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Anno della Fede : unità, divisione e crisi nella Chiesa, riflessioni serie....

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2013 16:06
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16/07/2012 23:32
 
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la fede

UNITA’ E DIVISIONI NELLA CHIESA - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

Chiesa

 

Il “Giornale” del 4 giugno scorso riporta una piccola intervista fatta da Stefano Zurlo al Card. Bagnasco per chiedergli un commento del grande raduno verificatosi a Milano in occasione del Convegno per la Famiglia e della visita del Papa.

Il giornalista chiede al Cardinale: “continua la guerra dentro la Chiesa?”. E il Cardinale: - riferisco le parole dell’articolo - “‘Ma vi pare che esistano davvero queste divisioni fra noi? Ma ci avete osservato?’, e nel dirlo muove in modo eloquente le mani quasi a voler sottolineare che certi temi nella sua scala gerarchica non vengono certo ai primi posti”.

Come spesso accade, i giornalisti fanno delle domande con poca discrezione o forse con poca serietà e in circostanze non adatte, benchè possano toccare temi o problemi reali e di grande importanza. Questo è stato il caso nell’evento surriferito. E’ evidente a cosa si riferiva il giornalista e forse anche a fatti più gravi oggi esistenti nella Chiesa, almeno italiana: il recente scandalosissimo furto al Papa di suoi documenti segreti nella sua stessa abitazione in Vaticano.

Era forse quello il momento per toccare un tema così delicato e conturbante? No certamente. Si può capire dunque la risposta evasiva del Cardinale, un non rispondere a tono, spostando l’attenzione sull’immensa folla presente a Milano. Non c’è dubbio che la presenza di tante persone è stata consolante per gli organizzatori dell’evento e per tutta la Chiesa italiana.

Un fatto grandioso del genere mostra effettivamente, come ha notato lo stesso Cardinale, la bontà della Chiesa italiana a livello di popolo sia per quanto riguarda l’amore al Papa che l’attaccamento al valore della famiglia cristiana, un gesto di affetto nei confronti del Vicario di Cristo quasi a volerlo consolare dell’amarezza per l’infame tradimento subìto da parte dei suoi stessi intimi collaboratori, per ora rimasti nell’ombra.

Tuttavia una manifestazione così entusiasmante e commovente non basta certamente a mettere in ombra o a cancellare il suddetto tristissimo episodio che è la punta dell’iceberg di una situazione di gravissima crisi della Chiesa italiana e non solo italiana, una crisi che si configura, come notano i Papi del postconcilio e in particolare questo Papa, come crisi di fede a livello di guide come a livello di popolo: scristianizzazione, falsificazione della fede, influenze anticattoliche all’interno del cattolicesimo, forme sincretistiche, secolaristiche, religione-fai-da-te, rilassatezza, soggettivismo, relativismo e ben altre cose, tanto lungo sarebbe l’elenco.

Certamente le grandi giornate milanesi non cancellano tutto questo e in particolare non lo cancellano in una diocesi così importante come quella di Milano, a proposito della quale è nota la lettera di Don Carron la quale, seppure con carità ma anche con lucidità ed evangelica franchezza, mette in luce in modo speciale i mali della Chiesa milanese, mali da troppo tempo coperti e misconosciuti, ma che è meglio che siano venuti alla luce, poiché nella visione cristiana non esistono mali che non siano curabili, se non è lo stesso malato a non voler farsi curare.

Una Chiesa nella quale scorrazza liberamente una gran quantità di idee contrarie al cattolicesimo restando sotto l’etichetta di “cattoliche”, senza apprezzabili interventi dei Pastori, tra i quali stessi non sempre riscontriamo una piena ortodossia ed obbedienza al Papa, si dà lo scontro di partiti avversi come per esempio quello fra modernisti e lefevriani, una diffusa condotta morale di cattolici non coerente con i princìpi della morale cattolica continuamente ricordati dal Magistero, tutto questo è forse il segno di una Chiesa unita come vorrebbe farci credere il Cardinale col semplice gesto di indicare la folla del raduno milanese?

Risolve i nostri dubbi? Placa le nostre angosce? Toglie le nostre amarezze, le nostre delusioni, calma il nostro sconcerto? Se siamo veramente consapevoli di cosa sta accadendo nella Chiesa e lo giudichiamo con quei criteri che il Magistero della Chiesa ci fornisce, ebbene dobbiamo dire seppure con dolore ma con realismo che la Chiesa, almeno quella italiana, non è per nulla unita, ma traversata da forti movimenti centrifughi, in preda ad un’enorme confusione dottrinale, lacerata da fazioni ostinatamente irreconciliabili perché convinte di possedere la pienezza della verità contro gli avversari pressochè demonizzati.

E’ chiaro per il cattolico che la vera Chiesa, la Chiesa cattolica, come Sposa e Corpo Mistico di Cristo, è una ed unita, grazie alla presenza nei cuori dello Spirito Santo che li illumina e li unisce, creando concordia e sano pluralismo, nell’unica verità del Vangelo sotto l’unica guida dei Pastori uniti al Papa.

Ma la domanda del giornalista evidentemente non si riferiva a questa unità spirituale e mistica della Chiesa, unità evidente per ogni credente e di per sé indistruttibile, ma che non tocca le singole e concrete formazioni di cattolici all’interno della Chiesa, cattolici i quali, come è noto, anche se viventi in grazia di Dio, restano sempre peccatori e quindi soggetti a mancare contro la verità e contro la carità.

Se non c’è unità di fede non esiste unità ecclesiale. Questo è il gravissimo problema della Chiesa di oggi. E’ chiaro che i veri cattolici sono uniti tra di loro e col Papa, e in questo senso costituiscono una Chiesa unita. Ma quanti che si dicono cattolici lo sono veramente o lo sono solo di nome, dato che di fatto assumono nel loro pensiero e nella loro condotta idee che in realtà sono erronee, scandalose, empie, blasfeme, assurde o ereticali?

Certo nella vita presente sono pochi o pochissimi, sono solo i grandi santi, quelli che possono vantare una perfetta purezza dottrinale ed una piena comunione ecclesiale, anche se qualche piccola macchia ce l’hanno anche loro. E’ chiaro che oggi la Chiesa è più accogliente, tollerante e misericordiosa che mai nell’avvicinare, accogliere e contattare persone anche lontanissime dal cattolicesimo.

Grazie alla pratica dell’ecumenismo e del dialogo la Chiesa è oggi più larga di un tempo nell’accogliere anche coloro che non accettano in pienezza la dottrina e la morale del cattolicesimo. Ma esiste e deve pur sempre esistere un limite, oltre il quale una persona non può dirsi affatto appartenente alla Chiesa o al cattolicesimo, ed è su questo punto che spesso non c’è chiarezza, per cui, come ho rilevato in un articolo apparso tempo fa su questo sito, molti non sanno più che cosa significa la qualifica di “cattolico” e questo è molto grave, come quando per esempio, conservate le proporzioni, un cibo rinomato conserva il proprio nome ma a causa di truffe o sofisticazioni viene ad essere una qualcosa di lontano o di contrario a ciò che il nome stesso significa.

In conclusione, certo non in sede di un’intervista giornalistica, ma in appropriata sede, è ora di riconoscere francamente le gravi divisioni delle quali stiamo soffrendo. Non si deve aver paura di fare un’analisi realistica, tanto esiste poi la cura che ci è data da una rinnovata volontà di conversione e soprattutto dalla grazia del nostro Salvatore.

Ma coprire e far finta di nulla non serve a niente. Speriamo che il prossimo Anno della Fede possa essere una buona occasione per correggere gli errori nella fede e nei costumi affinchè si possa dire che, sia pur sempre nelle misere condizioni di quaggiù, esiste una Chiesa unita a somiglianza della santa unità della Chiesa del cielo.

 

 

Bologna, 5 giugno 2012

[SM=g1740758] un grazie a RiscossaCristiana


[Modificato da Caterina63 29/09/2012 14:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DIFFAMAZIONE E CRITICA TEOLOGICA – di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

s to

 

Uno dei mali del periodo postconciliare, denunciato molte volte da studiosi attenti alle vicende della Chiesa, è la debolezza delle autorità nel correggere gli errori dottrinali, oggi molto diffusi proprio a causa di questa desistenza dell’autorità, conformemente al simpatico motto popolare “quando la gatta dorme i topi ballano”.

Ma la cosa grave è che in questi ultimi anni è avvenuta una escalation, se così si può dire, in questa inosservanza al proprio dovere da parte dell’autorità: non solo oggi essa tollera la libera diffusione delle eresie mostrandosi priva di vigilanza, pavida e latitante, ma addirittura qua e là essa, intimorita dal chiasso dei modernisti che spesso hanno raggiunto posizioni di potere, cede ad un vergognoso rispetto umano che la porta non solo a ignorare quei pochi che ancora cercano di correggere gli errori e diffondono e difendono la sana dottrina, ma addirittura a censurali o a perseguitarli in nome di futili pretesti, privi di qualunque fondamento giuridico e di buon senso pastorale.

E’ un po’ come se il primario di un ospedale, impaurito dalla pressione di medici invidiosi nei confronti di un collega zelante ed attivo, proibisse a questi di curare i malati e lasciasse gli altri a compiere tranquillamente i loro guasti ai danni dei malati.

I modernisti, raggiunte posizioni di potere, sono diventati schiavi di un’arroganza e di una conseguente cecità che li portano ad ignorare le critiche che a loro vengono rivolte dai teologi fedeli alla sana dottrina, al Magistero e al Papa. Ed anzi, se reagiscono a queste critiche, facilmente accusano il cattolico fedele di “diffamazione”, mostrando con ciò stesso di abusare delle parole e di ignorare le prescrizioni del diritto, della giustizia e della verità. Ma a loro importa poco, perché si sentono forti e pensano di poter vincere non con la lealtà e la forza del diritto, ma con la prepotenza e la violenza.

Essi abilmente confondono le acque chiamando “diffamazione” quella che può essere un’acuta ed opportuna critica teologica, la quale, per così dire, “scopre i loro altarini” e denuncia le loro truffe. Ciò ovviamente dà a loro un immenso fastidio, ma poiché, naturalmente, essendo dalla parte del torto, non hanno validi argomenti per difendersi, quando non si chiudono in un sprezzante silenzio, reagiscono con insulti, false accuse e provvedimenti repressivi, loro che volentieri proclamano il “rispetto del diverso”, la “libertà della ricerca” e il “pluralismo teologico” nonché l’“ecumenismo” e il “dialogo interreligioso”, persino con i “non credenti”.

Essi inoltre, con la scusa della “complessità” delle questioni, si valgono della lentezza per non dire a volte dell’insensibilità delle supreme autorità romane, dove pure esistono degli infiltrati e degli elementi compiacenti (il recente furto al Papa di documenti segreti ne è un sintomo). La “pulizia” che il Papa invocava nella sua famosa omelia del Venerdì Santo del 2005 bisognerebbe cominciare a farla dalla Curia romana. O come disse quel tale al Concilio di Trento: “Gli eminentissimi cardinali hanno bisogno di un’eminentissima riforma”.

Ma il tragico di oggi non è solo il bisogno di una riforma morale ma di correggere errori dottrinali presenti nello stesso collegio cardinalizio, cosa tragica, forse mai avvenuta in tutta la storia della Chiesa, giacchè, se in passato abbiamo conosciuto gravissimi scismi con antipapi e nemici interni di vario genere, mai finora l’errore dottrinale - il “fumo di Satana”, come disse Paolo VI -, era penetrato così profondamente senza un’apparente salutare reazione laddove dovrebbe splendere quella luce di verità che illumina tutto il mondo, anche se naturalmente è beninteso che il supremo Pastore, circondato dai buoni vescovi, sempre resterà l’infallibile guida dei fratelli nel nome di Cristo. Sembra giunto il fatale momento dell’ “abominio della desolazione nel luogo santo” (Mt 24,15), predetto da Cristo come segno della fine del mondo. Credo tuttavia - è mia semplice opinione - che prima di questa fine dovrà essere realizzato in pienezza il rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II, secondo l’auspicio di tutti i Papi a partire dal Beato Giovanni XXIII.

In tal senso si deve dire a chiare lettere, contro incauti e forse inconsapevoli difensori della “Tradizione”, che anche le dottrine (non parlo dei provvedimenti pastorali-disciplinari) del Concilio Vaticano II sono infallibili, giusta quello che recentissimamente ha detto il Papa ai Lefevriani: “non dovete dire che nelle dottrine del Vaticano II ci sono degli errori”.

In tal modo le questioni si trascinano per anni e per decenni in mezzo a tergiversazioni, politica dello struzzo, riprovevoli ritardi, sottovalutazione del pericolo, ipocrite tolleranze, rispetti umani, mancanza di discernimento e di energia pastorale. E intanto il popolo di Dio rimane confuso, scandalizzato, diviso, ingannato, frastornato e tentato di seguire gli impostori col gravissimo danno di falsificare o perdere la fede. Ne approfittano i furbi e gli ipocriti come quelle stesse autorità che dovrebbero intervenire e non fanno niente, ma ciò naturalmente col danno di tutti, di chi sta in alto e di chi sta in basso.

Oltre ovviamente alla mancanza di credibilità di quella Chiesa che oggi si vorrebbe animata da un nuovo slancio missionario. Ma se non si pone rimedio a questi mali, il parlare di “nuova evangelizzazione” e “recupero delle radici cristiane dell’Europa” diventano frasi di pura retorica o che sanno di una presa in giro.

Ridurre la critica teologica a diffamazione è l’espediente meschino, sleale e giuridicamente inconsistente dei modernisti, per far tacere i loro critici e farli passare per persone incompetenti che non sanno quello che dicono o sono animate da invidia e rancore per le legittime autorità e i probati auctores dell’establishment modernista, che si ritiene la punta avanzata della Chiesa di oggi, dopo le lunghe tenebre (l“era costantiniana” o l’ “era piiana” - da Pio V a Pio XII - come dice Rahner), che hanno preceduto il Concilio Vaticano II, da loro interpretato ad usum delphini ossia come avallo dei loro errori.

Se di diffamazione si può parlare, questa semmai è quella perpetrata contro quei pochi coraggiosi che si ergono a difesa della verità, della sana dottrina e del Magistero della Chiesa, rinunciando a qualunque ambizione umana e a posizioni di prestigio. Se io avessi voluto far carriera o aver successo, non avrei seguito certo S.Tommaso da 50 anni a questa parte, ma mi sarei messo nella congrega dei rahneriani. Questo certo non vuol dire che a tutt’oggi non esistano ancora ai vertici della Chiesa e in campo teologico degnissime autorità. Saranno appunto loro, appoggiate dal popolo, a far quella “pulizia” che ha auspicato il Papa, pulizia ben più impegnativa, delicata ed importante di quanto è richiesto per lo sgombero dei rifiuti a Napoli.

La diffamazione - dovremmo ben saperlo - si fonda sulla menzogna ed è mossa dall’odio o dall’invidia. Per questo è giustamente punita dal diritto. La critica teologica è “diffamazione” solo per i teologi che hanno la coda di paglia, prime donne da teatro che non sopportano nessuna critica, spiriti gonfi di se stessi, permalosi e suscettibili, incapaci di opporre validi argomenti perché non li hanno, sofisti che seducono o incantano la gente con i loro show da buffoni o da finti profeti o geni di uno svampito romanticismo, ormai fuori moda.

La critica teologica si distingue essenzialmente dalla diffamazione perché è basata sulla verità ed è animata da disinteresse, carità e giustizia. Certamente essa poi rileva con prudenza, coraggio ed acribia difetti ed errori comprovati e può a tutta prima ferire l’orgoglio o compromettere la fama dell’errante, può anche suscitare un certo sdegno o scandalo nei seguaci dell’errante, siano essi in buona o cattiva fede.

Ma in fondo l’intervento della critica, per quanto a tutta prima possa essere doloroso e conturbante, a differenza della diffamazione che è solo distruttiva, è salutare, come l’intervento di un medico buono ed esperto che con franchezza denuncia un male nascosto, ma con l’intento e la possibilità di guarirlo, solo che il malato si lasci curare.

Purtroppo i medici sanno bene che esistono malati che non riconoscono i propri mali e che quindi non vogliono lasciarsi curare. Questo avviene purtroppo anche nel campo dello spirito, con la differenza che qui i mali, per quanto gravi, come per esempio l’eresia, se il malato è umile, docile, pentito e vuol guarire, possono essere sempre curati, a differenza dal campo della vita fisica, dove, come sappiamo bene, se sorge un morbo grave, non si guarisce anche con i medici migliori e tutta la buona volontà di guarire.

Bisogna mettersi in testa una buona volta, contro una certa mentalità catastrofica, occhiuta ed arcigna del passato, che dalle eresie si può guarire. Ed è con questa mentalità che occorre affrontarle[1]. Altrimenti che cosa è la conversione? Che cosa è la metànoia della quale parla S.Paolo? E’ abbandonare le proprie certezze per seguire le mode, come alcuni hanno stupidamente sostenuto, è rinunciare a conservare la verità per abbracciare le favole, sotto pretesto del “nuovo” e del “progredito” o non è piuttosto riconoscere umilmente di aver sbagliato o di essere magari caduti inconsapevolmente nell’eresia, pronti a correggersi per abbracciare la verità?

Così come esistono progressi della medicina, per cui oggi si guarisce da malattie un tempo inguaribili, altrettanto oggi una pastorale più evangelica che per il passato, ispirata dal Concilio Vaticano II,  consente di curare anche quelle malattie dello spirito, per le quali un tempo si era troppo intolleranti e per cui con durezza e troppa fretta adottavano metodi repressivi anziché avviare una paziente e caritatevole opera pastorale di recupero e di correzione, sull’esempio dei grandi santi del passato, a cominciare dall’esempio sommo di Gesù Cristo, con l’enorme pazienza ma anche fermezza che ebbe nell’opera educativa e correttiva dei suoi apostoli, divenuti poi luce del mondo e sale della terra.

Si parla tanto di dialogo, ma spesso i grandi maestri del “dialogo”, vittime di grossolani errori filosofici e teologici, non tollerano le minime osservazioni fatte peraltro da teologi dotti, caritatevoli e pienamente fedeli alla buona dottrina ed al Magistero della Chiesa. Essi “dialogano” solo con coloro che condividono i loro errori nonché con gli esponenti delle dottrine più strampalate ed anticristiane  respingendo sdegnosamente gli avvertimenti, i richiami o le critiche di qualunque genere fatti dai fratelli di fede.

Speriamo che il prossimo Anno della Fede sia occasione per tutti - perché nessuno è infallibile - per una sincera revisione delle nostre idee, per vedere se sono veramente conformi alla sana ragione, alla verità del Vangelo ed alla dottrina della Chiesa, in un rinnovato impegno di approfondimento della verità e di comunicazione di essa all’intera umanità.

 

Bologna, 22 giugno 2012

 

 


[1] Al riguardo mi permetto di indicare un mio libro dedicato a questo grave ed urgente problema: La questione dell’eresia oggi, Edizioni Vivere In, Monopoli (BA), 2008.





un grazie a RiscossaCristiana
[Modificato da Caterina63 31/07/2012 17:09]
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21/07/2012 09:08
 
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"L'opera di evangelizzazione che la Chiesa ha come missione,
non è l'adattamento alle culture,
ma attraverso le culture che sono proprie ad ogni generazione,
queste devono essere purificate:
è necessario un taglio coraggioso che allora diventa progresso
e maturazione secondo le leggi stabilite da Dio
e non secondo gli uomini,

una vera apertura a Dio che consente di nascere
a creatura nuova (2Cor 5,17; Gal 6,15),

che è frutto dello Spirito Santo...."

(Papa Benedetto XVI)




[SM=g1740733]

Gli amici della Chiesa nei tempi di crisi (riflessione importante)

(di Cristina Siccardi)

A differenza di Gesù, che rimase solo nell’Orto del Getsemani, la sua Sposa, la Chiesa, quando soffre la Passione, può sempre contare su un gruppo di fedelissimi, uniti fra loro dal vincolo indivisibile dell’amore per Lei. Al tempo dell’eresia ariana, che ebbe origine nel IV secolo, che divenne religione ufficiale dell’impero romano durante il regno di Costanzo II e resistette fino al VII secolo, gli amici dei coraggiosi santi Atanasio di Alessandria, Eusebio di Vercelli, Ilario di Poitiers fecero scudo intorno all’autentica Chiesa.

Al tempo degli scismi che contrapposero Papi ad antipapi e che maturarono sotto l’impero di Federico Barbarossa nel XII secolo e fra il XIV e XV secolo, ovvero quando Avignone sembrò sostituire la sede di Pietro, numerosi amici si radunarono intorno a due guide illuminate dallo Spirito Santo: santa Ildegarda di Bingen e santa Caterina da Siena.

Dopo il Concilio di Trento, un nugolo di amici si aggregò alla sequela di tre giganti della Controriforma, amici fra di loro: san Carlo Borromeo, sant’Ignazio di Loyola, san Filippo Neri.

Dopo la tragica guerra dichiarata dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese alla Chiesa, sorse un’energica risposta di ricristianizzazione e arrivarono altri amici, forti e decisi, che si unirono in quell’organizzazione culturale che va sotto il nome di Amicizia Cristiana, fondata dallo svizzero Nikolaus Albert von Diessbach, un militare al servizio di Casa Savoia che, dopo la conversione, entrò nella Compagnia di Gesù e come il suo fondatore volle «militare per Iddio sotto il vessillo della Croce», come scrive il professor de Mattei nel suo libro Idealità e dottrine delle amicizie (Bibliotheca Romana, Roma 1981, p. 43).

Scrisse Diessbach nella sua opera apologetica Le Chrétien Catholique (1771): «Io sono cristiano e cattolico. Vissi, lessi, meditai. Voglio scrivere per avere la soddisfazione di sviluppare a me stesso e ad altrui le tracce dei sentimenti che nati  e prodotti dall’uso della vita, dalla lettura e dalla riflessione, contribuirono grandemente a rendermi cristiano e cattolico» (p. 44). Egli individuò nella stampa l’arma dei nemici della Chiesa, così come aveva fatto papa Clemente XIII con l’enciclica Christianae Reipublicae Salus del 1766. Ritiratosi in un’abbazia cistercense, raccolse attorno a sé alcuni collaboratori fidati. Proprio da questi amici ebbe origine la Pia Associazione per la Stampa, che localizzò le sue sedi a Torino e Friburgo, e contò, grazie ad amicizie disseminate qua e là, su diversi punti vendita in ben 31 città italiane.

