DIFENDERE LA VERA FEDE

Trinità: il dogma e la sua interpretazione filosofica

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    00 21/08/2011 22:36
    Messaggio 1 di 21 nella discussione
    Da: Soprannome MSNIreneo81

    Trinità: il dogma e la sua interpretazione filosofica

    La Pace di Cristo!

    Lasciando momentaneamente da parte l’interessante dibattito sul Diritto europeo e la Morale cattolica, vorrei con questo forum trattare di un interessante articolo di Peter Ochs, attuale titolare della Cattedra Edgar M. Bronfman di studi ebraici moderni all’Università della Virginia e tra i fondatori e presidenti della Society fort Textual Reasoning e della Society for Scriptural Reasoning che si dedicano allo studio della teologia ebraica, cristiana e mussulmana.

    L’articolo di cui parlo è apparso sul numero 4/2003 di Concilium, rivista internazionale di teologia che conta tra i suoi fondatori, per citarvi dei nomi che certo conoscerete, sia il discusso Hans Kung, sia i meno problematici Yves Congar (creato cardinale), Johann-Baptist Metz e Karl Rahner, grande teologo gesuita che ho avuto modo di studiare approfonditamente presso la Facoltà Teologica.

    Comunque, eccovi la citazione bibliografica:

    Peter Ochs, «Trinità e giudaismo», in Concilium, 4/2003, Queriniana, 70 [626].

    Ciò che scrivo vorrebbe riuscire a suscitare interesse per una lettura completa dell’articolo. Sono certo che la rivista Concilium sia presente nell’emeroteca delle Biblioteche delle Facoltà Teologiche e degli Istituti Superiori di Scienze religiose, nonché certamente tra gli abbonamenti di qualche parroco più illuminato. Chiedete, e di certo vi sarà dato.

    L’articolo inizia citando il credo: In un solo Dio, Padre onnipotente, in un solo Signore, Gesù Cristo Figlio di Dio e della stessa sostanza del Padre e nello Spirito santo che procede dal Padre e dal Figlio.

    In sostanza questo è il dogma, tutto questo e soltanto questo, dogma che segna la differenza tra monoteismo cristiano e giudaico, differenza spesso nel corso della storia tramutatasi in diffidenza.

    Il clima di dialogo instauratosi tra le due grandi religioni bibliche dopo la shoah ha però permesso di superare una certa visione esclusivista e ha aperto le due grandi fedi agli apporti e approfondimenti che possono venire l’una dall’altra.

    La diffidenza nasceva in particolare da un’interpretazione sostituzionista del dogma trinitario: il nuovo Patto, secondo tale interpretazione, instauratosi in Cristo, avrebbe completamente esautorato l’Antico, che non avrebbe alcun valore.

    La nuova riflessione teologica invece afferma come, se è vero che "non c’è cristianesimi senza dottrina della Trinità", è anche vero che "i credo sono fraintesi se si ritiene che essi implichino il sostituzionismo. Questo fraintendimento tende a seguire, inoltre, all’intrusione delle costruzioni finite, filosofiche, nelle teologie trinitarie. Un obiettivo … è di riaffermare la dottrina della Trinità ma senza queste intrusioni filosofiche" (p. 76).

    Così chiaramente l’autore fa capire come l’unica parola rivelata sulla Trinità è quella contenuta nel dogma stabilito a Nicea, mentre tutti gli altri tentativi di spiegarla sono solo filosofici, e dunque disegni umani finiti. Come allora il dialogo dei secoli passati con il platonismo e l’aristotelismo ci ha consegnato interessanti interpretazioni del dogma trinitario, così un dialogo con il pensiero ebraico può, secondo l’autore, aiutare ad approfondire il dogma, superando anche alcuni ostacoli che a causa delle "interpretazioni greche (di stampo ontologico)" si possono essere costruiti tra seguaci del Primo e del Nuovo Patto.

    Ma di quale differente interpretazione del dogma ci vuole parlare Ochs? Lascio a lui la parola:

    «Il teologo luterano Robert Jenson ha proposto una delle argomentazioni … più ampie di questo genere. Egli sostiene che la dottrina è fraintesa se qualsiasi persona del Dio uno e trino viene identificata con il concetto filosofico greco dell’essere atemporale. Essere, egli scrive, non è un concetto biblico, ma concetto filosofico inteso a rispondere all’interrogativo umano: che cosa significa quando diciamo che x esiste? … . Se identificato con l’essere in questo senso, il Dio unitrino e ciascuna delle sue tre persone è conoscibile in e per se stessa, e il Credo niceno identifica in quali termini precisi e immutabili essa sia conosciuta. Senza tale conoscenza non si può dire che gli ebrei conoscano Dio come Dio è. In risposta, Jenson nota che i Teologi cappadoci, come Gregorio di Nissa, hanno profuso ogni sforzo possibile per protegger la teologia Trinitaria da questa tentazione filosofica. Per essi un essere atemporale significherebbe un essere non relazionale, mentre Dio dispensa se stesso in relazioni atemporali, sia nei confronti delle sue creature che nei confronti di se stesso. La dottrina della trinità esprime la scoperta che Dio vive in un rapporto infinito di tre persone, che Jenson, seguendo Tertulliano, ritraduce come le tre personae dramatis di Dio, o le tre identità di Dio. Israele resta vivo in queste identità, poiché le relazioni di Dio sono narrate nella Scrittura e la sua fedeltà eterna a Israele è al centro di questo racconto. … secondo il modo di vedere di Jenson, perciò, la dottrina della Trinità costituisce un ostacolo insormontabile … sia [per] ebrei che cristiani, solo se Dio e le tre persone divine sono identificate con la nozione filosofica strettamente greca (e strettamente umana) di non essere come sostanza atemporale. E tale identificazione non è necessaria.» (p. 76 – 77).

