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CRISI DEL SACERDOZIO? Cerchiamo di capire le ragioni (2)

Ultimo Aggiornamento: 14/05/2014 13:55
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27/03/2012 11:02
 
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[SM=g1740733]CARI SACERDOTI!! DIFFIDATE DI ENZO BIANCHI!! VOI SIETE MOLTO DI PIU', VOI POTETE MOLTO DI PIU'.......è CRISI anche quando il Sacerdote non sa come rispondere ai FALSI PROFETI.... Vi invitiamo a leggere tutto interamente quanto segue.....


Falsi profeti

Da La Bussola di Antonio mons. Livi 17-03-2012
http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=3

Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo.


Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: «Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, i quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te”» (ibidem).


Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).


Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio).


Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede. Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”).


Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria. Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.


Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica.


Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede.


Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.


Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).


SE LO SAI.... LO EVITI....


Le tesi di Fratel Bianchi
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-le-tesi-di-fratel-bianchi-4872.htm
22-03-2012


Caro direttore,
ho letto con attenzione quanto scritto da monsignor Antonio Livi a proposito di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose. E ho trovato conferma alle sue critiche in un articolo pubblicato il 20 marzo dal giornale diocesano di Pescara, La Porzione, che sintetizza un intervento dello stesso Bianchi in un incontro pubblico a Pescara. Credo non ci sia bisogno di ulteriori commenti. Buona lettura (si fa per dire).

Lettera firmata

LA NECESSARIA "UMANIZZAZIONE" DEI CRISTIANI

Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.

Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.
«Bisogna rendersi conto – ha esordito il carismatico priore – che la crisi è di fede e fiducia a livello di società prima che di una crisi di fede e fiducia in Dio. Gli uomini devono ripigliare ad aver fiducia nella terra, nel futuro, nella società, tra di loro. Perché se non c’è fiducia nell’uomo che si vede, come si può aver fiducia nel Dio che non si vede?».


La “grammatica umana” è essenziale anche per attraversare la più tacita, ma evidente crisi della e nella Chiesa. «I cristiani che sono nella Chiesa – ha continuato Bianchi – sono in questo mondo, sono in questa società e quando appare una crisi come quella attuale che è una crisi globale, non solo economica, ma culturale, morale, etica dei valori, anche nella Chiesa se ne sentono le conseguenze. Siamo in un momento di trapasso, per la società e per la Chiesa, in un momento in cui abbiamo lasciato dei lidi e siamo a metà del guado del fiume e non sappiamo bene dall’altra parte quale sarà la forma anche della nostra vita cristiana. Tuttavia in questo orizzonte il cristiano ha la fede, quella bussola per il millennio che Giovanni Paolo II indicava nel Concilio Vaticano II. Si tratta per noi di saper rinnovare quella eredità attraverso uno spirito di profezia che guardi in avanti, con simpatia, agli uomini e alla società di oggi e di saper tramette la notizia del Vangelo anche in una realtà secolarizzata».


Avvicinato prima della relazione, fratel Enzo ha analizzato anche l’anelito conservatore di alcuni fedeli. «Ci sono stati qua e là dei nostalgici che fanno passare la messa prima della riforma come una identità culturale. Questo non è bene né per la messa, né per la liturgia e non è secondo le intenzioni del Papa che voleva dare maggiore unità alla Chiesa e richiamare alla comunione quelli che ne erano usciti».


Nonostante la riapertura di armadi impolverati di sagrestie, non c’è “preoccupazione”. Poche sono le celebrazioni “preconciliari”. I problemi sono assolutamente altri. «È sotto gli occhi di tutti – ha analizzato fiducioso Bianchi – che c’è un calo non solo nella pratica, ma nell’interesse verso il cristianesimo. L’indifferenza, oggi, è sempre più attestata. Lo si nota in molte maniere; non c’è la contestazione di un tempo, ma sovente la gente lascia la Chiesa anche senza fare rumore. Ci sono migliaia e migliaia di persone che passano dal tralasciare la pratica, al tralasciare poi una appartenenza di fede; ciò che è accaduto in Francia, in Austria, in Germania sta accadendo da noi negli ultimi quattro cinque anni­».


La consapevolezza di essere minoranza fa certamente paura, a volte rabbia, e si rischia di preferire lo sgranar rosari a riparazione dei peccati al confronto e all’incontro tra persone, con i loro dubbi, le loro difficoltà, le loro sofferenze.

«Più che un cristiano arrabbiato c’è un cristiano impaurito – ha spiegato Bianchi, rispondendo alla provocazione e analizzando un editoriale di laPorzione.it che tanto ha fatto discutere – e la paura è cattiva consigliera. Di conseguenza porta a posizioni difensive, a posizioni in cui ci si chiude in una cittadella e anziché dialogare con gli altri si finisce per avere posizioni indurite, sia di identità che di atteggiamenti. Questo succede sempre, soprattutto quando si prende coscienza che si passa in uno stato di minoranza, quando si vede avanzare la presenza di altre religioni, altre etiche. La paura va razionalizzata e come cristiani non dobbiamo aver paura nel dialogo con altri religioni e con uomini non cristiani. Proprio perché il cristianesimo ha nel centro non solo Dio, non tanto il fenomeno religioso, ma l’uomo, luogo dell’incarnazione di Dio».