Fu così che fra il 1779 e il 1780 venne fondata nella capitale subalpina l’Amicizia Cristiana, destinata ad unire gli amici della Chiesa cattolica, iniziativa che, seppur segreta, ebbe ampia risonanza in tutta Europa e portò ottimi frutti. L’eredità di padre Diessbach venne raccolta dal venerabile Pio Brunone Lanteri, fondatore degli Oblati di Maria, il quale, contro i seminatori della menzogna e dell’eresia, fece sorgere l’Amicizia Cattolica (1817). Con lui altri amici, devoti del Sacro Cuore di Gesù, sostennero la Chiesa e lo fecero leggendo e studiando testi dal timbro inconfutabile: sant’Ignazio di Loyola, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, san Francesco di Sales, santa Teresa d’Avila…

L’Amicizia Cattolica sarà l’humus nel quale si formeranno anime come quella di don Luigi Guala, fondatore del Convitto ecclesiastico, che darà vita alla docenza di san Giuseppe Cafasso, riformatore del clero e maestro, fra tanti altri santi sacerdoti, di don Bosco. Tutti questi uomini vissero l’amicizia come la intende sant’Agostino:  «Quando ci si vuol bene, e tra chi parla e chi ascolta c’è una comunione profonda, si vive quasi gli uni negli altri, e chi ascolta si identifica in chi parla e chi parla in chi ascolta». Oggi la Chiesa, dal Concilio Vaticano II in poi, sta vivendo una profonda crisi, causata dall’illusoria utopia di rendere conciliabile ciò che non lo è: Chiesa e mondo.

La Tradizione, ancora una volta, ha prodotto e produce nuovi suoi amici che nell’odierno dibattito culturale diffonde, con la «buona stampa» e il «buon Internet» le idee cattoliche di sempre. Chi possiede il vero timore di Dio non inganna il prossimo: non esiste amicizia più solida e più alta, nella sua eternità, di quella sperimentata da coloro che non guardano l’amico per interesse proprio, ma per interesse della Fede e della Carità.

Cristina Siccardi da CorrispondenzaRomana



[SM=g1740758]

[Modificato da Caterina63 16/08/2012 18:07]
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17/08/2012 21:50
 
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Il futuro del cristianesimo

 

Ognuno ha un ruolo nel dramma eterno. Anticipiamo ampi stralci di uno degli articoli contenuti nel numero in uscita della rivista dei gesuiti italiani "La Civiltà Cattolica".

di Giandomenico Mucci

Il futuro del cristianesimo è stato oggetto della riflessione di due illustri storici francesi, cattolici, accademici di Francia, che sono stati titolari di cattedre prestigiose e autori di opere note a livello internazionale:  Jean Delumeau e René Rémond.
Delumeau è preoccupato per il corso sul quale si è avviata la déchristianisation, ma spera in quella evangelizzazione che saprà coniugare le tre grandi componenti della mentalità moderna:  il retaggio religioso, le conquiste scientifico-tecniche e l'aspirazione alla partecipazione realizzabile sul piano politico dalla democrazia pluralista.

Quindi, il cristianesimo non sta affatto per morire, a patto però che sappia constatare che oggi, nella storia dell'umanità, esistono due grandi culture di progresso:  il cristianesimo stesso e l'illuminismo. Non è per caso che i valori dei diritti dell'uomo, della tolleranza, della democrazia pluralista, portati avanti dalla cultura illuminista, siano germinati o emersi in modo significativo in terra cristiana. 

Non va sottovalutata l'importanza della condizione che regola la concezione sostanzialmente ottimista di Delumeau sul futuro del cristianesimo. Questa concezione muove dal giudizio negativo sulla "cristianità di una volta (che) è stata troppo spesso una caricatura del cristianesimo":  "quanto essa è stata al potere, tanto ha smentito costantemente il Vangelo". Pertanto occorre sfatare "il mito tenace della cristianità". Allora la speranza mostrerà che il presente è meno buio di quanto spesso si immagina e il futuro è aperto a un cristianesimo configurabile come "un libero raggruppamento di cristianità particolari disseminate in società religiosamente neutrali (o ostili)".

A noi pare che una tale speranza sia copertamente debitrice al mito tenace dell'illuminismo. Come non leggere sotto questo testo dell'autore il progetto non cattolico di un cristianesimo ridotto nei limiti del privato, individuale o comunitario, e svestito del carattere che gli è proprio dell'universalità? Se così avvenisse, il cristianesimo  starebbe certamente per morire.

Con Rémond siamo in ben altra, più profonda, sensibilità ecclesiologica. La sua analisi parte dal riconoscimento della ridotta influenza del fattore religioso e dell'autorità della Chiesa, ma dichiara subito la distinzione tra la secolarizzazione della società civile e la déchristianisation. La secolarizzazione non pregiudicava i sentimenti personali e le credenze dei singoli. La déchristianisation invece incide sulle credenze intime e i comportamenti personali e ha fatto sì che, nelle società moderne, ingenti masse di uomini si siano disaffezionate da qualsiasi fede religiosa.

All'ostilità anticlericale di un tempo sono succeduti l'indifferenza e il disinteresse. Rémond fa carico al clero di non aver studiato e valutato nel suo giusto valore il pensiero dell'età moderna. Ciò non toglie tuttavia che, secondo l'illustre storico, il fatto religioso ha continuato a essere l'espressione comune di molte società, comprese quelle nelle quali si è cercato per decenni di estinguerne l'influenza.

Tutto questo "dimostra non soltanto che il fatto religioso non ha detto la sua ultima parola, ma che conserva un'importanza sociale e continua a svolgere un ruolo nel divenire delle società politiche. Ci si potrebbe anche chiedere da certi segni se non sia in procinto di occupare nel campo della coscienza collettiva un posto più ampio:  ne è prova il successo dell'informazione religiosa".
Non è tutto. Il Rémond nota che, sì, in Occidente regredisce la pratica religiosa, ma su scala globale le Chiese non hanno perduto nulla della loro influenza. "Il fattore religioso resta una componente maggiore della vita dell'umanità e le Chiese si sono impegnate molto più direttamente da una trentina d'anni, particolarmente la Chiesa cattolica dopo il Vaticano ii, per il riavvicinamento dei popoli e lo sviluppo. Le Giornate mondiali della gioventù sono il più grande assembramento di giovani di ogni razza e nazione".

Il discorso del Rémond si fa più puntuale, più critico, quando inserisce nel quadro generale del fatto religioso di oggi il caso del cristianesimo. La sua attenzione si concentra con preoccupazione, sul fenomeno prodottosi nelle società cristiane occidentali intorno agli anni Sessanta del secolo scorso:  la cesura nella trasmissione da una generazione all'altra di tutto un complesso di nozioni, idee e valori.

Fino ad allora, il patrimonio culturale religioso entrava a pieno titolo nella cultura generale. Non era contestato, in quanto tale, neppure dagli anticlericali. Letteratura, filosofia, storia concorrevano indirettamente affinché nello spirito del bambino e dell'adolescente avesse uno spazio proprio l'elemento spirituale. La Chiesa poteva appoggiarsi alla scuola per assicurare la trasmissione dei suoi valori. Oggi la Chiesa è sola. Ma il cristianesimo e il cattolicesimo, pur nelle presenti difficoltà, non stanno vivendo la loro fase terminale. Si evolveranno, si metamorfizzeranno, come è accaduto già tante volte lungo i secoli. Quali che saranno le epoche e i contesti, gli uomini continueranno a cercare e aprire nuovi cammini di libertà e di speranza. "Perché non dovrebbero farlo sotto l'impulso e l'ispirazione del cristianesimo?".

Cinquant'anni fa, non erano attuali né l'interrogativo che Delumeau ha posto a capo del suo libro né le analisi e le previsioni di Rémond. La cultura dell'epoca, che pure era anticlericale più di quella che ci è contemporanea, lo sviluppo delle scienze e gli inizi dell'era tecnologica non erano tali da porre ai credenti il problema del futuro del cristianesimo nei termini drammatici nei quali non pochi lo avvertono oggi.

Ma l'anima presaga di François Mauriac ricordava ai cristiani che la Chiesa, in ogni epoca della storia, deve, per una misteriosa necessità, ripetere in se stessa la passione del Signore che l'ha costituita, salvata e posta come segno suo tra gli uomini. In questa pagina, parla ed esorta un autentico credente, la sua fede non priva di tentazioni e tuttavia salda nella meditazione di una speranza che non può morire perché guarda alla Chiesa come prolungamento e dispiegamento nel mondo del dolore vittorioso di Cristo.

La riproponiamo al nostro lettore.

"Ma che cosa ci riserva il futuro? Quando si tratta della Chiesa, le parole di vittoria e di disfatta non hanno più il loro senso abituale. Mai la sentiamo così inerme come nei suoi trionfi né così potente come nelle sue umiliazioni. Fino alla consumazione dei secoli vi saranno intorno alla croce lo stesso tumulto, lo stesso fermento d'insulti e di scherni, soprattutto la stessa indifferenza di Pilato, lo stesso colpo di lancia nel Cuore di Cristo inferto da una mano qualunque; ma vi saranno anche la stessa supplica del ladrone pentito, le stesse lacrime della Maddalena; e dinanzi al Cristo agonizzante l'atto di fede del centurione pentito e l'amore silenzioso del discepolo prediletto. A ciascuno di noi conoscere la parte che vuole fare in questo dramma eterno. A nessuno è concesso di non prendervi parte. Rifiutare di scegliere vuol dire aver già scelto".


(©L'Osservatore Romano - 3 aprile 2010)




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Le vere cause e il vero rimedio dei mali odierni della Chiesa

 

 

Nel 1985 apparve un libro che fece scalpore: il Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger, in cui, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto forma di intervista a Vittorio Messori, metteva in luce la crisi religiosa seguita al Concilio Vaticano II.

di Roberto de Mattei


Nel 1985 apparve un libro che fece scalpore: il Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger, in cui, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto forma di intervista a Vittorio Messori, metteva in luce la crisi religiosa seguita al Concilio Vaticano II. «È incontestabile – diceva il cardinale Ratzinger – che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente  sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI». 

Passarono altri vent’anni e lo stesso cardinale Ratzinger, il Venerdì santo del 2005, alla vigilia della sua elezione al pontificato, fece un’altra affermazione che colpì per la sua forza: «Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! [Gesù]». 

Oggi, nella sua Lettera ai cattolici di Irlanda del 19 marzo 2010, Benedetto XVI è ancora più esplicito: ricorda che negli anni Sessanta del Novecento fu «determinante (…) la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento del Concilio Vaticano fu a volte frainteso» e vi fu «una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari». «È in questo contesto generale» di «indebolimento della fede» e di «perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti (…) che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi».

La visione degli scandali morali che emerge da queste parole è esattamente antitetica a quella che affiora dalla stampa progressista internazionale. Chi oggi mette sotto accusa il Papa e le gerarchie ecclesiastiche pretende che la causa degli abusi dei sacerdoti stia nell’istituzione del celibato e nella “repressione” cattolica della sessualità. Ma i fatti sotto i nostri occhi dimostrano esattamente il contrario: la decadenza morale del clero ha avuto origine, negli anni del post-concilio, proprio quando la “nuova teologia” rifiutò la morale tradizionale per far propria la mitologia della “Rivoluzione sessuale”. 

Occorre ricordare infatti che, durante i lavori del Vaticano II prese forma l’idea di una Chiesa non più militante, ma peregrinante, in ascolto dei segni dei tempi, pronta a rinunziare alla verginità della sua dottrina, per lasciarsi fecondare dai valori del mondo. Offrirsi ai valori del mondo significava rinunziare ai propri valori, a cominciare da quello che è più intrinseco al Cristianesimo: l’idea del Sacrificio, che dal mistero della Croce discende in ogni aspetto della vita ecclesiale, fino alla dottrina morale, che un tempo ispirava la vita di ogni battezzato, chierico o laico che fosse.

Il Concilio impose ai vescovi, come un dovere, la “sociologia pastorale”, raccomandando di aprirsi alle scienze del mondo, dalla sociologia alla psicanalisi. In quegli anni era stato riscoperto lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un manicomio americano nel 1957. Herbert Marcuse ed Eric Fromm ne seguirono la musica.

Nel suo libro-manifesto La Rivoluzione sessuale, Reich aveva sostituito alle categorie della borghesia e del proletariato quelle di repressione e di liberazione, intendendo con questo ultimo termine la pienezza della libertà sessuale. Ciò implicava la riduzione dell’uomo a un insieme di bisogni fisici e, in ultima analisi, ad energia sessuale. La famiglia, fondata sul matrimonio monogamico indissolubile tra un uomo e una donna, era vista come l’istituto sociale repressivo per eccellenza: nessuna considerazione sociologica poteva autorizzarne la sopravvivenza.

Una nuova morale, basata sull’esaltazione del piacere, avrebbe presto spazzato via la morale tradizionale cristiana, che attribuiva un valore positivo all’idea di sacrificio e di sofferenza. 

La nuova teologia, spinta dal suo abbraccio ecumenico ai valori del mondo, cercò l’impossibile dialogo tra la morale cristiana e i suoi nemici. I corifei della “nuova morale”, definiti da qualcuno “pornoteologi”, sostituivano alla oggettività della legge naturale, la “persona”, intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’“etica della situazione”. E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo positivo della sessualità, anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona umana si realizza.
Citavano a questo proposito il concetto secondo cui «ho bisogno dell’altro per essere me stesso», fondato sul n. 24 della Gaudium et Spes, “magna charta” del progressismo postconciliare. Basta purtroppo entrare in qualsiasi libreria cattolica per trovare sugli scaffali i libri di questi pseudo-moralisti stampati dalle principale case editrici cattoliche.

Oggi però registriamo il fallimento della “porno-teologia” e la necessità di ritornare agli insegnamenti della morale tradizionale, riscoprendo i valori della penitenza e del sacrificio. Va ribadito dunque che, malgrado i peccati di tanti suoi figli, la Chiesa Cattolica non è mai “peccatrice”, ma resta sempre santa e immacolata nella sua natura e nella sua essenza.

La ragione di questa santità integrale della Chiesa è la santità stessa di Dio, Uno e Trino, e di Gesù Cristo Capo e fondatore del Corpo Mistico. Santo è il Vangelo della Chiesa, santa la sua verità, santi e salvifici sono i suoi sacramenti. Le colpe morali dei membri della Chiesa non ne distruggono la santità morale, perché le mancanze dipendono dall’abuso del libero arbitrio degli uomini, non dall’insufficienza dei suoi mezzi di salvezza.
Anche nei periodi di crisi morale registrati nella sua storia, la dottrina e la legge della Chiesa rimangono identiche nella loro intrinseca santità, operando nelle anime di buona volontà gli stessi benefici effetti  dei tempi di splendore.

L’unica soluzione alla gravissima crisi morale dei nostri tempi sta nello spirito di vera riforma della Chiesa indicato da Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici di Irlanda. Il richiamo alla penitenza che costituisce il filo conduttore del documento non è mai disgiunto dall’appello «agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente» che nel passato resero grande l’Irlanda e l’Europa e che ancora oggi possono rifondarla (n. 3).
L’invito ai fedeli irlandesi «ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale» (n. 12) suona come un appello a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà per ritrovare l’unico fondamento della ricostruzione morale e sociale in Gesù Cristo, «che è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb. 13,8) .

(RADICI CRISTIANE n. 54 - Maggio 2010)

 

************************************

La mezzaluna subentra al Sacro Cuore

 

di Gianfranco Amato

Le grandi trasformazioni avvengono sempre attraverso piccoli ma significativi segnali. Uno di questi è rappresentato dalla vicenda della scuola elementare cattolica del Sacro Cuore di Blackburn nel Lancashire inglese.
La Sacred Heart Roman Catholic Primary School Blackburn, questo il nome ufficiale della scuola, vanta origini storiche più che dignitose, risalenti a centodieci anni fa.

La prima pietra fu posata il 5 maggio 1900 da Sua Eccellenza monsignor John Bilsborrow, Vescovo di Salford, ed il 14 gennaio 1901 la scuola fu ufficialmente inaugurata, accogliendo i primi ventotto alunni.
Perché questo centenario istituto scolastico cattolico sia diventato un segno dei tempi è presto detto.
Alla fine di settembre è stato dato l’annuncio che la Sacred Heart Roman Catholic Primary School di Blackbury sarà quasi certamente rilevata dalla locale moschea Masjid-e-Tauheedul, e diventerà una scuola islamica.
La presenza degli alunni cattolici, che dieci anni fa si attestava attorno al novanta per cento, oggi non raggiunge il tre per cento, rappresentando una sparuta minoranza rispetto agli altri studenti di origine asiatica quasi tutti musulmani.

Da qui la decisione delle autorità religiose di lasciare l’istituto.
La diocesi di Salford ha dichiarato, infatti, di non ritenere più appropriato definire come cattolica la scuola, che oggi ha 197 alunni, di cui solo cinque o sei appartenenti alla Chiesa di Roma. Geraldine Bradbury, responsabile diocesana dell’educazione, ha ammesso di «non aver mai assistito ad un cambiamento di tali dimensioni prima d’ora», ed ha comunque difeso la decisione di abbandonare le elementari del Sacro Cuore, ritenendo giusto «dare alle esigenze educative della comunità un’adeguata risposta».
Quindi, disco verde alla scuola musulmana.
Del resto, il consiglio di amministrazione delle elementari del Sacro Cuore si è già dimesso, adducendo la motivazione che l’orientamento cattolico dell’istituto da tempo non rispecchia più il sentire religioso della comunità locale.

A questo punto la legge impone all’amministrazione comunale di Blackburn l’obbligo di indire una gara pubblica per individuare l’organizzazione che dovrà gestire la scuola.

La moschea Masjid-e-Tauheedul appare in pole position per l’aggiudicazione, visto che, oltretutto, uno studio fatto eseguire dalla medesima amministrazione comunale ha rilevato come una scuola islamica rappresenti, in realtà, la migliore risposta alle istanze della popolazione locale, in maggioranza musulmana. La stessa moschea, peraltro, gestisce già un istituto superiore femminile a Blackburn, il Tauheedul Islam Girls’ High School, il cui preside, Hamid Patel, ha definito più che ragionevole il subentro nella gestione della scuola elementare del Sacro Cuore, visto quasi tutti gli allievi della scuola cattolica sono ormai musulmani.

Questa vicenda paradigmatica contiene in sé i due fattori che caratterizzano l’avanzata dilagante dell’islam in Gran Bretagna: il progressivo allontanamento dalla tradizionale fede religiosa cristiana, e la crescita demografica a ritmi esponenziali della comunità musulmana.
Ignorare questa evidenza, significa eludere la realtà, perdere il senso di ciò che accade, e cedere alla mortale logique de l’autruche. Non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si affronta un fenomeno epocale come quello del rapporto con l’islam. Serve semmai un giudizio che, attraverso l’intelligenza, la coscienza e la ragione, sia in grado di comprendere la natura, l’essenza ed il significato di tale fenomeno.
Dando un’occhiata al sito web della diocesi di Salford, ed in particolare allo spazio dedicato all’educazione, si può leggere quanto segue a proposito delle scuole cattoliche:

Com’è noto, San Pietro una volta disse: «Siate sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi. Ma fate questo con dolcezza e rispetto» (1 Pietro 3,15). La Chiesa cattolica ha sempre mostrato una particolare attenzione all’educazione per essere in grado di testimoniare l’azione salvifica di Gesù Cristo in una maniera convincente e rispettosa. Tale compito richiede un’adeguata formazione delle menti e dei cuori. La diocesi di Salford fornisce i mezzi con cui i cristiani possono essere formati ed educati nella fede.

Beh, dopo la vicenda delle scuole elementari del Sacro Cuore di Blackburn forse sarebbe meglio che i responsabili diocesani facciano qualche riflessione in più. E non solo loro.

 

Fonte: CulturaCattolica.it
sabato 16 ottobre 2010


http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=19494&Pagina=1&fo=




[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 17/08/2012 22:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Home Rubriche Vita della Chiesa PROSPETTIVE DELL’ANNO DELLA FEDE - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

PROSPETTIVE DELL’ANNO DELLA FEDE - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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Papa

 

L’idea del Papa di indire, a partire dal prossimo ottobre, un “Anno della Fede”, è stata più che opportuna e certamente provvidenziale. Del resto come potremmo pensare che non sia sensibile alla questione della fede chi, oltre che ad essere adesso Vicario di Cristo,  per vent’anni è stato a capo del Dicastero Romano deputato a correggere coloro che errano nella fede?

Ecco dunque, per lanciare e guidare questa iniziativa, la pubblicazione da parte di Benedetto XVI, del motu proprio “Porta fidei” dell’anno scorso, lettera ricca di motivi, di incitamenti e di spunti, su alcuni dei quali, che mi son parsi particolarmente significativi, vorrei fermarmi brevemente.

Il Papa all’inizio accenna al “fondamento della Fede”, che ovviamente per il cattolico è Cristo stesso, che si rivela all’uomo con la sua divina autorità e con i segni di credibilità - i miracoli e le profezie -, dei quali parla il Concilio Vaticano I. Occorre però distinguere questo “fondamento” divino che impegna Cristo stesso e il suo Spirito di Verità, dalla virtù e dall’atto della fede, che riguardano noi, benchè naturalmente sempre in quanto illuminati da Cristo. Tuttavia, se il primo si può dire fondamento “oggettivo” della fede, questo secondo aspetto possiamo chiamarlo fondamento “soggettivo”.

Esso (il pius credulitatis affectus del quale parla il Vaticano I) consiste preliminarmente nella percezione e accettazione delle ragioni o motivi del credere, ossia dei segni di credibilità, appunto i miracoli e le profezie e per conseguenza, nella nostra adesione responsabile ed intelligente alla Parola di Dio che Cristo ci comunica per il tramite della Chiesa sotto l’ispirazione dello Spirito Santo.

Il Papa accenna più avanti all’importanza del cammino che conduce alla fede e sul quale dobbiamo aiutare coloro che sono aperti alla verità cristiana e non l’hanno ancora trovata: “Non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”. Anche qui siamo nel campo di competenza della teologia fondamentale.

Il Papa poi enuncia gli scopi di questo Anno della Fede: “riscoprire ed approfondire la fede” con spirito di “conversione”, e da qui prendere l’impulso per la nuova evangelizzazione che oggi è più che mai urgente.

