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Per l'incidente in Svizzera.... sono davvero indispensabili i psicologi, oppure....?

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2012 19:46
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I genitori e la strage dei bambini

Nel terribile incidente sull'autostrada svizzera sono morti 22 bambini al ritorno da una gita. Per capire come affrontare un dolore così immenso abbiamo sentito due esperti.

L'incidente del pullman in Svizzera: il parere dello psicoterapeuta Gigi Cortesi

14/03/2012
Il pullman dopo lo schianto nella galleria svizzera (Reuters).
Il pullman dopo lo schianto nella galleria svizzera (Reuters).

È il peggior incidente stradale in Svizzera negli ultimi tre decenni. Avevano solo 12 anni, studenti di due cittadine delle Fiandre. Nel pullman che si è schiantato martedì 13 alle 21.15 contro la parete di una galleria dell'autostrada, poco dopo la partenza, nel cantone del Vallese, in direzione di Sion, sono morte 28 persone. Fra di loro, 22 bambini. Tornavano a casa in Belgio dopo una settimana bianca in Svizzera. Altri 24 sono ricoverati in ospedale, alcuni lottano fra la vita e la morte. Colpo di sonno dell'autista e alta velocità la causa più probabile.

Lo psicologo e psicoterapeuta Gigi Cortesi.
Lo psicologo e psicoterapeuta Gigi Cortesi.

Sul pullman viaggiavano 52 persone, in gran parte studenti dodicenni delle cittadine di Lommel e Heverlee, nelle Fiandre. Le autorità svizzere hanno immediatamente inviato, come squadre di “pronto soccorso”, anche alcuni psicologi per assistere i piccoli sopravvissuti e le loro famiglie. Per capire quello che in questi casi possono fare gli esperti, abbiamo parlato con Gigi Cortesi, psicologo e psicoterapeuta di Bergamo, che da oltre 30 anni svolge la sua attività clinica nel campo della psicologia sistemico-familiare, autore del blog http://gigicortesi.wordpress.com/

Il dolore dei parenti alla scuola cattolica Saint Lambertus a  Heverlee, in Belgio.
Il dolore dei parenti alla scuola cattolica Saint Lambertus a Heverlee, in Belgio.

Ai bambini rientrati stamani in Belgio e ai loro genitori è stata proposta un'assistenza psicologica. È esattamente ciò che serve in questi casi?
Rispondo da psicoterapeuta sistemico-relazionale: chi fa la richiesta d'intervento è il portatore del problema, anche quando – come di solito avviene - la richiesta viene fatta per qualcun altro. Quindi prima considerazione che viene da fare in casi come questi è la seguente: il portatore del problema è lo Stato, che non sapendo che fare chiede l'aiuto dello psicologo. Qui si aprirebbe un lungo discorso sul fondamento e sulla ragioni dello Stato laicista, che, fondandosi sulla promessa del benessere, della felicità, della sicurezza, si trova spiazzato dalla irruzione della morte (come in questo caso), o della grande calamità naturale: si trova spiazzato perché rivela la banalità e la inconsistenza delle proprie promesse di felicità e benessere (non a caso la notizia dell'intervento degli psicologi è accompagnata dalla affermazione che tutto il resto era sotto controllo: il pullman efficiente, la presenza dei due autisti, gli orari di guida rispettati ecc.). Lo stato laicista si trova ancora più drammaticamente spiazzato di fronte alla morte dell'innocente (come in questo caso), che è evento capace di mettere in crisi perfino la fede in Dio (non a caso è interrogativo principe della Teodicea), figuriamoci quella nello Stato.

Il primo ministro Elio Di Rupo (a sinistra) con il re del belgio  Alberto II e la regina Paola al loro arrivo in un aeroporto militare  belga per incontrare i parenti dei bambini (Reuters).
Il primo ministro Elio Di Rupo (a sinistra) con il re del belgio Alberto II e la regina Paola al loro arrivo in un aeroporto militare belga per incontrare i parenti dei bambini (Reuters).

Come dire che è lo Stato in questo caso a essere portatore del problema e ad avere bisogno dell'intervento dello psicologo?
Sì, lo Stato si mette a posto la coscienza (ammesso che ne abbia una), come a dire: ho fatto tutto quello che potevo, ho dato anche lo psicologo. Così facendo, lo Stato definisce lo psicologo e il suo intervento come un “anche” che garantisce lo Stato. L'Ordine degli Psicologi dovrebbe – con estrema forza - ribellarsi a tale manipolazione della identità dello psicologo e della natura dell'intervento psicologico; purtroppo la politicizzazione degli ordini professioonali e l'uso politico che spesso molti responsabili dell'ordine fanno della loro carica rende del tutto improbabile ogni denuncia. Lo Stato laicista si fonda in gran parte sulla negazione o sulla rimozione della morte, per cui quando la morte non può – come in questo caso – essere negata o rimossa si cerca di dirottarla e lo “psicologo” diventa per lo Stato un ottimo aeroporto di dirottamento.

