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23/09/2014 16:49
 
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Congregazione per la Dottrina della Fede: Incontro Cardinale Müller e Vescovo Fellay, Superiore Generale Fraternità Sacerdotale San Pio X

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Città del Vaticano, 23 settembre 2014 (VIS). La Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto questa mattina che si è svolto questa mattina, dalle 11:00 alle 13:00, in un clima di cordialità, presso la sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’incontro tra il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il Vescovo Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X. All’incontro erano presenti gli Arcivescovi Luis Francisco Ladaria Ferrer, SI, Segretario della medesima Congregazione, Joseph Augustine Di Noia O.P., Segretario Aggiunto e Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, nonché gli assistenti della FSSPX Reverendi Nikolaus Pfluger e Alain-Marc Nély.

 

Durante l’incontro si sono esaminati alcuni problemi di ordine dottrinale e canonico e si è inteso di procedere per gradi e in tempi ragionevoli verso il superamento delle difficoltà e l’auspicato raggiungimento della piena riconciliazione.





La pastorale deve necessariamente derivare dalla dottrina

Intervista con Mons. Fellay
dopo l’incontro col cardinale Müller

del 3 ottobre 2014

Intervista realizzata da DICI
 

DICI: Il 23 settembre scorso, Lei è stato ricevuto dal cardinale Müller. Il comunicato della Sala Stampa Vaticana riprende i termini del comunicato del 2005, a conclusione del suo incontro con Benedetto XVI, in cui si parlava di «procedere per tappe e in un tempo ragionevole» col «desiderio di giungere alla perfetta comunione», il comunicato del 2014 parla di «piena riconciliazione». Questo significa che si torna al punto di partenza?

Mons. Fellay: Sì e no. Secondo il punto di vista da cui ci si pone. Non v’è niente di nuovo, nel senso che noi, i nostri interlocutori e noi stessi, abbiamo constatato che rimangono le divergenze dottrinali che si erano chiaramente manifestate in occasione degli incontri teologici del 2009-2011, e che, per questo, non potemmo sottoscrivere il Preambolo dottrinale che ci fu proposto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dopo il 2011.

DICI: Ma cosa c’è di nuovo?

Mons. Fellay: Vi è un nuovo Papa e un nuovo Prefetto a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. E quest’incontro dimostra che né loro né noi ci auguriamo una rottura delle relazioni: le due parti insistono sul fatto che bisogna chiarire le questioni dottrinali prima di un riconoscimento canonico. È per questo che le autorità romane chiedono la firma del Preambolo dottrinale, mentre noi non possiamo firmarlo in ragione delle sue ambiguità.
Tra i fatti nuovi vi è anche l’aggravarsi della crisi nella Chiesa. Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, da parte di molti cardinali compaiono delle critiche serie e giustificate alle proposte del cardinale Kasper sulla comunione ai divorziati risposati. Dopo le critiche dei cardinali Ottaviani e Bacci nel Breve esame critico del Novus Ordo Missae, nel 1969, questo non s’era più visto a Roma. Ma ciò che non è cambiato è che le autorità romane non tengono conto delle nostre critiche al Concilio, perché esse appaiono loro secondarie o perfino illusorie, a confronto dei gravi problemi presenti oggi nella Chiesa. Queste autorità constatano la crisi che scuote la Chiesa al più alto livello – ormai tra i cardinali – ma non considerano che la causa maggiore di questa crisi senza precedenti possa essere lo stesso Concilio. Tutto ciò assomiglia ad un dialogo tra sordi.

DICI: Può darci un esempio concreto?

Mons. Fellay: Le proposte del cardinale Kasper in favore della comunione ai divorziati risposati, sono un chiaro esempio di ciò che noi rimproveriamo al Concilio. Nel suo discorso ai cardinali, al Concistoro del 20 febbraio scorso, egli propose di rifare ciò che è stato fatto al Concilio, e cioè: riaffermare la dottrina cattolica ed offrire delle aperture pastorali. Nelle sue diverse interviste ai giornalisti, egli opera questa distinzione tra la dottrina e la pastorale: egli ricorda che in teoria la dottrina non può cambiare, ma introduce l’idea che nella realtà concreta vi sono delle situazioni tali che la dottrina non può essere applicata. Allora, secondo lui, solo la pastorale è in grado di trovare delle soluzioni, a detrimento della dottrina. Da parte nostra, rimproveriamo al Concilio questa distinzione artificiale fra la dottrina e la pastorale, perché la pastorale deve necessariamente derivare dalla dottrina. È a causa delle molteplici aperture pastorali che sono state introdotte nella Chiesa delle mutazioni sostanziali e che la dottrina è stata intaccata. È questo che è accaduto durante e dopo il Concilio e noi oggi denunciamo la stessa strategia usata contro la morale del matrimonio.

DICI: Ma nel Concilio vi sono stati solo dei cambiamenti pastorali che avrebbero intaccato la dottrina?