Potremmo chiederci in che cosa può consistere questa “conversione” nel campo della fede. Evidentemente consiste nella correzione di eventuali errori nella fede nei quali magari anche solo involontariamente fossimo incorsi, quindi consiste in un’informazione più attenta, umile e fedele di quelli che sono gli autentici contenuti della fede in piena fiducia nel Magistero della Chiesa. Correggere questi errori non solo in noi stessi ma anche negli altri, una volta che li avessimo accertati e che questi altri si lascino correggere.

Il Papa infatti non ignora, come egli stesso dice, che “una profonda crisi di fede ha toccato molte persone”. Non è la prima volta che lo dice e ciò è confermato dal parere di autorevoli studiosi i quali da tempo notano come nella lunga storia del cristianesimo mai è avvenuta all’interno della Chiesa una crisi di fede “in alto e in basso” dalle proporzioni così gravi e vaste come quella odierna, senza che peraltro molti se ne accorgano o vi diano peso e che quindi si corra ai dovuti ripari.

Si è diffusa un’enorme leggerezza o irresponsabilità nel campo delle dottrine di fede - il famoso “relativismo” -, come se esse fossero facoltative o non avessero incidenza nella “vita” o potessero essere liberamente determinate da qualunque cristiano secondo i suoi gusti o la sua coscienza soggettiva. Molti “cattolici” sembrano dire: “lasciamolo parlare questo Papa, tanto non ci fa nulla e possiamo continuare a fare come ci pare”.

Sembrano, questi, purtroppo essere i frutti amari del cosiddetto “libero esame” luterano ormai diffusosi anche nei nostri ambienti cattolici a causa di un malinteso ecumenismo. Potremmo immaginarci una cosa del genere nel campo della medicina o della salute pubblica o della convivenza civile? Non andrebbe tutto a catafascio? Non sarebbe una cosa intollerabile? Non si interverrebbe subito con drastici interventi?

E perché una simile incoscienza o indifferenza nel campo della fede, che mette a repentaglio il nostro destino eterno? Ma allora ci crediamo veramente in questo destino eterno? E se ci diciamo “cattolici”, perché non ci fidiamo del Magistero della Chiesa e crediamo che la verità (se crediamo alla verità) sia dalla parte nostra o di quella del teologo di moda o della nostra “corrente”?

Il Papa poi ricorda bensì che “la Parola di Dio è trasmessa dalla Chiesa in modo fedele”: ma quanti tra noi cattolici (non parlo evidentemente dei protestanti) crediamo ancora a simili dichiarazioni? Papa Ratzinger inoltre ricorda quanto disse un giorno Paolo VI, ossia che “occorre “un’autentica e sincera professione della medesima fede”.

E’ questo un grave punctum dolens: siamo tutti concordi nella medesima fede? Non ci facciamo troppo spesso una “fede” per conto nostro? Quanti di noi restano convinti dell’immutabilità dei concetti di fede? O forse sono ingannati dall’evoluzionismo proprio del modernismo? Il Papa ricorda questa essenziale caratteristica del cattolicesimo: dobbiamo “trasmettere - egli dice - alle generazioni future la fede di sempre”: dunque immutabilità delle verità di fede e delle nozioni che le esprimono.

Nel contempo però non cessa mai e non deve mai cessare una sempre migliore conoscenza del dato di fede. Ecco il progresso dogmatico. Dice il Papa: “I contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato”.

Osserverei, e qui mi unisco a molte voci di cattolici autentici, voci che oggi stanno moltiplicandosi, che bisogna sì recepire le nuove dottrine conciliari basate sulle verità di fede tradizionali, ma bisogna anche esaminare seriamente l’opportunità o la necessità di rivedere alcune direttive pastorali o giuridiche, le quali, dopo cinquant’anni di esperienza, hanno dimostrato di non portare quei frutti che all’inizio ci si aspettava ed anzi hanno dato risultati negativi.

Occorre vedere se non sarà il caso di riprendere, in campo liturgico, pastorale o disciplinare, alcune pratiche che in passato hanno dato buoni frutti, mentre ci stiamo accorgendo che l’averle abbandonate produce frutti amari. Non sarebbe la prima volta che la Chiesa deve modificare, abolire o mutare leggi o disposizioni che alla prova dei fatti, si rivelano controproducenti o dannose. Spesso un Concilio viene per rimediare ad errori pastorali (non dottrinali!) di un Concilio precedente. Apprezzare il Vaticano II non può voler dire farne un idolo. Abbiamo visto qualcosa in questo senso nel motu proprio del Papa che rivalorizza la Messa Tridentina.

Il Papa poi accenna alla soprannaturalità della fede: “Solo credendo la fede cresce e si rafforza”. La fede, una volta raggiunta, certamente si rafforza grazie alla sua soprannaturale energia intrinseca che viene da Dio ed è dono di Dio, per cui è Dio stesso che la rafforza. Da qui la necessità di chiedere a Dio che irrobustisca la nostra fede, per cui essa aumenta grazie alla forza stessa della nostra volontà di credere ed alla nostra più forte adesione volontaria alla verità di fede.

Ma il Papa non esclude assolutamente che anche noi abbiamo una responsabilità nel rafforzare la nostra fede, e tale responsabilità  consiste nel consolidare e confermare i motivi che ci hanno condotto e che ci conducono alla fede. Questo è il compito di una sana teologia apologetica o, come anche la si chiama oggi, “teologia fondamentale”. Poco dopo infatti il Papa stesso accenna alle “ragioni per cui si crede”.

Interessante è anche il riferimento alla fede della Chiesa. Dice infatti il Papa: “E’ la Chiesa il primo soggetto della fede”. Come appare chiaramente dal contesto, il Papa non intende escludere il valore primario, fondamentale ed irrinunciabile dell’atto personale del credere, ed anche un modo proprio di ciascuno di concepire la propria fede, ma si riferisce al fatto che questo atto vale in quanto riflette la fede della chiesa, la fede che il singolo stesso ha ricevuto dalla Chiesa e perchè ha creduto nella Chiesa che glie lo ha insegnato. La fede del singolo non è una fede inventata da lui per conto suo, ma è la stessa fede della Chiesa, ossia la fede di ogni figlio della Chiesa.

Infatti il credere (fides qua)della Chiesa in concreto è l’espressione, la somma e il risultato degli atti di fede dei singoli credenti, giacchè, se non ci fossero i credenti, non ci sarebbe la Chiesa. Invece i contenuti (fides quae)del credere appartengono prima alla Chiesa che ai singoli, e la Chiesa li trasmette ai singoli, la cui fede in tal senso vale se è la fede della Chiesa.

Il Papa accenna anche a difficoltà che oggi colpiscono la retta fede: “La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche”.

Esiste però anche per la fede il pericolo opposto di essere falsata ed umiliata da un presuntuoso ed arrogante gnosticismo, facente sfoggio di alta spiritualità se non di “genialità”, il quale pretende di conoscere o addirittura “sperimentare” Dio meglio di quanto ci venga comunicato dalla Chiesa o dallo stesso Gesù Cristo. Si tratta di un prometeismo o di un panteismo o di un esoterismo o di una falsa mistica presenti non solo tra certi cattolici ma anche e soprattutto in certe sètte o altre religioni.

Nel documento pontificio ci sono altri spunti interessanti, che richiedono la nostra attenzione. Qui nello spazio di un breve articolo, mi sono limitato a quelli che mi paiono maggiormente stimolare la nostra riflessione. L’impegno che sorge da queste indicazioni del Pontefice è naturalmente quello di pensare sin da adesso a tutte quelle iniziative personali e comunitarie che possono rispondere con efficacia e zelo di carità alle aspettative del Santo Padre.

 

Bologna, 16 maggio 2012

  [SM=g1740722]

"Corrispondenza Romana": il coraggio di chi difende la Croce

L’epoca del “martirio bianco”

di Cristina Siccardi

 

(

 Lo spettacolo blasfemo di Romeo Castellucci e il bestemmiante film del regista Ulrich Seidl, proiettato nell’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, non sono altro che il prodotto di una società completamente laicizzata, che divora e rigetta continuamente, in un’infernale macchina del peccato, persone, idee, merci.
Questa macchina ha un solo grande nemico, del quale ha terrore: la Verità portata da Gesù Cristo; ecco perché il Cristianesimo, con i suoi simboli, viene oltraggiato e sfigurato costantemente e pubblicamente: questa è la civiltà che con orgoglio presenta con una mano la democrazia e con l’altra ripudia e pugnala le sue radici cristiane.

Ma dove sono i battezzati, i comunicati, i cresimati pronti ancora a difendere il loro Credo? Ci sono cristiani che si scandalizzano per ciò che viene reso pubblico sul fondatore dell’Islam, ma non si scompongono per ciò che riguarda la loro religione… Sono davvero pochi coloro che hanno il coraggio di proteggere le verità cristiane, essi sono i “martiri bianchi”. Siamo nell’età della cristianofobia e delle persecuzioni, sia cruente che incruente. Le vittime di queste ultime sono disposte a rimanere isolate e defraudate, subendo continui colpi morali e psicologici pur di stare al fianco della Fede professata.

Ci fu un cardinale nel XIX secolo, uno dei più grandi missionari di tutta la storia della Chiesa, che subì questo tipo di martirio, il servo di Dio Guglielmo Massaja O.F.M. Cap. (1809-1889), che denunciò a gran voce il liberalismo dell’Europa.
Egli scriveva il 18 novembre 1855 ad un suo confratello: «forse mi credono morto? Non faccio che scrivere lettere e gridare e gridare che sono ancor vivo, eppure credo che già mi abbiano fatto i funerali, perché più nessuno pensa a me…». In migliaia si presentano sulle piazze, quando si tratta di proclamare i “diritti” del vizio e del disfacimento (divorzio, aborto, eutanasia…) e ciò è considerato legittimo. Quando, invece, qualcuno si permette di denunciare le blasfemie contro la Cristianità, allora viene considerato un integralista. Non si parla più di peccato di omissione, eppure la Chiesa non lo ha depennato e viene recitato nel Confiteor della Santa Messa.

Il fedele non può rimanere insensibile e non può indossare l’impermeabile della durezza di cuore: il silenzio è omissione.

Scriveva san Massimiliano Kolbe (1894-1941): «bisogna inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere».

Di questa opinione era anche san Giovanni Bosco (1815-188), significativo apostolo contro la bestemmia, che con le sue Letture Cattoliche arrivò a migliaia e migliaia di persone al fine di individuare e denunciare l’errore: le sue parole non erano certo tenere e neppure politicamente corrette; egli, infatti, usava il salutare bastone del pastore e le sue pecorelle ne erano felici.
Benedetto XVI ricorda: «anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. (…) non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore, vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore» (Omelia, 11 giugno 2010).

Seguire il Signore significa partecipare della Sua Croce, quella che il mondo laicista disprezza. Sotto la Croce si trovavano e si trovano i fedeli, rimasti davvero fedeli, per lenire e consolare i Cuori di Gesù e dell’Immacolata.

 

Cristina Siccardi

 

Fonte:

http://www.corrispondenzaromana.it/lepoca-del-martirio-bianco/

[SM=g1740717] [SM=g1740720]

 



[Modificato da Caterina63 20/09/2012 10:41]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Annus Fidei con B16



UDIENZA AI VESCOVI DI RECENTE NOMINA PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLE CONGREGAZIONI PER I VESCOVI E PER LE CHIESE ORIENTALI, 20.09.2012
 
Alle ore 12 di questa mattina , nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Vescovi di recente nomina partecipanti al Convegno promosso dalle Congregazioni per i Vescovi e per le Chiese Orientali.
 Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:
 
DISCORSO DEL SANTO PADRE
 
Cari Fratelli nell'episcopato,
 
Il pellegrinaggio alla Tomba di san Pietro, che avete compiuto in questi giorni di riflessione sul ministero episcopale, assume quest'anno particolare rilievo.
 Siamo infatti alla vigilia dell'Anno della fede, del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e della tredicesima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema: «Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Questi eventi, ai quali si deve aggiungere il ventennale del Catechismo della Chiesa Cattolica, sono occasione per rafforzare la fede, di cui, cari Confratelli, voi siete maestri ed araldi (cfr Lumen gentium, 25).
 Vi saluto ad uno ad uno, ed esprimo viva riconoscenza al Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche per le parole che mi ha rivolto, e al Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

Il ritrovarvi insieme a Roma, all'inizio del vostro servizio episcopale, è un momento propizio per fare esperienza concreta della comunicazione e della comunione tra di voi, e, nell'incontro con il Successore di Pietro, alimentare il senso di responsabilità per tutta la Chiesa.
In quanto membri del collegio episcopale, infatti, dovete sempre avere una speciale sollecitudine per la Chiesa universale, in primo luogo promuovendo e difendendo l'unità della fede.

Gesù Cristo ha voluto affidare la missione dell'annuncio del Vangelo anzitutto al corpo dei Pastori, che devono collaborare tra loro e con il Successore di Pietro (cfr ibid., 23), affinché esso raggiunga tutti gli uomini. Ciò è particolarmente urgente nel nostro tempo, che vi chiama ad essere audaci nell'invitare gli uomini di ogni condizione all'incontro con Cristo e a rendere più solida la fede (cfr Christus Dominus, 12).

 
Vostra preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo siete chiamati a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle vostre diocesi.

L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. [SM=g1740721]

Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).

 Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962).

 Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.
 Questa eredità è stata affidata anche alla vostra cura pastorale. Attingete da questo patrimonio di dottrina, di spiritualità e di santità per formare nella fede i vostri fedeli, affinché la loro testimonianza sia più credibile. Allo stesso tempo, il vostro servizio episcopale vi chiede di «rendere ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15) a quanti sono alla ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium et spes, 22).

 Vi incoraggio, perciò, ad impegnarvi affinché a tutti, secondo le diverse età e condizioni di vita, siano presentati i contenuti essenziali della fede, in forma sistematica ed organica, per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro mondo tecnologico e globalizzato.
Sono sempre attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20).


 A questo scopo è fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione! [SM=g1740721]

 La fede chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 15).

 Il Vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore, quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il vostro personale impegno di santità vi veda assimilare ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirvi dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la linfa vitale per il ministero.

 La carità vi spinga ad essere vicini ai vostri sacerdoti, con quell'amore paterno che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i vostri primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon Pastore vi farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro che hanno perduto il senso della vita. Siate particolarmente vicini alle famiglie: ai genitori, aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo. Abbiate speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente, affinché le comunità possano avere Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.

 Cari Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2 Tm 2,22-25).
Ricordando, a me e a voi, queste parole, imparto di cuore a ciascuno la Benedizione Apostolica, perché le Chiese a voi affidate, spinte dal vento dello Spirito Santo, crescano nella fede e la annuncino sui sentieri della storia con nuovo ardore.



[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/09/2012 11:25
 
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Cristina Siccardi parla della due giorni che si terrà nella città di San Francesco

IL “CORTILE DEI GENTILI” AD ASSISI IMPEGNA QUARANTA RELATORI. MA PER PARLARE DI CHI E DI CHE COSA?

di Cristina Siccardi, 

da "Riscossa Cristiana"

 
cdgIl Cardinale Carlo Maria Martini ha fatto scuola. Fu lui, Vescovo e Cardinale, a ideare la «Cattedra dei non credenti», una formula che si è trasferita nel cosiddetto «Cortile dei gentili», incontri che dal 2011 si svolgono un po’ ovunque per promuovere in tutto il mondo il dialogo tra cristiani e non credenti; un’iniziativa ideata dal Cardinale Gianfranco Ravasi, dal 2007 presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

Fra alcuni giorni, il 5-6 ottobre, avremo il «“Cortile di Francesco”: Dio, questo sconosciuto”». Cortile di Francesco? Ma san Francesco non ha nulla a che vedere con questa iniziativa laicissima e relativista, all’insegna della religione-non religione. Dio, per san Francesco, non era affatto sconosciuto, visto che per Cristo ha giocato tutta la sua vita e lasciò il mondo per abbracciare la Croce e l’abbracciò così tanto e così forte da meritare le stigmate.

Tanti nomi di successo, tanti volti di potere, quello statale, governativo, economico, culturale, giornalistico... Tante parole, un oceano di parole: nove incontri sparsi nella città del cattolicissimo san Francesco. Qui i riflettori saranno puntati su tutto e di più, tranne che sull’unica Verità rivelata da Gesù Cristo e custodita da Santa Romana Chiesa; qui troveremo il soggettivismo più smodato, quello che tanto spaventava e allarmava il Cardinale Newman, il quale rimase solo, nell’anglicana Inghilterra (molto più anglicana di oggi) a difendere quella Verità che tanto aveva bramato. Qui non troveremo neppure la testimonianza dei martiri, che per la Fede hanno immolato la loro esistenza, che per amore del Crocifisso hanno offerto sull’altare se stessi.

Ben quaranta relatori si succederanno, ma per parlare di chi e di che cosa? [SM=g1740733]

La kermesse si aprirà con Gianfranco Ravasi e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e si chiuderà con Ravasi e il ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti del governo Monti, un governo tecnocratico dalle idee decisamente relativiste, immanentiste, globaliste e, in pratica, a favore della dissoluzione delle radici cristiane.

Ecco gli altri nomi: Eraldo Affinati, Lucia Annunziata, Luigi Berlinguer, Franco Bernabè, Enzo Bianchi, Giancarlo Bosetti, Luigino Bruni, John Borelli, Susanna Camusso, Aldo Cazzullo, Vincenzo Cerami, Lorenzo Chiuchiu', Virman Cusenza, Ferruccio de Bortoli, Domenico De Masi, Massimiliano Fuksas, Umberto Galimberti, Stas' Gawronski, Massimo Giannini, Giulio Giorello, Simon Hampton, Orazio La Rocca, Raffaele Luise, Monica Maggioni, Giuliana Martirani, Armando Matteo, Roberto Olla, Ermanno Olmi, Mario Orfeo, Moni Ovadia, Giuseppe Piemontese, Federico Rampini, Ermete Realacci, Giuseppe Virgilio, Umberto Veronesi, Gustavo Zagrebelsky, Alex Zanotelli.

Ecco i temi trattati: «il grido dei poveri e il grido della terra», la fede, il lavoro, il dialogo interreligioso e interculturale, i giovani e il rapporto tra l’arte e il sacro.

Insomma, ci saranno due protagonisti in scena: il dubbio e l’esperienza. Lui provocherà ancora più squilibrio in una società profondamente schizofrenica. Lei produrrà un caleidoscopio di idee “tarlanti” che si insinueranno nelle menti già più che sufficientemente confuse.

A chi, infine, questo simposio parlerà? La risposta è semplice: alle decine, forse centinaia di giornalisti che accorreranno ad Assisi e che faranno in modo che l’evento «sia stato un enorme successo».
Certamente gli applausi arriveranno e saranno dettati dai nomi presenti, non dalle idee esposte. Aleggerà su Assisi una cappa protestante, liberista, atea, che trarrà alimento anche dalle idee socialiste e comuniste che continuano a vivere nel metabolismo di una civiltà malata, che ha deciso, scientemente, di aggravare il suo stato di salute spirituale e civile. Il linguaggio utilizzato sarà di carattere sociologico, demagogico, emotivo.

Dunque questo convegno della città che oggi è costretta ad ospitare eventi anti-cattolici non parlerà assolutamente alle anime assetate di certezze, di sicurezze, di trascendenza, di ancore a cui aggrapparsi, di pilastri a cui sostenersi, a quelle anime che a dispetto di tutto e di tutti accorrono ancora alle roccaforti dello spirito, ovvero ai Santuari o alle urne dei santi,  come quella del cappuccino Pio da Pietrelcina, un altro figlio di san Francesco, che, anche lui, ricevette il dono delle stigmate. E non parlerà neppure a quelle anime che disperatamente vanno in cerca di pastori e maestri della Chiesa di Cristo e non di vip e narcisi, che amano se stessi e le passerelle del mondo.

Leggiamo nella prima lettera di san Giovanni:

«Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore» (1 Giov 4, 1-6).

Il 4 ottobre sarà la festa di san Francesco e il 7 ottobre Benedetto XVI proclamerà Dottore della Chiesa santa Ildegarda di Bingen: in mezzo a queste nobili date assisteremo a ciò che non vorremmo mai e poi mai si realizzasse. Ma sappiamo che la Passione della Chiesa è in atto, con tutte le sue dolorose conseguenze e la Fede, che per lei sarà dedicato un anno intero di riflessione e di preghiera (a partire dall’11 ottobre), subisce colpi spaventosi.
Ci consoli il fatto che né san Francesco, né santa Ildegarda sarebbero stati invitati come relatori e neppure avrebbero partecipato, come spettatori, a questo triste e inquietante spettacolo. [SM=g1740721]
 
Fonte:
http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1857:il-cortile-dei-gentili-ad-assisi-impegna-quaranta-relatori-ma-per-parlare-di-chi-e-di-che-cosa-di-cristina-siccardi&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123



[SM=g1740758]
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01/10/2012 15:48
 
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IL GIGANTE EGOISTA parte 1
Peccati in pensieri, parole, opere e omissioni
del cardinale Carlo Maria Martini.
E dei “martinitt”: i suoi orfanelli sbandati



E’ diventata una costante fare dell’uomo che muore – e che ha un certo seguito – un “santo subito”, senza spesso conoscere davvero gli elementi necessari per una canonizzazione. Lo dico senza acredine, credendo anzi che il cardinale Martini sia stato accolto, in qualche modo, nella beatitudine eterna: dopotutto c’è di peggio, e il martinismo supera in peggio di gran lunga lo stesso Martini. Di lui si scrive da giorni: se ne è andato con l’applauso del mondo. Per un cattolico pure alto prelato, non è proprio l’ideale: considerato che Cristo morì in Croce, senza dubbio circondato da una grande folla, ma non certo composta da suoi fan.


di Tea Lancellotti
(*foto, didascalie e diversi contributi al testo, sono del Mastino)

Siamo all’ennesimo articolo sul cardinale più famoso del nostro tempo? No, per la verità ho ricevuto un incarico dal Mastino, un incarico fatto con parole così invitanti e convincenti alle quali non potevo dire di no: “per punizione le ho assegnato la summa teologica sul pensiero di Martini come compito da fare a casa e consegnare per il mesiversario”…

CLICCA QUI PER LEGGERE INTEGRALMENTE LA PRIMA PARTE
www.papalepapale.com/develop/il-gigante-egoista-peccati-in-parole-pensieri-opere-e-omissioni-del-cardinale-martini...







[SM=g1740758] parte 2
Peccati in pensieri, parole, opere e omissioni
del cardinale Carlo Maria Martini.
E dei “martinitt”: i suoi orfanelli sbandati


Martini amava la Chiesa, certo. Ma come se fosse di sua proprietà, non di Cristo.