    Guardando poi alla tradizione ebraica l’Autore fa notare come anche in essa, nonostante il rigido monoteismo, si possono ritrovare molti accenni alle diverse identità o nomi o ipostasi di Dio, ad esempio nella tradizione qabbalistica ebraica. Dio stabilisce tra sé e l’umanità, per i filosofi ebrei Rosenzweig e Levinas, una relazione triadica in cui Egli entra pienamente in gioco, e questo tramite la sua Parola, che è rivelazione di se stesso.

    Dopo aver consegnato alla riflessione personale tutti questi punti, verso la fine del suo saggio così egli invita ebrei e cristiani al dialogo:

    «Influenzato da tutte queste tendenze nel pensiero ebraico recente,personalmente sostengo, per esempio, che la logica delle relazioni di segno triadico, introdotta da Agostino e completata dal semiotico Charles Pierce, serve ora come risorsa sia per i filosofi cristiani che pensano la Trinità sia per i filosofi ebraici che riflettono sulla Parola pronunciata da Dio. … questi paralleli tra le filosofie triadiche di Rosenzweig e di Pierce fanno pensare che gli ebrei e i cristiani possono avere ancor più da imparare gli uni dagli altri sul modo in cui la parola di Dio vide in mezzo a noi e che da noi accolta.» (p. 81)

    Spero di aver potuto dare anch’io a voi con questa breve presentazione spunti per pensare la Trinità lontano dalle speculazioni greche ma come affascinante desiderio di relazione di un Dio che è Relazione sin dall’eternità, e di avervi anche invogliati a ricercare l’articolo e leggerlo integralmente.

    La Parola di Dio che ha posto la sua tenda in mezzo agli Uomini e si diletta nell’intrattenersi con loro ci colmi tutti del suo desiderio di amore e dialogo.

    Vostro,

    Ireneo.
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    00 21/08/2011 22:37
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    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 16/10/2003 16.30
    Mooooooolto interessante Ireneo...........ti chiedo un favore se vuoi e se puoi....aiutaci a sviluppare il dialogo su questo testo.......mi spiego:
    Inserito così a me personalmente hanno colpito diversi aspetti.....ma non ho le carte in regola per inoltrarmi in un dialogo filosofico del genere...già solo al pensarlo tremo......, però potrebbe essere un'occasione per imparare a non aver timore di certi termini.......
     
    Quindi ti chiedo se puoi ulteriormente iniziare il dialogo attraverso una esposizione con parole tue......e che pongano delle domande sulle quali riflettere e vincere noi stessi una diffedenza di fronte a certi temini che ci possano sembrare incomprensibili.....che ne pensi?
     
    Grazie..farternamente Caterina

    Rispondi
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    Da: Soprannome MSNIreneo81 Inviato: 16/10/2003 18.55
    La Pace di Cristo,
     
    Cara Caterina,
     
    la filosofia dialogica è la Musa che mi ha rubato il cuore, sarò quindi più che disponibile a trattare questi problemi, ma mi devi dare un aiuto anche tu essendo più specifica: fai una domanda precisa tu, indicami quale tema vuoi che approfondisca o che chiarisca.
     
    Sarò ben lieto di aiutarti.
     
    Con affetto,
     
    Ireneo

    Rispondi
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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 16/10/2003 19.45
    Questo messaggio è stato eliminato dall'autore.

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    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 16/10/2003 21.59
    Ok ci provo....ma mi prendete in castagna perchè su questo tasto non so nulla....e non chiedetmi come riesco invece a capire Tommaso D'Aquino...perchè non lo so neppure io.....
     
    Mi ha colpito questa sorta di conclusione:
     
    «Influenzato da tutte queste tendenze nel pensiero ebraico recente,personalmente sostengo, per esempio, che la logica delle relazioni di segno triadico, introdotta da Agostino e completata dal semiotico Charles Pierce, serve ora come risorsa sia per i filosofi cristiani che pensano la Trinità sia per i filosofi ebraici che riflettono sulla Parola pronunciata da Dio. … questi paralleli tra le filosofie triadiche di Rosenzweig e di Pierce fanno pensare che gli ebrei e i cristiani possono avere ancor più da imparare gli uni dagli altri sul modo in cui la parola di Dio vide in mezzo a noi e che da noi accolta.»
    ........
    Non estrapolo una frase, ma dal contesto sottilineo questa:
    sia per i filosofi ebraici che riflettono sulla Parola pronunciata da Dio..
    ....
    per tentare di capire come la visione ebraica possa contemplare il senso della Trinità e in quale contesto...il testo che hai riportato, Ireneo, parla certamente di questa Parola nel momento in cui Dio nella Bibbia "parla"...completando dunque questo schema.....ho capito bene?
    Dunque da questo concetto della "Parola pronunciata da Dio" essi potrebbero giungere così a percepire il senso trinitario cristiano?
     
    Se ho fatto domande da ignorantona, comprendimi, fa finta che sto a scuola sul serio......
     
