cappuccini a Padova. Una piccola stanza con tutte le poche cose che hanno fatto la sua vita: un inginocchiatoio, un crocifisso, un’immagine della Madonna, la stola, la sedia.

    Neanche la furia dei bombardamenti, che nel maggio del 1944 rasero al suolo la chiesa e il convento, è riuscita a demolirla. Da tanta distruzione solo quel confessionale rimase miracolosamente illeso. Due anni prima della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1942, padre Leopoldo, confidandosi con un amico, aveva predetto i bombardamenti che avrebbero colpito Padova. «E questo convento?», chiese quel signore; «padre, anche questo convento sarà colpito?». «Purtroppo, anche il nostro convento sarà duramente colpito» rispose con un filo di voce padre Leopoldo. «... Ma questa celletta no, questa no. Qui il Padrone Iddio ha usato tanta misericordia alle anime... deve restare a monumento della Sua bontà».

    Leopoldo Mandic è stato proclamato santo il 16 ottobre 1983. Elevato vox populi agli onori degli altari. Dalla morte alla canonizzazione sono trascorsi solo quarantun anni: una delle canonizzazioni più rapide del nostro secolo.

    Di nobile stirpe bosniaca
    Nato nel 1866 in Dalmazia, a Castelnuovo di Cattaro, Adeodato Mandic era di nobile stirpe bosniaca. Prese nome di fra Leopoldo entrando nel seminario dei frati Cappuccini a Bassano del Grappa. A ventiquattro anni è ordinato sacerdote e da questo momento in poi, prima a Venezia, poi a Bassano, Thiene e dal 1909 stabilmente a Padova, non fa altro che attendere al sacramento della penitenza. Per i suoi superiori non poteva fare altro: statura un metro e trentotto, costituzione debolissima, stentato e un po’ goffo nel camminare... Fisicamente era un nulla e per di più anche impacciato nella lingua poiché aveva lo “sdrùcciolo”, cioè mangiava le parole, e questo difetto si sentiva soprattutto quando pregava o doveva ripetere le formule a memoria, tanto che in pubblico non poteva dire neanche un «oremus». Cosa non da poco in un ordine di predicatori qual è quello dei Cappuccini! «Tante volte» ricordò al processo un suo confratello «si meravigliava egli stesso che professori universitari, uomini importanti, persone molto qualificate venissero proprio da lui, “povero frate”; e tutto egli, con grande umiltà, attribuiva alla grazia del Signore che per mezzo suo, “meschino ministro pieno di difetti”, si degnava di fare del bene alle anime».
    Tutti quelli che lo hanno conosciuto ricordano questa sua umiltà sincera, piena di riconoscenza e gratitudine. A Padova, a tarda sera di un giorno di Pasqua, un giovane sacerdote incontrò padre Leopoldo che quasi non si teneva in piedi dalla stanchezza per le tante ore passate in confessionale. Con tono di filiale compassione gli disse: «Padre, quanto sarà stanco...»; «e quanto contento...», riprese lui con dolcezza. «Ringraziamo il Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato di permettere che la nostra miseria venisse a contatto con i tesori della sua grazia».

    Davanti alla porticina del suo confessionale ogni giorno un folto gruppo di persone di tutte le classi sociali era lì ad attenderlo. Analfabeti e rozzi contadini, professionisti, sacerdoti e religiosi, magnati dell’industria e professori, tutti aspettavano in silenzio il loro turno e tutti padre Leopoldo accoglieva sempre con la stessa premura, la stessa delicata discrezione, specialmente chi si riavvicinava alla confessione dopo tanto tempo. «Eccomi, entri pure, s’accomodi... l’aspettavo sa... » si sentì dire un signore di Padova che da molti anni non si accostava ai sacramenti. E tanto era impacciato e confuso che, entrato nel confessionale, invece di mettersi in ginocchio andò a sedersi sulla sedia del prete; padre Leopoldo non disse niente, si mise lui in ginocchio al posto del penitente e ascoltò così la sua confessione. Ed era, la sua, una delicatezza attenta a non umiliare inutilmente, comprensiva della fragilità umana: «Non abbia riguardo, veda, anch’io, benché frate e sacerdote, sono tanto misero» disse a un altro. «Se il Padrone Iddio non mi tenesse per la briglia farei peggio degli altri ... Non abbia nessun timore». E a quel tale che aveva grosse colpe da confessare e a cui costava molto vuotare il sacco, dire certe miserie: «Siamo tutti poveri peccatori: Dio abbia pietà di noi...». Glielo diceva con un tono tale che quell'uomo si sentì immediatamente incoraggiato ad accusarsi con sincerità. Spesso ripeteva ai penitenti: «La misericordia di Dio è superiore a ogni aspettativa», «Dio preferisce il difetto che porta all'umiliazione piuttosto che la correttezza orgogliosa».

    La chiesa e il convento dei Cappuccini a Padova, fotografati prima della loro distruzione nel bombardamento aereo del 14 maggio 1944

    La chiesa e il convento dei Cappuccini a Padova, fotografati prima della loro distruzione nel bombardamento aereo del 14 maggio 1944

    «Non roviniamo con le nostre spiegazioni ciò che il Signore opera»
    Credendo fermamente nell'efficacia della grazia che il Signore stesso comunica attraverso i sacramenti, padre Leopoldo su di un punto solo fu costantemente irremovibile: la brevità della confessione. Delle volte, è vero, nei giorni di scarso concorso, si intratteneva con una persona magari mezz’ora, o perché s’interessava dei suoi studi o del suo ufficio o per intrattenersi con quei chierici o quelle anime che lo chiedevano come guida spirituale. Ma la confessione, come tale, era sempre breve. E i penitenti testimoniano questa sua brevità e semplicità di parole. Scrive un monsignore di Padova: «La confessione con il padre Leopoldo era ordinariamente brevissima. Egli ascoltava, perdonava, non molte parole, spesso anche in dialetto quando si rivolgeva a persone non istruite, qualche motto, uno sguardo al crocifisso, talvolta un sospiro. Sapeva che in via ordinaria le confessioni lunghe sono a scapito del dolore, e sono, il più delle volte, accontentamento di amor proprio, pertanto sulla modalità della confessione si atteneva a quanto indicato nel catechismo della dottrina cristiana».

    In una lettera indirizzata a un sacerdote, padre Leopoldo scrive: «Mi perdoni padre, mi perdoni se mi permetto... ma vede, noi, nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio, Dio solo che opera nelle anime! Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della loro salvezza e santificazione».


    Sempre esortava i suoi penitenti ad avere fede, a pregare, ad accostarsi frequentemente ai sacramenti. Ma il piccolo frate, nelle penitenze, inutile dirlo, era magnanimo e diceva a chi gli obiettava di darle facili: «Oh è vero... e bisogna che dopo soddisfi io... ma è sempre meglio il purgatorio che l’inferno. Se chi viene da noi a confessarsi, col dargli poca penitenza deve poi andare in purgatorio, dandogliela grave non c’è pericolo che si disgusti e vada a finire all'inferno?». E così ordinariamente dava tre Ave Maria e tre Gloria Patri. Poco dava ai laici lontani dalla vita della Chiesa e poco dava anche alle anime che per loro vocazione hanno tante preghiere da dire ogni giorno.

    Un sacerdote un giorno gli chiese se non fosse il caso di assecondare il desiderio di una brava figliola di portare addosso qualche strumento di penitenza. Il buon padre subito rispose che non era affatto un desiderio da assecondare. «Ma scusi, padre, lei non la conosce: non è un’anima qualunque, è un'anima d'oro, seria...». E padre Leopoldo rimaneva ancora più deciso nel rifiuto. E l’altro insisteva. Allora il prudente confessore fece questa domanda: «Mi permetta, mi permetta: lei porta il cilicio?». «No!». «E allora? Caro padre, abituiamo i penitenti a ubbidire ai comandamenti di Dio e al loro dovere. Ce n’è abbastanza, ce n’è abbastanza! E i grilli via!».