Mons. Fellay: No, noi siamo obbligati a constatare che sono stati operati dei gravi cambiamenti nella dottrina stessa: la libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo… Ma è vero che questi cambiamenti appaiono in maniera più chiara e più evidente nelle loro concrete applicazioni pastorali, poiché nei documenti conciliari esse sono presenti come delle semplici aperture, in maniera allusiva e con molti non detti… Cosa che ne fa, secondo l’espressione del mio predecessore, Don Schimdberger, delle «bombe a scoppio ritardato».

DICI: Nelle proposte del cardinale Kasper, dove vede Lei un’applicazione pastorale che renderebbe più evidente un cambiamento dottrinale prodottosi in Concilio? Dove vede una «bomba a scoppio ritardato»?

Mons. Fellay: Nell’intervista concessa al vaticanista Andrea Tornielli, questo 18 settembre, il cardinale ha dichiarato: «la dottrina della Chiesa non è un sistema chiuso: il Concilio Vaticano II insegna che c’è uno sviluppo, nel senso di un approfondimento possibile. Mi chiedo se sia possibile in questo caso (dei divorziati risposati civilmente – ndr.) un approfondimento simile a quello avvenuto nell'ecclesiologia: anche se quella cattolica è la vera Chiesa di Cristo, ci sono elementi di ecclesialità anche fuori dai confini istituzionali della Chiesa cattolica. In certi casi, non si potrebbero riconoscere anche in un matrimonio civile degli elementi del matrimonio sacramentale? Per esempio l'impegno definitivo, l’amore e la cura reciproca, la vita cristiana, l’impegno pubblico che non c’è nelle coppie di fatto (cioè le unioni libere – ndr.)?».
Il cardinale Kasper è del tutto logico, perfettamente coerente: egli propone un’applicazione pastorale al matrimonio dei nuovi principii sulla Chiesa enunciati in Concilio in nome dell’ecumenismo: vi sono degli elementi di ecclesialità al di fuori della Chiesa. Egli passa logicamente dall’ecumenismo ecclesiale all’ecumenismo matrimoniale: vi sarebbero così, secondo lui, degli elementi del matrimonio cristiano al di fuori del sacramento. Per guardare le cose in concreto, si domandi allora a degli sposi che ne penserebbero di una fedeltà coniugale «ecumenica» o di una fedeltà nella diversità! Parimenti, che dobbiamo pensare di una unità dottrinale «ecumenica» diversamente una? È questa conseguenza che noi denunciamo, e che la Congregazione per la Dottrina della Fede non vede o non accetta.

DICI: Che bisogna intendere con l’espressione del comunicato del Vaticano: «procedere per tappe»?

Mons. Fellay: Il desiderio reciproco, di Roma e della Fraternità San Pio X, di mantenere degli incontri dottrinali in un quadro allargato e meno formale di quello dei precedenti colloquii.

DICI: Ma se già i colloquii dottrinali del 2009-2011 hanno portato a niente, a che scopo riprenderli, anche in maniera allargata?

Mons. Fellay: Perché, secondo l’esempio di Mons. Lefebvre, che non ha mai rifiutato di corrispondere all’invito delle autorità romane, noi rispondiamo sempre a coloro che ci interrogano sulle ragioni della nostra fedeltà alla Tradizione. Noi non potremmo sottrarci a quest’obbligo e lo faremo nello spirito e secondo gli impegni che sono stati definiti dall’ultimo Capitolo generale.
Ma visto che Lei si è riferito all’udienza concessami da Benedetto XVI nel 2005, io mi ricordo che allora dicevo che noi vogliamo dimostrare che la Chiesa sarebbe più forte nel mondo odierno se essa mantenesse la Tradizione; e aggiungerei anche, se essa ricordasse con fierezza la sua Tradizione bimillenaria. Io oggi ripeto che noi desideriamo apportare la nostra testimonianza: se la Chiesa vuole uscire dalla crisi tragica che l’attraversa, la risposta giusta a questa crisi è la Tradizione. È così che noi manifestiamo la nostra pietà filiale nei confronti della Roma eterna, della Chiesa madre e maestra di verità, alla quale siamo profondamente legati.

DICI: Lei dice che si tratta di una testimonianza, ma non è piuttosto una professione di fede?

Mons. Fellay: L’una cosa non esclude l’altra. Il nostro fondatore amava dire che gli argomenti teologici con i quali noi professiamo la fede, non sempre sono compresi dai nostri interlocutori romani, ma questo non ci dispensa dal ricordarli. E con il realismo soprannaturale che lo caratterizzava, Mons. Lefebvre aggiungeva che le realizzazioni concrete della Tradizione: i seminarii, le scuole, i priorati, il numero dei sacerdoti, di religiosi e di religiose, di seminaristi e di fedeli… avevano anch’esse un grande valore dimostrativo. Contro questi fatti tangibili non c’è argomento specioso che tenga: contra factum non fit argumentum. Nel caso presente, si potrebbe tradurre questo adagio latino con la frase di Gesù Cristo: «l’albero si giudica dai suoi frutti». In questo senso, pur continuando a professare la fede, noi dobbiamo rendere testimonianza a favore della vitalità della Tradizione.
 



[Modificato da Caterina63 04/10/2014 17:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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