    Fraternamente Caterina

    Rispondi
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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 16/10/2003 22.56
    Gulp! ... Non posso dire di averci capito molto
    Forse dovrei leggere come si sviluppano quei parallelismi che porterebbero ad una visione trinitaria univoca.
     
    Nella mia beata ignoranza, però mi ha colpito un'affermazione. Se ho ben capito (correggimi se sbaglio .. perchè è possibile), per giungere a questa univocità sarebbe necessario abbandonare l'idea dell'atemporalità di Dio.
     
    Per quanto mi sforzi, e non sono assolutamente condizionato dal pensiero greco che conosco solo sommariamente, non riesco assolutamente a concepire Dio come atemporale,  Sì, perchè negando che Dio sia solo eterno presente, e quindi fuori da ogni condizione spazio-temporale, lo si pone in uno stato di divenire, il che mi sembra del tutto in antitesi con l'idea stessa di Dio. Un Dio soggetto al divenire dà un'idea di incompletezza. Se questa viene considerata un'esigenza di rappresentazione umana, allora potrei affermare anche il contrario, e cioè che il volerlo raffigurare diversamente sarebbe a sua volta un'esigenza sempre umana - magari anche un po' forzata - per giungere ad un'univocità di rappresentazione trinitaria da parte dei cristiani e degli ebrei.
    Non ho fatto studi filosofici e teologici per cui è possibile che mi sia espresso in modo improprio, quindi ti chiedo pazienza.
     
    con affetto fraterno
    iyvan

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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 17/10/2003 3.03
    Ps. .. errata corrige
     
    All'ottava riga deve intendersi: non riesco a concepire Dio come non atemporale.
    Mi scuso.

    Rispondi
    Consiglia Elimina    Messaggio 8 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSNIreneo81 Inviato: 18/10/2003 15.08
    La Pace di Cristo!
     
    Carissimi, non mi sono dimenticato del forum, ma l'argomento è difficile anche per me. Mi sto mobilitando per una risposta chiara e che possa veramente aitarvi a risovere i dubbi espressi... ho salvato tutto sul pc e ci sto lavorando...
     
    Attendete con lo schermo acceso, un po' come vergini sapienti e tecnologiche... quando meno ve lo aspetterete, come un ladro, apparirà il mio post.  !
     
    Ireneo.

    Rispondi
    Consiglia Elimina    Messaggio 9 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 18/10/2003 19.23
    quando meno ve lo aspetterete, come un ladro, apparirà il mio post.  !
    ........
    Hai fatto bene a dirlo....ho tolto l'antifurto...così se vieni di notte nun me svegli i regazzini.......
     
    C.

    Rispondi
    Consiglia Elimina    Messaggio 10 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSNIreneo81 Inviato: 22/10/2003 13.38

    La Pace di Cristo!

    Come promesso eccomi qui a cercare di offrire qualche chiarimento.Allora le questioni vertono, mi sembra , su queste due domande:
    Caterina: E’ possibile per l’ebraismo concepire il trinitarismo cristiano?
    Iyvan: Come concepire Dio quale essere non-atemporale?

    Spero di non essermi sbagliato, comunque, è a queste domande che cercherò di rispondere.
    Vi annuncio comunque che certamente la lettura dell’articolo (se lo riuscite a recuperare) sarà molto più illuminante di me.

    Comincio con Caterina. Se intendi questo concepire il Dio Trinitario cristiano come la possibilità di una premessa alla conversione di tutto il popolo ebraico, che in questo modo potrebbe riconoscere Dio-Trinità già nel suo pensiero filosofico - anche se non se ne sono avveduti - la mia risposta è negativa.

    Il nocciolo della questione su cui l’Autore vuole insistere è che è possibile non vedere l’ebraismo in contrapposizione al cristianesimo e viceversa, e dunque affermare che il Dio Mono e il Dio Trino non sono un modo meno perfetto e più perfetto di parlare di Dio, ma due modi diversi.

    Spostare il problema della Trinità dal piano dell’Essere al piano dell’Esistere (e dunque delle Relazioni che formano appunto l’esistenza) significa capire che quando parliamo di Trinità non stiamo cercando di definire Dio in ciò che esso più intimamente è, non stiamo cercando di circoscrivere la sostanza divina nei nostri concetti, ma stiamo parlando del modo concreto in cui Dio ha agito nella storia.

    In questa diversa prospettiva, noi diremo che Dio si è rivelato nell’economia della salvezza come Padre misericordioso che ha mandato sulla terra il suo Figlio per la nostra salvezza e ci ha donato lo Spirito Santo perché continui nei nostri cuori la sua opera.

    Cioè non si ha la pretesa di dire come Dio è, quasi dovessimo imporglielo noi, ma si dice ciò che Dio ha fatto per noi, come si è manifestato a noi uomini.

    In una parte dell’articolo che non vi ho riportato Ochs infatti rifiuta l’idea che la dottrina trinitaria si sia sviluppata nella Chiesa nel momento in cui il cristianesimo, consapevole di sé, ha preso le distanze dall’ebraismo; al contrario, rifacendosi ad un testo di Teologia Sistematica di R. W. Jenson, riporta la seguente affermazione: "La dottrina della Trinità spiega soltanto la fede di Israele in una situazione in cui si crede che il Dio di Israele, prima della risurrezione generale, abbia risuscitato uno dei suoi servi dalla morte" (dall'articolo citato, pag 77).

