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Sacerdoti, riscopriamo insieme l'uso degli ABITI LITURGICI e della stessa LITURGIA SACRA (2)

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2014 09:08
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18/04/2012 17:38
 
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Lo sapevate che abbiamo da imparare dagli anglicani?

Ho appena letto su Cantuale antonianum un articolo del 2009. Intanto il titolo: La celebrazione cattolica secondo l'uso anglicano. Se si può applicare il termine "ossimoro" ad una frase, mi sembra questo il caso...

Viene riportato un video, purtroppo ora non più visibile, girato nella comunità parrocchiale "di punta" del cosiddetto "Anglican Use", cioè quel particolare rito degli ex anglicani già tornati in comunione con la sede di Roma, con la notazione che, rivisto e adattato, il rito cattolico dell'anglican use è oggi contenuto nel Book of Divine Worship (Libro del Culto Divino), che - secondo il card. Levada - costituirà la base solida della "variante" del rito latino che caratterizzerà gli anglicani di ritorno.

E quindi risulta che abbiamo un rito romano-anglicano, le cui principali caratteristiche sono:
  1. Celebrazione fortemente bipartita tra liturgia della Parola e liturgia Sacrificale, il cui spartiacque è segnato dal cambio delle vesti del celebrante all'offertorio.
  2. La lingua è l'inglese liturgico, non quello banale della quotidianità, ma un linguaggio aulico.
  3. Il canto è tipicamente anglicano, corale, ma non mancano le antifone proprie, cantate in inglese dal Coro su toni gregoriani.
  4. Tutto l'ordinario è cantato in inglese e anche dal popolo.
  5. I ministri (sacerdote, diacono e suddiacono: loro non hanno avuto la mannaia di Paolo VI sugli ordini minori) sono rivolti versus Dominum.
  6. Sede della celebrazione il sanctuary, cioèil presbiterio, delimitato dal rod screen: una sorta di iconostasi aperta, molto tipica, che è più di una balaustra (ancor più visibile nell'immagine sotto).
  7. Il Vangelo viene proclamato, secondo l'uso della Chiesa d'Inghilterra, al centro dell'assemblea.
  8. I chierichetti e il popolo si inginocchiano molto spesso, anche durante le particolari preghiere di richiesta di perdono che precedono la liturgia eucaristica propriamente detta.
  9. Notevole il ricevere la comunione in ginocchio alla balaustra, ma sotto le due specie, modalità è tipica anche dei luterani, che in realtà è il modo comune di ricevere la comunione della chiesa alto medievale.
  10. Molti altri aspetti sono retaggio del rito romano più antico, che non sono stati abbandonati dalla High Church anglicana o almeno li ha riscoperti grazie al movimento di Oxford (il canto dei ministri, l'incenso, le campane, le luci, le genuflessioni e il clima di composta e insieme solenne devozione...).
Dal Blog New Liturgical Movement ho tratto una suggestiva immagine del presbiterio anglicano e del loro ambiente e stile liturgici.

Quindi Cantuale auspica: speriamo che questo rito "di nicchia" possa essere conosciuto, e ora diffondersi ad altri gruppi anglicani che arrivano alla comunione con il Papa.

Ma l'auspicio più sorprendente è questo (come se non esistesse il Rito Romano da cui imparare): E perchè no, chissà che possa contagiare e fare del bene anche alla celebrazione di tante parrocchie di normale rito romano moderno, esercitando una sana "attrazione gravitazionale".

Insomma, si riconosce che la Chiesa cattolica ha da imparare dagli anglicani... e purtroppo non è uno scherzo!
 
 
_____________________________________
[ Fonte: Cantuale antonianum]
 
***
 
 
( [SM=g1740733] ci suona come un paradosso, cari Sacerdoti, ma.... guardando bene come avete ridotto le Messe della Domenica in Parrocchia, c'è proprio da augurarsi che gli Anglicani, tornati nella comunione con Roma, abbiano da insegnarvi come si celebra....)
 