Possiamo concludere che è questa Sposa che ha amato Martini, accettandolo per come era, senza mai lamentarsi di lui, servendolo, fidandosi, ascoltandolo nelle lamentele, restando silenziosa ma non tacendo sulle critiche al Suo perenne magistero… Sarebbe stato bello ascoltare queste paroledurante i funerali: la Sposa è stata fedele allo sposo, più di quanto lo sposo meritasse. Ma non sarebbe stato politicamente corretto dirlo: pazienza! La Sposa porta pazienza mentre i suoi figli sono più preoccupati delle luci della ribalta e dei commenti del mondo. Preferiscono di più piacere agli uomini che a Dio, lasciando che il gregge viva i suoi spasmi in nome di un dialogo malinteso e di una libertà male interpretata, senza più dare loro la sana biada della certezza che ciò che insegna la Chiesa è davvero la nostra salvezza e fonte di vera felicità.

di Tea Lancellotti

IL “FUNERALE LAICO”: UN INNO ALLA MORTE. IL FUNERALE CATTOLICO: UN INNO ALLA VITA

Martini Rosso.
Welby morì tre giorni prima di Natale e subito si accese un altro dibattito per il rifiuto dei funerali in Chiesa: non poteva certo mancare la voce di Martini che si fece paladino dei “diritti” dell’uomo invalido e ammalato, anche in questo accusando la Chiesa di “mancanza di carità”…
Di fatto non ci fu un rifiuto della Chiesa a fare quei funerali: è stato il no alla vita di Welby che ha condotto la Chiesa a rispondere con un’azione coerente alla scelta fatta dall’uomo.
Il funerale cattolico non è un inno alla morte, ma bensì un inno alla vita. Questo funerale è certamente triste perché si piange la perdita di una persona cara, ma soprattutto è triste perché, contraddistinguendo nel defunto anche il suo essere stato peccatore, riconosciamo il peccato ripugnandolo ed affidiamo a Dio quell’anima. Confidando proprio in Colui che in quel rito ci sta raccontando come ci ha conquistati la grazia, il perdono, la salvezza.
Non inneggiamo alla morte ma alla vita eterna in Cristo!

CLICCA QUI PER LEGGERE INTEGRALMENTE LA SECONDA PARTE.....
www.papalepapale.com/develop/?p=7155&preview=true








[SM=g1740771]

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02/10/2012 18:27
 
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Loreto ovvero la pietà popolare. I fendenti del cardinale Vegliò

loreto

Giovedì 4 ottobre Benedetto XVI si recherà a Loreto, mezzo secolo giusto dopo la visita che vi compì Giovanni XXIII. Il papa celebrerà la messa nella piazza antistante il santuario mariano.

Perché questo viaggio? I santuari sono il luogo per eccellenza della pietà popolare. Quella pietà che si esprime nei pellegrinaggi, nelle feste patronali, nella devozione a Maria e ai santi, nella recita del rosario. Contro la pietà popolare si avventò negli anni Sessanta e Settanta un’ondata di contestazione, in nome di una fede “pura” e “impegnata”. Ma da Paolo VI in poi, i papi reagirono a questa tendenza. Benedetto XVI è in questo molto deciso. Le immagini della sua vita privata lo mostrano mentre recita il rosario, nei giardini del Vaticano o di Castel Gandolfo, e prega davanti alla grotta della Madonna di Lourdes.

Quanto conti la pietà popolare nel vissuto dei cattolici comuni, in Italia, è confermato, tra l’altro, dagli indici di ascolto altissimi che ha il rosario trasmesso in diretta da Lourdes su TV 2000, ogni giorno alle 18 e in replica alle 20. Il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione al consiglio permanente della CEI dello scorso 24 settembre, non ha mancato di rimarcarlo.

Per questo, è a maggior ragione interessante quanto ha detto di recente un altro cardinale, Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, terreno di coltura primario per la pietà popolare.

In una conferenza dello scorso 20 settembre alla Rete Mariana Europea, il cardinale Vegliò ha ripercorso l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla pietà popolare.

Il Vaticano II – ha spiegato – la valorizzò come “praeparatio evangelica”, come atto del popolo di Dio, come espressione di inculturazione, come correlata alla liturgia.

Ma nonostante questo – ha proseguito il cardinale – nell’immediato dopoconcilio si assistette a “un tentativo di eliminare o, almeno, di ignorare le manifestazioni popolari della fede”, al quale seguì “una rivalutazione della pietà popolare da parte del magistero, della teologia, della pastorale e della liturgia”.

Ecco qui di seguito la sezione della conferenza che analizza, con una franchezza inusuale sulla bocca di un alto dirigente vaticano, l’ondata contestatrice degli anni Sessanta e Settanta.

Alla quale contribuì, a suo giudizio, anche il modo scriteriato con cui si realizzò la riforma liturgica.

*

L’INGANNO DI UNA RELIGIONE “PURA”

di Antonio Maria Vegliò

Nella valutazione negativa della religiosità popolare influirono sia cause interne che cause esterne all’ambito ecclesiale.

Fra le prime risaltarono l’esistenza di letture parziali e selettive dei testi conciliari durante il postconcilio, così come un’interpretazione parziale e interessata della sua dottrina.

Fra le seconde si deve censire l’importante influsso che esercitarono le teorie della secolarizzazione. L’accoglienza che molti ambiti ecclesiali diedero alla teologia della secolarizzazione comportava il disprezzo di un cristianesimo manifestato in forme esteriori, il cui esempio più evidente è, certamente, la religiosità popolare.

Questa fu considerata come un cattolicesimo superficiale, separato dalla vita e dagli impegni storici.

Uno dei risultati del Concilio fu la definizione della Chiesa come popolo di Dio, cosa che incoraggiò l’associazionismo laicale. In questo contesto sorsero piccoli gruppi che si consideravano più impegnati. Questi “cattolici dell’impegno” o “cattolici progressisti” adottarono un atteggiamento di contrapposizione ai cristiani che partecipavano alle manifestazioni della pietà popolare, considerandoli semplici, ritualisti, incapaci di adattarsi ai nuovi tempi e bisognosi di purificazione. [SM=g1740729]

Al tempo stesso, accusarono la pietà popolare di avere sfumature superstiziose, di essersi allontanata dalla realtà, di alienarsi dall’impegno cristiano, di essere incapace di formare militanti e promuovere atteggiamenti evangelici che favorissero lo sviluppo e la liberazione.

Uno dei frutti più evidenti del Concilio fu la riforma liturgica. Tuttavia lo sviluppo di tale processo non fu sempre tanto opportuno quanto sarebbe stato auspicabile. Enumeriamo telegraficamente alcune caratteristiche che ebbero effetti contrari alle pratiche della pietà popolare.

In primo luogo, e frutto dell’entusiasmo che il Concilio suscitò in seno alla Chiesa, si pretese sviluppare tale riforma a un ritmo vertiginoso, senza tempo sufficiente per assimilare i testi conciliari e la loro conseguente applicazione alla Chiesa universale. Inoltre, e in qualche iniziativa, soggiacevano interpretazioni erronee o interessatamente parziali degli insegnamenti conciliari.

In non poche occasioni fu promossa una liturgia eccessivamente pragmatica, ove abbondavano gli elementi pedagogici e didascalici a scapito del suo carattere misterico, cosa che portò a trascurare canti, silenzi e gesti.

Uno degli obiettivi lodevoli era raggiungere un vissuto religioso purificato, tanto nell’ambito interno (le motivazioni), come nell’esterno (le forme). Il problema sorse nel modo concreto in cui questo si sviluppò. Fu promossa una religiosità pura, sradicata e astratta, che suppose, fra l’altro, l’eliminazione di tradizioni religiose, alle quali si attribuivano tratti magici, utilitaristici o superstiziosi.

L’affermazione conciliare della centralità della liturgia e della celebrazione eucaristica comportò che non pochi pastori sopprimessero molte pratiche popolari, per il fatto che la religiosità popolare si manifesta, in molteplici occasioni, con forme diverse da quelle previste dai testi liturgici ufficiali.

La riforma sottolineò anche la grande importanza che doveva avere la Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. E, di conseguenza, si valutò negativamente la scarsa presenza biblica nelle manifestazioni popolari, molte delle quali sono povere di teologia e di citazioni bibliche, ma ricche di sentimentalismo.

La promulgazione della costituzione “Sacrosanctum Concilium”, nel 1963, coincise con uno dei momenti in cui il movimento secolarizzante ebbe maggiore forza, e questo influenzò l’applicazione delle riforme conciliari. Da tale contesto, si assegnò alla liturgia un chiaro impegno temporale, con l’acquisizione di un tono profetico, la denuncia delle situazioni sociali di peccato e l’invito all’impegno. Per questo, la pietà popolare fu valutata negativamente, attribuendole un effetto anestetico di fronte ai problemi sociali.

Tutti questi elementi, che in qualche misura si fecero presenti durante la riforma liturgica postconciliare, si tradussero nella soppressione indiscriminata e arbitraria di numerose pratiche di pietà popolare.

In questo contesto sono eloquenti le parole che Paolo VI pronunciò nel 1973 durante un’udienza pubblica:

“Voci autorevoli ci raccomandano di consigliare grande cautela nel processo di riforma di tradizionali costumi popolari religiosi, badando a non spegnere il sentimento religioso, nell’atto di rivestirlo, di nuove e più autentiche espressioni spirituali: il gusto del vero, del bello, del semplice, del comunitario, e anche del tradizionale (ove merita d’essere onorato), deve presiedere alle manifestazioni esteriori del culto, cercando di conservarvi l’affezione del popolo”.

 

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06/10/2012 11:10
 
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" Chi rema davvero contro la Chiesa e il Papa? "

Da un rione romano ( ...) abbiamo ricevuto e pubblichiamo . 
 
" Non se ne può davvero più! 
E' un continuo tam-tam che davvero conduce alle affermazioni più assurde. 
Stiamo parlando non della rievocazione, in se, dell'11 ottobre 1962, apertura del Concilio Vaticano II, ma di come viene ancora presentato questo evento in barba agli appelli ed agli insegnamenti del Pontefice Benedetto XVI che lo ha posto in una chiave di lettura - seppur conciliante - racchiusa in quella ermeneuta "della continuità"

Veniamo ai fatti. TV2000 (Tv dei Vescovi della CEI) ha riproposto un video non proprio nuovo in cui le due voci principali fanno a gara per presentare l'evento come di qualcosa "mai avvenuta nella Chiesa", un fatto "nuovo", arrivando ad usare espressioni davvero inaccettabili. 
Giovanni XXIII, il grande Papa che avrebbe finalmente "cambiato la Chiesa". Ma come, non è insegnato dalla dottrina che è la Chiesa che ci cambia interiormente? 
Non è la Chiesa che santifica? 
E che cosa significa "cambiare la Chiesa" per questi catto-progressisti duri a convertirsi? 
Nell'Atto di Fede non diciamo forse di "credere in tutto ciò che la Chiesa ci propone a credere"? E come può una Chiesa insegnare infallibilmente se ad un certo punto della sua storia deve cambiare perché si vergogna del proprio passato? 
Lo stesso simbolo della Fede è "Credo la Chiesa..." ma come si fa a credere ad una Chiesa che dovrebbe cambiare perché a qualche gruppo così, come Essa era, non piace più? 
Ma se il Papa Benedetto XVI nel MP Porta Fidei scrive: 
"E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. 
Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. 
Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede", con quale criterio usare ancora termini ambigui come "cambiamento"? 

In che cosa sarebbe cambiata se il Papa stesso si batte per l'ermeneutica della continuità? 
Al n.30 del Compendio del Catechismo, alla voce noi crediamo si legge: " È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. 
Per questo la Chiesa è Madre e Maestra". 
Come fa ad essermi quell'una Madre e Maestra che " precede, genera e nutre " se si pretende di cambiarla? E' ovvio che così si finisce per creare una nuova immagine di Chiesa che inevitabilmente andrà a scontrarsi con l'immagine della Chiesa del passato. 
Un conto sono le riforme, il rinnovamento, l'arricchimento, e queste sono sempre benvenute, ma altra cosa è parlare di cambiamento. Una curiosità: in tutti i discorsi tenuti da Giovanni XXIII, sul Concilio, in nessuno egli parla di "cambiamento". 

Veniamo all'altra frase odiosa ripetuta centinaia di volte , come una specie di messaggio subliminale, lungo il video: la Chiesa, dopo Giovanni XXIII non sarà più la stessa! 
Senza dubbio molte cose sono cambiate ma questo perché la Chiesa visibile è fatta dalle membra che vivono il proprio momento storico: noi non siamo certo come i fedeli di trecento anni fa (esteriormente parlando), ne possiamo dire che rappresentiamo i fedeli del futuro, la modernità è proprio specifica al momento storico che vive, non è ne passato ne futuro, ma è il presente. 
Noi forse potremmo dire che oggi siamo uguali alla Chiesa del secondo, quarto o decimo secolo? 
O che al Concilio di Trento la Chiesa era uguale -parliamo sempre di esteriorità e modi- alla Chiesa che si presentava al Concilio di Efeso? 
Forse che una santa Teresina del Bambin Gesù desiderava stare in una Chiesa diversa da quella che stava vivendo nel suo momento storico? 
Tuttavia qui nel video si insinua proprio il dubbio che non sia cambiata semplicemente l'esteriorità, ma il contenuto, e questo è grave, ed è grave che TV2000, dei Vescovi italiani, non dica nulla in merito e senza portare avanti le correzioni fatte dal santo Padre, ma lascia che il tutto continui ad essere vissuto con disgustoso sentimentalismo, portando l'ingenuo fedele a credere che davvero prima del Concilio c'era una Chiesa odiosa, una matrigna, Papi cupi e cattivi. 
Come se bastasse ripartire da una fiaccolata non per commemorare, attenzione, ma per "rivivere" quella serata "magica" del "discorso alla Luna"...., ma si dice anche "discorso della Luna", no scusate, ma il Papa era un esoterico, un astrologo? 
Ci si raduna per ricordare quell'evento, ma non stiamo rasentando l'idolatria, il culto del sensazionalismo, magari anche con qualche goccia di fideismo, o paganesimo? 
E' stato dato l'ordine di convogliare numerosi fedeli per la fiaccolata che ricorderà "il discorso alla Luna", mentre risulta da qualche parte che è stato boicottato il coinvolgimento di più persone per l'incontro a Loreto ( ??? ??? interessante argomento da approfondire al più presto N.d.R. ) con il Papa che affidava l'Anno della Fede alla Madonna di Loreto
Lì avremmo dovuto vedere fiaccolate e fiumi di fedeli, sacerdoti e prelati, ma le immagini stesse rivelano la scarsissima partecipazione e la stessa TV2000 che ha solo trasmesso la diretta della Messa. 
No! 
Tutti a Roma invece per commemorare il "discorso alla Luna" e i Media ci bombarderanno con le dirette! Guardando in positivo, hai visto mai che con il flusso delle alte e basse maree, effettivamente, la Luna non finirà per dare una mano a sommergere questa sindrome delle commemorazioni sentimentaliste? 
La voce nel video rincara la dose e dice: dopo che la Chiesa si era costituita in una torre d'avorio dentro la società, dopo aver guardato alla modernità con sospetto, condannandola, finalmente è arrivato un Papa, anziano, che ha avuto il coraggio di spezzare questa torre.... e scendere così, finalmente, nella modernità. 
Qui c'è un errore di fondo, se non proprio malafede, la Chiesa non ha mai condannato la "modernità o il progresso" ma il "modernismo e il progressismo", termini che portano a problematiche completamento diverse. 
Certo che si è guardato "con sospetto" alla modernità, proprio per valutare più saggiamente l'infiltrazione del modernismo, vera piaga per il mondo. 
Quindi, prosegue il video che: questo Papa anziano, anche lui sospettoso verso la modernità, con coraggio ed anche con qualche spregiudicatezza.... 
Ma che significa "con qualche spregiudicatezza"? 
L'evento di un Concilio non era una novità per la Chiesa, così come non lo sarebbero stati i problemi che sarebbero sorti. 
Nel Compendio al n.512, leggiamo: "Per questo la Chiesa rifiuta le ideologie associate nei tempi moderni al «comunismo» o alle forme atee e totalitarie di «socialismo». Inoltre, essa rifiuta, nella pratica del «capitalismo», l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano". 
Ma questo fratelli e sorelle carissimi è il volto del modernismo che la Chiesa infatti rigetta, non è la modernità correttamente intesa nel suo benefico progresso! 
Quindi in cosa sarebbe "cambiata la Chiesa" se quanto condannava ieri continua a condannare oggi? 

Nel 29.Novembre.2007, in un Convegno tenuto alla Pontificia Università di san Tommaso per i Cento anni della Pascendi Dominicis grecis di San Pio X (8. Settembre 1907) monsignor Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefeltro al quale è stato affidato il discorso di chiusura, ha riportato il problema dell’equivoco post-conciliare ricordando la condanna della “ermeneutica della discontinuità” da parte di Papa Benedetto XVI. “L'errore di una ermeneutica della rottura, della discontinuità, che vede il Vaticano II come l’alba di una nuova chiesa”, ha commentato. 
San Pio X – ha affermato mons. Negri – ha dimostrato come tutte quelle correnti vicine al razionalismo e al modernismo portano inevitabilmente all’ateismo. 
Esse rappresentano un impietoso tentativo di eliminare Dio dalla considerazione della vita e della società. Se si elimina il divino, l’uomo diventa oggetto di manipolazione in tutti i sensi (...) 
I totalitarismi non sono stati ‘incidenti di percorso’ ma consapevoli e deliberate costruzioni di società senza Dio”. “Oggi ci troviamo di fronte a una battaglia epocale tra una concezione autentica e una concezione razionalista e ‘massonica’ della Chiesa – ha proseguito il presule –. 
Parimenti c’è un ecumenismo giusto, quello che affianca al dialogo la missione e un ecumenismo ‘d’accatto’ che contrappone dialogo e missione”. 
All’inizio del secolo attuale, nell’anno giubilare è stata pubblicata la dichiarazione Dominus Jesus che indica chiaramente nella Chiesa la fonte della verità: auspichiamo che insieme al Sillabo e alla Pascendi, anche la Dominus fra cento anni possa essere ricordato come il documento magisteriale che ha impedito la dissoluzione del cattolicesimo nel mondo”, ha poi concluso mon. Negri. 

La voce nel video dice ancora: Papa Giovanni XXIII credeva positivamente nelle novità del mondo, vedeva positivamente il progresso.... 
Quale Papa in passato non ha mai guardato con sospetto, che noi definiamo teologicamente "prudenza" ciò che poi si univa al progresso della società in cui viveva? 
E al contempo guardava con favore al vero progresso?

Mons. Luigi Maria Carli (1914-1986) già Vescovo di Segni e Gaeta, ha scritto nel 1969 "Nova et Vetera, Tradizione e progresso nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, ad un certo punto scrive: 
"Si ripete spesso, con l’aria, quasi di chi alza la voce per farsi coraggio: “Non sono più i tempi degli scismi! Roba del passato!”. 
Fosse vero. 
Ma perché mai gli scismi non sarebbero oggi più possibili? 
Dove sta scritto? 
Chi l’ha decretato? E non dimentichiamo che, ancorché non più dichiarati formalmente, come un tempo, mediante la pubblica affissione di tesi ereticali da una parte e bolle di scomunica dall’altra, gli scismi più insidiosi e deleteri rimangono quelli negati a parole ma esistenti nei fatti. 
La conclamata volontà di certi novatori di “andare avanti restando nella Chiesa” potrebbe anche significare il deliberato proposito di giuocare allo svuotamento del cristianesimo dal di dentro, di “portare l’infedeltà nel cuore stesso della Chiesa”
Costoro potrebbero rimanere dentro le strutture, perché gli riesca più facile “non solamente interpretare la realtà della Chiesa, ma cambiarla, alla luce del vangelo di Gesù Cristo”. 
Questo fenomeno — riconosciamolo pure, con sincerità — non avveniva dopo i Concili del passato, quando i contestatori del magistero ecclesiastico se ne separavano apertamente. 
Così, almeno, la nettezza delle posizioni assicurava la purezza della fede dei cattolici!
Trovo scritto che lo sbalordimento prodotto dai fenomeni che avvengono oggi nella Chiesa “non arriverà certo al vertice parossistico quale lo vide S. Girolamo, quando nel 350, dopo furiosi dibattiti politico-conciliari, rivelò che il mondo intero, addolorato, era stupito di ritrovarsi ariano”. 
Non arriverà certo... 
Ma donde tanta certezza? 
Perché non potrebbe accadere, poniamo tra qualche decennio, che un secondo S. Girolamo fosse costretto a riconoscere, gemendo, che l’intera cristianità non si ritrova più cristiana?"

***
Alla luce di queste parole ed ascoltando i Papi che parlano di scristianizzazione, apostasia, ed oggi l'indizione di un Anno della Fede, come non essere autorizzati a pensare come allora pensava san Girolamo e rivelare che il mondo intero non è neppure più stupito di ritrovarsi ateo? 
A cosa mi serve il cortile dei gentili, sul sacrato di una Basilica, dove un cardinale non parla per convertire, ma per passare il tempo in amicizia, e dove l'ospite, felice di essere ateo, conversa amichevolmente con un principe della Chiesa di moralità e viene pur applaudito? 
E' questo il cambiamento che voleva lo Spirito Santo? 
Se è si, allora a cosa mi serve un Anno della Fede? 
Per quale motivo dovrei impegnarmi se esiste una corte dei gentile nella quale posso esternare il mio ateismo ed essere applaudito per questo da un Cardinale della Chiesa? 
Se è no, allora cosa mi serve andare a fare una fiaccolata per ricordare un discorso "alla Luna" mentre milioni di bambini continuano ad essere uccisi per la legge sull'aborto che l'ospite alla corte dei gentili non ha mai menzionato parlando di morale? 

Scriveva con profetico monito mons. Carli sopra riportato: "
Ma tra i “segni dei tempi” registriamo ancor questo, con stupore e dolore: il nessun conto che fanno molti cattolici, chierici e laici, della parola del Papa, quando non la coprono d’irriverente sarcasmo o non ne fanno segno di contraddizione!" 
 La regola dello sviluppo nella Chiesa tra il concetto di PROGRESSO E TRADIZIONE, la troviamo formulata -citata anche dallo stesso Benedetto XVI- fin dall’anno 434 in un’opera di S. Vincenzo Lirinense: 
Dirà forse qualcuno: Non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? 
Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? 
Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione. 
Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa. 
È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenzain suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium,23 -PL50,667). 