    Per concludere il chiarimento al tuo dubbio, Caterina, quello che qui si vuole dire è che è uno stereotipo falso pensare al Dio professato dall’ebraismo come un Dio Solitario, ma che anche in esso si possono rintracciare relazioni (chiamate dalla tradizione ebraica Nomi, Identità di Dio), relazioni esplicitamente affermate anche nella dottrina trinitaria, e dunque che in questo aspetto le due teologie ebraica e cristiana possono essere vicendevolmente di aiuto nella comprensione della propria tradizione e nella riformulazione della propria fede perchè sia comprensibile al mondo contemporaneo.

    Altra affermazione che può essere interessante per il tuo dubbio è proprio l’affermazione di Jenson… la dottrina trinitaria è, infondo, l’ebraismo che accetta la risurrezione di un Uomo prima della resurrezione generale… a me personalmente questo dà molto a pensare sul come a volte abbiamo paura di attingere al patrimonio di altre tradizioni religiose per il rischio di inserire qualcosa di estraneo nella nostra fede, mentre molte cose sono formulazioni diverse di una fede che resta sostanzialmente la stessa, almeno nelle sue considerazioni etiche e sull’Oggetto del fine ultimo al quale il sentimento religioso si dirige.

    ATTENZIONE: quanto ho appena detto non vuole avvalorare un pensiero sicretista oggi così diffuso, vuole solo far notare quanto la diffidenza verso ciò che è diverso è un pregiudizio che necessita sempre di essere affrontato di petto e risolto nel riconoscimento delle ricchezze dell’altro, non necessariamente nell’accordo uniforme, ma anche nel riconoscimento delle alterità certamente persenti.

     

    Passando ora alla questione sollevata da Iyvan. Con alcune considerazioni sopra fatte ho già, in realtà iniziato a risponderti.

    Come dicevo nel post che apre il forum, i primi a combattere contro un’interpretazione "ontologica" della definizione di Nicea furono proprio i padri cappadoci. Ma quale il motivo? Come spesso per altre questioni (come quella dell’iconodulia), il criterio che non possiamo mai dimenticare è l’economia dell’incarnazione. Il Dio della riflessione filosofica, quell’essere considerato come il Perfettissimo, tutto in ogni parte, parte nel tutto, che muove ogni cosa… è un Dio al quale ogni relazione è impossibile; cerco di giustificare quanto detto dando un esempio tradizionale.

    Qualcuno di voi conosce quanto affermato nella Metafisica di Aristotele su Dio? Il Dio di Aristotele è il Motore immoto. La sua riflessione infatti parte dal constatare che tutto l’universo è movimento, e che ogni cosa mossa è mossa da qualcos’altro. Deve però esistere qualcosa che muove senza muoversi, il motore primo di tutto l’universo e tale motore deve essere immoto, cioè che non sia mosso e che non si muova, fondamento perenne di tutto quanto esiste.

    Quando poi si chiede cosa, come sia questo Motore immoto che egli chiama Dio, arriva ad affermare che solo l’ggetto del pensiero muove senza muoversi a sua volta, Dio è dunque pensiero, ma pensiero di cosa? Essendo perfezione egli può pensare solo ciò che è perfetto, può pensare dunque solo se stesso.

    Il Dio aritstotelico, il Dio dei filosofi, è dunque oggetto del pensiero e dell’amore di tutto l’unvierso, senza poter ricambiare questo amore: può amare solo se stesso… Così arriviamo al pensiero del divo Thome: quando egli riprende questo Dio aristotelico e cerca di "cristianizzarlo", egli deve ammettere che perché questa immagine di Dio come Motore Immoto si adatti al Dio Trinità si deve ammettere un eccezione al sistema aristotelico: senza eccezione, il Dio atemporale di Aristotele non potrebbe essere il Dio della Storia della Salvezza, il Dio che si è voluto interessare degli uomini fino a farsi uomo egli stesso.

    Anche Pascal, nella notte mistica che ha segnato il momento della sua conversione morale ed intellettuale, deve riconoscere: "Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, non il Dio dei filosofi".

    C’è una profonda incompatibilità tra il Dio che entra nella storia raccontatoci dalla Scrittura e dalla vicenda di Gesù e il Dio fuori da ogni connotato spazio-temporale ricercato dai filosofi (classici); le due immagini possono coincidere solo con profondi cambiamenti ed ammettendo eccezioni al sistema.

    E’ quanto compiuto, spesso con arguzia e finezza intellettuale, dalla scolastica medievale, con l’apice raggiunto nel pensiero di san Tommaso. Ma al posto del sistema delle eccezioni, se abbandonassimo il mondo concettuale aristotelico per un altro quadro filosofico, forse non ci sarebbe bisogno di contemplare eccezioni…

    In questo senso il richiamo di Gregorio di Nissa a non dimenticarci che il dogma di Nicea più che dirci come Dio è, ci dice come Dio si manifesta non deve essere sottovalutato: noi conosciamo Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo perché in questo modo si è voluto rapportare all’uomo nella storia della salvezza, perché si è voluto manifestare come Padre misericordioso, come Figlio redentore e come Spirito santificatore.

    Come vedi Iyvan, affermare che Dio non sia l’Essere atemporale non significa rinchiuderlo nella nostra dimensione, ma anzi liberarlo dalla prigione dorata di totale estraneità alla storia dell’uomo in cui l’ontologia (trad: filosofia dell’essere) greca lo vorrebbe rinchiudere.

