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Il latino è ancora vivo: a 50 anni dalla Costituzione apostolica Veterum Sapientia

Ultimo Aggiornamento: 12/11/2012 17:58
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26/10/2012 14:09
 
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5. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha scoraggiato l'uso del latino?

Non è così. Appena prima di aprire il Concilio, il beato Papa Giovanni XXIII nel 1962
scrisse una Costituzione Apostolica per insistere sull' uso del latino nella Chiesa. Il Concilio
Ecumenico Vaticano II, sebbene abbia ammesso una certa introduzione della lingua
volgare, insistette sul posto del latino: «L'uso della lingua latina, salvo il diritto particolare,
sia conservato nei Riti Latini» (12). Il Concilio richiese anche ai seminaristi di «[...]
acquistarsi quella conoscenza della lingua latina che è necessaria per comprendere le fonti
di tante scienze e i documenti della Chiesa e per potersene servire» (13). Il Codice di Diritto
Canonico, pubblicato nel 1983, decreta: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua
latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati» (14).
Quindi sbagliano quanti vogliono dare l'impressione che la Chiesa abbia voluto togliere il
latino dalla liturgia. Una manifestazione dell'accettazione della liturgia latina ben celebrata
da parte delle persone si è avuta a livello mondiale nell' aprile del 2005, quando milioni di
persone seguirono in televisione le esequie del servo di Dio Papa Giovanni Paolo II e, due
settimane dopo, la Messa d'insediamento di Papa Benedetto XVI.
E’ importante il fatto che i giovani accettino volentieri la Messa celebrata a volte in latino.
Certo i problemi non mancano. Vi sono anche malintesi o approcci sbagliati da parte dei
sacerdoti sull' uso del latino. Ma per meglio centrare la questione, è necessario prima
esaminare l'uso del volgare oggi nella liturgia di Rito Romano.

6. La lingua volgare. Introduzione, diffusione, condizioni

Dopo la parziale esperienza acquisita in alcuni paesi negli anni precedenti, già il 5 e 6
dicembre 1962, dopo lunghi dibattiti a volte molto accesi, i Padri del Concilio Ecumenico
Vaticano II adottarono il principio secondo il quale l'uso della madrelingua, nella Messa o in
altre parti della liturgia, poteva essere spesso vantaggioso per le persone. L'anno
seguente il Concilio votò l' applicazione di questo principio alla Messa, al Rituale e alla
Liturgia delle Ore (15).
Seguì poi un uso più esteso del volgare. Ma come se i Padri del Concilio avessero previstola
possibilità che il latino perdesse sempre più terreno, insistettero perché il latino fosse
mantenuto.
L'articolo 36 della Costituzione sulla sacra Liturgia, già citato, comincia con il decretare che
«l'uso della lingua latina, salvo il diritto particolare, sia conservato nei Riti Latini». Gli articoli
54 e 101 dettavano i passi da seguire: «Si abbia cura [ ... ] che i fedeli sappiano recitare o
cantare insieme, anche in latino, le parti dell'Ordinario della Messa che spettano ad essi» (16);
e «Secondo la secolare tradizione del Rito Latino, per i chierici sia conservata nell'Ufficio
Divino la lingua latina» (17).

Ma, pur stabilendo dei limiti, i Padri del Concilio anticiparono la possibilità di un uso più
esteso del volgare. L' articolo 54, infatti, aggiunge: «Se poi in qualche luogo sembrasse
opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella Messa, si osservi quanto prescrive
l'articolo 40 di questa Costituzione» (18). L'articolo 40 dà direttive sul ruolo delle
Conferenze Episcopali e della Sede Apostolica su una materia così delicata. Il volgare era
stato introdotto. Il resto è storia. Gli sviluppi furono così rapidi che alcuni chierici, religiosi
e fedeli laici oggi non sono consapevoli del fatto che il Concilio Ecumenico Vaticano II non
introdusse la lingua volgare in tutte le parti della liturgia.
Richieste ed estensioni dell'uso del volgare non si fecero attendere. Su urgente richiesta
di alcune Conferenze Episcopali, Papa Paolo VI prima autorizzò la celebrazione del Prefazio
della Messa in volgare (11), poi dell'intero Canone e delle Preghiere di Ordinazione nel
1967.
Infine, il 14 giugno 1971, la Congregazione per il Culto Divino mandò una
comunicazione in cui si affermava che le Conferenze Episcopali potevano autorizzare l'uso
del volgare in tutti i testi della Messa, e ogni ordinario poteva dare la stessa autorizzazione
per la celebrazione corale o privata della Liturgia delle Ore (20).
Le ragioni dell' introduzione della madrelingua non sono difficili da ricercare. Essa
promuove una miglior comprensione di quel che la Chiesa prega, poiché «la Madre Chiesa
desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva
partecipazione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura della stessa liturgia e
alla quale il popolo cristiano [ ... ] ha diritto e dovere in forza del battesimo» (21).
Nello stesso tempo non è difficile immaginare quanto sia complicato e delicato il lavoro di
traduzione. Ancora più difficile è la questione dell' adattamento e dell' inculturazione,
specialmente quando pensiamo alla sacralità della liturgia, alla tradizione secolare del Rito
Latino e allo stretto legame fra fede e culto riscontrabile nell' antica formula: lex orandi lex
credendi.
Passiamo ora alla questione spinosa delle traduzioni in volgare della liturgia.