    Magnanimo, padre Leopoldo, lo era anche nell’assoluzione: non la negava davvero a nessuno. E di quelle rarissime volte che l’ebbe fatto si pentì sempre. Alcuni giorni prima di morire un sacerdote gli chiese: «Padre, c’è stata qualche cosa che vi ha procurato tanto dispiacere?». Egli rispose: «Oh! Sì... purtroppo sì. Quando ero giovane, nei primi anni di sacerdozio, ho negato tre o quattro volte l’assoluzione».

    L'esterno della celletta-confessionale 
di padre Leopoldo, rimasta indenne dopo il bombardamento che distrusse la chiesa dei Cappuccini a Padova 
nel 1944

    L'esterno della celletta-confessionale di padre Leopoldo, rimasta indenne dopo il bombardamento che distrusse la chiesa dei Cappuccini a Padova nel 1944

    «Che riposino... lo farò io per loro»
    Tutti lo conoscevano per la sua bontà: el padre Leopoldo, o benedeto! Queo sì ch’el xe bon! L’è un santo diceva la gente. Tanto che quando nel 1923 i superiori lo trasferirono a Fiume, per i padovani fu lutto cittadino. Ma tanto fecero, tanto insistettero che i superiori dovettero ritornare sulle decisioni prese e rimandarlo dopo breve tempo a Padova. Anche i giovani chierici gli volevano bene. Nel 1910, l’anno seguente al suo arrivo a Padova, padre Leopoldo fu infatti nominato direttore dei chierici del seminario maggiore dei Cappuccini.
    Incarico dal quale fu poi presto esonerato. Racconta un suo confratello: «Per i seminaristi nutriva un grande affetto e si mostrava assai paterno con loro e li incoraggiava sempre sollecitandoli nella speranza. La nostra regola era molto austera. All’una di notte ci si alzava per la recita del mattutino e d'inverno, col freddo rigido, costava assai... E lui pensava a quei giovani poverini... Più di una volta ricordo che padre Leopoldo andava dal padre superiore perché anticipasse la recita del mattutino alla sera: “Superiore, guardi che stanotte farà freddo...”. “Ma padre, la temperatura non è scesa sotto lo zero”. “Oh, ma questa notte lo farà...”. “Lasciamoli dormire”, diceva al superiore, “che riposino... lo farò io per loro”.
    E si curava che stessero in salute, che mangiassero bene, che non fossero ripresi dai superiori per qualche manchevolezza durante il pranzo, com’era costume fare». Scrive l'allora superiore generale dei Cappuccini: «Sapendo egli quanto bene gli volevo, aveva in me grande confidenza e spesso mi diceva: “Padre provinciale, se mi permette, veda di non gravare la coscienza dei frati, soprattutto dei giovani frati, con prescrizioni che non siano proprio necessarie, perché, vede, poi bisogna osservarle le prescrizioni dei superiori. Se non sono proprio necessarie sono un laccio per i deboli... Mi perdoni sa, mi perdoni...”».


    Di quanta misericordia, di quanto amore fosse capace il cuore del piccolo frate, anche per coloro che non lo meritavano, lo dice questa dolorosa circostanza che riguarda un chierico espulso bruscamente dal convento per aver compiuto deliberatamente atti gravissimi. A raccontarla è un sacerdote: «Portatomi in convento, incontrai padre Leopoldo che era appena uscito dall'ospedale. Mi chiamò nel suo confessionale e mi scongiurò, in nome di Dio, di accogliere quel “poveretto” e di pregare il superiore della casa di trattarlo bene per salvare in lui almeno la fede. Piangendo mi disse più volte: “Si salvi la fede, si salvi la fede!”.
    Poi, inceppandosi ogni tanto per l’emozione, continuò: “Dica, dica a quel poveretto che io pregherò per lui. Gli dica che domani nella santa messa mi ricorderò di lui, anzi... anzi gli dirà che la celebrerò tutta proprio per lui e lo benedirò sempre. Gli dirà che padre Leopoldo gli vuol sempre bene!...”. Rimasi commosso anch’io al sentire un cuore così ripieno di evangelica carità. Solo le madri trovano espressioni così accorate quando un figlio degenere si allontana da loro». Ma a qualcuno intanto, questa bontà senza misura, cominciò a sembrare eccessiva accondiscendenza, e iniziò a storcere il naso.


    Padre Leopoldo nella sua celletta-confessionale

    Padre Leopoldo nella sua celletta-confessionale

    «Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi»
    Cominciarono così le critiche per la larghezza con cui trattava i penitenti, anche i più recidivi nella colpa, per la generosità del perdono. Lo rimproveravano di essere troppo sbrigativo contentandosi persino di sommaria accusa, tanto da tacciarlo di lassismo di principi morali.
    Ai chierici venne perciò sconsigliato apertamente di confessarsi da lui.
    Le critiche giunsero all’orecchio del piccolo frate e un giorno un sacerdote gli disse: «Padre, ma lei è troppo buono... ne renderà conto al Signore!... Non teme che Iddio le chieda ragione di eccessiva larghezza?».

    E padre Leopoldo indicando il crocifisso: «Ci ha dato l’esempio Lui! Non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il Suo sangue divino. Dobbiamo quindi trattare le anime come ci ha insegnato Lui col Suo esempio. Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono già abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?». E allargando le braccia aggiunse: «E se il Signore mi rimproverasse di troppa larghezza potrei dirgli: “
    Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”».

    «Mi dicono che sono troppo buono» scrive a un sacerdote suo amico «ma se qualcuno viene a inginocchiarsi davanti a me, non è questa sufficiente prova che vuole avere il perdono di Dio?».
    Le critiche furono ben presto spazzate via. L’allora canonico teologo di Padova monsignor Guido Bellincini inviò subito una lettera al convento di padre Leopoldo: «Grande larghezza di cuore la vostra, carissimo padre, che non è lassitudine di principi morali, ma comprensione dell’umana fragilità e fiducia negli inesauribili tesori della grazia: che non è acquiescenza o indifferenza alle colpe, ma longanimità concessa al peccatore, perché non disperi delle sue possibilità di ricupero e si rassodi nei buoni propositi. Ringraziamo Iddio che fa le cose giuste: ha voluto che fosse confessore e giudice un semplice uomo e non un Angelo del cielo. Guai a noi se il confessore fosse un Angelo: quanto sarebbe rigoroso e terribile! L’uomo invece capisce l'uomo, e i sacramenti sono per gli uomini!».

    Nel maggio del ’35 padre Leopoldo festeggia il suo cinquantesimo anno di vita religiosa. Inutile dire quante le manifestazioni di affetto ricevute in quel giorno. Mai si pensava di esser trattato così, lui che era la discrezione in persona. Honor sequitur fugientes! Mai infatti, né in vita né dopo la morte, la diffusa fama di santità suscitò attorno alla sua figura chiassosa pubblicità o fanatismo. E i doni straordinari e le grandi opere che per suo mezzo il Signore si è degnato di compiere, accadevano nel silenzio, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Tanto che molti dei suoi stessi confratelli, come testimoniarono al processo, se ne accorsero solo dopo la morte: «Io stesso non avrei mai creduto, perché durante la sua vita non mi risultava nulla di straordinario. Padre Leopoldo appariva un frate esemplare, ma nulla di più».

    Per quel «nulla di più» quanti ottennero da lui, anche quando era in vita, grazie e miracoli, quanti “pesci grossi” il pentimento fino al dono delle lacrime, quanti innominati entrarono per quella porticina del suo confessionale... Quanti ricorderanno per tutta la vita quell’abbraccio, quello sguardo... E lui tutti affidava a Maria, colei a cui tutto è stato perdonato in anticipo. Quante ore della notte passò pregando per quelle anime? Quante volte il padre guardiano lo aveva trovato prima dell’alba in ginocchio per terra, nella penombra della cappella davanti alla statua della Madonna? Per lei aveva gesti di tenerezza infantile e la baciava e l’implorava con le lacrime agli occhi, come un bambino.