Quello che rattrista è che proprio ai Vescovi della CEI, che non mandano in onda queste parole su TV2000, il Papa Benedetto XVI aveva ripetuto il 24 maggio 2012:
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace», affermava il Beato Papa Giovanni XXIII nel discorso d’apertura. E vale la pena meditare e leggere queste parole. 
Il Papa impegnava i Padri ad approfondire e a presentare tale perenne dottrina in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi» (Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). 

Questa è l'unico "discorso" che dobbiamo commemorare, non il discorso alla Luna ".


[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/10/2012 12:27
 
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Cronaca della III Giornata della Tradizione a Verbania di domenica 14 ottobre, l'intervento di don Paolo Petrucci Superiore Italiano della FSSPX

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo nella  comune prospettiva di " sentire cum Ecclesia " .
Ringraziamo l'Autore per aver inviato anche a noi l'articolo.
A.C.
 
"Negare la gravissima crisi in cui si trova la Chiesa significa negare l'evidenza..., di conseguenza, chi dice le cose come stanno realmente, viene considerato un nemico della Chiesa". 

Con queste addolorate parole don Alberto Secci ha aperto la III Giornata della Tradizione che si è svolta, come da programma, all'hotel "Il Chiostro" di Verbania. La sala delle conferenze era gremita di pubblico e così anche la Cappella dove, alle 17,30, è stata celebrata, dal medesimo don Alberto, la S. Messa. 

"Pur di negare l'evidenza" - proseguiva il coraggioso sacerdote ossolano - "si giunge spesso ad arrampicarsi sui vetri in modo incredibile. 
Venendo a Verbania ascoltavo, ad esempio, un'intervista radiofonica ad un presule romano. 
Egli si è spinto a dichiarare che... questa crisi ha permesso alla Chiesa di fornire, come sempre, la medicina giusta.
Questa medicina si chiama Concilio Vaticano II. ... Come si fa ad arrivare a tal punto?!" 

Poco dopo è stato presentato quindi l'oratore ufficiale della manifestazione. 
A sorpresa è salito al tavolo don Pierpaolo Petrucci, superiore del Distretto Italiano della FSSPX: "Abbiamo invitato la Fraternità San Pio X" - ha detto ancora don Alberto - "perchè nessuno più di loro, in oltre quarant'anni di studio e sacrifici, hanno saputo maggiormente approfondire i motivi ed il significato di questa crisi spaventosa.
Le medesime Autorità Romane, accettando di discutere ufficialmente con la FSSPX, hanno implicitamente ammesso che le loro posizioni sono importanti e degne della massima attenzione". 

Don Pierpaolo Petrucci ha quindi riassunto, nel suo limpido intervento, le ragioni storiche che hanno portato alla situazione attuale: "La causa prima di tutti i turbamenti della Chiesa, in tutta la sua storia, è ovviamente Satana. 
Egli, per agire, ha bisogno però di collaboratori umani e sempre purtroppo ne ha trovati nel corso dei secoli". 

Egli ha quindi riassunto la storia delle eresie e, specialmente, quelle che hanno infestato la Cristianità dall'umanesimo in avanti. 
"Lutero, in pratica, ha detto: Cristo sì, Chiesa no. 
Poi è arrivata la Rivoluzione Francese e il liberalismo che hanno fatto un passo ulteriore: Dio sì, Cristo no. 
Infine il marxismo ateo: Dio è morto". 
Fino alla metà del XIX secolo tutte queste eresie imperversavano nel mondo ma la Chiesa le avversava con vigore. 
Poi è iniziata una lenta penetrazione, subdola e strisciante, all'interno della Sposa di Cristo. San Pio X riuscì a sgominare il modernismo, sintesi di tutte le eresie, ma, morto lui, il processo continuò piano piano, fino ad esplodere durante e dopo il Concilio Vaticano II. 
"Mons. Lefebvre" - ha ricordato don Pierpaolo - "ci diceva, come del resto affermò anche, in prospettiva opposta il card. Suenens, che il Concilio era stato il 1789 della Chiesa. In esso si imposero i tre motti rivoluzionari: Libertè (libertà religiosa), Fraternità, con l'ecumenismo, Egalitè con il principio della Collegialità". 

Al termine del suo intervento il Superiore Italiano della FSSPX ha risposto a molte domande presentate dal numerosissimo e attento pubblico. 

Infine don Alberto Secci ha concluso i lavori invitando tutti a "pregare e reagire". 
 "Dobbiamo ovviamente pregare perchè ogni Grazia ci viene dal Cielo, ma dobbiamo anche reagire con chiarezza: parecchi sacerdoti, generalmente in privato, ammettono molte delle considerazioni che oggi abbiamo fatto ma poi, magari per comprensibili motivi di rispetto verso le Autorità, non hanno poi il coraggio di esporsi in prima persona. 
Noi invece dobbiamo pregare e reagire, con i dovuti modi ma reagire!" 

Marco Bongi

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Quanto segue merita davvero di essere incorniciato..... [SM=g1740721]

Manuale di autodifesa per "papisti" ignoranti e sessualmente repressi

 
di Marco Mancini 
  
 
 
La Chiesa è intransigente sui princìpi, perché crede, ma è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui princìpi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano (R. Garrigou-Lagrange)
 

 
 
 
Siete papisti? Avete l’imperdonabile colpa di non discostarvi nel vostro pensiero da quanto afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica?Bene, allora sarete sicuramente fragili e insicuri, fissati sulle nozioni che vi hanno inculcato da bambini, ignoranti e incapaci di approfondimento intellettuale. Non a caso, siete tutti di destra e pronti a subire il richiamo di populismi e totalitarismi. Insomma, siete fascisti. Ma non basta: essendo clericali e bigotti, siete pure ipocriti, insoddisfatti e sessualmente repressi. A dirla tutta, non è neanche tanto sicuro che voi siate veramente cristiani.

Quante volte vi sarà capitato di ascoltare certe scempiaggini? Finché a vomitarle sono gli Odifreddi di turno, uno fa una scrollatina di spalle e passa oltre. Come ha scritto Gómez Dávila, “ciò che si pensa contro la Chiesa è privo di interesse, se non lo si pensa da dentro la Chiesa”. Quando, però, ad affermare le enormità di cui sopra sono certi catto-progressisti, come capita ultimamente, bisogna fermarsi un attimo a riflettere. Leggendo le parole di questi “cattolici democratici”, prendendo atto dell’astio con cui vengono vergate, si può anzitutto avere un saggio di ciò che essi intendano con quella “carità evangelica” di cui si riempiono continuamente la bocca. Non che non conoscessimo, d’altra parte, il trattamento di cui sono vittime sacerdoti e fedeli “tradizionalisti”, cioè semplicemente di sana dottrina, nelle diocesi guidate dai loro caporioni. Ma non abbandoniamoci al vittimismo e procediamo oltre.
 
Noi “papisti”, dunque, saremmo chiusi, intolleranti, vincolati a un legalismo fanatico e ipocrita: infatti – è la classica accusa – non siamo stati realmente toccati dalla grazia di Cristo, né illuminati dallo Spirito (viene da pensare che a certa gente troppa “illuminazione” abbia forse fulminato il cervello…). La testolina di questi censori non viene neanche sfiorata dal pensiero che nella storia i “papisti” siano stati accusati, ad esempio da un certo puritanesimo di stampo calvinista, anche dell’esatto contrario, cioè di essere eccessivamente tolleranti, corrivi, condiscendenti. Insomma, decidetevi: siamo troppo rigidi o troppo indulgenti?
 
Il punto è che chi muove queste critiche è lontano anni luce dalla Weltanschauung cattolica, non riesce a cogliere il senso di quella sintesi grandiosa che supera il dualismo degli opposti e che costituisce, come scrisse Chesterton, "il luogo in cui tutte le verità si danno appuntamento". Ho sentito di recente una frase che mi ha molto colpito: chi non ha compreso veramente il dogma (Concilio di Calcedonia, anno 451) dell’unione ipostatica delle due nature di Cristo, vero Dio e vero uomo, ha compreso poco o nulla del Cattolicesimo. Ecco, ho l’impressione che molti di questi cattolici “adulti” abbiano un problema con i fondamentali della Fede, con la cristologia, e per questo fatichino poi a farsi un’idea del resto, vagando nella confusione. Torna attualissima, a riguardo, una delle opere più argute di quel grande cattolico che fu Robert H. Benson, vale a dire i “Paradossi del Cattolicesimo”. Lo so, saggi come questi non escono in omaggio con Famiglia Cristiana (meglio Gandhi, o il Dalai Lama), quindi si può capire che i nostri "cattolici adulti" non li abbiano letti. Scrive dunque Benson che “il Paradosso dell’Incarnazione da solo compendia tutti i fenomeni contenuti nel Vangelo; […] questo supremo Paradosso è la chiave di tutto il resto”.
 
Sul filo di questo paradosso ci muoviamo noi “papisti”. Noi non ci avventiamo contro il peccatore, non scagliamo la prima pietra, semplicemente perché siamo coscienti di non essere a nostra volta senza peccato. Non ci perdiamo in una precettistica di stampo farisaico, come accade in certe agghiaccianti pagine talmudiche o in certe prescrizioni coraniche, perché sappiamo che “il sabato è stato fatto per l’uomo” (Mc 2, 27) e non viceversa e che “la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica” (2Cor 3,6). Ma sappiamo anche, al tempo stesso, che Cristo ha detto di essere venuto non a cancellare la legge, ma a darle pieno compimento (Mt 5, 17-19). La sua Grazia ci ha liberato dalla schiavitù della legge e del peccato, ma questo non significa che non esistano più né legge né peccato. 
 
Questo è il più grande dramma del mondo moderno, come aveva già compreso Papa Pio XII: aver perso il senso del peccato. E pare che sia il dramma anche di questi catto-progressisti, quando scambiano la “libertà dei figli di Dio” di cui parla San Paolo con l’anomia. Quando invitano a “ridiscutere” le norme della Chiesa, ad esempio quelle sulla morale sessuale (gira gira, sempre lì si va a parare…) perché “non più sostenibili”. Quando invitano, in perfetto stile maoista, a sparare sul quartier generale, invece di difenderlo. Quando alimentano lo scisma silenzioso che ormai sta attraversando la Chiesa, invece di combattere per essa.
 
Ci accusano spesso di non essere addentro alla "realtà ecclesiale", ma di invadere il dibattito pubblico e il web con la nostra intollerante presenza: verissimo, molti di noi sono “cani sciolti” e ne sono fieri. C’è da disperarsi al pensiero dello stato in cui è ridotto l’associazionismo cattolico, divenuto ormai una fucina di apostati, a volte silenziosi, troppo spesso rumorosissimi. Burocrati che continuano a parlarsi addosso nel chiuso delle sagrestie, invece di essere sale della terra e luce del mondo. Che si sentono in diritto di mettere in discussione punti essenziali del Magistero, perché tanto nulla è “definitivo”, a parte – ovviamente – il Concilio Vaticano II: lì, invece, subentra una qualche forma di feticismo.
 
Non siamo noi “papisti”, ma la Congregazione per la dottrina della Fede a dire che, per esempio, la dottrina cattolica sulla morale sessuale rientra in quel nucleo di verità al quale il fedele cattolico è tenuto a prestare “il suo assenso fermo e definitivo […]. Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe più in piena comunione con la Chiesa cattolica”. E noi, da “papisti”, il nostro assenso lo prestiamo consapevolmente, perché sappiamo che non si tratta di moralismo fine a se stesso, ma di qualcosa che ha a che fare con il vero senso dell’essere uomo. Anche se conosciamo perfettamente la nostra debolezza, anche se sappiamo che è difficile resistere alla tentazione e che spesso siamo noi stessi a cadere: ma “laddoveèabbondatoilpeccato, ha sovrabbondatolagrazia” (Rm 5, 20). In questo, come in tanti altri campi, nessuno di noi è un santo (o magari qualcuno sì...), ma non facciamo della nostra colpa un vanto. Quanto ai nostri amici progressisti, sono liberissimi di costruirsi una morale a proprio uso e consumo: comincino però a chiedersi se possano ancora dirsi pienamente cattolici.


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[Modificato da Caterina63 16/10/2012 20:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/11/2012 00:26
 
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L’INQUISIZIONE MODERNISTA

 

di P. Giovanni Cavalcoli, OP ("Riscossa Cristiana", 04/11/2012) 

 

Se guardiamo alla storia della Chiesa di questi ultimi cinquant’anni, è ormai possibile notare un graduale e sistematico rafforzamento al suo interno della corrente modernista, le cui finalità sono sempre più chiare e che essa stessa del resto esprime apertamente, sentendosi ormai sicura di poter dominare la Chiesa e ridurla ai suoi scopi.

 

Tutto è cominciato, come ormai si è appurato da recenti studi storici, con l’infiltrazione di elementi criptomodernisti ben organizzati a livello mondiale soprattutto tra i periti del Concilio Vaticano II, personaggi che per lo più erano stati censurati dal vigilante Pio XII, ma che sotto il pontificato del Beato Giovanni XXIII, ingannando lo stesso Papa, ebbero per oscure ed astute manovre, la possibilità di collaborare ufficialmente ai lavori del Concilio.

Si è trattata di una vera e propria rivalsa del mai sopito modernismo, che a suo tempo era stato condannato da S. Pio X. Questa volta esso pensò che fosse giunto il suo momento approfittando del fatto che uno degli scopi principali del Concilio, per espressa dichiarazione di Papa Giovanni, era quello di un confronto con la modernità.

Ovviamente il Papa intendeva tale progetto come confronto critico, sulla base del precedente immutabile patrimonio della dottrina cattolica, tenendo conto degli errori già condannati. Alla luce di tale sacro ed intangibile patrimonio si doveva fare un vaglio sapiente, prudente e coraggioso, onde assumere il positivo e respingere il negativo, così come l’organismo sano, quando si alimenta assume ciò che lo nutre ed evacua gli elementi inutili o dannosi.

Naturalmente i modernisti al Concilio dovettero agire con somma circospezione per non farsi scoprire, ma più volte ebbero l’audacia di proporre apertamente i loro piani, cosa che naturalmente suscitò l’opposizione dei membri più saggi ed equilibrati dell’assemblea conciliare, sicchè questi piani furono sventati. E del resto, come poteva essere altrimenti, data la presenza nell’aula conciliare della luce dello Spirito Santo?

Così avvenne che i modernisti finirono per dare un contributo positivo senza che fosse stato loro possibile far deviare, come avrebbero voluto, la barca di Pietro, ma consentendo al Concilio quell’impostazione tipicamente progressiva o, per dir così, sanamente progressista, che è stato uno dei suoi meriti principali e per la quale esso è rimasto alla storia: far avanzare la Chiesa nella conoscenza della verità e nello sviluppo della santità, cosa del resto obbligatoria per ogni buon cattolico, guidato da Cristo “alla pienezza della verità”. Il Concilio così ci insegna ad essere moderni, ma nel contempo ci preserva proprio con una sana modernità dalle insidie diaboliche del modernismo.

Ma che è successo dopo il Concilio? Le cose sono ormai note a tutti: questi modernisti, che allora si facevano chiamare “progressisti” per darsi un’etichetta accettabile, cominciarono gradatamente, ancora cautamente, ma con estrema determinatezza, ad uscire allo scoperto, approfittando di un clima di ingenuo ottimismo che si era diffuso nell’episcopato, generalmente convinto che ormai era giunta l’era del dialogo e della conciliazione della Chiesa col mondo moderno. Per questo si abbassarono le difese e chi ancora ricordava la necessità di vigilare contro l’errore, cominciò ad essere visto o come un seccatore “profeta di sventura” o come un attardato, superato dalla storia e fermo al preconcilio, chiuso al soffio dello Spirito Santo, che ormai avrebbe avviato una “nuova “Pentecoste”.

In tal modo, gradatamente ma irresistibilmente, in gran parte a causa di un mancato discernimento e per conseguenza di un mancato intervento da parte dell’episcopato, timoroso di esser considerato come retrogrado o reazionario, ha cominciato a crearsi una specie di chiesa nella Chiesa, in quanto, se nell’immediato post-concilio ci fu la famosa sbracata “contestazione” della gioventù scatenata, di singoli preti che convolavano a nozze, religiosi chiassosi e teologi ribelli, soprattutto con le cosiddette “comunità di base”, un fenomeno barbarico che destò unanime disapprovazione per la sua evidente sconcezza, finché si giunse addirittura al terrorismo rosso degli anni ’70, a partire dagli anni ’80 i modernisti cambiarono tattica.

Mantennero in sostanza i princìpi rivoluzionari e sovversivi che avevano animato il ’68, ma, al fine di attirare la stima dell’episcopato e dei cattolici normali, cominciarono a fingere un’ingannevole moderazione affettando disprezzo per gli estremisti, ma in realtà rafforzando un’azione sovversiva, adesso più insidiosa e pericolosa, di demolizione e falsificazione della Chiesa cattolica con l’intento di sostituirla con una finta “chiesa” di marca gnostica e massonica, come ho denunciato in un precedente articolo apparso su questo sito.

In tal modo il modernismo cominciò a infiltrarsi, oltre che nel basso clero, tra i religiosi e tra la gente, anche negli ambienti della cultura cattolica, soprattutto teologi ed esegeti, ed infine, negli anni recenti, tra Vescovi e Cardinali. Lo scopo dei modernisti, dichiarato già dal famoso Bonaiuti dei tempi di S.Pio X, era ed è quello di “convertire Roma”. Si ripete il disegno di antichi eretici, come per esempio quello di Giordano Bruno, il quale dall’estero venne in Italia con l’intento di convincere il Papa delle sue teorie. Si è creato così quella specie di “magistero parallelo” del quale parlava Paolo VI: sostituire ai vescovi i teologi e gli esegeti, secondo una prospettiva, del resto, di origine protestante.

Oggi un Giordano Bruno probabilmente insegnerebbe con qualche precauzione, oggetto di qualche sorpresa ma non più di tanto, in qualche Facoltà Pontificia, o sarebbe invitato a parlare nel Cortile dei gentili. Ma allora gli è andata come gli è andata e, come Domenicano suo confratello, devo dire sinceramente che mi dispiace.

Oggi i modernisti, che hanno raggiunto posizioni di potere un po’ dappertutto, si sentono in dovere di esercitare anche loro, in alternativa alla Congregazione per la Dottrina della Fede, da loro giudicata ormai superata e preconciliare, un potere coercitivo che ai loro occhi riflette veramente la volontà di Dio e la voce dello Spirito Santo.

In tal modo, e ormai molti di noi cattolici, fedeli al Magistero e al Papa, cominciamo a farne le spese, è iniziata una nuova inquisizione che, se non dispone di strumenti di tortura fisici, tuttavia si vale delle arti psicologiche più raffinate per diffamare, calunniare, emarginare e distruggere moralmente quei poveri cattolici che non desiderano altro che servire Cristo e le anime, nella fedeltà alla vera Chiesa e al Papa e continuando a contare nell’aiuto e nell’efficacia della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Tra la CDF e l’inquisizione modernista ci sono delle somiglianze, ma più grandi sono le differenze, anzi i contrasti diciamo pure radicali: entrambe si propongono di difendere una dottrina; entrambe, all’occorrenza, ricorrono alla coercizione. Tuttavia, mentre la CDF difende la fede contro l’eresia, l’inquisizione modernista difende l’eresia contro la fede. Quanto ai metodi disciplinari, la differenza sta nel fatto che mentre la CDF gode della pienezza del diritto e quindi agisce alla luce del sole, nel rispetto delle norme approvate dalla Chiesa, l’inquisizione modernista manca di qualunque fondamento giuridico, e a causa di ciò non esita a ricorrere alla violenza e a misure ingiuste, mentre i modernisti si vantano di essere gli uomini del dialogo, del pluralismo e dell’apertura alla diversità.

Così ormai accade che la forza avversa più temibile che la CDF deve affrontare è questo contropotere modernista, che si avvale di strutture interne alla Chiesa stessa. È questa la struttura più pericolosa che occorre abbattere affinchè il Popolo di Dio sia protetto dall’eresia e la CDF possa svolgere efficacemente il proprio lavoro.

Certo sembra di trovarsi davanti ad una lotta impari. Le potenze demoniache imperversano, con la diffusione di “dottrine diaboliche” e demòni mascherati da angeli della luce (II Cor 11, 14). Siccome poi molti non credono all’esistenza del demonio, mancano le difese, per cui diventano, magari senza accorgersene, degli strumenti di Satana, fossero anche Vescovi o Cardinali. Solo il Papa resiste, e non potrebbe esser altrimenti, ma pochi sono i suoi veri collaboratori: un manipolo di eroi assediato da forze che sembrano prevalere.

Il sogno dei modernisti è lo stesso di quello di Giordano Bruno e di Ernesto Bonaiuti: poter convincere (ossia turlupinare) il Papa. Ma questo disegno satanico (come quando il demonio tentò di far cadere Cristo), disegno che è il massimo dell’empietà, del sacrilegio e dell’illusione, sarà sventato da Dio, se essi persistono, con un castigo terribile. Stiamo stretti anche noi attorno al Vicario di Cristo, oggi sofferente per il tradimento di certi suoi stessi collaboratoti, sosteniamolo, obbediamogli a qualunque costo al di sopra di qualunque superiore che ci ordini il contrario o ci dia cattivo esempio, e scamperemo alla strage.

I modernisti sono spavaldi, prepotenti, sicuri di sé: guai a chi loro disobbedisce, perché impregnati a volte di dottrine idealistico-panteiste, si ritengono o la divinità o comunque un’apparizione (“teofania”) della medesima divinità, soggetto dello “sguardo divino”, come in Hegel o Severino, mentre per loro il Papa, il Magistero e la CDF contano come il due di briscola. Ma forse che questo stato di cose è destinato a durare ancora a lungo? Forse che Dio dal Cielo sta solo a guardare o si è dimenticato della sua Chiesa, del grido dei poveri e degli oppressi e della salvezza dell’umanità?

 

Pierre Cauchon de Somièvre (1371 –1442), il vescovo che mise al rogo Santa Giovanna d'Arco.

[SM=g1740771]

una breve riflessione:

L'articolo di padre Giovanni è impeccabile e ne condivido ogni rigo.... ho solo una constatazione da fare e la faccio come genitore: vogliamo difendere il Concilio? mi sta bene, difendiamolo, ma.....
una delle regole più indiscutibili è quella che L'OCCASIONE FA L'UOMO LADRO.... e che dunque, se un ladro resta colpevole perchè ha commesso il furto.... il padrone che ha tenuto tanto tesoro malcustodito è altrettanto RESPONSABILE di aver facilitato al ladro il furto....

