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L'autentica meditazione nella pratica del Cattolico: NO! alle imitazioni ed ai sincretismi orientali

Ultimo Aggiornamento: 29/11/2016 15:07
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17/05/2012 14:09
 
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VI. METODI PSICOFISICI-CORPOREI

26. L'esperienza umana dimostra che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi d'influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. È un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell'Oriente e dell'Occidente cristiano hanno prestato attenzione.

Le loro riflessioni, pur presentando punti in comune con i metodi orientali non cristiani di meditazione, evitano quelle esagerazioni o unilateralità che, invece, spesso vengono oggi proposte a persone non sufficientemente preparate.

Questi autori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il raccoglimento nella preghiera, riconoscendone al contempo anche il valore relativo: essi sono utili se riformulati in vista del fine della preghiera cristiana (30). Ad esempio, il digiuno nel cristianesimo possiede anzitutto il significato di un esercizio di penitenza e di sacrificio, ma già presso i Padri, era anche finalizzato a rendere l'uomo più disponibile all'incontro con Dio ed il cristiano più capace di dominio di sé e allo stesso tempo più attento ai fratelli bisognosi.

Nella preghiera è tutto l'uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento (31). Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l'atteggiamento del corpo possa favorire la preghiera.

27. La meditazione cristiana dell'Oriente (32) ha valorizzato il simbolismo psicofisico, spesso carente nella preghiera dell'Occidente. Esso può partire da un determinato atteggiamento corporeo, fino a coinvolgere anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco. L'esercizio della "preghiera di Gesù", ad esempio, che si adatta al ritmo respiratorio naturale, può – almeno per un certo tempo – essere di reale aiuto per molti (33). D'altra parte gli stessi maestri orientali hanno anche costatato che non tutti sono ugualmente idonei a far uso di questo simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno materiale alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto, il simbolismo può diventare addirittura un idolo e di conseguenza un impedimento all'elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell'ambito della preghiera tutta la realtà del proprio corpo come simbolo è ancora più difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo e può portare ad identificare surrettiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali.

28. Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni dello Spirito Santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici dell'esperienza mistica, quando l'atteggiamento morale dell'interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.

Ciò non toglie che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall'Oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un'attrattiva sull'uomo di oggi diviso e disorientato, possano costituire un mezzo adatto per aiutare l'orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne.

Occorre tuttavia ricordare che l'unione abituale con Dio, o quell'atteggiamento di vigilanza interiore e di invocazione dell'aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la "preghiera continua" (34), non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio", ci dice l'Apostolo (1 Cor 10, 31). La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un'ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio (35).

VII. "IO SONO LA VIA"

29. Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in quella via al Padre, che Gesù Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti personali quanto dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre.

30. Per chi si impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di vagare in un deserto e di non "sentire" nulla di Dio, malgrado tutti i suoi sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a nessuno che prenda sul serio la preghiera. Ma egli non deve identificare immediatamente questa esperienza, comune a tutti i cristiani che pregano, con la "notte oscura" di tipo mistico. Ad ogni modo in quei periodi la preghiera, che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli l'impressione di una certa "artificiosità" benché si tratti in realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva.

In questi momenti apparentemente negativi diventa manifesto ciò che l'orante cerca realmente: se cerca proprio Dio che, nella sua infinita libertà, sempre lo supera, oppure se cerca solo se stesso, senza riuscire ad andare oltre le proprie "esperienze", sia che gli sembrino "esperienze" positive di unione con Dio che "esperienze" negative di "vuoto" mistico.

31. L'amore di Dio, unico oggetto della contemplazione cristiana, è una realtà della quale non ci si può "impossessare" con nessun metodo o tecnica; anzi, dobbiamo aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l'amore divino è giunto per noi sulla croce a tal punto che Egli si è assunto anche la condizione di allontanamento dal Padre (cfr. Mc 15, 34). Dobbiamo dunque lasciar decidere a Dio la maniera con cui egli vuole farci partecipi del suo amore. Ma non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso livello dell'oggetto contemplato, l'amore libero di Dio; neanche quando, per la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di questo amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e dalla bellezza del Signore.

Quanto più viene concesso a una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende allora la parola di S. Agostino: "Tu puoi chiamarmi amico, io mi riconosco servo" (36). Oppure la parola che ci è ancora più familiare, pronunciata da colei che è stata gratificata della più alta intimità con Dio: "Ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1, 48).

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione plenaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 15 ottobre 1989, nella festa di Santa Teresa di Gesù.

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

 

+ Alberto Bovone
Arciv. Tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

 

[SM=g1740771] seguono le Note...


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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