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Riscopriamo il senso del peccato! di Don Divo Barsotti

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2012 23:37
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12/04/2012 23:37
 
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Non siamo davanti che a Dio solo. Non siamo di fronte ad un legislatore che parla dal di fuori: siamo di fronte a Dio, ma Dio ci parla nel più intimo di noi stessi. Mai - notatelo bene, mai - la Chiesa sostituisce questo foro interno in cui Dio parla a ciascuno. Noi dobbiamo credere che in suprema istanza il foro della coscienza coinciderà sempre con la Chiesa visibile, ma mai la Chiesa visibile potrà sostituire il foro interno. Ecco il senso della dichiarazione della libertà data dal Concilio Vaticano II, che del resto è giustificata già da un grande teologo, che pure sembra così contrario a questo pensiero: San Roberto Bellarmino; che cioè l'uomo deve, per essere ubbidiente a Dio, lasciare anche la Chiesa se questo è nella sua coscienza.


Perché in ultima istanza l'uomo si trova davanti a Dio e il suo atto deve essere maturato soltanto in rapporto a Dio che gli parla dentro. Noi sappiamo che per i cattolici questo coinciderà sempre con la Chiesa visibile, ma alcune volte soltanto con l'autorità suprema, e forse neanche con questa, nel senso che questa autorità suprema ci lascerà nel silenzio, non vorrà intervenire. Può darsi che per obbedire a Dio tu debba, non ribellarti al tuo vescovo, ma sfuggire alla sua autorità, come hanno dovuto fare certe fondatrici di ordini religiosi.
Per questo non si può mai giudicare, perché noi possiamo giudicare in base a delle norme oggettive, in base ad un codice, ma come si fa a giudicare in base ad una legge che è Dio stesso vivente nel cuore e che può vivere più in te che in me, più in me che in te?
Che cosa grande la vita spirituale! Ogni anima ha un destino unico, ogni anima è sola davanti a Dio. E questo è importantissimo per noi; perché voi credete di aver fatto tutto quando avete adempiuto al regolamento... ma non è nulla di tutto questo. È una premessa, una condizione per vivere, come i Comandamenti di Dio. Bisogna leggere la Sacra Scrittura, dire l'Ufficio, ecc., ma come tu devi dire l'Ufficio, come devi leggere la Sacra Scrittura e ascoltare Dio attraverso questa lettura, tu solo lo sai; come devi rispondere a Dio che ti sollecita intimamente, tu solo lo sai, e nessuno può intervenire a rassicurarti, a dire "va bene così", perché può darsi che non vada assolutamente bene così, anche se tu fai tutto, anche se agli altri puoi apparire come un modello. Tu solo lo sai,, se ti poni di fronte a Dio, se ascolti Dio che ti parla nel cuore.
È importante per la nostra vita spirituale renderci conto che non si può mai trasformare la vita religiosa in una morale. La vita religiosa è un rapporto con Dio, con un Dio vivente, e questo rapporto tende a divenire sempre più intimo, più profondo, e non può divenire né più intimo né più profondo se non ti trasporta da una vita animale a una vita umana, da una vita umana a una vita angelica, cioè puramente spirituale, in cui tutta la vita è pura coscienza, pura libertà, puro senso di responsabilità interiore.


Quanto più l'anima vive un rapporto con Dio che è somma libertà, tanto più diviene anch'essa libertà. Ed ecco perché per il santo non vi è più legge, come dice San Paolo e ripete San Giovanni della Croce; ecco perché per il santo non vi è altra legge che la sua libertà, dal momento che nel santo non vive più che l'amore. Amore che implica il superamento di ogni passività, perché è nell'amore che l'anima vive e realizza totalmente se stessa. Non subisce nulla: si dona. È l'amore che ci realizza. Per questo, se la legge dell'uomo è soltanto l'amore, l'uomo ora non è più sotto nessuna legge: deve soltanto amare, cioè deve aprirsi come un fiore si apre alla luce; deve gettare profumo come un fiore che per il fatto che si apre alla luce manda profumo. Così il santo.