    Negli ultimi tempi, malato di cancro all’esofago, le preghiere alla sua «cara Parona celeste» sono ancora più piene di commovente tenerezza: «Ho estremo bisogno» scrive a un amico «che Lei, la mia dolcissima Madre celeste, si degni di avere pietà di me. Il Suo cuore di madre si degni di guardare a questo povero me; si degni di avere pietà di me». E ai suoi confidenti chiedeva che la pregassero perché la sofferenza provocata dal male non fosse d’impedimento per attendere alle confessioni: «E La supplichi», chiedeva «supplichi il Suo cuore di madre ch’io possa servire umilmente Cristo Signore secondo la natura del mio ministero fino alla fine... Tutto, tutto per la salvezza delle anime... Tutto a gloria di Dio!».

    All’alba di quel 30 luglio volle celebrare la messa ma per la debolezza venne riportato a letto. Sentendo venir meno le sue forze chiese ai suoi confratelli di intonare il Salve Regina. Ai versi finali si sollevò con gli occhi pieni di lacrime... Dulcis Virgo Maria, oh dolce Vergine Maria. Fu questo l’ultimo suo respiro. La sera prima aveva confessato cinquanta persone! L’ultima a mezzanotte.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    00 01/10/2012 23:47

    Perché e quali penitenze nella confessione?


    La penitenza segno di conversione


    di padre Edward McNamara

    ROMA, venerdì, 28 settembre 2012 (ZENIT.org).- Un sacerdote statunitense ha inviato la seguente domanda a padre Edward McNamara:

    Potrebbe commentare quali potrebbero essere le penitenze appropriate e/o adeguate nel sacramento della riconciliazione. Io tendo a mantenermi sui tradizionali “Padre Nostro” e “Ave Maria”, ma sento che a volte sono inadeguati. Un mio collega dà penitenze molto più “difficili” come la via crucis, la recitazione di due o tre rosari, la lettura di certi salmi o altri testi della scrittura. Molti dei suoi penitenti ritornano in genere senza essere riusciti a completare la loro penitenza e rimangono turbati. Da giovane prete mi era stato consigliato di dare penitenze che le persone potessero completare prima di uscire dalla chiesa. -- H.J., Peabody, Massachusetts

    Padre McNamara ha risposto:

    Innanzi tutto bisogna sottolineare che qualunque penitenza è intrinsecamente inadeguata, per espiare completamente i nostri peccati. La gravità che porta in sè ogni peccato è di gran lunga superiore alla nostra possibilità di riparare la mancanza di amore verso di Dio. La cosa meravigliosa della confessione è la generosità di Dio nell’offrirci la riconciliazione e nel ristabilire con noi un’amicizia. [SM=g1740721]

    La Chiesa si limita ad istruire i preti a proporre penitenze adeguate, che corrispondano alla natura di ciascun caso. L’abitudine di imporre la preghiera come segno di penitenza non è una semplice formula; piuttosto, proprio per il fatto che si tratta di preghiera, è un segno del rinnovamento della grazia in quelle anime che rendono la preghiera autentica possibile e meritevole.

    Nell’imporre una penitenza adeguata ci sono vari fattori da prendere in considerazione.

    Prima di tutto bisogna considerare la natura del peccato, dato che le penitenze vogliono essere dei tentativi per rimediare. I peccati più gravi necessitano quindi di penitenze più severe, in modo da risvegliare la coscienza e sensibilizzarla rispetto alla loro gravità, sopratutto quando questi vengono ripetuti più volte. Peccati di ingiustizia come il furto o la calunnia devono anche essere riparati mediante una qualche forma di restituzione di beni o del buon nome della persona.

    È importante considerare anche la natura del penitente dato che non esiste una “tariffa automatica” corrispondente a certi peccati. [SM=g1740721]

    Fin quanto possibile, un prete deve giudicare lo spessore spirituale della persona che si confessa da lui prima di assegnare la penitenza appropriata. In genere si palesa attraverso il modo in cui avviene la confessione stessa. Una persona che ha una grossa risonanza spirituale e che proviene da una formazione cristiana solida, trarrà con più facilità giovamento da penitenze come leggere la scrittura, recitare i salmi o il compiere atti di devozione.

    Quando una persona invece ha una conoscenza meno approfondita della fede, e non è abituata a certe pratiche come il rosario, la Via Crucis o il digiuno, probabilmente sarà meglio non imporre tali penitenze, perché potrebbero generare solo frustrazioni.

    La regola secondo cui la penitenza bisognerebbe riuscire a finirla prima dell’uscita di chiesa, si applica in particolare a questa classe di penitenti. Se il prete pensa che i soliti “Ave Maria” e “Padre Nostro” sono inadeguati in certi casi particolari, allora potrebbe imporre una penitenza fattibile ma meno formale. Per esempio potrebbe dire al penitente di visitare il santissimo sacramento o un altare dedicato alla Vergine Maria per un certo periodo di tempo, e in questo clima di intimità, ringraziare per il perdono ottenuto e chiedere aiuto nel superare una particolare colpa.

    Questa ultima forma di penitenza è particolarmente utile a quelle anime che magari sono state lontane dalla confessione a lungo e che sono state mosse da una grazia particolare a ricercare nuovamente il sacramento.

    A volte la penitenza può essere in sè una forma di conversione. C’è un aneddoto che racconta di un prete che ascoltò un gruppo di giovani spensierati mentre facevano una scommessa in cui il perdente doveva confessarsi. Sapendo questo, quando venne uno dei giovani a confessarsi, il prete si sedette al suo posto nel confessionale, e gli impose come penitenza di andare davanti al grande crocifisso della Chiesa e ripetere 20 volte: “tu hai fatto questo per me, e a me non me ne importa niente”. All’inizio il giovane ripetè questa frase in maniera disinvolta, poi cominciò a ripeterla più lentamente, e finalmente fini in lacrime. Per questo giovane ragazzo la confessione fu l’inizio di un cammino di conversione che lo portò a diventare l’arcivesovo di Parigi.

    [Traduzione dall’inglese svolta da Pietro Gennarini]


    [SM=g1740733]

    Fraternamente CaterinaLD

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    00 22/01/2013 12:43
    21.01.2013 13:44

     

    Potere clericale modernista nel Confessionale

     

    Senza perdere tempo con provocazioni sterili, vogliamo entrare nel vivo di alcune affermazioni che da dopo il Concilio sono diventate quasi una nuova normativa, persino dottrinale, nella Chiesa.

    Non è raro sentire affermare da certi relatori, presbiteri o laici, in varie occasioni di incontri diocesani, catechetici o parrocchiani, che il concetto di "peccato mortale" è venuto meno, non esiste più, che tutti i peccati sono uguali o, nella peggiore dei casi, che tutti i peccati sono uguali e quindi tutti veniali, tutti perdonabili senza il necessario ricorso al confessionale, che è sufficiente confessarsi solo una volta all'anno e che in qualsiasi condizione è possibile ricevere l'Eucaristia avendo partecipato all'atto penitenziale: l'importante è credere, avere fede in Dio buono e misericordioso che tutto perdona. Una coscienza pentita è già una coscienza perdonata.

    Naturalmente le gravi conseguenze di queste idee si ripercuotono poi su tutta un'altra serie di situazioni quali, ad esempio, i divorziati risposati, o chi ha persino abortito, limitando tali colpe a piccoli peccati veniali dei quali basta pentirsi per essere a posto con la coscienza, pur rimanendo nello stato di peccato riguardo agli adulteri e non riparando il danno fatto con l'aborto, e ricevere ugualmente l'Eucaristia.

    Vi ricordiamo che fu il Protestantesimo a mettere in dubbio il Sacramento della Confessione e ad eliminarlo quando soppresse il Sacerdozio ministeriale.

     

    Perché parliamo di "potere clericale modernista"?

    Al di là della santa provocazione, una volta il Sacerdote nel Confessionale non esprimeva le proprie opinioni a riguardo delle materie da assolvere o ritenere, della penitenza da dare, del peso di una scomunica (ipso-facto) quale è ancora oggi, per esempio, quella che grava su chi ha abortito o favorito o addirittura fatto materialmente in quanto medico convinto che abortire non sia un peccato mortale.