(Reuters)
(Reuters)


Nel caso specifico di questa tragedia della strada in Svizzera, nella quale sono morte 28 persone tra le quali 22 bambini, come spesso accade non sono stati i genitori a richiedere l'intervento degli psicologi...

   «Esatto, e già questo fatto inficia la possibilità dell'efficacia dell'intervento, anche quando questo venga poi accettato: c'è sempre un “poi” con cui dovere fare i conti».


Poniamoci ora nella posizione – corretta – che sia un genitore o, meglio, una coppia di genitori a chiedere aiuto psicologico, di propria iniziativa...

   «Prima cosa: direi loro di non rivolgersi a uno “psicologo”, bensì a uno “psicoterapeuta”, che è l'unico a potere avviare un efficace intervento clinico (lo Stato e gli ordini troppo politicizzati hanno invece interesse a mantenere o a lasciare attivo l'equivoco tra psicologo e psicoterapeuta)».

Per stare a questa spaventosa tragedia che ha colpito 22 famiglie, rimane la necessità di guardare la realtà in faccia, di vedere che il loro figlio è morto e se ne è andato per sempre...

   «Difatti la prima reazione di fronte a una perdita o a un trauma è la negazione della realtà, la negazione del fatto, cosa questa molto pericolosa perché può sganciare il genitore dalla realtà (non a caso molti genitori reagiscono alla morte di un figlio buttandosi in fedi magiche, credendo a forme magiche di comunicazione con i morti, a modalità new age di fede nella reincarnazione ecc., tutte modalità più o meno aperte di negazione della morte). Non vedere che il figlio è morto impedisce al genitore sia come individuo che come coppia di crescere (e crescere è l'unico modo di restare fedeli a sé stessi). Anche se sembra un paradosso, la morte del figlio può e deve essere una crescita dei genitori».

(Reuters)
(Reuters)


Come fare elaborare tutto questo?

   «Cercando di spigare questo: che il figlio “se ne dovesse andare”, era nella natura delle cose. Purtroppo il suo “andarsene” è nel segno paralizzante della morte, ma è il “suo” modo di andarsene e come tale va rispettato. Il figlio ha diritto alla morte. I genitori non fanno figli che possano sfuggire alla morte. Questo terzo momento non è certo un punto facile, perché fa da cerniera tra il bisogno di negare la realtà e l'emergenza del senso di colpa, che sempre prende l'essere umano di fronte alla perdita di una persona amata. Farei elaborare questo: voi non avete colpa, voi avete fatto i genitori proprio lasciandolo andare in gita, in questo modo lo avete lasciato andare al mondo come è dovere di un genitore; non siete voi ad averlo ucciso, ma il mondo con le sue incontrollabili fatalità. Voi non potevate fare altro che lasciarlo andare, voi “dovevate” lasciarlo andare».

(Reuters)
(Reuters)


Dottor Cortesi, ma rimangono comunque un dolore e una rabbia incontrollabili e impotenti...

   «Farei loro elaborare la rabbia, che dopo la negazione della realtà e l'emergenza dei sensi di colpa è momento fondamentale di un lutto. Se proprio volete e dovete arrabbiarvi – e lo dovete fare – arrabbiatevi con la vostra/nostra natura di esseri umani e mortali. Anche questa rabbia è una presa d'atto della realtà. Se poi i genitori sono credenti, farei elaborare loro questo “sapere” della fede: che anche la morte ha un senso ed è evento di resurrezione e di Paradiso. Direi loro: vostro figlio vi ha reso nonni di eternità».


L'elaborazione del lutto alla ricerca della pace perduta

14/03/2012
Fiori sul cavalcavia di fronte al Tunnel di Sierre, in Svizzera,  dove si è schiantato il pullman (Reuters).
Fiori sul cavalcavia di fronte al Tunnel di Sierre, in Svizzera, dove si è schiantato il pullman (Reuters).

Un dramma collettivo quello dell’incidente che ha coinvolto un autobus belga nel cantone del Valais, in Svizzera, mentre trasportava molti scolari nelle città delle Fiandre di Lommel e Heverlee dopo un periodo di ferie invernali nella Val d'Anniviers. Un evento che rompe un equilibrio e avvia un processo, che forse non terminerà mai, di elaborazione del lutto alla ricerca della pace perduta. Ne abbiamo parlato con il dottor Luigi Colosso di Treviso, che da molti anni organizza, con un team di collaboratori, percorsi di auto-mutuo aiuto per persone colpite da gravi perdite.