E così, se come genitore sono chiamata a custodire ciò che è prezioso in casa ed ho in giro due figli piccoli un cane e un gatto.... e non me ne prendo cura, a parte qualche incidente che potrebbe sempre succedere, il resto sarà salvo.... [SM=g1740733]
Se come genitore nel crescere i figli non mi dimostrassi GENITORE e mi presentassi loro come AMICA, e crescendo per una discussione dovessero darmi del tu e mandarmi a quel paese... bè la colpa non sarà solo loro, ma di come li avrò cresciuti ;-)e gli esempi crescono!

Difendiamo pure il Concilio, ma ancora mi chiedo: ne avevamo davvero bisogno?
Chi doveva custodire questo tesoro ha davvero compiuto bene il suo dovere? Un conto infatti fu l'orda dei Barbari quando invasero l'Italia o quando i Lanzichenecchi si precipitarono su Roma.... in quel caso ci si può solo difendere, ma diverso è quando si lascia liberi i Lanzichenecchi del nostro tempo di arraffare quel tesoro prezioso e di devastare la Roma del nostro tempo..... un conto è imbattersi negli incidenti di percorso, altra cosa è essere recidivi quando dal 1912 un certo san Pio X condannando il modernismo, i lanzichenecchi del nostro tempo, ci aveva messo all'erta del pericolo, ma non fu ascoltato.....


[SM=g1740758]


[Modificato da Caterina63 06/11/2012 00:45]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] La denigrazione del cattolicesimo

 

di P. Giovanni Cavalcoli, OP, da "Riscossa Cristiana" (20/11/2012)

 

All’interno della Chiesa cattolica sta avanzando un fenomeno sconcertante dalle dimensioni mai finora esistite in tutta la storia della Chiesa, in quanto utilizza forze ufficiali della Chiesa stessa: la denigrazione dello stesso cattolicesimo fatta con vari metodi e modalità che adesso cercherò di descrivere, accennando poi brevemente a come ci si potrà liberare da questa “sporcizia” che sta sfigurando orribilmente il volto della Sposa di Cristo.

Tutto è partito, come ormai si sa, dal gravissimo fraintendimento degli insegnamenti conciliari ad opera di un rinato modernismo mascherato da “progressimo” e non sufficientemente represso sin dagli inizi, anzi a volte elogiato, dallo stesso episcopato, esclusa comprensibilmente Roma, la quale però si è trovata isolata ed inefficace nei suoi numerosissimi interventi magisteriali per la mancanza dell’appoggio dello stesso episcopato.

Un generale senza l’esercito può combinare ben poco. Questa è la tragedia della Chiesa di oggi. Finché i vescovi non si decidono a fare il loro dovere obbedendo al Papa ed al Magistero con coraggio e sapienza, la situazione peggiorerà sempre di più e i modernisti aumenteranno la loro arroganza e la loro prepotenza, nonché il loro prestigio presso una massa enorme di cattolici ormai completamente frastornati ed ingannati dalle loro imposture. [SM=g1740722]

I modernisti fanno di tutto per presentare i veri cattolici sotto un aspetto odioso, isolandoli, diffamandoli e screditandoli, anche se si tratta del Papa, di cardinali o di vescovi o di sacerdoti o di religiosi o di teologi o di fedeli degnissimi. Finora i modernisti hanno usato soprattutto una intimidazione meramente psicologica. Ma, dato che essi hanno aumentato il potere in molti posti, intervengono apertamente con veri e propri mezzi coercitivi e vessatori, per impedire ai cattolici di farsi sentire e di denunciare le eresie del modernismo, proprio quei cattolici che illuminano e confortano i fedeli e avvertono e correggono quelli che si sono lasciati irretire dall’errore.

 

Presento in pochi punti la via seguita dai modernisti.

 

Innanzitutto - e questo è un argomento che ho già avuto modo di trattare su questo sito - guastando la retta definizione di “cattolicesimo” data dall’unico organo deputato a ciò, ossia dal Magistero della Chiesa Cattolica. Tale definizione si ricava soprattutto da quell’autorevolissimo documento ufficiale che è il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale continua e nello stesso tempo sviluppa altri importantissimi documenti del genere dei secoli passati, come il famoso Catechismo del Concilio di Trento o il Catechismo di San Pio X o, per citare un documento più recente, il “Credo di Paolo VI” pubblicato nel 1968.

I modernisti si sforzano in tutti i modi di rendere il termine “cattolico” quanto più sincretistico, confuso e contradditorio possibile, inserendo in esso gli attributi più arbitrari e contrari al vero cattolicesimo, così da togliere ai fedeli un criterio chiaro, oggettivo e sicuro di valutazione e discernimento che consenta di distinguere ciò che è cattolico da ciò che non lo è.

Certi modernisti, cioè i più spinti, non hanno la sfacciataggine di dirsi “cattolici”, ma si presentano come semplicemente “cristiani”, considerando peraltro il cattolicesimo come denominazione settaria o “confessionale”, mentre per loro esser “cristiani” è segno di una maggiore apertura mentale e disponibilità al dialogo. Altri invece, come Vito Mancuso, affermano di “restare per sempre nella Chiesa cattolica”, nonostante abbia scritto un libro di enorme successo nel quale dice di rifiutare almeno quattro dogmi della Chiesa cattolica. Così pure è da molti considerato “cattolico”, Karl Rahner nel cui pensiero sono state individuate molte eresie [1].

In secondo luogo, i modernisti hanno creato due figure di “cattolico” in opposizione tra di loro non secondo il criterio più ovvio del cattolico buono e di quello cattivo, criterio che loro irridono come infantile, “manicheo” ed astratto, ma secondo due categorie artificiose - queste sì astratte e manichee - da loro inventate o desunte dalla politica, come: “cattolico di sinistra” (corrispondente a quello buono) e “cattolico di destra” (cioè quello cattivo), oppure desunte dall’ideologia illuminista-massonica sette-ottocentesca: “progressista”, “avanzato” o “maturo” o “adulto” (il buono) e conservatore, superato, reazionario o tradizionalista (il cattivo), senza contare tutta un’ulteriore variopinta serie di altri aggettivi, ben noti e che non sto qui ad elencare. Si tratta di attributi senza alcun fondamento morale, evangelico ed ecclesiale, ma raccattati qua e là da altre correnti o ideologie, come il marxismo, il liberalismo, l’islamismo, il protestantesimo, la politica da strapazzo e via discorrendo.

Naturalmente i modernisti, mancando, per la natura stessa della loro ideologia, di autentici riferimenti fondamenti teoretici seri ed oggettivi, dato che loro stessi predicano il relativismo e l’evoluzionismo concettuale, e fondano la loro “teologia” su di un modo di pensare che non è vero pensiero ma emotività irrazionale fatta di slogan, frasi fatte e luoghi comuni, non hanno alcun serio argomento per squalificare i veri cattolici e per sostenere la loro posizione.

Non osano quindi far ricorso alle categorie normali del vero e del falso [2], dell’ortodosso e dell’eretico, semmai all’opposizione tra “ciò che va oggi” (“vero”) e “ciò che andava ieri” (“falso”), oppure: “preconcilio” (“falso”) e “postconcilio” (“vero”) e sciocchezze del genere, cercando piuttosto di suscitare con quegli slogan rozze emozioni che siano tali da provocare simpatia e ammirazione per il modernista, nonché antipatia, ripugnanza e disprezzo per il retrogrado “tradizionalista lefevriano”.

Per i modernisti quei cattolici che denunciano la drammaticità della situazione attuale della Chiesa, sono quegli uggiosi e brontoloni “profeti di sventura”, dai quali prese le distanze Papa Giovanni, e la Madonna, che a Medjugorje ci avverte del rischio del castigo divino, è semplicemente una seccatrice, che farebbe bene a stare in cielo senza venire sulla terra a rompere le uova nel paniere.

Al contrario, secondo il card. Martini, “mai la Chiesa è andata bene come oggi”, salvo poi a dichiarare pochi mesi dopo, prima di presentarsi al giudizio divino, che “la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni”. Allora quale Chiesa? Quella di Benedetto XVI, naturalmente, mentre la sua è perfettamente è all’altezza dei tempi e guida dell’umanità verso le “magnifiche sorti e progressive”, per dirla con le famose parole della Ginestra di Giacomo Leopardi.

Per i modernisti i veri cattolici “non sono evolutivi”, sono delle persone rigide, chiuse in aride formule, ferme alle idee del pre-concilio, non capiscono cosa sia il progresso. E certo i veri cattolici non accettano il falso progresso di marca illuministica ed hegeliana dai modernisti sbandierata contro il vero progresso, che è quello dello Spirito di Cristo che conduce la sua Chiesa alla pienezza della verità.

Per i modernisti i veri cattolici sono “troppo polemici”, semplicemente perché denunciano le loro eresie. I modernisti, sì, invece sono persone miti, aperte, comprensive, dialoganti, flessibili e duttili, senza spirito inquisitoriale, senza esclusivismi e presunzione di “possedere la verità”. Se però qualche buon cattolico osa contestare questa loro ipocrisia, viene trattato, come si dice a Bologna, “a pesce in faccia”.

Col recente aumento del loro potere, per il quale hanno raggiunto molte cariche nella Chiesa, i modernisti non si limitano più a lasciare fare ai loro “compagni di partito”, permettendo le critiche da parte dei veri cattolici. Cominciano invece a perseguitare quei pochi cattolici, che sono fedeli a Roma, con vari pretesti, accompagnati da una campagna denigratoria. Un pretesto che attualmente si sta affermando, tale da rendere il malcapitato oggetto del pubblico disprezzo, è quello della “disobbedienza”.

Infatti, costui viene punito solo perché egli preferisce obbedire a Dio o alla Chiesa piuttosto che al “legittimo superiore”, proprio questo superiore sessantottino, che fin dagli anni del seminario si è vantato di appartenere ai “cattolici del dissenso”, ribelli al Magistero della Chiesa e al Papa, e adesso da superiore, credendosi dio in terra, continua il “suo dissenso”, con questa differenza: che chi osa disobbedire a lui, mal glie ne incoglie. Al Papa si può disobbedire come si vuole, senza che succeda nulla, anzi si ricevono applausi dal mondo. Ma chi disobbedisce al superiore modernista, sono affari suoi. È nata, come dicevo in un recente articolo, una nuova inquisizione: mentre quella di prima puniva l’eresia, quella di oggi punisce l’ortodossia.

Che fare? Bisogna che i vescovi si sveglino. Occorre che Roma li esorti all’obbedienza, alla collaborazione e al coraggioso e tempestivo compimento del loro dovere. Occorre liberare i seminari e gli studentati religiosi dai maestri e dai diffusori di eresie. [SM=g1740721]

Capita spesso che vi siano giovani di buona volontà con una buona base cattolica, che vogliono farsi preti o religiosi, ma che una volta entrati in seminario o nello studentato sono costretti con sottili minacce psicologiche, e magari con grave crisi di coscienza, ad adeguarsi all’andazzo modernista, se vogliono avanzare negli studi ed esser graditi ai superiori, a volte allo stesso vescovo. Questo scandalo gravissimo dura ormai da decenni, sicché adesso abbiamo un’intera generazione di vescovi modernisti formati alla scuola di Rahner, Schillebeeckx e compagnia bella.

Tutti i vescovi però sono sempre i vescovi, tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedek. Per questo, nonostante tutto, se vogliamo essere cattolici, dobbiamo continuare ad avere una fiducia assoluta nei nostri vescovi, certo non tanto nel singolo vescovo o nel gruppo di vescovi, ma in quanto in unione col Papa, fosse anche un singolo vescovo isolato tra gli altri.

Inoltre bisogna che i vescovi vigilino di più sulla formazione dei loro seminaristi e intervengano per tempo, perché è notorio che se questi soggetti diventano preti o addirittura teologi famosi con delle idee storte, dopo non c’è niente da fare. Se poi questi qui diventano dei vescovi o superiori, la disgrazia è ancora peggiore. Più salgono nella gerarchia più la sciagura aumenta per tutto il popolo di Dio.

Nostro Signore Gesù Cristo certamente porta pazienza; tuttavia, in quanto Fondatore e custode della Chiesa Cattolica, alla quale ha garantito fino alla fine del mondo l’assistenza infallibile dello Spirito Santo che guida il Successore di Pietro insieme con l’Episcopato unito a lui, non potrà tollerare il tentativo dei modernisti di falsificare e deformare la struttura essenziale della Chiesa, la quale, come vivo organismo, certamente progredisce nella storia, ma conservando inalterata la propria identità.

 

NOTE

[1] Vedi il mio libro di successo “Karl Rahner. Il Concilio tradito”, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II edizione 2011.

[2] Un grande teologo di oggi che con franchezza e competenza esamina le teologie contemporanee sulla base del criterio del vero e del falso, è Mons. Antonio Livi col suo libro «Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”», Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

 

*****

 

[SM=g1740758] La grande manovra dell’idealismo

 

di P. Giovanni Cavalcoli, OP, da "Riscossa Cristiana" (23/11/2012)

 

Dall’epoca del modernismo, condannato da San Pio X è in atto all’interno della Chiesa una complessa manovra dei filoidealisti per ottenere all’interno della dottrina cattolica un diritto di cittadinanza anche all’idealismo tedesco, il cosiddetto “idealismo trascendentale”, un’operazione simile - ciò sia detto senza disprezzo per nessuno - a quella per la quale sul campo politico la Turchia si sta adoperando per mostrare all’Europa di avere le carte in regola per poter far parte della Comunità Europea.

Quella dell’idealismo è una secolare questione, che si trascina dal Medioevo, dai tempi di Meister Eckhart, grande mistico domenicano tedesco, il quale ideò una spiritualità cristiana di tendenza panteista, che però non fu approvata dalla Chiesa ed anzi fu condannata. Oggi c’è chi si sforza di mostrare le buone intenzioni di Eckhart sostenendo che la sua mistica difetterebbe solo dal punto di vista del linguaggio e rifletterebbe la modalità propria della spiritualità tedesca, portata ad una specie di soggettivismo o ad un accentuato interiorismo che assomiglierebbe all’immanentismo e al panteismo ma senza esserlo, espressione di ciò che i tedeschi chiamano con un termine intraducibile il Gemüt, una specie di sintesi fra sentimento, emozione e intuizione.

Una certa presenza di idealismo o di apriorismo è sempre stata ammessa nella Chiesa: si tratta del filone platonico, che è presente nel grande S. Agostino e avvia tutta una scuola di spiritualità che rifulge per esempio in S. Anselmo e in S. Bonaventura. Nel contempo però, al sorgere del genio di S. Tommaso d’Aquino, la Chiesa, sino ai nostri giorni, non ha mai nascosto la sua preferenza per il realismo tomista rispetto al pur moderato ed accettabile idealismo proprio soprattutto della tradizione mistica.

Tuttavia c’è idealismo ed idealismo. Con Cartesio è nato un nuovo e più spinto idealismo che ha cominciato a creare preoccupazioni per la Chiesa. Già le opere di Cartesio nel 1663 furono messe all’Indice. E da allora l’idealismo cartesiano, alleatosi in Germania col luteranesimo, avviò una tendenza di pensiero la quale, pur dichiarandosi “cristiana”, culminata col pensiero di Hegel, entrò in sempre maggior conflitto con la dottrina della Chiesa Romana, fino a che si giunse alle condanne dell’idealismo in Pio IX, al Concilio Vaticano I, in S. Pio X e in Pio XII. Propaggini di questa opposizione all’idealismo immanentista si trovano ancor oggi, per esempio nell’enciclica Fides et Ratio del Beato Giovanni Paolo II.

Stranamente l’idealismo soggettivista e panteista non è stato condannato dal Concilio Vaticano II. C’è chi si lamenta che esso non ha neppure ribadito la condanna del comunismo. Ma ciò non mi pare una grave lacuna, giacché sin dal 1937 esisteva la splendida enciclica Divini Redemptoris di Pio XI, un documento di ampio respiro col quale il comunismo veniva dettagliatamente descritto e confutato.

Nulla di simile la Chiesa ha mai fatto per l’idealismo, che pure è una dottrina complessa, non priva di valori, ma dove l’errore è sottile e fascinoso, tale da ingannare anche spiriti eletti e uomini dotti, perché si presenta col volto dell’alta speculazione, della mistica e della spiritualità. Inoltre l’idealismo tedesco, erede di Cartesio e di Lutero, si presenta con la nomea seducente di “pensiero moderno”, al di là della “teologia scolastica”, considerata ormai superata per non dire sbagliata. E ciò naturalmente coinvolge anche la dottrina di S. Tommaso. E chi non vuol essere moderno e restar fermo al Medioevo? Tanto più che abbiamo avuto cinquant’anni fa un Concilio che ha precisamente avuto tra i suoi intenti quello di assumere i valori della modernità. E dunque?

Tuttavia il Concilio non ha affatto abbandonato la tradizionale preferenza per il realismo tomista, espressione eccellente del realismo biblico e del tradizionale realismo della Chiesa e di tutti i Padri, i Santi e Dottori, pur nel pieno rispetto della tradizione agostiniana, il cui idealismo però è del tutto innocuo ed anzi raccomandabile, perché, nell’esaltare il vero valore della coscienza e dell’interiorità, ammette la trascendenza divina e la limitatezza dell’uomo, mentre l’idealismo moderno “trascendentale” cade nell’immanentismo e in una concezione dell’uomo che si identifica con Dio, magari sotto il pretesto dell’“Incarnazione del Verbo” e della vita di grazia. [SM=g1740721]

 

Per questo, qui non ci siamo assolutamente e la Chiesa non può che respingere assolutamente, senza mezzi termini, questo tipo di idealismo, il quale, come ho detto, ha il suo massimo rappresentante in Hegel e nella sua scuola fino ad oggi, come per esempio in Italia Giovanni Gentile.

Inoltre questo idealismo, come è stato dimostrato dal Fabro e dal Cottier, non è che un criptoateismo, che verrà esplicitato da Marx, il quale appunto esplicitamente parte da Hegel e non fa che esplicitare le potenzialità contenute nel pensiero hegeliano. Infatti, se con l’idealismo l’uomo viene assorbito in Dio (la famosa Erhebung), nulla impedisce l’operazione contraria di un Dio che si dissolve e scompare nell’assolutezza dell’uomo, come lo stesso Marx ebbe a dire: “L’uomo è Dio per l’uomo”. L’“alienazione” (Entfremdung e Entäusserung), per la quale l’uomo è schiavo di un Dio trascendente, c’è già in Hegel e Marx non farà altro che “liberare” l’uomo da questo Dio trascendente e schiavista. E se in Hegel il Dio immanente è l’uomo stesso, in Marx resta soltanto l’assolutezza dell’uomo, che non si chiama più “Dio”, ma semplicemente “Uomo”. Ed è significativo che oggi certi atei, come riferiva il card. Ravasi, non vogliono chiamarsi “atei” (pur restandolo), ma “umanisti secolari”.

Neppure la massoneria, che pur rifiuta ogni religione positivo-rivelata, giunge all’empietà, che è finta spiritualità, dell’idealismo hegeliano sfociante nell’ateismo marxista, giacché almeno la massoneria ufficiale (se vogliamo escludere quella esoterica) si ferma alla religione naturale-razionale dell’illuminismo ed ammette l’esistenza di Dio.

Senza parlare dello sbocco totalitario (fascista, nazista e comunista) dei princìpi hegeliano-marxisti, che abbiamo abbondantemente sperimentato nel secolo scorso. La massoneria, almeno, per quanto anticlericale, si pone sul piano della democrazia e dei diritti umani. Ma le conseguenze ultime dell’hegelismo marxista conducono l’umanità alla più atroce barbarie.

È successo però che con l’atmosfera del Vaticano II, aperta come si sa al dialogo con le culture e le religioni, fino al contatto con i non-credenti, gli idealisti si sono rifatti vivi in forze più che mai decisi ad essere ammessi nell’orizzonte ufficiale della dottrina cattolica, ovvero tentando di dissolvere la tradizione dotata di univocità, precisione ed unità propri della dottrina cattolica in nome di un confuso e contraddittorio “pluralismo” che potesse dar spazio anche a Lutero, Hegel, Cartesio e magari anche Marx.

Non si può negare che l’attenzione data dalla Chiesa all’idealismo in generale abbia dato risulti positivi, portando per esempio alla valorizzazione di personaggi un tempo emarginati da una tendenza tomista forse troppo prevalente nella Chiesa: pensiamo per esempio a un Blondel, a un Rosmini, a un Newman, a un Duns Scoto, a una Edith Stein. Lo stesso Eckhart vien visto con simpatia e qualcuno ha suggerito di promuoverne la causa di beatificazione. Tutto ciò è certamente positivo.

Occorre invece bloccare e sventare una buona volta un’altra maniera di appoggiare l’idealismo, che non può portare e non porta a nulla di buono. Si tratta di una manovra idealistica che ha le sue origini esplosive nel modernismo dei tempi di S.Pio X, ma era già iniziata in sordina nel secolo precedente, allorché la Chiesa, con Gregorio XVI e il Beato Pio IX, disapprovò il tentativo di alcuni teologi tedeschi, Hermes, Günther e Frohschammer, di conciliare il cattolicesimo con l’hegelismo.

Alla Scuola di Lovanio, all’inizio del secolo scorso, vi fu poi il tentativo, esso pure fallito, benché abbia avuto molto successo, del gesuita Joseph Maréchal, di conciliare S. Tommaso con Kant. Tale tentativo precorse quello, ben peggiore, esso pure fallito (ma pochi oggi se ne sono accorti), di Karl Rahner di conciliare S. Tommaso con tutti gli errori dell’idealismo moderno fino ad Husserl ed Heidegger.

Quest’ultimo tentativo, benché abbia già suscitato da quarant’anni giuste critiche, non è ancora stato condannato ufficialmente dalla Chiesa, ma attende di esserlo, come sempre la Chiesa ha condannato questi ibridismi ingannevoli, soprattutto quando si diffondono pericolosamente. Finora i rahneriani, con la loro astuzia, si sono coperti all’ombra del Concilio, ma quando sarà veramente chiaro a tutti che cosa il Concilio ha veramente detto (cosa che ancora dopo cinquant’anni è ancora da chiarire, almeno sul problema della teologia), gli errori di Rahner verranno in chiaro a tutti.