7. Le traduzioni in volgare

La traduzione di testi liturgici dall'originale latino nelle varie lingue volgare è un elemento
molto importante nella vita di preghiera della Chiesa. Non è una questione di preghiera
privata, ma di preghiera pubblica offerta dalla santa Madre Chiesa, che ha il suo Capo in
Cristo. I testi latini sono stati preparati con grande cura per la dottrina, per un'esatta
formulazione, «[ ... ] immuni da qualsiasi pregiudizio ideologico e del resto ricchi di quelle
caratteristiche mediante le quali vengono trasmessi con efficacia nell'orazione attraverso il
linguaggio i sacri misteri della salvezza e l'indefettibile fede della Chiesa ed è reso a Dio
Altissimo un culto degno» (22). Le parole usate nella sacra liturgia manifestano la fede della
Chiesa e sono guidate da essa. La Chiesa pertanto necessita di una gran cura nel dirigere,
preparare e approvare le traduzioni, in modo che neanche una parola inappropriata possa
essere inserita nella liturgia da un individuo che abbia uno scopo personale o che
semplicemente non sia consapevole della serietà dei riti.
Pertanto le traduzioni dovrebbero essere fedeli al testo originale latino. Non dovrebbero
essere libere composizioni. Come ribadisce l'Instructio «Liturgiam authenticam», il principale
documento della Santa Sede che fornisce direttive sulle traduzioni, «[...] la traduzione dei
testi liturgici della liturgia romana non sia un'opera di innovazione creativa quanto piuttosto
la trasposizionefiedele e accurata dei testi originali in lingua vernacola» (23).

Il genio del Rito Latino dovrebbe essere rispettato. La triplice ripetizione è una delle sue
caratteristiche. Alcuni esempi sono: «mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa»;
«Kyrie Eleison, Christe eleison, Kyrie eleison», «Agnus Dei qui tollis ... », tre volte. Un
attento studio del Gloria in Excelsis Deo mostra anch'esso una triplice ripetizione. Le
traduzioni non dovrebbero eliminare o appiattire tale caratteristica.

La liturgia latina esprime non solo fatti ma anche sentimenti, sensazioni, per esempio di
fronte alla trascendenza di Dio, alla sua maestà, alla sua misericordia e al suo amore infinito
(24). Espressioni come «Te igitur, clementissime Pater», «Supplices te rogamus»,
«Propitius e-sto», «veneremur cernui», «Omnipotens etmisericors Dominus», «nos servi
tui», non dovrebbero essere sgonfiate o democratizzate da una traduzione iconoclasta.
Alcune di queste espressioni latine sono difficili da tradurre. Sono necessari i migliori esperti
di liturgia, di lingue classiche, di patrologia, di teologia, di spiritualità, di musica e di letteratura
in modo da elaborare traduzioni che risultino belle sulle labbra della santa Madre Chiesa.
Le traduzioni dovrebbero riflettere reverenza, gratitudine e adorazione davanti alla maestà
trascendente di Dio e alla fame dell'uomo di Dio, che sono molto chiare nei testi latini. Papa
Benedetto XVI, nel suo Messaggio allariunione del Comitato Vox Clara per la traduzione dei
testi latini in inglese del 9 novembre 2005, parla di traduzioni che «[...] riusciranno a
trasmettere i tesori della fede e la tradizione liturgica nel contesto specificodi una
celebrazione eucaristica devota e riverente» (25).

Molti testi liturgici sono ricchi di espressioni bibliche, segni e simboli. Essi possiedono
modelli di preghiera che risalgono ai Salmi. Il traduttore non lo può ignorare.
Una lingua parlata oggi da milioni di persone avrà senza dubbio molte sfumature e
variazioni. Vi è una differenza fra l'inglese usato nella Costituzione di un paese, quello
parlato dal presidente di una Repubblica, la lingua convenzionale dei lavoratori del
porto o quella degli studenti o la conversazione fra genitori e bambini. Il modo di
esprimersi non può essere lo stesso in tutte queste situazioni, anche se tutti usano l'inglese.
Quale forma dovrebbero adottare le traduzioni liturgiche? Senza dubbio il volgare liturgico
dovrebbe essere intelligibile e facile da proclamare e da capire. Allo stesso tempo dovrebbe
essere dignitoso, sobrio, stabile e non soggetto a cambiamenti frequenti. Non si dovrebbe
esitare a usare alcune parole non generalmente usate nel linguaggio quotidiano, o parole
che sono associate alla fede e al culto cattolico. Pertanto si dovrebbe dire «calice» e non
semplicemente «coppa», «patena» e non «piatto», «ciborio» e non», «recipiente»
«sacerdote» e non «celebrante», «ostia sacra» e non «pane consacrato», «abito» e non
«vestito». Pertanto l'Instructio «Liturgiam authenticam» afferma: «Poiché conviene che la
traduzione trasmetta il tesoro perenne di orazioni tramite un linguaggio comprensibile nel
contesto culturale a cui è destinata, [...] non c'è da meravigliarsi se può differire alquanto
dal linguaggio ordinario» (26).