    Così come quella che grava sui divorziati risposati ai quali non pochi sacerdoti danno la Comunione perché convinti che ciò sia un bene: da non confondere con i separati o divorziati non risposati e non conviventi i quali, se appunto vivono soli perché consapevoli della loro situazione anomala e non responsabili del divorzio, ma che lo hanno subito, e che dunque vivono la propria vita nei Dieci Comandamenti, nell'autentico sacro timor di Dio (che è uno dei sette doni dello Spirito Santo) e nella gratuità di un amore che prevede anche la solitudine, possono ricevere la Comunione.

    Oggi, invece, certo potere modernista ha spinto non pochi Sacerdoti ad usare il Confessionale quale mezzo per esprimere le proprie opinioni in campo etico e morale e su queste opinioni stabilire l'assoluzione. Una assoluzione basata sulla fede del fai da te e non più sui Comandamenti, non più sulla sana dottrina oppure, anche se i Comandamenti vengono usati, questi sono interpretati a seconda del pensiero del mondo, delle maggioranze, democraticamente, o con il politicamente "corretto". E' in questo senso che parliamo di un "potere clericale" inaccettabile.

    Questi Sacerdoti non si pongono neppure il dubbio se ciò che fanno è bene o male, ma hanno proprio scambiato il male per un bene, così come ci aveva ammonito il Profeta Isaia: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (5,20). Nessun Sacerdote ha il diritto di stravolgere la Verità usando il Confessionale, Essi sono chiamati a giudicare il peccato (non il peccatore) non in base alle loro opinioni ma sulla base dei Comandamenti, del Vangelo quando Gesù dice all'adultera: "và e non peccare più!", in base alle Norme della Chiesa dalla quale hanno ricevuto il mandato.

    Trattandosi di Sacerdoti mandati non per esprimere le proprie opinioni ma i comandi divini, si chiama abuso di potere, come ebbe a dire Giovanni Paolo II quando denunciava l'esplosione dei cosiddetti "atti penitenziali" in sostituzione delle confessioni personali.

    Ed è un "potere modernista" che certo Clero usa oggi gettando non soltanto nella confusione il fedele, ma stravolgendo la dottrina della Chiesa che non è mai mutata, rovinando migliaia di anime che sono morte, muoiono, o stanno morendo in un grave stato di peccato mortale spaventoso, nel silenzio compiacente di questi Giuda!

    Certo, sappiamo che la misericordia di Dio è superiore a tutto e legge i cuori delle persone, ma sappiamo anche che Egli è Giudice e che se ci saranno anime dannate per queste inadempienze, coloro che si sono resi responsabili di tale situazione, pagheranno assai più duramente il loro tradimento o silenzi (cfr, Ez. 3,18-21).

    L'Atto penitenziale, con il quale si comincia la Messa e attraverso il quale si fanno degli incontri con i fedeli in alcuni Tempi forti liturgici come l'Avvento, la Quaresima o nella Settimana Santa, è sufficiente solo per i peccati veniali ma non sostituisce l'assoluzione se uno non ha ancora confessato i peccati mortali, semmai prepara il fedele proprio alla vera e piena Confessione.

    La Confessione è strettamente associata alla ricezione della Comunione Eucaristica, troppi nel Clero oggi dimostrano non soltanto di non conoscere una adeguata preparazione di teologia morale corretta, ma dimostrano piuttosto una avanzata e superba pretesa di poter officiare a tale ministero a seconda delle proprie convinzioni, agendo liberamente e con perversa coscienza ben sapendo di agire contro la dottrina della Chiesa, assumendo l'orgogliosa pretesa di essere "più buoni della Chiesa" stessa, e di assolvere così tutti, a prescindere dalle colpe personali e dal loro peso.

    Così esordiva Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica: "San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».

    In questa linea giustamente il CCC (n. 1385) stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione».

    Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell’apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell’Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»”

    (Giovanni Paolo II da Ecclesia de Eucharistia 36).

    Leggiamo da un bravo sacerdote questo breve:

    "Può sembrare duro san Giovanni Crisostomo, ma non fa altro che riprendere le parole severe di san Paolo in 1 Cor 11,27-30: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.

    È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”.

    L’autorevole Bibbia di Gerusalemme commenta quest’ultimo versetto con le seguenti parole: “Paolo interpreta un’epidemia come una punizione divina per la mancanza di carità che ha reso l’eucaristia impossibile” ".

     

    Quindi, se uno è inconscio di essere in uno stato di peccato mortale che deve fare? Cosa succede?

    Intanto se questa persona non va al confessionale a dire i suoi peccati, come potrà essere in grado di comprendere se si trova in uno stato di peccato mortale o meno?

    Dice Giovanni Paolo II nell'Enciclica sopra citata:

    "Se poi il cristiano ha sulla coscienza il peso di un peccato grave, allora l'itinerario di penitenza attraverso il sacramento della Riconciliazione diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al Sacrificio eucaristico".

    Ecco una delle grandi responsabilità di Sacerdoti impreparati o persino traditori del proprio ministero loro affidato. Devono essere loro per primi a sollecitare i fedeli con le catechesi, le omelie domenicali, persino il dialogo e l'amicizia, a fare ricorso al confessionale, devono essere loro per primi a fare l'elenco dei peccati mortali che si trovano nel Catechismo e in tutto il Magistero della Chiesa.

    E' difficile dire poi che la persona che frequenta la Chiesa e va alla Messa e magari pretende anche l'Eucaristia non sia cosciente di trovarsi, più o meno, in un grave stato di peccato mortale, basta leggere i Dieci Comandamenti la cui disobbedienza ed ostinata ribellione ad uno solo di questi, conduce in uno stato grave di allontanamento da Dio (= allontanamento da Dio: peccato = stato grave: mortale), qui si rileva semmai il silenzio dei Sacerdoti sul valore di questi Comandamenti e l'ignoranza di quei fedeli che non solo non li conoscono, ma spesso ne ignorano il senso o vi attribuiscono interpretazioni blande, mischiate a certa informazione mediatica, o spesso anche contro le dichiarazioni del Sommo Pontefice.

    L'ignoranza poi non è affatto una giustificazione né una scusante e le parole di San Paolo sono chiare:

    "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor..5, 19-20).

    Lo si deduce dal fatto che quando si parla poi a questi fedeli o Sacerdoti dell'esistenza del peccato mortale, dell'Inferno eterno, di un Giudizio divino, non stanno ad ascoltare, ma si ribellano, rifiutano la vera interpretazione e si ostinano a perseguire ciò che a loro piace di sentirsi dire, attribuendo il tutto al Concilio quale nuovo magistero che avrebbe modificato così tutte le dottrine.

    Dice Sant’Agostino a proposito di quelli che pensavano che fosse sufficiente la riconciliazione interiore (Atto penitenziale) senza Sacramento della Penitenza: “Nessuno dica: ‘Faccio la Penitenza privatamente, per conto mio, di fronte a Dio’, e ‘il Dio che perdona conosce quello che compio nel cuore’. Dio allora avrebbe detto senza motivo: ‘ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo!’. Così come senza motivo avrebbe consegnato le chiavi del regno di Dio alla Chiesa! Si può rendere vano il Vangelo? Si possono rendere vane le parole di Cristo?” (Sermone 392, 3).

    Nel n. 212 del Compendio del CC, alla domanda: In che cosa consiste l'inferno?

    leggiamo la seguente risposta:

    "Consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale".

    E al n. 291 alla domanda: Che cosa si richiede per ricevere la santa Comunione?

    leggiamo:

    "Per ricevere la santa Comunione si deve essere pienamente incorporati alla Chiesa cattolica ed essere in stato di grazia, cioè senza coscienza di peccato mortale. Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave deve ricevere il Sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione...."

    Non è alla leggera che la Madre Chiesa insegna che normalmente il buon cristiano si confessa ogni mese (i Santi consigliano anche una volta la settimana o ogni 15 gg. specialmente se si è seguiti da un buon Confessore e si sta percorrendo un cammino di conversione). Ma certamente una volta all’anno.