    So che certamente, più che chiarire ho confuso ancora di più le idee… quindi sono sempre qui, sperando di potervi ancora aiutare.

    Vostro nel Signore Risorto,

    Ireneo

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    00 21/08/2011 22:38
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    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 22/10/2003 19.14
    Caro Ireneo qui metti a dura prova l'unico neurone che mè rimasto in funzione..........sono veramente all'ABC
    ma è un argomento che mi affascina.....
     
    tu mi dici:
    Se intendi questo concepire il Dio Trinitario cristiano come la possibilità di una premessa alla conversione di tutto il popolo ebraico, che in questo modo potrebbe riconoscere Dio-Trinità già nel suo pensiero filosofico - anche se non se ne sono avveduti - la mia risposta è negativa
    ........
    Su questo concordo, ma vediamo se ho capito e correggimi se dico fessereie......:
    il concetto Trinitario di Dio che noi abbiamo conosciuto mediante l'Incarnazione del Verbo, non è stato concepito per far convertire gli Ebrei...giusto? se ho capito bene concordo.....
    Esprimiamoci quanto più possiamo alla portata di tutti.....
     

    Il nocciolo della questione su cui l’Autore vuole insistere è che è possibile non vedere l’ebraismo in contrapposizione al cristianesimo e viceversa, e dunque affermare che il Dio Mono e il Dio Trino non sono un modo meno perfetto e più perfetto di parlare di Dio, ma due modi diversi.

    ..........
    Pienamente d'accordo....diversamente si rischierebbe di fare l'errore di Marcione che separava il Dio dell'Antica Alleanza con Dio Incarnato, o meglio, l'Incarnato annulava il Dio del passato....ho fatto questo esempio se forse improprio per far comprendere la questione dei DUE MODI DIVERSI  dell'affermazione di Dio e che il Dio Mono e il Dio Trino, non possono appunto differenziarsi...giusto?
     
    Spostare il problema della Trinità dal piano dell’Essere al piano dell’Esistere (e dunque delle Relazioni che formano appunto l’esistenza) significa capire che quando parliamo di Trinità non stiamo cercando di definire Dio in ciò che esso più intimamente è, non stiamo cercando di circoscrivere la sostanza divina nei nostri concetti, ma stiamo parlando del modo concreto in cui Dio ha agito nella storia.
    .........
    Concordo pienamente.....anche perchè se tentassimo di circoscrivere la sostanza divina nei nostri concetti, rischiamo o di farne più divinità o di pensare che Maria ha partorito ad esempio il Padre....visto che la sostanza divina è una sola......, uso questo esempio che è un pò un cavallo di battaglia di coloro che negano la Teothokos soltanto perchè, appunto, "circoscrivono la sostanza divina nei personali concetti umanamente LIMITATI".....tentando appunto di DEFINIRE DIO.....e perdendosi così nella concezione di che cosa ha concepito la Vergine......se ho sbagliato paragone dimmelo, perchè il punto mi interessa molto.....
     

    In questa diversa prospettiva, noi diremo che Dio si è rivelato nell’economia della salvezza come Padre misericordioso che ha mandato sulla terra il suo Figlio per la nostra salvezza e ci ha donato lo Spirito Santo perché continui nei nostri cuori la sua opera. Cioè non si ha la pretesa di dire come Dio è, quasi dovessimo imporglielo noi, ma si dice ciò che Dio ha fatto per noi, come si è manifestato a noi uomini.

    ..........
    Pienamente d'accordo.....
     
    rifacendosi ad un testo di Teologia Sistematica di R. W. Jenson, riporta la seguente affermazione: "La dottrina della Trinità spiega soltanto la fede di Israele in una situazione in cui si crede che il Dio di Israele, prima della risurrezione generale, abbia risuscitato uno dei suoi servi dalla morte" (dall'articolo citato, pag 77)
    ...........
    la parte in nero la condivo pienamente...quella in blù diciamo che...non l'ho capita.........aoo mica t'aspettavi che andasse tutto liscio........sono certa che mi aiuterai ad approfondire.....e con me gli altri che ci leggono....
     

    Per concludere il chiarimento al tuo dubbio, Caterina, quello che qui si vuole dire è che è uno stereotipo falso pensare al Dio professato dall’ebraismo come un Dio Solitario, ma che anche in esso si possono rintracciare relazioni (chiamate dalla tradizione ebraica Nomi, Identità di Dio), relazioni esplicitamente affermate anche nella dottrina trinitaria, e dunque che in questo aspetto le due teologie ebraica e cristiana possono essere vicendevolmente di aiuto nella comprensione della propria tradizione e nella riformulazione della propria fede perchè sia comprensibile al mondo contemporaneo.

    ...........
    Concordo pienamente....vediamo se l'esempio calza....già dalla Genesi che se non erro dovremmo avere in comune con gli Ebrei, abbiamo tale sensore di vicendevole comprensione....Dio, apparentemente solitario come dicevi, ha comunque in sè la Parola che si esprime e "parla" (Dio DISSE) e l'azione dello Spirito Santo sempre presente quale potenza espressiva di Dio...giusto?
     
    per il tuo dubbio è proprio l’affermazione di Jenson… la dottrina trinitaria è, infondo, l’ebraismo che accetta la risurrezione di un Uomo prima della resurrezione generale
    .........
    credo che questo si ricolleghi a quel pezzo che non ho compreso.....se vuoi ne riparliamo per approfondirlo......se questa frase è la spiegazione di ciò che non ho capito lala frase in blu, allora si, detto così penso che non sia un problema apprendere che questo accettare la risurrezione di un Uomo prima della resurrezione generale.....possa essere effettivamente un punto d'incontro e di partenza......ho capito bene?
     