L' intelligibilità non dovrebbe voler dire che ogni parola dev'essere capita da tutti
immediatamente. Guardiamo attentamente al Credo. È un «simbolo», una dichiarazione
solenne che riassume la nostra fede. La Chiesa ha dovuto convocare alcuni Concili
Generali per un'esatta formulazione di alcuni articoli della nostra fede. Non tutti i cattolici
a Messa capiscono immediatamente e appieno alcune espressioni liturgiche cattoliche quali
Incarnazione, Creazione, Passione, Risurrezione, «consustanziale», «che procede dal Padre
e dal Figlio», Transustanziazione, Presenza Reale e «Dio onnipotente». Questa non è
una questione d'inglese, di francese, d'italiano, di hindi o di swahili. I traduttori non
dovrebbero diventare iconoclasti che distruggono o danneggiano man mano che traducono.
Non tutto può essere spiegato durante la liturgia.

La liturgia non esaurisce l'intera
azione della Chiesa (27. Vi è bisogno anche di teologia, di catechesi e di predicazione.
E,
anche quando si offre una buona catechesi, un mistero della nostra fede rimane un mistero.
In realtà possiamo dire che la cosa più importante nel culto divino non è quella di
capire ogni parola o concetto. No. La considerazione più importante è che ci troviamo in un
atteggiamento di reverenza e di timore di fronte a Dio, che adoriamo, lodiamo e
ringraziamo. Il sacro, le cose di Dio, vanno affrontate senza idee preconcette.
Nella preghiera la lingua è prima di tutto un contatto con Dio. Senza dubbio la lingua
serve anche per una comunicazione intelligibile fra esseri umani. Ma il contatto con Dio
ha la priorità. Nella mistica tale contatto con Dio si avvicina all'ineffabile e a volte lo
raggiunge: allora si dà il silenzio mistico dove cessa il linguaggio.
Non sorprende dunque che il linguaggio liturgico differisca in qualche modo dal nostro
linguaggio quotidiano. Il linguaggio liturgico cerca di esprimere la preghiera cristiana nella
quale si celebrano i misteri di Cristo.

Allo scopo di riunire i vari elementi necessari per produrre buone traduzioni liturgiche,
permettetemi di citare il discorso del servo di Dio Papa Giovanni Paolo II ai vescovi
americani provenienti dalla California, dal Nevada e dalle Hawaii durante la loro visita a
Roma nel 1993. Il Papa chiedeva a loro di preservare tutta l'integrità dottrinale e la bellezza
dei testi originali. « Una delle vostre responsabilità a questo proposito [ ... ] è quella di
fornire traduzioni esatte e appropriate dei testi liturgici ufficiali cosicché, subendo la
necessaria revisione e ottenendo l'approvazione della Santa Sede, possano essere
strumento e garanzia di un'autentica condivisione del mistero di Cristo e della Chiesa: lex
orandi, lex credendi. Il difficile compito della traduzione deve tutelare la piena integrità dottrinale
e, secondo lo spirito di ogni lingua, la bellezza dei testi originali. Poiché tante
persone hanno sete del Dio vivente — la cui maestà e misericordia sono al centro della
preghiera liturgica — la Chiesa deve rispondere con un linguaggio di lode e di culto che
promuova il rispetto e la gratitudine per la grandezza, la compassione e la potenza di Dio.
Quando i fedeli si riuniscono per celebrare l'opera della nostra Redenzione, il linguaggio
della loro preghiera — libero da ambiguità dottrinali e influenze teologiche — dovrebbe
promuovere la dignità e la bellezza della celebrazione stessa, esprimendofedelmente la fede
e l'unità della Chiesa » (28).
Da queste considerazioni consegue che la Chiesa deve esercitare un' attenta
sorveglianza sulle traduzioni liturgiche. La responsabilità per la traduzione dei testi spetta
alla Conferenza Episcopale, che sottopone le traduzioni alla Santa Sede per la necessaria
recognitio, «revisione» (29).
Ne consegue che nessun individuo, nemmeno un sacerdote o un diacono, ha l' autorità
di cambiare la dizione approvata nella sacra liturgia. Questo è anche buon senso. Ma a
volte notiamo che il buon senso non è molto diffuso. Perciò l'Istruzione «Redemptionis
sacramentum» ha dovuto dire espressamente: «Sipongafine al riprovevole uso con il
quale i Sacerdoti, i Diaconi o anche i fedeli mutano e alterano a proprio arbitrio qua e là i
testi della sacra Liturgia da essi pronunciati. Così facendo, infatti, rendono instabile la
celebrazione della sacra Liturgia e non di rado ne alterano il senso autentico (30).

  continua..........


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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