È pura spontaneità animale? No. Vedete, gli estremi si congiungono: c'è la vita puramente animale dell'uomo che non è emerso a nessuna vita spirituale, e questa è puramente vita istintiva; gli uomini che rimangono bambini fino alla morte. Il santo ugualmente vive la pura libertà, ma non è la libertà animale, non l'innocenza dell'animale: è l'innocenza di un amore che è aldilà di ogni legge. Non vive più nemmeno il libero arbitrio perché non ha più da scegliere. Pura effusione di luce, tutta la vita non è che dono di sé. Non tare nulla a sé: pura effusione, puro dono. Egli non vive che la libertà stessa di Dio. Dio non ha legge: Egli è l'Amore; e il santo ugualmente non conosce più legge: ama. È superato il libero arbitrio, che importa una scelta; è superato nella pienezza di una libertà che implica di per sé il superamento di ogni opacità e di ogni possibilità di scelta. È un'adesione pura, totale dell'essere a Dio, come quella dei santi nel Cielo.
Ma anche se l'uomo non giunge mai a questo, quaggiù sulla terra, però sempre più si avvicina. Ed ecco perché San Francesco scrive a frate Leone: "Se tu vuoi venire e vuoi la mia obbedienza per venire, vieni". Cioè il santo non deve fare che la sua volontà perché la sua volontà, ora, è perfettamente conforme alla volontà divina; non ha altra cosa che la realizzi se non la sua adesione a questa volontà.

Il primo atto di Dio che si accosta all'uomo, il primo effetto della grazia che lo raggiunge e lo tocca, è quello di dare all'uomo il senso del proprio peccato. L'uomo senza la grazia non conosce nemmeno se stesso, non sa nemmeno quale è il suo vero male.


Forse l'umanità non è giunta mai così in basso come oggi perché forse mai come oggi ha perduto il senso del proprio peccato. Non aveva il senso del proprio peccato nemmeno l'umanità al di fuori dell'Ebraismo e del Cristianesimo: c'era soltanto il senso di una colpa legale, non il vero senso del peccato, di una contaminazione interiore, di una opposizione a Dio. È stata la Redenzione del Cristo che ha dato agli uomini il senso di una loro colpa. E non è vero affatto che il dono della grazia implichi di per sé la diminuzione di questo senso; anzi, lo accresce. Quanto più uno è santo, tanto più si sente peccatore, perché nella luce divina tanto più realizza non solo la sproporzione che vi è fra la creatura e il Creatore, ma quella opposizione, sia pure istintiva, che vi è nella natura creata, dopo il primo peccato, nei confronti di Dio. Tutti noi, coma Adamo, come Caino, non facciamo che fuggire Dio. In ogni movimento che facciamo per avvicinarci a Lui noi siamo portati dalla grazia. Un movimento autonomo, nostro, è soltanto un movimento di fuga.
Ora di questo l'anima diviene cosciente quando si vede nella luce divina. Abitualmente cerca di nascondersi e di fuggire Dio, ma se Dio si avvicina a te, se tu veramente, mediante la grazia, sempre più vivi nella luce divina, allora ti accorgi che nel tuo fondo non sei che resistenza ed opposizione; nel tuo fondo allora tu senti quanto in te ripugna al Signore.
Può essere vero che un santo, proprio nella misura che è santo, non sia responsabile di questa opposizione, però il fatto di non esserne responsabile, non dice che egli non è cosciente di una sua opposizione istintiva. Può sembrare un gioco di parole questo: come può essere cosciente di una opposizione che è incosciente? È precisamente questo che il santo fa: non fa altro che un processo continuo di correzione a una natura che vorrebbe fuggire, che vuole sganciarsi da Dio, allontanarsi da Lui. È l'anima è cosciente di questo istinto che la porta ad allontanarsi da Dio, ad opporsi alla grazia.