In modo simile all’Università Cattolica di Milano vi fu negli anni cinquanta-sessanta il tentativo generoso ma ingenuo e sostanzialmente illusorio di Giuseppe Bontadini, smascherato e confutato da padre Fabro, di conciliare il cattolicesimo con l’idealismo di Giovanni Gentile, che spudoratamente si dichiarava “cattolico” (e tale era considerato da molti), nonostante il suo apertissimo immanentismo panteista.

Bontadini tentò di avviare un cattolicesimo di ispirazione idealista e addirittura parmenidea, rifiutando Aristotele. Le conseguenze ultime di tale insensata impresa le trasse un suo discepolo, Emanuele Severino, il quale cadde addirittura in una forma di monismo eternalista ateo, con l’accusa di “nichilismo” fatta al cristianesimo ed all’intero pensiero occidentale. Vogliamo forse rifugiarci nell’Oriente? Nel nichilismo buddista? C’è qualcuno che ci pensa seriamente.

È necessario che il genio tedesco, che si esprime nell’idealismo trascendentale, ma non solo in esso, si lasci disciplinare dalla dottrina cattolica, interprete infallibile della Parola di Dio, come ha fatto molto tempo prima di lui la cultura greco-romana dando così il meglio di se stessa nell’obbedienza a Cristo.

Il che vuol dire che bisogna che la Chiesa distingua chiaramente una volta per tutte un idealismo lecito e compatibile col Vangelo, sorgente di umiltà e santità, come quello di un S. Agostino e un S. Bonaventura, da un idealismo illecito e incompatibile con Cristo, sorgente di superbia ed empietà, come quello che iniziando con Cartesio mescolato con Lutero, culmina con Hegel.

A queste condizioni il genio tedesco darà veramente il meglio di se stesso nel concerto pluralistico del pensiero cattolico e della piena comunione ecclesiale, secondo la sua più bella tradizione che inizia con S. Alberto Magno, prosegue con Corrado Köllin per arrivare ai Kleutgen, ai Weiss, agli Schmaus, ai Bartmann, ai Pieper, ai Guardini, fino a giungere alla stella attuale della sapienza tedesca, lo stesso Joseph Ratzinger, oggi Sommo Pontefice felicemente regnante, Papa Benedetto XVI. Il Papa, come dottore privato, è evidentemente padronissimo di seguire S. Agostino o S. Bonaventura o Guardini, anche se ufficialmente raccomanda S. Tommaso, ma non troveremo mai un Ratzinger, neppure come dottore privato, seguace di Lutero o di Hegel.

Così pure anche Giovanni Paolo II, come Papa, non poteva non raccomandare S. Tommaso, ma, come dottore privato - come ebbe un giorno a dirmi padre Fabro che aveva sentito questa cosa dal Papa stesso - Wojtyla preferiva Duns Scoto. Il pluralismo teologico è una della ricchezze e dei vanti della Chiesa Cattolica, ma nel cammino sulla via della verità ci sono dei paletti che non si possono oltrepassare.

 

Padre Giovanni Cavalcoli, OP


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740738]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/11/2012 15:52
 
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[SM=g1740758] LA DISOBBEDIENZA AL PAPA - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 da riscossacristiana

 

carIl Concilio Vaticano II, come ci dicono gli studiosi, nel campo dell’ecclesiologia ha avuto tra le altre la funzione di completare l’opera del Concilio Vaticano I, il quale, come è noto, fu interrotto a seguito dell’ingresso in Roma delle truppe piemontesi.

Così il Vaticano II, dopo che il Concilio precedente aveva trattato dei poteri del Papa, passò a trattare di quelli delle altre compagini ecclesiali, cominciando, come sappiamo, dalla dottrina del Popolo di Dio, ossia la Chiesa come insieme dei fedeli, e poi le funzioni dei vescovi, dei presbiteri, dei religiosi e dei laici: un corpo di dottrina imponente ed importantissimo, che ci fa meglio conoscere con ordine e le dovute distinzioni, quali sono i vari ministeri, uffici, servizi, missioni e carismi strutturali della Chiesa.

Con ciò il Concilio ha voluto valorizzare, attivare e stimolare, nella loro giusta autonomia ma anche nelle reciproche relazioni, tutte le energie, le forze e le potenzialità della Chiesa, così da assicurarle quel nuovo slancio evangelizzatore e missionario che notoriamente fu, secondo le indicazioni del Beato Giovanni XXIII, uno degli scopi se non proprio lo scopo principale del Concilio. In questa linea di potenziamento delle strutture della Chiesa il Concilio elaborò una più approfondita dottrina del Collegio episcopale e della Chiesa locale. Da ciò poi son nate le Conferenze episcopali nazionali.

Tuttavia, a mio modesto avviso, in questo enorme corpo di dottrina, nel momento in cui si ribadivano con totale chiarezza il primato, le prerogative ed i poteri del Romano Pontefice, si trascurò di proporre una sufficiente dottrina circa quell’indispensabile strumento del suo magistero e del suo governo che è la Curia Roma con l’insieme dei suoi dicasteri e dei suoi uffici, a cominciare dalla Segreteria di Stato.

E’ vero che immediatamente dopo la fine del Concilio vi provvedette saggiamente Paolo VI, che pur veniva su dalla Segreteria di Stato, ma - benchè io non sia un esperto in questo campo - devo esprimere la mia modesta opinione che non so quanto tale riforma sia stata veramente efficace. Ci si doveva liberare dalla secolare antipatia nei confronti della Curia Romana che risaliva addirittura alla nascita del luteranesimo e forse non si ebbe il coraggio di dare a questo preziosissimo organismo, che media fra il Papa e il Popolo di Dio, la sufficiente funzionalità, energia e chiarezza.

Impressionati dallo stantio luogo comune anticlericale della “prepotenza della Curia Romana”, la riforma ha prodotto una Curia troppo debole e scarsamente utile per una conduzione efficace della Chiesa da parte del Papa, mentre sono eccessivamente emerse le istanze dell’episcopato e dei teologi, i quali in certi casi hanno sottovalutato e visto male  quell’organo di governo del Papa.

Questa lacuna, secondo me, è uno dei motivi che sono all’origine della nefasta separazione che sarebbe sorta in modo drammatico dall’immediato postconcilio e che dura a tutt’oggi, fra il Papa e suoi immediati, fidati e fedeli collaboratori da una parte - in fin dei conti la Curia esiste ancora! - e dall’altra il resto del Popolo di Dio, a cominciare del collegio cardinalizio ed episcopale, per arrivare a tutte le altre componenti del corpo ecclesiale.

E’ successo così, e questo tutti lo hanno notato, che la giusta valorizzazione del Popolo di Dio promossa dal Concilio, in molti casi è stata falsificata da uno stile e da un’impostazione di eccessiva autonomia nei confronti della S.Sede, per non dire di aperta disobbedienza e ribellione con contestazioni di ogni sorta, sia nel campo disciplinare che, e ciò è molto peggio, addirittura nel campo della dottrina della fede.

Il Papa ha cominciato a restare isolato, inascoltato, disatteso, addirittura tradito.

Basti per tutti l’orrendo episodio di Paolo Gabriele col processo che ne è seguito, dal quale sembrerebbe risultare che egli avrebbe agito “da solo”, cosa assurda solo che qualunque persona di buon senso rifletta sull’accaduto, del resto reso noto dagli stessi organi del Vaticano: come si può pensare che un qualunque oscuro - che però doveva essere fidatissimo - domestico privato del Papa abbia potuto da solo per scopi suoi privati sottrarre furtivamente al Sommo Pontefice per sei anni 82 scatoloni di documenti privati e segreti, probabilmente molto importanti, senza che nessuno in Segreteria di Stato se ne sia accorto? Che cosa se ne faceva Gabriele di tutto questo immenso delicatissimo materiale? Voleva mettere su un archivio storico per conto suo?

E chi vi parla è uno che ha lavorato in Segreteria di Stato per otto anni, dal 1982 al 1990. A chi la si vuol dare ad intendere? Perché non riconoscere piuttosto in quanto è avvenuto un fatto orribile ed inaudito, che certamente ha procurato un’enorme sofferenza al Vicario di Cristo, da lui sopportata con altissima dignità? Perché non si trovano commenti autorevoli di questo episodio? Non è forse il caso di fare ulteriori indagini per togliere quella “sporcizia” della quale parlò il Papa in una famosa omelia?

Non sarà forse questa la punta dell’iceberg della ribellione che da tempo si è insinuata nei confronti del Papa persino tra i suoi stretti collaboratori? Non si nota forse da tempo dissenso e contrasto col Papa persino il alcuni Cardinali? Non c’è ribellione al Papa persino negli Ordini che tradizionalmente sono stati il suo braccio destro, come i Domenicani e i Gesuiti?

Questa volta i modernisti infiltrati persino nella Segreteria di Stato, sentendosi sicuri, hanno fatto un imperdonabile passo falso, per il quale adesso non può essere tutto come prima, benchè essi siano riusciti ad far fare un processo giudiziario in un settimana, ingenuamente lodato per la sua velocità da parte di certi giuristi italiani: per forza! si è voluto coprire tutto il più presto possibile, nella speranza (vana) che questo imbarazzante episodio sia dimenticato quanto prima. Ma, come dice il proverbio: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Si è trovato lo zampino, ora bisogna trovare la gatta.

Un giorno in Segreteria di Stato vidi per caso un appunto al Papa del Cardinal Domenicano Luigi Mario Ciappi, degnissima persona che mi onorava della sua amicizia. Era il Teologo della Casa Pontificia. Il biglietto diceva con tono allarmato e la franchezza tipica del Domenicano: “Santità, ci sono deviazioni dottrinali persino nella Facoltà Teologhe Pontificie”.

La cosa tragicomica è che i modernisti si permettono di disobbedire tranquillamente al Papa anche in materia di fede, mentre guai a chi disobbedisce loro, sempre in materia di “fede”, naturalmente la “fede” come la intendono loro, che comporta ogni genere di deviazione dalla autentica ortodossia. In tal modo essi da una parte lasciano parlare o difendono gli eretici, e dall’altra vorrebbero chiudere la bocca ai difensori del Papa, del Magistero e della sana dottrina. La situazione sta diventando intollerabile. Occorre veramente una “riscossa cristiana”!

Il Papa solo com’è, con traditori in casa, difficilmente è in grado di difendere i buoni e di correggere i ribelli. Egli certo ci dà ottime direttive. Gli strumenti per conoscere la sana dottrina non mancano. E’ carente lo strumento per far osservare la disciplina e per correggere i devianti. Con questo non nego i grandi meriti della Congregazione per la Dottrina della fede. Ma essa va aiutata, sostenuta, incoraggiata, perché più volte è stato notato da saggi osservatori come il personale stesso di questo importantissimo Organismo sembri troppo scarso ed impari alla massa enorme di questi problemi che si accumulano in questo settore fondamentale dell’“obbedienza della fede” (Rm 1,5; 15,18; II Cor 10,5; I Pt 1,22). [SM=g1740722]

Obbedire al Papa, quando ci parla come Vicario di Cristo, mette in gioco la nostra obbedienza a Cristo come Mastro della Fede. La nostra fede di cattolici in Cristo ci è mediata dalla nostra obbedienza al Papa, s’intende in quanto ci insegna il Vangelo. E’ ovvio che al di fuori di questo altissimo ufficio che caratterizza il Papa in quanto Papa, egli è una persona fallibile e può fungere semplicemente, come si sul dire, da semplice “dottore privato”, come appare chiaramente dai libri, pur sempre belli e importanti, che Benedetto XVI, “Ratzinger”, come dice significativamente il sottotitolo, ha scritto su Gesù Cristo, invitando il lettore ad entrare in discussione con lui, cosa che evidentemente non farebbe se ci parlasse come Maestro della Fede e dall’altra parte come un teologo così grande come lui non potrebbe avere la libertà di esprimere le sue opinioni?

Indubbiamente questa duplice linea di insegnamento del Papa può essere fraintesa da cattolici sprovveduti. Per questo motivo, credo, i Papi del passato si sono sempre astenuti dallo scrivere libri su quel tono, anche se ovviamente in altri documenti ordinari non sempre hanno impegnato la loro infallibilità pontificia.

Tuttavia oggi possiamo pensare ad un Popolo di Dio abbastanza maturo per saper apprezzare non solo l’insegnamento ufficiale del Papa, ma anche le sue discutibili opinioni, soprattutto se si tratta di un teologo di prima grandezza, come Ratzinger, forte peraltro di una ventennale esperienza fatta alla CDF.

Le istanze autoritative intermedie che stanno tra il Papa e il Popolo di Dio, benchè ovviamente non siano dei semplici meccanici trasmettitori delle direttive e degli insegnamenti pontifici, devono oggi comprendere, in molti casi, laddove esse sono inquinate dal modernismo, che se vogliono aver autorità presso i fedeli e i sudditi, esse per prime devono obbedire al Papa e alla S.Sede.

Diversamente il fedele avveduto non potrà seguirli, ed è pronto anche a subire persecuzione, come purtroppo sta avvenendo in molti casi. Per farsi santi occorre saper soffrire anche da parte dei fratelli senza avere la timidezza o l’opportunismo di uscire dal sentiero della verità disobbedendo al Vangelo insegnato dal Successore di Pietro.





[SM=g1740771]


Quando tornerà il Figlio dell’Uomo

Maurizio Blondet 12 Febbraio 2013

Spero nessuno si aspetti da me un commento sulla rinuncia di Benedetto XVI. Non ho notizie diverse da quelle di tutti voi. Né mi va di contribuire al chiacchiericcio mediatico, ai giudizi (molti) temerari, e – spaventevole a dirsi – alle derisioni c he hanno accompagnato l’evento e la persona («Papus Interruptus», se la ride il francese Libération, organo della sinistra al caviale stipendiato da Rotschild).

Non ci sono analisi da fare, al di là di un costernato silenzio. La crisi della Chiesa e l’abbandono della fede sono fatti evidenti. «È il popolo che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato il popolo?»: questa frase di don Giussani attende ancora una risposta. Il residuo «popolo» è fratturato in gruppi incomunicanti, ciascuno coi suoi riti, linguaggio e sistema di credenze, alcuni dei quali hanno metodi di reclutamento «americani», da born again christians o da «alcoholics anonimous», e liturgie di loro invenzione. Neocatecumenali, pentecostali, ciellini, lefebvriani... che esista ancora un’unità dottrinale, poniamo, che colleghi l’Opus Dei e i seguaci di Kiko Arguello, è estremamente dubbio.

Che questa inconciliabilità esploda alla luce, temibilmente probabile. Il pericolo che queste fratture diventino «chiese» settarie, è presente. Che la patologia dipenda dal Concilio Vaticano ultimo, è un fatto – che viene negato, oppure salutato come «profetico» e benefico. Salgono le voci che esigono «un nuovo Concilio», e pretendono «più collegialità»: sorde al fatto che Cristo non ha istituito un collegio, che le conferenze episcopali sono «unioni di fatto» senza alcun fondamento teologico, né che come diceva il cardinale Oddi, sardonico e teologicamente inconcusso: «Il solo caso di collegialità che si trova nel Vangelo è raccontato con questa frase: “...E tutti i discepoli, abbandonato Gesù, fuggirono»: Matteo 26, 56. La mancanza di vocazioni è già tragica, presto ci mancherà il prete che ci dia la Comunione.

Io spero solo che non tocchino l’Eucarestia, che vedo già in pericolo in molte chiese. Bisogna pregare molto, lo dico a me stesso più che a voi. La sensazione generale è che questa non sia una svolta, ma un capolinea.

Mi si citano profezie di sventura, Akita, Garabandal, Fatima, Medjugorje. Le ascolto, come tutti, come annunci inquietanti, ma ricordo a me stesso che in certi momenti le «profezie» possono essere utilizzate per diffondere suggestioni collettive, nel senso desiderato da poteri nient’affatto «secolarizzati», che non hanno per nulla rinunciato ai loro antichi «rituali», e non li ritengono affatto superati nella loro funzione di evocatori di Potenze, le Potenze omicide che agiscono nel buio.

Un padre francescano, santo, dice invece: «È tutta luce». Ciò che cadrà, era ciò che doveva cadere, come le foglie secche del vecchio albero. È la speranza a cui mi aggrappo. La questione è nelle mani di Dio. Cerchiamo di sorvegliare noi stessi, nei tempi imminenti che saranno difficili.

Mi basta la profezia di Cristo: «Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, troverà ancora la fede sulla Terra?». È una domanda che pongo anzitutto a me: quando tornerai, Figlio dell’Uomo, troverai ancora la fede in Maurizio? Come vorrei poter rispondere «Sì», con slancio, senza esitazione, con piena infantile fiducia. Invece dico, come quel poveraccio del Vangelo: «Signore credo, ma tu sostieni la mia incredulità!».

Chi ha fede preghi molto, e preghi anche per me.
http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=234826&Itemid=142

[SM=g1740733]


[Modificato da Caterina63 12/06/2013 20:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740722] Ottimo editoriale di Padre Giovanni Cavalcoli su RiscossaCristiana.....
attenti a non lasciarci intrappolare dall'immagine adulcherata di un Papa ecologista, modernista ecc.... Papa Francesco è lineare con il Magistero dottrinale della Chiesa
..... [SM=g1740721]




I modernisti stanno organizzando un’operazione in grande stile per accaparrarsi il Papa giocando sulla carta, sempre molto efficace, della simpatia universale che Papa Francesco ha suscitato nei suoi confronti per le sue parole, i suoi gesti e i suoi precedenti da Cardinale che ce lo fanno vedere come un uomo semplice e umile, vorremmo dire “francescano”, fortemente sensibile ai bisogni dei poveri e contrario agli atteggiamenti della prepotenza, dell’avarizia e della mondanità.

Dopo aver mandato avanti Vito Mancuso, i modernisti di recente ci hanno propinato altri due eminenti e famosi rappresentanti del più raffinato modernismo: Leonardo Boff sul sito comunista Bandiera Rossa ed Hans Küng sul sito Leggioggi. La mossa è abile e nel contempo perfida [SM=g1740721] , tutta intrisa del loro caratteristico secolarismo, che li porta ad argomentare non come uomini di fede, consapevoli di quello che è il ministero petrino, il carattere sacramentale e il fine soprannturale della Chiesa, nonché le vere esigenze evangeliche della dottrina, dell’etica e della vita cristiane, ma con lo stesso stile col quale si ragiona di politica, di affari, in una prospettiva meramente umana e terrena, senza alcuna apertura o comprensione per l’autentica realtà della Chiesa Sposa di Cristo Crocifisso, come ha già detto con chiarezza Papa Francesco. Inoltre non mancano le velate minacce di insuccesso mondano, cosa che alla Sposa di Cristo avvezza a seguire il suo Sposo Crocifisso, non desta particolare preoccupazione. Essa sa comunque che il suo Sposo ha vinto il mondo e che pertanto essa attende serenamente la vittoria.

Ma già queste parole del Papa sono cadute nel vuoto per i modernisti, i quali, come è loro abitudine, si stanno costruendo un Papa ad usum delphini senza rendersi conto di quanta delusione proveranno tra poco, delusione che li trasformerà da dolci ed entusiasti adulatori in feroci e sarcastici nemici, anche se noi come cattolici, dobbiamo sempre sperare e pregare per la loro conversione.

Qualcosa di simile successe anche quando fu eletto Benedetto XVI. Immediatamente dopo la sua elezione Hans Küng, il quale aveva lavorato insieme con Ratzinger come perito al Concilio Vaticano II, per cui c’era stata una vecchia amicizia, si precipitò dal Papa ed ebbe con lui un colloquio di due ore nel quale molto probabilmente egli, ricordando la vecchia amicizia, tentò di avvicinare il Papa ai modernisti.

Sennonchè però già da molti anni Ratzinger si era opposto ad essi soprattutto nella loro tendenza rahneriana, per cui non ci fu nulla da fare. Allora Küng, su tutte le furie, si scagliò contro il Papa, riprendendo la sua vecchia abitudine che gli aveva causato l’intervento da parte di Roma, la quale gli tolse il titolo di “docente cattolico”.

E’ questo del resto il tradizionale metodo degli eretici, i quali o attaccano il Papa direttamente spesso con insulti e calunnie, oppure cercano di portarlo dalla loro parte. Esempio famoso di questo atteggiamento fu quello di Giordano Bruno, il quale venne in Italia dall’estero con l’intento e la speranza di convincere il Papa delle sue idee. Ma, come sappiamo, mal glie ne incolse, anche se naturalmente e giustamente la Chiesa oggi ha abbandonato una tale severità.

Ma la perfidia dell’operazione dei modernisti consiste nel tentativo assurdo di squalificare Papa Ratzinger presentato come un retrivo legato al potere della Curia Romana, dalle visuali ristrette ed insensibile al grido dei poveri, mentre ogni speranza è volta nel nuovo Papa, così come si fa quando caduto un dittatore ci si getta nelle braccia, non si sa con quanto sincerità, del nuovo regime che ha cacciato quello precedente. Dal che noi vediamo con quanta miopia questi modernisti prendono in considerazione e valutano l’operato e il dovere del Sommo Pontefice.

Così, in questo quadro meschino di considerazioni, le dimissioni di Papa Ratzinger, secondo Boff, sarebbero state causate dal “fallimento della sua teologia” arretrata ed autoritaria, come se il Magistero pontificio fosse il riflesso delle personali idee più o meno discutibili dello stesso Papa e non l’espressione del Magistero perenne, universale ed infallibile della Chiesa.

In realtà, come ho spiegato di recente su questo sito, Benedetto XVI, come appare da molti segni e prove e non dalla fantasia morbosa ed ipocrita di Boff, si è trovato impari all’impresa di continuare a guidare una Chiesa all’interno della quale i modernisti hanno dato la scalata al potere, sino a giungere di recente, come testimonia per esempio l’affare Gabriele, all’interno stesso della Segretaria di Stato. Tali modernisti, anche se non lo vogliono riconoscere, sono alleati ed espressione del grande potere finanziario massonico corruttore e corrotto internazionale, oppressore delle grandi masse di poveri nel mondo, compresa l’America Latina. [SM=g1740721]

In tal modo Papa Ratzinger si è trovato nell’impossibilità di continuare il suo ministero, che era in procinto di esprimersi con un’enciclica sulla fede, la quale certamente avrebbe smascherato le mene dei corruttori della Chiesa, cosa per loro evidentemente insopportabile e che li ha spinti a bloccare il Papa. 