I disegni fuori dalla scuola Saint Lambertus di Heverlee, in  Belgio, frequentata da alcuni dei bambini morti nell'incidente in  Svizzera (Reuters).
I disegni fuori dalla scuola Saint Lambertus di Heverlee, in Belgio, frequentata da alcuni dei bambini morti nell'incidente in Svizzera (Reuters).

Dottor Colusso, cosa succede a un genitore quando si sente dire che suo figlio è morto?
  «Il primo pensiero è che evidentemente si sono sbagliati, che non è possibile. Subito dopo senti un vuoto aprirsi sotto di te. Ti senti perduto, finito. Se dal punto di vista cognitivo non puoi negare l’evidenza, da quello affettivo è un dolore indescrivibile. Non c’è nulla che ti possa consolare, nemmeno il fatto che ci siano altri figli o che il coniuge sia lì, accanto a te. Molto dipende anche dalle circostanze concrete in cui vieni a saperlo».

Essere con altre persone al momento della notizia care può aiutare?

   «Puoi certamente abbracciarti con il tuo partner, ma questo non diminuisce, semmai acuisce il dolore, perché senti dentro di te anche la disperazione dell’altro. Senti che non puoi fare nulla, che non potete fare nulla, nemmeno solo per consolare la moglie e il marito».

Mettendosi nei panni della persona che deve comunicare l’evento tragico, come dare la notizia al genitore?

   «Non credo che ci sia un modo giusto di dirlo. Sono certamente da evitare frasi di circostanza come “ti capisco”, “mi dispiace molto”, “ti sono vicino”. Non servono. È più importante essere utili dal punto di vista pratico: “ti aiuto a telefonare a tuo marito”, “ti chiamo un collega, un amico”. Sono piccoli aiuti pratici molto che rendono di più la vicinanza al dolore. Occorre poi fornire tutte le spiegazioni sull’evento evitando però di entrare in quelle più truculente. Alla domanda “ha sofferto?” La risposta dev’essere sempre e sicuramente “no”, come poi in effetti succede in caso di incidente. Si evita così di aggiungere dolore a dolore».

(Reuters)
(Reuters)

E ai fratellini?
   «Sicuramente la notizia dev’essere sempre data dai genitori. Va poi detta la verità, adattandola a quanto possono capirlo, secondo l’età, capire ma senza raccontare storie o girarci attorno. Il bambino può anche non capire le metafore. Occorre poi rispondere sempre a tono alle domande che pongono Se poi non si sa qualcosa un bel “non lo so” è meglio che risposte vaghe. È anche consigliabile dire le cose fondamentali: saranno poi i piccoli a elaborare il fatto e a porre, in un secondo tempo, le domande che sorgono nel suo intimo. Può anche accadere che il bambino faccia la stessa domanda più volte, segno che ha bisogno di essere rassicurato. In questo caso, bisogna dare sempre la stessa risposta, quella vera. Se si forniscono risposte diverse si rischia di disorientarlo nel suo processo di rielaborazione. Può, secondo quanto so, accadere anche che il bambino chieda di tornare nel lettone con i genitori, sempre per essere rassicurato. Infine è importante che la sua vita prosegua, che torni e stia sempre con gli stessi amici di prima, che vada a scuola o alle attività sportive, etc. E lo stesso deve fare il genitore, per non ingenerare nel bambino una scusa per appartarsi pure lui».

Quale percorso di elaborazione del lutto si può poi seguire?

   «In genere di fronte a queste situazioni collettive la municipalità attiva un servizio di psicologi, perché il dramma è comune e concentrato in un solo luogo: spesso anche zii, cugini, nonni, amichetti sono coinvolti pesantemente dal fatto tragico. Successivamente, nella vita ordinaria, ogni nucleo familiare deve da solo procedere ad accettare e ad elaborare il suo lutto. Io penserei in questi casi a gruppi di auto mutuo aiuto con la celebrazione periodica di riti collettivi da parte di tutti. È infatti importante che sia fatta memoria delle persone. Perché poi non sfruttare il fatto che i ragazzi potessero essere compagni di scuola? La scuola può essere il luogo più adatto per ricordarli insieme, usando anche l’attività didattica, tipo un compito in classe o il piantare degli alberi a cui si danno i nomi dei ragazzi morti Oltretutto, in questo caso si trattava di un gruppo religioso: la fede cristiana offre in questo senso riti che sono molto efficaci, oltre che dal punto di vista della fede, anche dal punto di vista psicologico».

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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