Ma che cos'è questa opposizione alla grazia divina? È una opposizione (non diciamo altra parola, opposizione pura e semplice) che praticamente si esprime nella possibilità di ogni peccato.
Si diceva prima: se io mi salvo veramente, in me è salvata tutta l'umanità. Perché in me vi è tutta la possibilità dei peccati umani. L'opposizione istintiva alla grazia che vi è in ciascuno di noi è la possibilità che vi è in ciascuno di noi di ogni peccato. Non possiamo dire del tutto di essere senza responsabilità nei confronti di tutte le brutture del mondo. È vero che questa responsabilità non sarà piena, ma è vero anche che non siamo del tutto liberi da nessuna colpa, perché la natura dell'uomo è una, e quando l'uomo viene veramente salvato nelle sue radici, non viene salvata una persona, ma è salvata la natura, la quale è in tutti. La salvezza di una persona non può avvenire che nella salvezza di un'altra. Tu sei salvo, ma per te è redenta in qualche modo una natura che è comune a ciascuno. Sicché, in atto primo, tutti sono salvati.
Tutto questo vuol dire che tanto più ci avviciniamo al Signore, tanto più dobbiamo portare il peso di tutto il peccato e redimerlo in noi. "Non conoscerai i tuoi peccati che via via che Io li perdonerò", diceva Gesù a Pascal. Un'anima che sale verso il Signore diviene sempre più consapevole del carico immenso di peccato che grava sopra di lei. Uno che inizia il suo cammino crede che i suoi peccati siano "questo, questo e poi basta", ed è a posto. Ma quanto più vai avanti tanto più senti che l'essere a posto è un'impresa impossibile, perché i peccati crescono via via che son redenti: sempre più cresce la tua responsabilità nella misura che tu sempre meno aderisci al male.


E non è un fatto libero, questo; non dobbiamo credere che sia soltanto il gesto di un gran signore che per misericordia, come Nostro Signore, espia per gli altri, fa la vittima per tutti i peccatori del mondo. No, non è un gesto gratuito: è una necessità di natura. Tu non sei salvo se non salvi tutti; tu non ti redimi che vivendo, appunto, un peccato universale, che in te può essere rimasto come pura possibilità e in altri invece sarà fiorito e maturato in frutto; ma la pura possibilità che è in te non esclude davvero la necessità che Dio ti salvi anche da questa possibilità, che è una possibilità di reale caduta. Anche se non è avvenuta finora può avvenire domani.
Una salvezza insomma, implica il superamento di questa possibilità, oltre che della realtà del peccato; ed è precisamente nella misura che l'anima cresce che ella avverte questa possibilità, come qualche cosa che rende sempre non soltanto incerta la sua sorte, ma la mantiene in uno stato di insicurezza totale.
Se Dio si accosta a te ti dà la coscienza del tuo peccato; quanto più si avvicina a te, tanto più tu avrai coscienza di questo peccato, fintanto che ogni peccato non sarà distrutto non nella sua realtà soltanto, ma anche nella sua possibilità. E quando ogni peccato sarà redento e distrutto anche nella sua possibilità, non sarà distrutto soltanto in te, ma nella natura umana che viene redenta. Di tuta l'umanità, dunque, ti sei gravato le spalle.


Il cammino dell'anima verso Dio è il crescere della coscienza di un peccato dal quale Dio soltanto può salvarla. Cresce l'insicurezza nella misura in cui cresce la santità. Pur tuttavia, nel crescere dell'insicurezza cresce anche la fiducia e la speranza in Dio: sfiducia in noi stessi perché avvertiamo sempre più questa possibilità reale; fiducia in Dio perché sperimentiamo sempre più la sua grazia. Dio infatti ci fa conoscere i nostri peccati reali e possibili nella misura che ci salva. E dunque, nella misura che noi ci avviciniamo, questa coscienza di un peccato universale si fa profonda, dolorosa, terribile: ma si fa anche grande l'esperienza di un Dio che ti salva.
Così veramente la santità è grazia, una grazia che cresce. Ma che cosa si intende per una grazia che cresce? Si intende che cresce il senso della sua gratuità. Non il senso di un possesso, ma il senso di essere amati per nulla, il senso di una salvezza reale, ma tanto più reale quanto più da te è sperimentata come puramente gratuita e libera.


Tu cammini sull'acqua, tu rimani sospeso nel vuoto, anzi, sali senza sapere come, non avendo in te altra forza che quella di precipitare, eppure tu sali. Ed è impressionante il senso che ha l'anima del vuoto che la circonda via via che sale e che l'abisso si fa ancora più fondo. E l'attrazione al male la sentiamo come sempre più reale e sentiamo sempre più anche la misericordia di esserne salvati. Invece di cadere, ti senti sollevato.
Sperimenti la grazia come grazia e quanto più è grande tanto più è grazia!

 

[SM=g1740717] Don Divo Barsotti

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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