    Meno di questo cosa si pretende?

    Per una breve distinzione tratta dal Compendio (C.CCC) circa il peccato mortale ed il peccato veniale, si legga qui: http://www.maranatha.it/rituale/23page.htm

    Si veda sul Catechismo della Chiesa Cattolica con precisione i vari tipi di azioni che costituiscono, se realizzate con piena avvertenza e deliberato consenso, peccato grave.

    Se volessimo fare un elenco non esaustivo potremmo dire che sono peccati gravi/mortali i seguenti atti:

    idolatria, magia, stregoneria, occultismo, ateismo, astrologia, avversione e persecuzione e diffamazione verso la Chiesa Cattolica (questi puniti con la scomunica latae sententiae), spergiurare su Dio, omicidio, suicidio assistito, eutanasia, suicidio, aborto (questo punito con la scomunica latae sententiae), violenza sessuale sui minori, e cultura pedofila in genere, atti sessuali fuori dal Matrimonio Cattolico, convivenza more uxorio, atti sessuali disordinati all’interno del Matrimonio Cattolico, adulterio, contraccezione, prostituzione, atti omosessuali, visione e detenzione di materiale pornografico, masturbazione, furto (tale peccato viene assolto solo con la restituzione del mal tolto), diffamazione, odio, mancanza di perdono, bugia dannosa, calunnia, riduzione in schiavitù.

     

    ***

    "Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo". (Benedetto XVI Messaggio per la Quaresima 2012)

    Ma diverse sono le obiezioni scatenate dal Protestantesimo che fu il primo ad attaccare i Sacramenti della Chiesa e in specie la Confessione. L'accusa Protestante partiva dal falso concetto che la Confessione servisse alla Chiesa per tenere sotto schiavitù le anime ignoranti, sotto come ad un ricatto morale essendo il Sacerdote venuto a conoscenza dei suoi peccati più oscuri. Dunque la Chiesa avrebbe inventato questo Sacramento per scopo di lucro.

    Rispondiamo brevemente per un dovere verso i lettori e della verità:

    che il Divino Redentore abbia dato alla Sua Santa Chiesa il "potere" di rimettere i peccati, dando l'avvio così a ciò che è chiamato Sacramento, lo dicono le Sacre Scritture, lo conferma la S. Tradizione e la Chiesa da sempre lo insegna.

    Ogni perdono poteva venire solo da Dio attraverso il sacrificio espiatorio, lo ribadisce la Scrittura: "Ego, ego sum ipse, qui deleo iniquitates tuas propter me et peccatorum tuorum non recordabor. / Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati." (Is.43,25), tale remissione è la necessità che Dio stesso avverte come urgente "per riguardo a Lui stesso", ma per essere "rimessi", poiché nessuno può toglierseli da se stesso, è necessario che questi peccati vengano confessati, pronunciati, riconosciuti dal penitente e da lui deve essere richiesta la rimozione, poi il Signore Dio nella Sua infinita misericordia e "per riguardo a Se stesso", si prodigherà alla remissione per mezzo dei Suoi Ministri e del Sacrificio espiatorio che è la Santa Messa.

    Le accuse o le obiezioni rivolte alla Chiesa furono, per la verità, già rivolte a Nostro Signore, agli occhi degli scribi infatti, attribuirsi un tale potere di rimettere i peccati, era una gravissima bestemmia, che doveva essere punita con la pena capitale (come dicono Levitico 24,11 e Numeri 15,30), ma Gesù risponde adeguatamente all'accusa, con una dimostrazione tipica del modo di pensare giudaico e ben descritto nel Vangelo di S. Marco capitolo 1 vv.17-45 ed anche nel capitolo 2.

    "Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua" (Mc.2,9-11).

    Questo potere il Signore consegna, comanda ai Suoi Apostoli:

    " Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv.20,21-23), è la "potestà" in terra di rimettere i peccati a cominciare dal Battesimo che è una prima remissione, per poi continuare ad insegnare tutto ciò che Lui ha comandato di fare, compresa questa remissione: " docentes eos servare omnia, quaecumque mandavi vobis / insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt.28,20), e poiché è compresa questa remissione dei peccati, e che essi ebbero dal loro Maestro la facoltà non solo di rimettere ma pur anche di ritenere, risulta con tutta verità che Gesù conferì loro la potestà di giudicare dei peccati, evidenziarne la gravità e perdonarli, rimetterli, o persino di "ritenerli non rimessi", secondo le disposizioni d'animo dei peccatori, ossia il rifiuto al pentimento e l'ostinazione a voler continuare a commetterli, e questo proprio "per riguardo a Se stesso" e quindi all'uomo del quale ha voluto assumerne l'umanità per redimerla.

    La potestà non è altro che l'atto solenne della insufflazione dello Spirito Santo che rende pratico, vivo e vero ogni Sacramento affidato però alla Chiesa e non a chiunque, non a tutti i battezzati, ma solo agli "amministratori dei misteri di Dio" (1Cor.4); quel "creare di nuovo" che avviene per mezzo dello Spirito Santo, Gesù infatti non ha solo il potere di rivelare il male o ciò che è male, ma Egli si rivela quale Redentore dell'uomo malato, Salvatore e Medico delle Anime, e di questa Redenzione abilita gli Apostoli raccomandando: "Et si quis audierit verba mea et non custodierit, ego non iudico eum; non enim veni, ut iudicem mundum, sed ut salvificem mundum. / Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo"(Gv.12,47), la Confessione è dunque necessaria, fondamentale, indispensabile a coloro che vogliono salvarsi, chi non vuole salvarsi non va al confessionale e non cerca il perdono di Dio, si esclude dalla salvezza. Per questo è necessaria l'evangelizzazione, per questo sono necessari Sacerdoti obbedienti e che non usino il Confessionale per le loro opinioni: sono le parole di Gesù e la Parola nei Dieci Comandamenti che devono essere trasmessi ed usati per stabilire la conoscenza del male che conduce al peccato!

    In tutta la S. Scrittura il concetto di "condanna" deriva dalla scelta dell'uomo quando accetta il risanamento, e allora è salvo, oppure lo rifiuta e allora si condanna da sé. Non c'è bisogno che Gesù lo condanni, egli si esclude dalla Salvezza. Per condannare l'uomo, infatti, non c'era bisogno che il Divin Verbo s'Incarnasse, l'uomo si era già condannato con il primo Adamo. Per salvare l'uomo era necessario, invece, l'intervento di Dio non potendosi, l'uomo, risollevarsi da solo dal grave peccato. "Dio infatti – scrive S. Giovanni – non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,17).

    Così ammonisce S. Paolo esprimendo la misericordia della remissione e l'avvertimento del "ritenere": " L'ho detto prima e lo ripeto ora, allora presente per la seconda volta e ora assente, a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri: quando verrò di nuovo non perdonerò più, dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui che non è debole, ma potente in mezzo a voi" (2Cor.13,2-3) è così che la reticenza e l'essere reprobi è una debolezza imperdonabile.

    Quanto ai Santi Padri e Dottori della Chiesa, di tutti i tempi, fanno testimonianza in tutti gli insegnamenti della potestà data da Gesù Cristo alla sua Chiesa di giudicare dei peccati e giammai le persone in quanto schiavi delle debolezze.

    S. Clemente Romano, già discepolo e compagno di S. Paolo, esorta quelli che avevano promosso i disordini nella chiesa di Corinto, di ravvedersi e di rimanere soggetti ai presbiteri, ed a venir corretti per mezzo della penitenza (Epist. ad Cor. S. Clem. Rom. n.57). E via a seguire con S. Ireneo, Vescovo di Lione nel secondo secolo, S. Cipriano, che ha sviluppato ampiamente, il sistema della penitenza, fino ad arrivare al Concilio di Trento in cui la Chiesa definì che la Penitenza è un vero Sacramento istituito da Gesù Cristo e che le parole del Redentore sopra riportate di S. Matteo cap. 28, sono da intendersi della potestà di rimettere e di ritenere i peccati nel Sacramento stesso della Penitenza o Riconciliazione (S.Conc. Thrid. Sess.XIV can.1).