[SM=g1740763]

e ancora....


Venerdi, 8 Giugno 2012

A Messa ci sia più Gesù e meno convivialità


La festa del Corpus Domini, che celebra la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, è occasione per riflettere sul senso della partecipazione alla Messa. Recentemente ho letto alcune opere dell'allora Cardinale Ratzinger sulla liturgia. Le percorre un’idea di fondo: l'incontro con Cristo durante celebrazione.
La stessa questione dell'orientamento dell'altare e dell'assemblea celebrante, alla quale Ratzinger dedicò alcune riflessioni che suscitarono una certa polemica, quasi che il futuro Papa indicasse la necessità di ritornare a celebrare con le spalle rivolte al popolo come prima del Vaticano II, nasce proprio dall'esigenza di affermare con forza quell’idea.
La celebrazione liturgica non può essere considerata solo l’incontro conviviale della comunità cristiana: il riferimento fondamentale della comunità che celebra è il Risorto. Tutti gli attori della celebrazione liturgica sono perciò rivolti a Lui, a Lui guardano, verso di Lui camminano, in forza della Sua presenza si incontrano, grazie a Lui fanno comunione.


Queste indicazioni sul significato profondo della liturgia che spesso Benedetto XVI ripete possono invitare le nostre comunità ad affrontare con maggior impegno il tema del rapporto tra dimensione orizzontale e dimensione verticale nella celebrazione.
(..)
Le nostre Messe domenicali sono momenti di festa gioiosi, dove la convivialità – lo scambio tra le differenti articolazioni della comunità – si può davvero toccare con mano. Questo aspetto è un arricchimento che il Concilio ha portato nella liturgia: tuttavia esso troppe volte cammina di pari passo con l'impoverimento della dimensione verticale. Tanto che, assistendo a certe celebrazioni, viene spontaneo domandarsi se l'assemblea liturgica abbia davvero coscienza di essere alla presenza di Dio: sa di essersi radunata a celebrare perché convocata da Dio, non solo per incontrare gli altri componenti della comunità, ma prima di tutto per incontrare il Risorto? [SM=g1740733]

Questa è una questione fondamentale delle liturgie oggi. Che si traduce in atteggiamenti. Un esempio è lo stacco radicale tra la celebrazione, il suo prima e il suo dopo. Si entra in chiesa chiacchierando e si continua a farlo: prima della Messa la chiesa sembra un cantiere di lavoro e subito dopo il canto finale diventa una piazza. Cristo è realmente presente in chiesa, nel tabernacolo, nel segno del pane eucaristico, anche prima e dopo la celebrazione: che ne abbiamo fatto della sacralità del luogo dove si raduna l’assemblea attorno a questa Presenza?

Per non parlare poi della “creatività” liturgica, che spesso diventa la giustificazione e il contenitore di insopportabili soggettivismi dei vari attori della liturgia. A volte c'è addiritura il rischio che qualche prete, faccia della Messa non il palcoscenico di Dio, ma il proprio, personalissimo palcoscenico, amplificando a dismisura i propri spazi (compreso quello dell'omelia), esasperando la propria presenza e vanificando in questo modo il ministero importante e delicato della presidenza della celebrazione liturgica.
Ricordo con una certa angoscia alcune Messe ai campi estivi nei miei primi anni di sacerdozio dove c’era di tutto e di più. La sobrietà e la verità del rito venivano puntualmente violate dall’aggiunta di ritualismi artificiosi a dir poco banali, sceneggiate oltretutto malfatte. Già, perché l’idea era e spesso è ancora, che “partecipare” vuol dire fare a tutti i costi qualcosa… e via che si moltiplicano i gesti, le parole, gli oggetti che si sovrappongono al rito. “Partecipare”, nella celebrazione, significa anzitutto accogliere un dono, mettersi in ascolto, dire non le parole nostre, ma le parole di Dio e quelle che da secoli dice la comunità dei credenti.