Insomma, per far sintesi, «quando noi parliamo di fede – ha concluso il “profeta dell’umanizzazione” – dobbiamo riprendere quei concetti che appartengono alla grande tradizione perché la fede è innanzitutto un atteggiamento e esercizio umano su cui poi si innesta il dono di Dio e della fede teologale. Ma se non c’è questo humus nemmeno Dio può innestare la fede in una persona, la quale non ha fiducia in se stessa e negli altri. Dobbiamo predisporre tutto per il dono della fede, cominciamo, allora, a predisporre la fiducia tra gli uomini, perché senza fiducia neanche l’umanizzazione è possibile­».



Al Bianchi possiamo rispondere con la Sacra Scrittura non manipolata dalle sue idee moderniste:

Questo dice il Signore:"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo....(Ger. 17,5)

...quell’uomo “maledetto” di cui ci parla Geremia significa che, confidando nell’umano, si “pone nella carne il suo sostegno, e il cui cuore si allontana dal Signore”, per questo è "male-detto" cioè "detto-male" poichè la nostra fiducia non può che essere in Dio. Quando si dice avere fiducia in Cristo Gesù, non è una fiducia in un uomo che ha dei poteri eccezionali, ma nel Dio di cui Egli afferma essere: io e il Padre siamo una cosa sola; chi ha visto me ha visto il Padre; nessuno va al Padre se non per mezzo del Figlio... e così via.
In senso contrario, vengono subito in mente le parole del Salmo 1,  “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte”.
 Dunque la nostra vera fortuna, o buona sorte, o per uscire da ogni crisi è confidare in Cristo-Dio, meditare la sua legge giorno e notte, metterla in pratica, mettere in pratica tutti e dieci i Comandamenti, e allora si seguire, come suggerisce san Paolo, gli uomini che agiscono correttamente verso Dio e "abbandonare i reprobi" ossia, i peccatori incalliti che rifiutano di seguire Gesù....

e...ciliegina sulla torta:
Oggi parliamo dell'autonominato priore di Bose:

http://satiricus.wordpress.com/2012/03/18/eretico-o-erotico-purche-sia-fratelenzo/






Lettera aperta di Antonio Livi 

http://www.formazioneteologica.it/index.php?categoria=12&sezione=15

a Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire



Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi per quello che avevo scritto su La Bussola Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori (anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro pubblicamente alcune spiegazioni.

1. Io non ho scritto contro Enzo Bianchi come persona ma contro la sua “fama di santità”, ossia contro la presentazione che se ne fa come di un vero mistico, di un autorevole interprete della Scrittura, di un venerato maestro di dottrina cristiana, di un eroico combattente per la riforma della Chiesa e per l’ecumenismo. Io vorrei invece richiamare l’attenzione di chi ha responsabilità pastorale sul fatto che i suoi scritti e i suoi discorsi – che certa stampa utilizza come se potessero essere dei validi sussidi per la catechesi ― sono inficiati di un’ideologia neognostica, incentrata sul progetto di una religione universale a carattere etico (la
Welthethik), secondo la prospettiva del suo autore di riferimento, che è Hans Küng.

2. Per questo preciso motivo ho deprecato lo spazio e il rilievo che il Suo giornale ha dato a una meditazione biblica di Bianchi, pubblicandola in un paginone a colori di “Agorà” della domenica. Io l’ho visto distribuito in alcune chiese di Roma assieme ai foglietti della Messa, e mi è sembrato assurdo che quel commento di Bianchi al Vangelo della prima domenica di Quaresima fosse presentato ai fedeli quasi come un sussidio per la pastorale liturgica. Quale approfondimento della dottrina cristiana e quale edificazione nella fede eucaristica – mi domandavano – possono venire da discorsi che presentano Gesù come un modello (umano) di quella morale umanitaria che ritiene di poter prescindere dalla grazia del Redentore? Il mondo è pieno di gente che parla di Gesù in termini che sono più propri dell’umanesimo ateo che del dogma cattolico: non è questo che mi turbava: mi turbava i fatto che ancora una volta fosse presentato come un autorevole maestro della fede, con l’autorevolezza che può conferire il “giornale dei vescovi italiani”, un personaggio che, a mio avviso, la vera fede non contribuisce affatto a diffonderla. Non si tratta di un problema personale o ideologico, ma di un problema esclusivamente pastorale, e io come sacerdote lo considero l’unico problema importante.