    In definitiva, affinché i peccati possano essere rimossi dalla penitenza, è necessario che il peccatore, il penitente, li detesti facendosi aiutare dai seguenti passaggi che costituiscono la "forma" del Sacramento:

    a. contrizione: per mezzo della quale il peccatore si assoggetta all'azione del Sacramento e non alle opinioni personali del Sacerdote;

    b. confessione: che per quanto sta al peccatore ripari al male che ha fatto senza omettere alcun peccato, specialmente se mortale;

    c. soddisfazione: che è la materia prossima del Sacramento, dopo aver fatto la contrizione e la confessione, è necessaria la soddisfazione, la riparazione del danno fatto.

    Detto in parole brevi:

    - La Contrizione:

    detestare non se stessi ma i peccati commessi, significa proprio aver compreso ciò che ci separava da Dio, e contristarsi per questa separazione e così poter ritornare a Dio.

    - La Confessione:

    la Confessione è una conseguenza necessaria della potestà concessa da Nostro Signore Gesù Cristo agli Apostoli di giudicare dei peccati, perché per sapere quali potevano essere rimessi e quelli che non potevano essere rimessi subito, dovevano necessariamente conoscerli, né era possibile altrimenti che il peccatore fosse in grado di riconoscerli e confessarli.

    - La Soddisfazione (delle pene colla penitenza):

    per comprendere che cosa significa questa Soddisfazione, basta sapere che nel Sacramento del Battesimo si rimettono tutte le colpe e tutte le pene in maniera che, pei peccati commessi prima di riceverlo, nessuno è obbligato a soddisfare, non così nel Sacramento della Penitenza perché se è vero che il Signore Dio nella Sua infinita misericordia rimette la colpa ed apre al peccatore la via del perdono, la Divina Giustizia esige che, com'egli colla sua attività personale, peccaminosa, distrusse l'opera della Redenzione, così colla sua personale attività dovrà concorrere al suo ristabilimento, assaporando anch'egli il "calice amaro della passione" che il Divino Redentore bevve per la nostra salvezza.

    Questa è la Soddisfazione tanto che, i Santi Padri della Chiesa e gli stessi grandi Santi, parlano di penitenza come ad un "battesimo travagliato" e lo considerano come assolutamente necessario per ottenere il totale perdono dei peccati.

    S. Gerolamo la chiama: " la seconda tavola dopo il naufragio, a cui deve appigliarsi il peccatore per lavare con amare lagrime assieme con Pietro le macchie della primiera bruttura" (Epist. 130 ad Demetr.), e ancora, sempre S. Gerolamo: " Nessuna cosa è ripugnante a Dio quanto un cuore pigro ed impenitente, questo è un delitto che non ottiene alcun perdono" (Epist. 147 ad Sabinian.).

    Del Santo Curato d’Ars (JeanMarie Vianney, 1786-1859) si conoscono poche cose e, spesso, superficialmente: il fatto che stava in confessionale fino a 16 ore al giorno; il fatto che combatteva con un diavolo da lui stesso soprannominato Grappino; il fatto che fosse ignorante e che, per questo, non lo volessero far prete… Ma, come spesso accade, dietro l’intonaco sta il muro che regge una vita e un senso: il Curato d’Ars, patrono dei parroci, era soprattutto un prete e un uomo di fede.

    In questo libro il lettore sarà condotto soprattutto a conoscere il cuore di un prete che «parlò di Dio con tutta la sua vita», attraverso stralci delle sue omelie abbinati ai brani del Vangelo che commentava, ve ne offriamo un passo:

    «E confidiamo nella nostra Madre, Maria. Vi ho detto che dobbiamo avere una confidenza cieca in Gesù Cristo, perché siamo sicuri che non mancherà mai di venirci in aiuto in ogni nostra pena, purché andiamo da lui come figli dal padre. Vi dico anche che dobbiamo avere una grande fiducia verso la sua santa Madre, che è così buona, che desidera tanto aiutarci in ogni nostra necessità terrena, ma specialmente quando vogliamo ritornare al buon Dio. Se abbiamo qualche peccato che ci vergogniamo di confessare, gettiamoci ai suoi piedi: siamo sicuri che lei ci otterrà la grazia di confessarci bene e, nello stesso tempo, non mancherà di domandare il perdono per noi (…).

    Diciamo pure che la virtù della speranza ci fa compiere tutte le nostre azioni con l’unico scopo di piacere a Dio, e non al mondo. Dobbiamo cominciare a praticare questa bella virtù quando ci svegliamo, offrendo il nostro cuore a Dio con amore, pensando quanto sarà grande la ricompensa della nostra giornata se tutto quello che facciamo lo faremo bene, col solo obiettivo di piacere al buon Dio »(pag.103 - IL VANGELO DEL CURATO D ’ARS - C.Travaglino, San Paolo 2009, pp.192, € 12,00).

    Per concludere:

    "..... e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor..5, 19-20).

    Invitiamo i Sacerdoti innanzi tutto a fare essi stessi ricorso al Confessionale, frequentemente, dando l'esempio per poi abbandonare quel "potere" perverso e pervertitore attraverso il quale hanno sposato l'eresia che porta a cancellare l'esistenza del peccato mortale e dell'Inferno, e induce i fedeli al rischio di una dannazione eterna con loro. L'ignoranza non cancella il peccato grave, a volte lo aggrava ancora di più, quando per esempio si rigetta e si rifiuta la verità.

    Vogliamo agire come gli incoscienti Pinocchio e Lucignolo che lasciano la scuola per andare nel paese dei balocchi convinti di trovare l'eterna felicità? Non c'è altra via che il Calvario per raggiungere l'eterna beatitudine, anche con digiuni e penitenze per correggere le nostre debolezze, come insegna la Vergine Santissima in tutte le Apparizioni ufficiali e riconosciute dalla Chiesa.

    Su questa via Dolorosa che è anche questa "valle di lacrime" cadremo non una, non due, non tre volte, ma anche dieci o mille, non importa, l'importante è rialzarsi (=confessarsi) è riprendere questa via e restarci, fino al Golgota, fino alla Croce con Cristo. Diversamente ci trasformeremo lentamente in ciuchini che invece di raggiungere la felicità agognata, dovranno restare schiavi di una felicità falsa, deprimente e distruttiva.

     

    ***

    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 25/04/2013 00:46

    [SM=g1740758] I santi insegnano: cari sacerdoti, tornate a confessare!

    collageconfe.jpgI sacerdoti santi non passano il tempo ad occuparsi di attività sociali, ma si occupano della salvezza delle anime nel confessionale. Ecco quattro esempi.

    San Giovanni Maria Battista Vianney, il curato d’Ars

    Il Santo Curato d’Ars divenne famoso in tutto il mondo perché era un confessore instancabile: trascorreva nel confessionale anche dieci ore al giorno. Pellegrini da tutta Europa si inginocchiavano nel suo confessionale. Un giorno un confratello gli chiese quale fosse il “segreto” per diventare un grande confessore e santificare il proprio gregge. San Giovanni rispose: «Ti flagelli? Fai penitenza? Ti sacrifici per i tuoi penitenti?».

    San Giovanni Bosco

    San Giovanni Bosco, come molti santi sacerdoti, ebbe il dono mistico di “scrutare nei cuori”. Ovvero, per uno speciale intervento di Dio, il sacerdote, durante la confessione, può “vedere” chiaramente tutto ciò che c’è nell’anima del penitente: peccati e opere buone. Una mattina si presentò da don Giovanni un uomo che aveva molta fretta di confessarsi. Durante la confessione, però, un po’ per vergogna e un po’ per orgoglio, il penitente cercava di scusare i suoi peccati e di limitarne la gravità. Dopo un po’, don Giovanni, con gentilezza, lo interruppe: «Scusi, lei è venuto per accusarsi o per scusarsi?». «Che domande fa, reverendo padre? Per accusarmi, naturalmente», rispose l’uomo. «Dunque, si accusi e dica senz’altro: “Ho pensato così e così; ho fatto così e così; ne è avvenuto questo e questo”», replicò don Giovanni, elencando con precisione tutti i peccati commessi dal penitente. Quel poveretto, confuso e sorpreso, ma commosso e sinceramente pentito, baciando le mani di don Giovanni, gli domandò: «Ma, reverendo padre, come ha fatto a sapere tutte queste cose?». «Gliel’ho letto nel cuore», spiegò don Giovanni. «Mi perdoni se poco fa l’ho interrotta, ma non volevo che andasse all’inferno. Poiché chi si accusa, Dio lo scusa; chi si scusa, Dio lo accusa».