Sandro Vigani
Tratto da GENTE VENETA, n.23/2012

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[SM=g1740733] 
Riporre il Santissimo sull'altare maggiore
 
da Cordialiter.....

[Brano tratto dal discorso pronunciato il 12-10-2005 dal Cardinale Janis Pujats al Sinodo dei Vescovi sull'Eucarestia]
 
Nelle chiese parrocchiali, luogo particolarmente adatto (sul presbiterio) per il Santissimo è l’altare maggiore che ospita il tabernacolo. In questo caso, l’altare maggiore con il suo retablo è veramente il trono di Cristo Re ed attrae a sé gli occhi di tutti coloro che sono in chiesa. La presenza del Santissimo nell’area principale della chiesa dà ai fedeli l’occasione di adorare Dio anche al di fuori del sacrificio della Messa (ad esempio nell’intervallo di tempo tra gli uffici divini).
Essi vengono infatti in chiesa per pregare, non per conversare. Prima della Comunione, è compito dei sacerdoti invitare i fedeli alla confessione individuale dei peccati. Il luogo migliore per la confessione dei fedeli è il confessionale, collocato in chiesa e costruito con una grata fissa tra il confessore e il penitente. Nella misura in cui è possibile, i sacerdoti devono favorire le condizioni affinché i fedeli accedano alla Penitenza: se infatti gli uomini vivono e muoiono nei peccati, è vano ogni altro sforzo pastorale.
È opportuno riservare ogni giorno un tempo alla confessione, in ore prestabilite, in particolare prima della Messa. Se vogliamo veramente rinnovare la vita spirituale del popolo, ci è consentito lasciare il confessionale solo dopo che l’ultimo penitente ha ricevuto il perdono. [...]
In generale, occorre eliminare l’abuso di accedere alla Comunione senza il sacramento della Penitenza. Nel passato, vi era l’abitudine, durante la Messa, di andare in processione alla Comunione, ma col passare del tempo questa prassi fu giustamente respinta per un motivo pastorale. Come sappiamo, in chiesa il popolo ha un comportamento collettivo: tutti rispondono alle parole del sacerdote, tutti, seduti, ascoltano le letture della Sacra Scrittura, tutti stanno in piedi per il Vangelo, tutti si inginocchiano alla consacrazione e, (cosa che ci addolora!), tutti si alzano per partecipare in processione alla Comunione - tra questi anche il fariseo e il pubblicano, il penitente e il non penitente.
I singoli fedeli hanno timore di astenersi da questa processione, poiché in tal modo si espongono pubblicamente come indegni. Questa è la causa per cui questo abuso è prevalso così presto. Che cosa occorre fare? Bisogna rinnovare la consuetudine di accedere individualmente alla Comunione per preservare la libertà di coscienza. La Messa è un’azione comune, ma la Comunione rimanga individuale.



ALL'UDIENZA DI QUESTO MERCOLEDI' 27.6.2012 IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI RITORNA SULL'IMPORTANZA DEL METTERSI IN GINOCCHIO....

La seconda indicazione è la prostrazione, il «piegarsi di ogni ginocchio» nella terra e nei cieli, che richiama un’espressione del Profeta Isaia, dove indica l’adorazione che tutte le creature devono a Dio (cfr 45,23). La genuflessione davanti al Santissimo Sacramento o il mettersi in ginocchio nella preghiera esprimono proprio l’atteggiamento di adorazione di fronte a Dio, anche con il corpo. Da qui l’importanza di compiere questo gesto non per abitudine e in fretta, ma con profonda consapevolezza. Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che è Lui l’unico Signore della nostra vita.

Cari fratelli e sorelle, nella nostra preghiera fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione più spesso davanti all’Eucaristia, per far entrare la nostra vita nell’amore di Dio, che si è abbassato con umiltà per elevarci fino a Lui.

[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 27/06/2012 14:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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