    Concordo....dobbiamo avere il coraggio di abbandonare i pregiudizi.....e sono sempre più convinta che se si approfondisse il Magistero ci si renderebbe conto di quanto la Chiesa sia invece molto più aperta di quel che si pensa.....
     
    Invito anche chisolm a dare il suo contributo appena può....
     
    Fraternamente Caterina

    Rispondi
    Consiglia Elimina    Messaggio 12 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 22/10/2003 21.21
    Caro Ireneo, ho trovato la tua analisi estremamente lucida e chiara.
    Cerco ora di condensare per vedere se le mie sinapsi sono ancora funzionanti (correggimi se ho frainteso qualcosa):
     
    Non dobbiamo cercare una definizione di Dio per ciò che Egli è, ma dobbiamo definirlo solo per ciò che ha fatto, cioè per la Sua manifestazione (come Padre - Figlio e Spirito Santo).
     
    Questa relazionalità con l'esterno sarebbe impossibile se non ponessimo eccezioni alla visione dei filosofi classici (in particolare quella aristotelica) che collocava Dio in una posizione di trascendenza assoluta e il cui Pensiero - per la Sua assoluta perfezione - non avrebbe potuto rivolgersi verso ciò che è imperfetto, quindi alla nostra umanità,  ma solo verso verso se stesso.
     
    Ecco quindi la necessità di non essere "bloccati" dal concetto di atemporalità, che renderebbe di difficile comprensione le Sue manifestazioni che si sono verificate nella nostra realtà spazio-temporale.
     
    Data la complessità dell'argomento, prima di esprimere qualsiasi commento al riguardo, vorrei essere certo di non aver frainteso le tue parole.
    Attendo quindi il tuo OK (o la tua commiserazione) prima di continuare.
     
    con fraterno affetto
    iyvan
     
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    00 21/08/2011 22:42
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    Consiglia Elimina    Messaggio 13 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSNIreneo81 Inviato: 22/10/2003 22.11
    La Pace di Cristo!
     
    Se fossi un docente farei i complimenti ai miei allievi. Vedo che sono riuscito a spiegarmi... tornerò in seguito a dire qualcosa. Iyvan, continua tu, mi riservo di rispondere dopo il tuo intervento.
     
    Con affetto,
     
    Ireneo

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    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 22/10/2003 22.53
    Bè diciamo che come dice mia figlia per la scuola...ci sono sei verifiche (i compiti in classe) prima degli esami..........
    appena puoi dammi conferma dei paragoni che ho fatto...altrimenti non capisco se ho fatto esempi strampallati....
     

    In questo senso il richiamo di Gregorio di Nissa a non dimenticarci che il dogma di Nicea più che dirci come Dio è, ci dice come Dio si manifesta non deve essere sottovalutato: noi conosciamo Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo perché in questo modo si è voluto rapportare all’uomo nella storia della salvezza, perché si è voluto manifestare come Padre misericordioso, come Figlio redentore e come Spirito santificatore.

    ........
    In sostanza è quanto poi asseriva lo stesso s.Agostino quando dice: "Noi possiamo parlare all'infinito di Dio, ma mai dire ciò che Egli è..." (ho scritto a braccio, ma su per giù dice così)
     
    Ok....attenderò che tu faccia i tuoi commenti...
     
    Grazie per ora fraternamente Caterina
     
     

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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 23/10/2003 11.19
    Effettivamente Dio non può essere definito senza cadere nei limiti della nostra condizione di "divenire" soggetta all'illusorietà della dimensione spazio-temporale.
    Questa illusorietà, intuita da alcune filosofie, fu meglio chiarita da Einstein  con la teoria ( in parte riscontrata scientificamente) della relatività. E' anche interessante notare come la fisica quantistica porti a conseguenze che a loro volta evidenziano l'illusorietà delle nostre sensazioni sensoriali che a loro volta condizionano la nostra percezione della realtà e quindi il nostro stesso pensiero.
    Queste piccole considerazioni vogliono solo indicare la nostra incapacità di penetrare l'Assoluto, cioè il mistero di Dio.
    Quando anche formulassimo ipotesi che si rivelassero in parte vere, non avremmo fatto altro che scrivere un minuscolo punto nell'infinito.
    Ecco perchè cercare di definire Dio sarebbe quasi come negarlo ed ecco l'esigenza di considerarlo solo alla luce delle Sue manifestazioni, quelle cioè che rientrano nella nostra condizione umana.
    Per questa ragione, anche l'affermazione che occorre escludere l'atemporalità di Dio diventa solo una nostra esigenza per la comprensione, ma non deve significare che questa possa essere la reale condizione divina.
    Tuttavia, ma è solo una riflessione personale, penso che forse si possa  anche evitare l'eccezione di cui si parlava. Mi spiego: se Cristo fu diretta emanazione, significa che Egli conviveva dall'eternità in Dio e quindi in una condizione atemporale. La manifestazione si rese visibile attraverso l'assunzione della materia, cioè di un corpo. E' quindi solo questa parte visibile che necessariamente rientra nella nostra condizione relativa, ma questo non riguarda lo spirito divino che l'animava e che manteneva invece la sua natura e condizione nell'assoluto.
    Voglio dire che ogni manifestazione divina, per rendersi a noi visibile, deve necessariamente assumere la nostra condizione, ma attenzione .. non dobbiamo confondere questa visibilità con la reale condizione divina che di per se stessa non può essere soggetta al divenire senza porsi in antitesi con la perfezione assoluta di Dio.
    Non vorrei aver creato un po' di confusione, ho solo voluto proporre una certa riflessione consapevole dei limiti e quindi dell'opinabilità  che essa può presentare.
    Aspetto con interesse l'intervento di Ireneo e di altri.
     