    San Luigi Orione

    San Luigi Orione è stato uno dei più grandi predicatori del XX secolo. Ovunque andasse a predicare la Parola di Dio, accorrevano le folle. Una sera predicò l’infinita grandezza della Divina Misericordia a Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria. Nonostante il brutto tempo, era presente moltissima gente. Al termine, don Luigi ripartì immediatamente dove risiedeva, Tortona. Lungo la strada fu raggiunto da un uomo. «Reverendo, stasera ho ascoltato tutta la sua predica», disse l’uomo. «C’è quella parola che non riesco a togliermi dalla testa…». «A quale parola si riferisce?», chiese don Luigi. «Misericordia», rispose. «Lei stasera ha parlato della confessione, della misericordia di Dio… Ecco, vorrei sapere se quello che ha detto questa sera è proprio vero». «Ma sicuro!», confermò con slancio don Luigi. «Credo di non aver detto nulla che non si trovi nel Vangelo. Io ho detto che il sacramento della confessione è stato istituito da Gesù Cristo; che dopo la sua resurrezione ha soffiato sugli apostoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo: a coloro ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi”». Allora quell’uomo scoppiò a piangere e si gettò ai piedi di don Luigi. «Reverendo, mi confessi, per favore». Ovviamente don Luigi lo confessò: «Venite qua, confessate tutte le vostre colpe». «Padre», cominciò il penitente, «vi era moltissima discordia tra mia moglie e mia madre… Non ne potevo più… Una notte… una notte… misi del veleno nella scodella di mia madre. Mi accuso di aver ucciso mia madre! Chiedo perdono a Dio! Posso ottenere perdono?». Don Luigi, vedendo il sincero pentimento, gli diede l’assoluzione, ma prima gli fece accettare, come penitenza, di mettersi in regola con la giustizia degli uomini. Il penitente lo fece. Dopo aver salutato don Luigi, si recò a consegnarsi alle autorità civili.

    San Pio da Pietrelcina

    L’ultimo medico ad aver esaminato con cura le stigmate di Padre Pio è stato il dottor Giorgio Festa, un uomo di profonda fede cristiana. I due divennero molto amici e il dottor Festa si recava spesso a San Giovanni Rotondo anche solo per fare un saluto. Un sera, quando tornò dal Gargano, era ospite a casa sua anche il cugino Cesare, avvocato, ateo e massone, il quale non perdeva occasione per deridere la fede cattolica. Quella sera però, Cesare notò che il cugino aveva un dolcissimo profumo. «È il profumo di Padre Pio», spiegò Giorgio. «Molti santi hanno il dono mistico del “soave odore di Cristo”». Mai lo avesse detto! Cesare si arrabbiò e gridò: «Macché soave odore! Al diavolo i soliti clericali che usano le offerte della povera gente per profumarsi e fregare gli sprovveduti come te!». Giorgio, senza scomporsi, rispose: «Vai a San Giovanni Rotondo a smascherare quello che tu ritieni un vile approfittatore. Io non gli ho mai parlato di te. Né lo avviserò del tuo arrivo». Cesare accettò la sfida. Durante il viaggio, si mise ad immaginare quali onori avrebbe ricevuto dai suoi “fratelli massoni” se fosse riuscito a mettere alla berlina il più infame dei clericali dell’epoca. Quando arrivò al convento di San Giovanni Rotondo, Cesare riconobbe Padre Pio perché era l’unico frate con i mezzi guanti. Il Padre appena lo vide gli andrò incontro e gli disse: «Come, lei qui tra noi? Lei è un massone…». L’avvocato, sorpreso, confermò. «E qual è il suo compito nella massoneria?», chiese Padre Pio. «Combattere la Chiesa, da un punto di vista politico», rispose onestamente Cesare. Allora Padre Pio lo prese sottobraccio. «Vieni con me. Permettimi di raccontarti la parabola del figliol prodigo». Al termine del racconto, tutti aspettarono la reazione dell’avvocato Festa. Alcuni pensarono che avrebbe mandato al quel paese il santo frate. Cesare, invece, si mise in ginocchio e disse: «Padre, la prego, mi confessi». Ovviamente Padre Pio lo confessò e Cesare divenne un uomo nuovo: lasciò la massoneria – questo gli costò molte persecuzioni dai suoi ex amici – e dedicò il resto della sua vita a combattere quell’infame setta del demonio.

    ****

    Cari Sacerdoti , ve lo chiedo con l’amore di una figlia: siate santi! Un aiuto sociale possiamo riceverlo da chiunque, il perdono sacramentale possiamo riceverlo solamente da Voi.


    [SM=g1740733]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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    Caterina63
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    00 10/02/2016 15:01

    Papa a Missionari Misericordia: peccatori sentano che Chiesa è madre

    Papa Francesco  - REUTERS

    Papa Francesco - 

    10/02/2016 

    I confessori coprano i peccatori “con la coperta della misericordia”. E’ l’efficace immagine che Papa Francesco ha tratteggiato nell’udienza di ieri in Vaticano ai Missionari della Misericordia, alla vigilia del loro mandato, che avverrà oggi pomeriggio durante la Messa per il Mercoledì delle Ceneri nella Basilica di San Pietro. Il Papa ha sottolineato che i confessori sono “chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa” ed ha ribadito che non serve “la clava del giudizio” per riportare nell’ovile la pecorella smarrita ma con la testimonianza e la santità di vita. Nel suo indirizzo d’omaggio, mons. Rino Fisichella ha definito Francesco “primo missionario della misericordia”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Essere Missionario della Misericordia “vi chiede di essere in prima persona testimoni della vicinanza di Dio e del suo modo di amare”. Papa Francesco ha subito messo l’accento sul significato di questo “segno di speciale rilevanza” del Giubileo. Ha così offerto alcune riflessioni sul loro mandato, affinché “possa essere compiuto in maniera coerente e come un concreto aiuto” per le persone che si accosteranno a loro.

    Con i peccatori, testimoniare la maternità della Chiesa
    Prima di tutto, ha detto, “desidero ricordarvi che in questo ministero siete chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa”:

    “Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama. Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo”.

    Nel confessionale è Cristo che accoglie e perdona
    Noi, ha soggiunto, “siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei”.“Entrando nel confessionale ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace”:

    “Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato – o che la persona non osa dirlo, ma lo fa capire, è sufficiente – ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come canale della misericordia di Dio”.

    Saper guardare nel desiderio di perdono del peccatore
    Il Papa ha così ricordato la sua Confessione del 21 settembre del 1953, quando era un ragazzo, una fonte di gioia che ha riorientato tutta la sua vita verso Dio. Il Papa ha poi incoraggiato i Missionari della Misericordia a “saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente”. Un cuore, ha affermato, che sente “la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa”. Proprio questo desiderio, ha detto, è “all’inizio della conversione”:

    “Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti”.

    Dalla vergogna nasce la conversione, confessore la rispetti
    Il Papa chiede ai Missionari della Misericordia di dare “grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono”, di farlo “emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore”. A volte, ha detto, il penitente ha paura di dire il peccato, ma c’è il linguaggio dei gesti: “le braccia aperte” alla ricerca del perdono:

    “Se qualcuno viene da te e sente che qualcosa che deve togliersi, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… E sta bene, lo dice così, col gesto di venire”

    Quindi, si è soffermato sulla “vergogna”, componente determinante per la conversione: “vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro”:

    “La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento”.