3. Lei, Direttore, non ha ragione quando scrive che io avrei potuto criticare Bianchi o altri collaboratori di Avvenire «su ciò che è opinabile: valutazioni storiche e socio-culturali, opinioni artistiche, scelte lessicali, giudizi politici…», mentre invece mi sarei «azzardato» a «porre in dubbio la fede altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica su ciò che è opinabile non è». Lei non ha ragione perché io critico appunto il modo di commentare il Vangelo in un giornale ufficialmente cattolico, e in questa materia nella Chiesa c’è sempre stata e sempre ci sarà il diritto di critica (la teologia cattolica e lo stesso dogma nascono dal confronto critico con i diversi modi di presentare il contenuto della rivelazione divina). Ciò che per un cattolico «opinabile non è» è solo il dogma enunciato dalla Chiesa con il suo magistero solenne. Le interpretazioni del dogma e la sua presentazione catechetica, così come le scelte pastorali, sono invece materia di libera discussione. Non c’è nulla di criminoso e di vergognoso nel fatto di aver voluto manifestare la mia opinione circa l’inopportunità pastorale di presentare alla meditazione dei fedeli dei discorsi, come quelli di Bianchi, così ambigui rispetto al dogma cattolico. Da quando è diventato «indiscutibile» il fatto dell’«adesione alla buona dottrina cattolica» da parte dei collaboratori dell’
Avvenire? Basta la parola del Direttore? È un nuovo caso di «Roma locuta, quaestio finita»?

4. Nel fare quei rilievi dottrinali e pastorali, peraltro, io non ho minimamente voluto «porre in dubbio la fede altrui», cioè di Enzo Bianchi. Sembra che Lei, dottor Tarquinio, non abbia presente la fondamentale distinzione tra la fede come
atto interiore del soggetto che aderisce con tutto se stesso a Cristo e alla sua dottrina (e di questo atto interiore è consapevole solo il soggetto stesso) e la fede come enunciazione esteriore (professione di fede, proclamazione della fede, catechesi, evangelizzazione, teologia); io so bene di non dover giudicare la sincerità e la fermezza della fede degli altri (della coscienza di ciascuno di noi è giudice solo Dio, il quale «scruta i reni e il cuore» degli uomini), ma so anche che ho il dovere di giudicare la rispondenza di un discorso sul Vangelo alle verità fondamentali contenute nella dottrina della Chiesa: è un dovere che in primis spetta al collegio episcopale, con a capo il Papa, ma spetta, per partecipazione sacramentale, anche a un semplice sacerdote come me, impegnato da sempre nella formazione cristiana dei fedeli con il mio lavoro pastorale e con la docenza nell’«Università del Papa». Certo, il mio giudizio – di approvazione o di critica – è soggetto a errore dal punto di vista dottrinale, e anche dal punto di vista della prassi può risultare meno opportuno o conveniente: ma è pur sempre un atto legittimo, anzi doveroso, quando uno come me ritiene in coscienza che il bene comune della comunità ecclesiale lo richieda.

5. Lei scrive che il mio è «un testo feroce, nel quale si procede con metodi degni della peggiore “disinformatsja”: estrapolando frasi, selezionando concetti, amputando verità, distillando veleni». In realtà, le frasi dello scritto di Bianchi che ho citato sono testuali, e in un breve scritto non potevo certamente riprodurre tutto il testo pubblicato nel paginone di
Avvenire (chi no crede alla sintesi che io ho fatto potrà confrontarla con l’originale); sono però frasi emblematiche, che nemmeno il contesto può contribuire a “salvare” (anzi, a me sembra che tutto il discorso che Bianchi fa sul potere e sul denaro ha senso solo presupponendo che Gesù sia solo un modello morale, un uomo esemplare). Nessuno scrittore dei primi secoli, nessun letterato cristiano moderno, nessun teologo intenzionato a rispettare il dogma si è mai sognato di parlare di Gesù come di una «creatura», di un uomo cioè che insegna agli altri uomini come si deve rispettare Dio, che è il Creatore. Bianchi è un biblista: ma dove mai si trova nella Bibbia la definizione di Gesù come «creatura»? Che cosa avranno pensato quei fedeli che hanno letto il testo di Bianchi sull’Avvenire e poi a Messa hanno recitano il Credo, dicendo di Gesù che Egli è «Dio da Dio» e che è «generato, non creato»? Devono pensare che la professione di fede della Chiesa è una formula antiquata e che è meglio credere alle spiegazioni moderne e aggiornate di Bianchi? Questo è il vero problema: un problema che interessa necessariamente chi ha sensibilità pastorale e si sente responsabile dei messaggi dottrinali che vengono proposti da personaggi che (non sempre meritatamente) godono di credito presso i fedeli, soprattutto se sono veicolati dalla stampa che si presenta come la voce (almeno ufficiosa) della Chiesa italiana.


  GRAZIE MONS. LIVI GRAZIE DI CUORE....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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