    Con affetto raterno
    iyvan
     
     
     
     
     
     
      

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    Da: Soprannome MSNChisolm3 Inviato: 23/10/2003 16.15
    Ariciao.
    Per-Gamena o per Pergamena che dir si voglia: dammi il tempo di capire un po' quali sono le questioni di fondo che, dati i miei limiti che non sono né piccoli né pochi, non sono certo di aver inquadrato.
    Caro Iyvan, in un certo senso nel tuo ultimo scritto hai toccato dei punti che credo Edith Stein abbia risolto nel suo lavoro più importante "Essere finito ed Essere Eterno". I prini capitoli del trattato, sono di chiara matrice  tomista: la Stein usa la filosofia per arrivare a tracciare "l'essere", quasi a voler dire "Ragazzi, per parlare di Dio occorre sapere "metafisicamente" che cosa è Dio". Tracciare il profilo "metafisico" di Dio è un lavoro che la ragione può fare: non a caso, agli studi teologici si accede dopo un biennio di filosofia che è preparatorio alla teologia vera e propria.
    Solo a partire dal VII capitolo (mi sembra), la Stein parte in quarta e affronta l'aspetto teologico. Dice " Ragazzi, Dio stesso ci dice chi è quando a Mosè si presenta con quel "Io sono". Dall'essere con la e minuscola (filosofico) quindi all'Essere con la E maiuscola (divino). Noi, come esseri finiti siamo in relazione con l'Essere Eterno e, a questo punto dell'opera, la Stein abbandona Tommaso d'Aquino per passare a definire l'immagine trinitaria che è in noi secondo il pensiero platonico-agostiniano.
    Questo per dire che, a ben vedere, ai tempi delle Summae medievali, ogni discorso su Dio partiva da un substrato filosofico. La Stein cerca di proporre una visione trinitaria che parta da presupposti teoretici (quindi praticabili dalla ragione) per arrivare a conclusioni (se si può dire) teologiche. Un antesignana della Fides et Ratio, se vogliamo che, in qualche modo invita a pensare al mistero trinitario anche in chiave filosofica. E allo stesso tempo, ella ricorda che la Rivelazione da un apporto incommensurabile alla ragione che si ferma davanti al mistero di Dio, quel Dio che si presenta non solo come l'Essere, ma anche come Colui che è origine dell'essere piccolino, lo cura, lo tiene "in essere", dicendoglielo fin dal primo momento, con quell' "Io Sono" che è il modo più perfetto che conosciamo per dire ciò che Dio è ai nostri occhi. Per cui, l'invito perenne della Stein è questo: "tu, uomo o donna, sii ciò che sei destinato ad essere", proprio perchè la nostra scaturigine e il nostro ritorno appartengono all'Essere per eccellenza. Capendo un pochino questo, si capisce anche un pochino come e perché eternità e storia si toccano, esattamente come il dito di Dio tocca quello di Adamo sul soffitto della Sistina...
    Forza e coraggio e scusate la poca chiarezza...
    Chisolm


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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 25/10/2003 11.23
     l'invito perenne della Stein è questo: "tu, uomo o donna, sii ciò che sei destinato ad essere", proprio perchè la nostra scaturigine e il nostro ritorno appartengono all'Essere per eccellenza
     
    Ecco, è proprio su quell' "appartengono", che forse occorre fermarci a riflettere.
    E' come dire: il mondo del relativo appartiene, e quindi fa parte ed è compenetrato dall'assoluto.
    Ma come può ciò che è assoluto, e quindi immutabile, contenere ciò che è relativo e quindi mutabile?
    Forse, la risposta potrebbe essere: la relatività del nostro universo è solo la conseguenza del  prodotto delle nostre percezioni, vale a dire che noi vediamo e percepiamo la realtà raffigurandola secondo i nostri sensi e non per quello che realmente è.
    Qualche piccolo esempio tanto per intenderci: apparentemente il colore sembrerebbe qualcosa di oggettivamente reale, ma in realtà è solo una percezione sensoriale soggettiva (sia pure comune a tutti gli uomini), in quanto il colore non esiste ma è solo il nostro cervello che traduce in forma visiva ciò che è solo un'onda vibrazionale energetica.
    La compattezza che noi osserviamo nella materia è pure illusoria, dato che essa è formata molto più da spazio che materia (se teoricamente potessimo comprimere un uomo di 70 kg vincendo le forze repulsive, la sua dimensione si ridurrebbe a meno di un millimetro pur mantenendo lo stesso peso), eppure i nostri sensi ci danno la sensazione della compattezza.
    E così è per lo spazio-tempo: un'illusione creata dai nostri sensi e variabile quanto più ci si avvicina o ci si allontana dalla velocità della luce.
    In altre parole, noi potremmo essere parte dell'assoluto divino, ma sono i nostri sensi a farcelo raffigurare secondo una diversa realtà. 
    Ecco che anche la riflessione di Chisolm:
    Capendo un pochino questo, si capisce anche un pochino come e perché eternità e storia si toccano, esattamente come il dito di Dio tocca quello di Adamo sul soffitto della Sistina... 
    potrebbe trovare collocazione in questa spiegazione (che rimane comunque solo un personale e ipotetico tentativo).
     