    Accogliere persona con la sua debolezza, i suoi limiti
    Francesco ricorda quanto nella Bibbia si parli della vergogna, quella di Adamo ed Eva e quella di Noè quando si ubriacò e la sua nudità fu coperta dai propri figli perché ritornasse nella dignità di padre. Di qui il riferimento al ruolo del sacerdote nella confessione:

    “Davanti a noi c’è una persona ‘nuda’ e anche una persona che non sa parlare e non sa che cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore e tante volte non poter dirlo. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito, il peccatore che ‘vorrei non essere così’, ma non può. Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata”.

    Coprire il peccatore con la coperta della misericordia
    Per questo, ha proseguito, “non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato”. Non è “con la clava del giudizio – ha avvertito – che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa”:

    “Essere confessore secondo il cuore di Cristo equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale e anche possa sapere dove si ritrova”.

    Confidate nella forza della misericordia, portate sulle spalle il peccatore
    La santità, ha detto ancora, “si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole”. “Un missionario della misericordia – ha aggiunto – porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione”. Ancora, il Papa – a braccio – ha messo in guardia da quei confessori che “bastonano” i fedeli o fanno domande “oscure, di curiosità”. Questo, ha detto, “non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede che lui non ha peccato” o un “uomo malato”. E così, ha constatato con amarezza, “si fa tanto male ad un’anima se non viene accolta con cuore di padre”. Il Pontefice ha infine offerto come esempi e sostegno per questa “avventura missionaria” due “santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio, insieme a tanti altri santi sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio”:

    “Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore che non conosce confini”.





    DISCORSO INTEGRALE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Sala Regia
    Martedì, 9 febbraio 2016

    [Multimedia]


     

    Cari fratelli sacerdoti,

    con grande piacere vi incontro, prima di darvi il mandato di essere Missionari della Misericordia. È questo un segno di speciale rilevanza perché caratterizza il Giubileo, e permette in tutte le Chiese locali di vivere il mistero insondabile della misericordia del Padre. Essere Missionario della Misericordia è una responsabilità che vi viene affidata, perché vi chiede di essere in prima persona testimoni della vicinanza di Dio e del suo modo di amare. Non il nostro modo, sempre limitato e a volte contraddittorio, ma il suo modo di amare, il suo modo di perdonare, che è appunto la misericordia. Vorrei offrirvi alcune brevi riflessioni, perché il mandato che riceverete possa essere compiuto in maniera coerente e come un concreto aiuto per le tante persone che si accosteranno a voi.

    Prima di tutto desidero ricordarvi che in questo ministero siete chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa. La Chiesa è Madre perché genera sempre nuovi figli nella fede; la Chiesa è Madre perché nutre la fede; e la Chiesa è Madre anche perché offre il perdono di Dio, rigenerando a una nuova vita, frutto della conversione.
    Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama. Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo. Inoltre, limiterebbe molto il suo sentirsi parte di una comunità. Noi invece siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei, sapendo che attraverso di lei si è inseriti in Cristo.

    Entrando nel confessionale, ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona pace. Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato - o che la persona non osa dire, ma lo fa capire, è sufficiente - ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come “canale” della misericordia di Dio. E vi confesso fraternamente che per me è una fonte di gioia il ricordo di quella confessione del 21 settembre del ’53, che ha riorientato la mia vita. Cosa mi ha detto il prete? Non ricordo. Ricordo solo che mi ha fatto un sorriso e poi non so cosa è successo. Ma è accogliere come padre…

    Un altro aspetto importante è quello di saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente. È un desiderio frutto della grazia e della sua azione nella vita delle persone, che permette di sentire la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa. Non dimentichiamo che c’è proprio questo desiderio all’inizio della conversione. Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio, e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti.

    Diamo grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono; facciamolo emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore. E qui mi raccomando di capire non solo il linguaggio della parola, ma anche quello dei gesti. Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo dice così, col gesto di venire. Prima condizione.

    Seconda, è pentito.
    Se qualcuno viene da te è perché vorrebbe non cadere in queste situazioni, ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce queste cose, il linguaggio dei gesti. Le braccia aperte, per capire cosa c’è dentro quel cuore che non può venire detto o detto così… un po’ è la vergogna… mi capite. Voi ricevete tutti con il linguaggio con cui possono parlare.

    Vorrei, infine, ricordare una componente di cui non si parla molto, ma che è invece determinante: la vergogna. Non è facile porsi dinanzi a un altro uomo, pur sapendo che rappresenta Dio, e confessare il proprio peccato.
    Si prova vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro. La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento. Tante volte la vergogna ti fa muto e… Il gesto, il linguaggio del gesto. Fin dalle prime pagine la Bibbia parla della vergogna. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, l’autore sacro annota subito: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero delle cinture» (Gen3,7). La prima reazione di questa vergogna è quella di nascondersi davanti a Dio (cfr Gen 3,8-10).

    C’è anche un altro brano della Genesi che mi colpisce, ed è il racconto di Noè. Tutti lo conosciamo, ma raramente ricordiamo l’episodio in cui egli si ubriacò. Noè nella Bibbia è considerato un uomo giusto; eppure non è senza peccato: il suo essersi ubriacato fa comprendere quanto anch’egli fosse debole, al punto da venir meno alla propria dignità, fatto che la Scrittura esprime con l’immagine della nudità. Due dei suoi figli però prendono il mantello e lo coprono perché ritorni nella dignità di padre (cfr Gen 9,18-23).

    Questo brano mi fa dire quanto importante sia il nostro ruolo nella confessione. Davanti a noi c’è una persona “nuda”, e anche una persona che non sa parlare e non sa che cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore, e tante volte di non riuscire a dirlo. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito, il peccatore che vorrebbe non essere così, ma non ci riesce.
    Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata. Un peccatore che promette di non voler più allontanarsi dalla casa del Padre e che, con le poche forze che si ritrova, vuole fare di tutto per vivere da figlio di Dio. Dunque, non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato; al contrario, siamo chiamati ad agire come Sem e Jafet, i figli di Noè, che presero una coperta per mettere il proprio padre al riparo dalla vergogna. Essere confessore secondo il cuore di Cristo equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale, e possa anche sapere dove si ritrova.

    Non è, dunque, con la clava del giudizio che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa. La santità si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole.
    Un missionario della misericordia porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione. E il peccatore che va lì, la persona che va lì, trova un padre. Voi avete sentito, anch’io ho sentito, tanta gente che dice: “No, io non ci vado mai, perché sono andato una volta e il prete mi ha bastonato, mi ha rimproverato tanto, o sono andato e mi ha fatto domande un po’ oscure, di curiosità”. Per favore, questo non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede di non aver peccato, o è il povero uomo malato che con le domande è incuriosito.

    Ma a me piace dire ai confessori: se tu non te la senti di essere padre, non andare al confessionale, è meglio, fai un’altra cosa. Perché si può fare tanto male, tanto male ad un’anima se non viene accolta con cuore di padre, col cuore della Madre Chiesa. Alcuni mesi fa parlavo con un saggio cardinale della Curia Romana sulle domande che alcuni preti fanno nella confessione e lui mi ha detto: “Quando una persona incomincia e io vedo che vuol buttar fuori qualcosa, e me ne accorgo, capisco, le dico: Ho capito! Stia tranquilla!”. E avanti. Questo è un padre.

    Vi accompagno in questa avventura missionaria, dandovi come esempi due santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio - lì fra gli italiani c’è un cappuccino che assomiglia tanto a san Leopoldo: piccolo, la barba… -, insieme a tanti altri sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio. Loro vi aiuteranno.
    Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore e che non conosce confini. E dire come tanti santi confessori: “Signore, io perdono, mettilo sul mio conto!”. E vai avanti.

    Vi assista la Madre della Misericordia e vi protegga in questo servizio così prezioso. Vi accompagni la mia benedizione; e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

       


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)