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I criteri di una autentica DEMOCRAZIA secondo Pio XII

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2012 00:25
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23/11/2011 23:22
 
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Formazione di un organo comune 
per il mantenimento della pace

Le risoluzioni finora note delle Commissioni internazionali permettono di concludere che un punto essenziale d'ogni futuro assetto mondiale sarebbe la formazione di un organo per il mantenimento della pace, organo investito per comune consenso di suprema autorità., e il cui ufficio dovrebbe essere anche quello di soffocare in germe qualsiasi minaccia di aggressione isolata o collettiva. Nessuno potrebbe salutare questa evoluzione con maggior gaudio di chi già da lungo tempo ha difeso il principio che la teoria della guerra, come mezzo adatto e proporzionato per risolvere i conflitti internazionali, è ormai sorpassata. Nessuno potrebbe augurare a questa comune collaborazione, da attuare con una serietà d'intenti prima non conosciuta, pieno e felice successo con maggior ardore di chi si è coscienziosamente adoperato per condurre la mentalità cristiana e religiosa a riprovare la guerra moderna coi suoi mostruosi mezzi di lotta.

Mostruosi mezzi di lotta! Senza dubbio il progresso delle umane invenzioni, che doveva segnare l'avveramento di un maggiore benessere per tutta l'umanità, è stato invece volto a distruggere ciò che i secoli avevano edificato. Ma con ciò stesso, si è resa sempre più evidente l'immoralità di quella guerra di aggressione. E se ora al riconoscimento di questa immoralità si aggiungerà la minaccia di un intervento giuridico delle Nazioni e di un castigo inflitto all'aggressore dalla società degli Stati, cosicché la guerra si senta sempre sotto il colpo della proscrizione, sempre sorvegliata da un'azione preventiva; allora l'umanità, uscendo dalla notte oscura in cui è stata per tanto tempo sommersa, potrà salutare l'aurora di una nuova e migliore epoca della sua storia.

Suo statuto escludente ogni ingiusta imposizione

A una condizione però : e cioè che l'organizzazione della pace, cui le mutue garanzie, e ove occorre le sanzioni economiche e perfino l'intervento armato dovrebbero dare vigore e stabilità, non consacri definitivamente alcuna ingiustizia, non comporti alcuna lesione di alcun diritto a detrimento di alcun popolo (sia che appartenga al gruppo dei vincitori, o dei vinti o dei neutrali), non perpetui alcuna imposizione o gravezza, che può essere permessa soltanto temporaneamente come riparazione dei danni di guerra.

Che alcuni popoli, ai cui governi — o forse anche in parte a loro stessi — si attribuisce la responsabilità della guerra, abbiano a sopportare per qualche tempo i rigori dei provvedimenti di sicurezza, fino a quando i vincoli di mutua fiducia violentemente infranti non siano a poco a poco riannodati, cosa, per quanto gravosa, altrettanto difficilmente evitabile. Nondimeno, questi stessi popoli dovranno avere anch'essi la ben fondata speranza — nella misura della loro leale ed effettiva cooperazione agli sforzi per la futura restaurazione — di poter essere, insieme con gli altri Stati e con la medesima considerazione e i medesimi diritti, associati alla grande comunità delle nazioni. Rifiutare loro questa speranza sarebbe il contrario di una previdente saggezza, sarebbe assumere la grave responsabilità di sbarrare il sentiero ad una liberazione generale da tutte le disastrose conseguenze materiali, morali, politiche del gigantesco cataclisma, che ha scosso fin nelle ultime profondità la povera famiglia umana, ma che le ha al tempo stesso additata la via verso nuove mète.

Le austere lezioni del dolore

Noi non vogliamo rinunziare alla fiducia che i popoli, i quali tutti sono passati per la scuola del dolore, avranno saputo ritenerne le austere lezioni. E in questa speranza Ci confortano le parole di uomini che hanno maggiormente provato le sofferenze della guerra e hanno trovato accenti generosi, per esprimere, insieme con l'affermazione delle proprie esigenze di sicurezza contro ogni futura aggressione, il loro rispetto dei diritti vitali degli altri popoli e la loro avversione contro ogni usurpazione dei diritti medesimi. Sarebbe vano l'attendere che questo saggio giudizio, dettato dall'esperienza della storia e da un alto senso politico, venga — mentre gli animi sono ancora incandescenti — generalmente accettato dalla pubblica opinione, od anche soltanto dalla maggioranza. L'odio, l'incapacità di comprendersi vicendevolmente, ha fatto sorgere, tra i popoli che hanno combattuto gli uni contro gli altri, una nebbia troppo densa da poter sperare che l'ora sia già venuta in cui un fascio di luce spunti a rischiarare il tragico panorama ai due lati dell'oscura muraglia. Ma una cosa sappiamo: ed è che il momento verrà, forse prima che non si pensi, quando gli uni e gli altri riconosceranno come, tutto considerato, non vi è che una via per uscire dall'irretimento, in cui la lotta e l'odio hanno avvolto il mondo, vale a dire il ritorno a una solidarietà da troppo tempo dimenticata, solidarietà non ristretta a questi o a quei popoli, ma universale, fondata sulla intima connessione delle loro sorti e sui diritti in egual modo loro spettanti.

La punizione dei delitti

Nessuno certamente pensa di disarmare la giustizia nei riguardi di chi ha profittato della guerra per commettere veri e provati delitti di diritto comune, ai quali le supposte necessità militari potevano al più offrire un pretesto, non mai una giustificazione. Ma se essa presumesse di giudicare e punire, non più singoli individui, bensì collettivamente intere comunità, chi potrebbe non vedere in simile procedimento una violazione delle norme, che presiedono a qualsiasi giudizio umano?

 

[SM=g1740771]  continua....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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