     
     
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    (Teofilo)
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    00 21/08/2011 22:43
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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 25/10/2003 12.07
    Mi era rimasta nella tastiera una sempre ipotetica conclusione:
     
    quindi, la relazionalità del Divino con la Sua creazione permane costantemente. Non si tratterebbe infatti di considerare due realtà separate, ma di un'unica realtà che noi interpretiamo secondo il nostro stato di consapevolezza. Ed ecco quindi che le manifestazioni di Dio assumono visibilità per rendersi percepibili ai nostri sensi, ma sempre in quell'unica realtà.
     
    Spero di non essere stato troppo confusionario.
     
    Con fraterno affetto
    iyvan

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    Consiglia Elimina    Messaggio 19 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSNIreneo81 Inviato: 26/10/2003 15.10
    La Pace di Cristo!
     
    Sono contento che una piccola "nota editoriale" ad un articolo abbia suscitato un interessante incontro di pensiero, vita e ricerca personale.
     
    ... Non aggiungo nessuna spiegazione e non voglio correggere nessuno... perchè tutto ciò che è stato detto risulta interessante in riferimento, più che all'ortodossia o meno della fede, alla propria ricerca e al proprio sforzo umile di alzare lo sguardo verso il Mistero che ci supera e che ha voluto farsi "simile agli uomini".
     
    Il riferimento alla riflessione filosofico-teologica della Stein sul passo di Esodo mi ha però ricordato una cosa che potrebbe essere interessante nel tema trattato.
     
    Ciò che le nostre bibbie in generale traducono come Io sono colui che sono, per l'indefinibilità del tempo che caratterizza il termine ebraico si potrebbe tradurre come Io sono colui che è stato e e sarà, con un sottointeso "con voi".
     
    Anche il contesto del brano è interessante: ad un Mosè che vuole sapere il nome di Dio (e dunque dominarne la natura, perchè sappiamo che in ebraico il Nome è sinonimo di tutta la Persona), Egli in realtà lo rivela nascondendolo, non dice Chi è, ma ciò che sarà per il popolo ebraico: Egli è colui che starà con loro, come lo è stato in passato e come lo è anche nell'oggi della schiavitù da cui Mosè è chiamato a liberarli. Questo JHWH è quel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio dei loro Padri che è presente anche in quel momento di difficoltà, seppure sembra nascondersi.
     
    ... Non è la logica di ogni nostro incontro con il divino? Nel momento in cui ci si rivela, si nasconde, nel momento in cui tutto sembra chiaro ecco la difficoltà a credere; nel momento in cui diventa Uomo ecco che i suoi occhi e le sue opere dimostrano una realtà più nascosta... E' il modo in cui Dio si rivela, il modo in cui Dio ci educa e ci Ama...
     
    Vostro nel Signore Risorto,
     
    Ireneo

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    Consiglia Elimina    Messaggio 20 di 21 nella discussione 
    Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 26/10/2003 16.28
    per l'indefinibilità del tempo che caratterizza il termine ebraico si potrebbe tradurre come Io sono colui che è stato e e sarà, con un sottointeso "con voi".
     
    Anche il contesto del brano è interessante: ad un Mosè che vuole sapere il nome di Dio (e dunque dominarne la natura, perchè sappiamo che in ebraico il Nome è sinonimo di tutta la Persona), Egli in realtà lo rivela nascondendolo, non dice Chi è, ma ciò che sarà per il popolo ebraico: Egli è colui che starà con loro, come lo è stato in passato e come lo è anche nell'oggi della schiavitù da cui Mosè è chiamato a liberarli. Questo JHWH è quel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio dei loro Padri che è presente anche in quel momento di difficoltà, seppure sembra nascondersi.
    ............
    MERAVIGLIOSO..........
    e secondo me.....per grazia.....ci riporta, o ci porta per chi è alle prime armi.....nel contesto dell'Incarnazione...cioè....la RIVELAZIONE........Io sono colui che è stato e che sarà, con un sottointeso "con voi".
    ........
    in questo contesto cerco di pensare come potrebbe essere poi questo venir meno dei "veli" che Dio stesso pose nel cuore del suo popolo......come si potrebbe analizzare questo in questo contesto?.....spero la domanda si comprenda sennò ditemelo.....
     
    Fraternamente Caterina

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    Da: Soprannome MSNIyvan5 Inviato: 26/10/2003 19.14
    In quel "Io sono colui che sono" c'è tutto il mistero di Dio: l'eternità e la Sua costante presenza.
    "Io sono .." in quanto sono sempre stato e sempre sarò .. e la sottintesa presenza "con tutti voi"  diventa prima percettibile con la Parola che ci giunge attraverso i profeti,  poi con la visibilità della Sua incarnazione nella Persona del Figlio, e infine con la forza dello Spirito che Egli ci dona attraverso il Figlio.
    Ecco che la triplice manifestazione divina ha spezzato ogni diaframma per renderci interamente partecipi della Sua realtà che non ha più confini con noi, ma che ci compenetra e ci rende parte dell'eternità.
     
    Fraternamente
    iyvan