Naturalmente se questi mestatori hanno fermato un Papa, certamente non potranno fermare il Papato, e per questo a Papa Benedetto è succeduto Papa Francesco, ma i modernisti non si illudano che il nuovo Papa smentisca o cambi quella linea di dottrina e di governo, che non ha caratterizzato Ratzinger in quanto persona privata, ma il Magistero della Chiesa come tale, chiamato nella perennità e nell’universalità della sua dottrina a sfidare i secoli e a guidare l’umanità alla pienezza finale del Regno di Dio. [SM=g1740722]

D’altra parte, non pensino i modernisti che Ratzinger ora stia zitto, anche se egli con tanta umiltà e forte spirito religioso, ha detto di volersi ritirare nella solitudine e nel silenzio per prepararsi al finale incontro col Signore. Tuttavia Ratzinger, rivolgendosi ai fedeli, pochi giorni prima di lasciare il ministero, ha detto bensì loro di “lasciare il mondo”, ma non la Chiesa, cosa che evidentemente significa che egli, considerando la sua grande cultura di teologo e la sua lunga e ricca esperienza di pastore, certamente sente ancora la responsabilità di dare un suo contributo al bene della Chiesa nella piena comunione e sottomissione al nuovo Vicario di Cristo. E sono certo che quest’ultimo, con l’umiltà che lo caratterizza, sarà ben contento di sentire i pareri del Papa emerito.

Potremmo aggiungere che un elemento sul quale i modernisti certamente cercheranno di far leva sono le recenti lodi fatte dal Papa al Card. Kasper per un suo libro dedicato alla misericordia divina, tema evidentemente fondamentale dell’etica cristiana, e dal quale il Papa ha preso spunto per offrirci alcune sagge parole.

Occorre a tal riguardo notare subito, al fine di sventare una probabile mossa dei modernisti, che le lodi di Papa Francesco non vanno certamente alla teologia di Kasper nel suo complesso, e questo è molto importante, giacchè purtroppo il Kasper, prima di essere elevato al cardinalato, scrisse alcune opere di cristologia contenenti tesi non conformi alla dottrina della fede, come ho illustrato e documentato nel mio libro “Il mistero della Redenzione”[1].

Il difetto della cristologia di Kasper riguarda in modo particolare la concezione della Redenzione, nella quale non emerge il tradizionale aspetto espiatorio e riparatore dell’opera di Cristo come soddisfazione vicaria data al Padre per il peccato dell’uomo e quindi per la remissione dei peccati, come dice il Concilio di Trento: “satisfecit pro nobis”.

Questa, che è la più grande opera di misericordia che il Padre ha compiuto nel Figlio e nello Spirito Santo per la salvezza dell’uomo, è invece interpretata da Kasper, con esplicito riferimento ad Hegel, in modo dialettico, ossia come ritorno di Dio a Dio nella sintesi dialettica che si opera sulla base dell’autoalienazione di Dio. Traducendo in termini teologici, la croce di Cristo appare in questa visuale come Dio che nega sé stesso, mentre l’accettazione che il Padre fa del sacrificio di Cristo, si presenta sempre in modo dialettico come la ricongiunzione di Dio Figlio con Dio Padre.

Ora è evidente che in questa visuale non si salva la visione cattolica della misericordia divina, che invece appare non come un mistero di fede, ma come il risultato di un processo dialettico per lo più basato su di una contraddizione tra Dio e Dio che mette in crisi quella che è la semplicità e l’unità della natura divina, nonché l’amore che unisce il Padre al Figlio, anche se il Padre ha chiesto al Figlio di sacrificarsi per la salvezza del mondo.

Dobbiamo allora osservare che la vera misericordia nel senso cristiano non è una semplice solidarietà con i poveri o una compassione per i sofferenti, cosa che si nota anche in altre religioni come per esempio il buddismo. Infatti nel citare le parole di Kasper, il Papa presenta la misericordia come semplice sentimento umano, il che naturalmente non è sbagliato, però non è ancora sufficiente e questo è testimoniato dal fatto che il Pontefice riprende per conto proprio il discorso di Kasper e lo approfondisce in un senso autenticamente cristiano. [SM=g1740722]

Questo significato cristiano della misericordia è legato all’opera della riparazione, che è innanzitutto quella di Cristo, che si offre al Padre al nostro posto non perché noi siamo esentati dal dovere di collaborare a quest’opera riparatrice, ma per il semplice fatto che Cristo, essendo Dio, è solo Lui in grado di compensare adeguatamente il Padre per l’offesa infinita del peccato.

Invece purtroppo nella cristologia di Kasper, mancando il concetto della riparazione, viene compromesso anche il significato autentico della misericordia cristiana, la quale, come insegna San Tommaso, ha condotto il Padre celeste a darci in Cristo la possibilità di riparare ai nostri peccati. Pertanto l’opera della misericordia comporta certamente l’attenzione ai sofferenti e ai bisognosi, ma da un punto di vista cristiano va intesa soprattutto come opera di liberazione dell’uomo dalle tenebre del peccato.

In questa visuale San Tommaso poteva dire che la più grande opera di misericordia è condurre il fratello dalle tenebre dell’errore alla luce della verità, anche se è chiaro che in certe circostanze, nelle quali l’uomo è afflitto dalla fame del cibo materiale, occorre innanzitutto sovvenirlo in questo nell’intento ultimo di soddisfare la sua fame di Dio.

 

 


[1] Ed. ESD, Bologna, 2004.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

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L’ENCICLICA NON SCRITTA - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana


Come sappiamo tutti, Benedetto XVI l’ottobre scorso aveva dato inizio all’Anno della Fede per ravvivare e purificare la fede nel Popolo di Dio, duramente provato appunto nel campo della fede da difficoltà interne ed esterne, dai tempi in cui, come ebbe a dire Paolo VI in una famosa frase, il “fumo di Satana” è entrato nella Chiesa ed al fine di togliere, secondo le ben note parole di Papa Benedetto, la “sporcizia della Chiesa”.


Il motivo più profondo che emerge chiaramente nella dichiarazione con la quale Benedetto XVI ha spiegato i motivi delle sue dimissioni, non è tanto la debolezza della sua salute, sulla quale troppo si è insistito, quanto piuttosto la consapevolezza di non avere le forze sufficienti per affrontare la gravità dei problemi che oggi toccano la fede all’interno della Chiesa. E se ciò è stato detto da uno dei più grandi e noti teologi del nostro tempo, uno dei maggiori protagonisti del Concilio Vaticano II, autore del famosissimo “Rapporto sulla fede”[1], Prefetto per vent’anni della Congregazione per la Dottrina della Fede, possiamo dargli credito.

Ora, se si è arreso un tale campione della fede, un uomo che a suo tempo fu eletto Papa con larghissimi consensi e dopo brevissimo tempo, un simile lottatore della Parola di Dio, abile nella confutazione dell’errore e nell’illustrazione della verità cattolica, mente dalla grande apertura intellettuale, capace di congiungere tradizione e progresso - ricordiamo la sua famosa formula “progresso nella continuità” a proposito di come interpretare le dottrine del Concilio -, se si è arreso un simile gigante, che cosa dobbiamo dedurre?

La risposta non è difficile: che nel corso di questi ultimi anni l’opposizione e la disobbedienza ereticale modernista all’interno della Chiesa è aumentata sino al punto da raggiungere i vertici della Chiesa stessa e da intaccare gli stessi collaboratori del Papa, come è testimoniato per esempio dal gravissimo ed inaudito tradimento perpetrato da Paolo Gabriele, che certamente non è un protagonista, ma una pedina che nasconde agenti ben più importanti e influenti e colpevoli, che ancora devono essere fatti emergere dall’oscurità.

Come è noto, Papa Ratzinger aveva in animo di scrivere un enciclica sulla fede, cosa che certamente ha terrorizzato i modernisti, i quali a questo punto hanno aumentato la loro pressione e le loro insidie contro la S.Sede, fino al punto che è successo quello che è successo e che mai era successo in tutta la storia della Chiesa[2]: un Papa che dà le dimissioni perché non ce la fa più a stimolare gli inerti, a disciplinare i disobbedienti, a persuadere i critici, a domare i ribelli, ad opporsi ai nemici della Chiesa che subdolamente lavorano al suo interno e si trovano tra coloro stessi che maggiormente dovrebbero collaborare col Papa nel dialogo con gli uomini del nostro tempo, nella conservazione, interpretazione, diffusione e difesa della fede e nella lotta contro l’eresia.

Molto probabilmente nell’enciclica progettata il Papa, da par suo, con quella grande larghezza di vedute che lo caratterizza, avrebbe messo in luce sì i valori della fede di oggi, ma anche e forse ancor più, non senza la sua caratteristica bonomia, le difficoltà, le insufficienze, gli equivoci, le deviazioni e i tradimenti con quello sguardo acuto somigliante a quella spada dello Spirito, della quale parla la Lettera agli Ebrei, spada che “divide l’anima dallo spirito e le giunture dalle midolla” (4,12).

Ciò è risultato certamente insopportabile ai modernisti e a certi “collaboratori” dall’astuzia satanica, i quali certamente si sono dati subito un enorme da fare, hanno speso tutte le loro arti per persuadere il Papa a desistere[3]. Benedetto, a questo punto, vistosi bloccato in uno di quegli atti del suo Pontificato ai quali certamente aspirava da tempo e da tempo si era preparato con ogni tatto e prudenza, tipiche del suo carattere e del suo stile, un atto nel quale egli sentiva di dare il meglio di se stesso, ebbene, probabilmente assalito da una generale opposizione se non proprio da velate minacce, come del resto è nello stile dei modernisti, per esempio dei rahneriani, si è visto solo, come Cristo abbandonato da suoi, certo solo con Cristo, ma umanamente solo. E chiaramente un Papa che resta solo, che cosa può fare da un punto di vista umano? A chi comandare? Chi lo obbedisce?

Da qui la drammatica, storica decisione, per la quale Papa Benedetto passerà alla storia, senza che peraltro una tale decisone possa mai, per la sua complessità e per il suo radicarsi nel fondo del suo animo e per lo più dell’animo di un Papa, mostrare mai con chiarezza tutti i suoi motivi, per cui essa è destinata a mantenere per sempre il suo segreto, che darà occasione a discussioni e ricerche che non avranno mai fine, nell’insieme tale decisione suscita un grande rispetto, che si è diffuso dovunque.

Ma diciamo sinceramente che non mancano lati dubbi od oscuri, forse criticabili. Forse qualche giorno sapremo qualcosa da qualcuno degli intimi del Papa, dei suoi veri amici e collaboratori (forse Mons. Geinswein, che abbiamo visto piangere?), che però adesso restano defilati, per timore dei modernisti.

A Papa Benedetto è successo Papa Bergoglio, un nome assolutamente sconosciuto nel campo della grande produzione teologica e dei problemi della fede, imparagonabile alla notorietà ed al prestigio di Ratzinger. Scriverà lui l’enciclica che Papa Benedetto non ha scritto?

Ci sarebbe da sperarlo. Ma per ora non se ne parla. Invece egli è una figura che sembrerebbe enormemente diversa, un Papa che già col significativo nome di Francesco, sembra voler portare l’interesse su temi ben diversi, certo importanti, universalmente sentiti, ma che il minimo che si possa dire è che non toccano direttamente ed esplicitamente i problemi della fede.

E’ ovvio che già Papa Francesco ha cominciato a parlare della fede e come potrebbe non farlo? Ma è altrettanto chiaro, almeno per adesso, che egli ha è portato a far attenzione piuttosto ai grandi temi cari alla teologia sociale[4], tutte cose interessanti ed utili, certamente. Tuttavia, come egli stesso ha dichiarato, egli intende proseguire nella linea di Papa Benedetto.

Così i problemi della fede restano e gravissimi. Anche Papa Francesco non potrà sottrarsi, benchè anch’egli sappia benissimo quanto sono scottanti ed urgenti. Il fatto che Papa Francesco non abbia la fama in campo teologico che ha Ratzinger non vuol dire che non sarà in grado di affrontarli con successo. Anche Papa Sarto, S. Pio X, non era un teologo, eppure, quale gigante della dottrina e della fede, quale lottatore, quale maestro, quale pastore, quale santo!

E’ possibile che Papa Francesco riesca là dove Papa Ratzinger non è riuscito. Infatti la forza che guida i Papi non sono, come è noto, le loro forze umane, di cultura, di prestigio, di notorietà, di savoir faire a livello dell’umano, ma è la forza dello Spirito Santo. Più è potente questo soffio e più grandi, più santi sono i papi, con particolare riferimento all’infallibilità pontificia. E’ ovvio che occorre la loro corrispondenza, ma appunto tale corrispondenza è suscitata dallo stesso Spirito Santo. E’ quell’azione che i teologi tomisti chiamano “premozione fisica”, dove la fisica non è da intendersi nel senso di ciò che è materiale, ma significa: reale, ontologica, effettiva.

Certo il Papa può anche sottrarsi all’azione dello Spirito Santo e allora essa resterà inefficace. Esiste tuttavia un punto dove il Papa non cede, ed è la custodia della fede. Qui il Papa, come sappiamo, è infallibile non certo per una sua forza umana personale, ma grazie al dono dello Spirito Santo. Ed è un’infallibilità che possiede solo lui, ex sese, come dice Pio IX nella famosa definizione dogmatica. Dai cardinali in giù tutti gli altri sono fallibili o sono infallibili solo in unione col Papa.

Per questo il tentativo dei modernisti oggi di conquistare il papato, fallirà, perché sul piano della verità della fede il papato è inattaccabile, non è aggirabile, non è corruttibile, ma anzi è lui che insorge contro l’errore e lo distrugge. Il fatto è che i modernisti scambiano la Chiesa per una qualunque società umana, dove, con opportuni raggiri e manovre, è possibile conquistare la direzione suprema.

Essi pertanto attualmente stanno tentando il colpo con potenti arti seduttrici e grande dispiego di mezzi culturali, politici ed economici, probabilmente con l’aiuto della massoneria e di tutte le forze anticattoliche che restano nell’ombra affinchè il piano non sia scoperto e la gente abbia l’impressione che i modernisti siano semplicemente dei cattolici forse un po’ audaci, ma tutto sommato avanzati e moderni, adatti ai nostri tempi.

Non ci resta dunque che confidare nello Spirito Santo. Starà a Lui portare luce e pulizia nella Chiesa e liberarla dal potere delle tenebre. Attendiamoci con fiducia nella preghiera che lo Spirito Santo guidi Papa Francesco e con lui tutta la Chiesa a lui fedele nell’avanzare verso una fede più luminosa e più forte, sul solco di Papa Benedetto e di tutti i santi Pontefici del passato, correggendo i modernisti ed allargando i confini della Chiesa sino agli estremi limiti della terra.

 


[1] Pubblicato dalle Edizioni Paoline nel 1983. Esso non perde per nulla la sua attualità, anzi oggi è più attuale che mai, perché i problemi che lì sono denunciati si sono ulteriormente aggravati..

[2] I pochissimi casi che si è tentato di evocare sono assolutamente imparagonabili e le circostanze sono totalmente diverse.

[3] Sono pratico di questo ambiente, avendo lavorato in Segreteria di Stato per otto anni ai tempi del Beato Giovanni Paolo II, ma mai allora si pensava che si potesse giungere al punto in cui si è giunti oggi.

[4] Immediatamente dopo l’elezione al soglio di Pietro, Papa Francesco è stato l’oggetto di una sfacciata adulazione nella persona di Leonardo Boff, da parte dei teologi della liberazione a suo tempo condannati da Benedetto XVI quand’era cardinale prefetto della CDF.

[SM=g1740771]

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12/04/2013 00:28
 
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[SM=g1740758] FORZA E DEBOLEZZA DEL PAPATO - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

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Caravaggio - Crocifissione di San Pietro

 

 

Ormai appare sempre più chiaro per chi non vive alla superficie della vita ecclesiale, ma vuole essere all’interno della Chiesa o, come diceva S.Teresa di Gesù Bambino, “nel cuore della Chiesa”, “in medio Ecclesiae”, come si diceva di S.Domenico, soprattutto in questi ultimi decenni, si è affermato un episcopato, che impone un modello di Chiesa ispirato a Rahner (anche se non solo), di marca modernistico-protestante-massonica, Chiesa dal basso, Chiesa popolo di Dio, Chiesa pneumatica senza dogmi e senza gerarchia, Chiesa confusa col mondo e quindi mondanizzata[1], Chiesa “trascendentale” ed “atematica” dei cristiani anonimi.

Si tratta di una Chiesa nella Chiesa, dove questa è quella che è governata dal Papa e dai vescovi fedeli al Papa, sulla linea della Scrittura, della Tradizione, dei Padri, dei Concili, di Agostino, di Tommaso sino alla Chiesa del Concilio Vaticano II[2], che però i rahneriani interpretano a proprio uso e consumo.

Infatti questi vescovi recenti sono stati formati da docenti rahneriani non sufficientemente corretti dai vescovi precedenti, già allora troppo indulgenti verso Rahner. Se dunque nei primi anni del postconcilio avevamo per lo più soltanto teologi rahneriani colpevolmente tollerati dai loro vescovi, adesso abbiamo vescovi rahneriani, che sono gli antichi seminaristi di un tempo formati da insegnanti rahneriani. Una situazione incancrenita e pericolosissima. Rahner è diventato un “classico” quasi fosse un Padre della Chiesa o un nuovo S.Tommaso d’Aquino.

E’ dunque avvenuto un salto di qualità: se ai tempi dei teologi rahneriani, costoro influenzavano solo gli ambienti della scuola, adesso che abbiamo vescovi, prelati e superiori rahneriani,  i rahneriani hanno acquistato un vero e proprio potere, se è vero come è vero che il potere di governo non spetta ai teologi ma ai vescovi.

Succede così in queste condizioni che l’essenziale apporto del Papato, ben lontano dal sostenere Rahner, giunge faticosamente, scarsamente, precariamente e rischiosamente nelle varie aree della Chiesa, come l’aria in una trachea asmatica o come il cuore in un sistema circolatorio affetto dal colesterolo, e quindi giunge solo in alcuni ambienti ristretti della Chiesa, dove il Papa è rispettato ed obbedito ed ha un vero influsso anche disciplinare.

Ma la maggioranza degli ambienti ecclesiali, la formazione del clero, il clima delle parrocchie, la liturgia, i mass-media, gli istituti religiosi, i movimenti laicali, sono sotto controllo dell’episcopato rahneriano, ribelle o quanto meno indifferente al Papa e quindi si è fatto guida di una Chiesa che si è costituita per conto proprio, indipendentemente dal Papa (se non proprio contro il Papa), sulla linea della teologia e dell’ecclesiologia di Rahner e dei rahneriani. Tutto ciò è frutto di malintesa interpretazione ed attuazione dell’autonomia della Chiesa locale, nonché delle conferenze episcopali nazionali e dei sinodi mondiali.

Dove questo episcopato comanda, è molto difficile e rischioso obbedire al Papa, perché questo episcopato richiede assoluta obbedienza ed avendo in mano il potere, può vessare, diffamare e perseguitare quei cattolici[3], giovani, anziani, laici, docenti, religiosi, preti, seminaristi[4], chiunque, i quali volendo essere integralmente fedeli a Roma, in un modo o nell’altro si pongono in rotta di collisione con i vescovi e i superiori modernisti.

Il potere di questi prelati, essendo immediatamente e spazialmente vicino, conta più di quello del Papa, è più temibile di questo. Disobbedire al Papa in molti ambienti non porta a nessuna conseguenza, anzi si ottiene successo e si passa per moderni ed avanzati, ma disobbedire ai prelati modernisti si paga caro e può compromettere o bloccare la stessa carriera o attività ecclesiastica o sacerdotale, per quanto si possa essere teologi o docenti stimati e di lunga esperienza.

In tal modo il Papato con i pochi collaboratori fedeli che gli restano tra i vescovi e tutti i buoni cattolici, è una specie di stato maggiore di un esercito dove però l’esercito si è costituito capi per conto suo, i quali non seguono affatto le direttive dello stato maggiore, ma vanno per conto proprio con una loro politica ecclesiastica, una loro teologia ed una loro pastorale che non riflette la vera concezione cattolica, ma quella concezione ereticale di cui sopra.

E i Papato ha le mani legate, non può far quasi nulla dal punto di vista del governo, del controllo della dottrina e delle nomine ecclesiastiche. Queste ultime sono per lo più imposte od ottenute con raggiri dai modernisti, sicchè il Papa deve, come si suol dire, “far buon viso a cattivo gioco”, si trova ad avere a che fare con “collaboratori” finti o di facciata che non sono affatto  copertamente o scopertamente  veri collaboratori, ma che gli remano contro se non in modo plateale e sfacciato, certo comunque in modo reale e come un tarlo che corrode ogni giorno il sistema del Papato.

Il Papa è così sottoposto ad uno stillicidio quotidiano, ad una vita logorante difficilmente sopportabile[5],  se non fosse che abbiamo avuto in questi decenni Papi santi che hanno saputo offrire la loro vita per la Chiesa in unione con la croce di Cristo. Con tutto ciò è chiaro che il Papa ha i suoi buoni collaboratori, presenti grazie a Dio in tutti i settori della Chiesa in tutto il mondo, ma in scarsissimo numero, e tutto quello che possono fare, oltre a soffrire insieme col Vicario di Cristo, è la proclamazione della sana dottrina, peraltro sistematicamente ed immediatamente criticata, fraintesa, derisa e contestata dai potenti mezzi propagandistici dei modernisti. E’ possibile dunque sapere, in linea di principio, che cosa pensa il Magistero, ma è assai difficile metterlo in pratica a causa degli ostacoli, delle minacce, delle seduzioni e delle persecuzioni provenienti dal potere modernista.

Questa situazione di debolezza e di impotenza sorge col papato di Paolo VI e si protrae sino ai nostri giorni. Essa certamente è all’origine delle dimissioni di Benedetto XVI[6]. Il Papato con Paolo VI non è più Cristo che guida le folle[7], che compie prodigi, che corregge i discepoli, che caccia i demòni, che minaccia farisei, sommi sacerdoti e dottori della legge, ma è Cristo sofferente, “crocifisso e abbandonato”, inascoltato, disobbedito, contestato, beffato, emarginato, angosciato. [SM=g1740733]

La forza del Papato postconciliare è la forza di Cristo crocifisso, è il potere della croce. Il Papa deve stare continuamente in croce, fino all’ultimo. Alcuni hanno accusato Benedetto XVI di aver abbandonato la croce. Ma chi ci dice che non ne abbia adesso una più pesante, umiliato com’è per essere ingiustamente messo a confronto col nuovo Pontefice, quasi che questi vada bene e non il precedente? Sciocchezze incredibili.

I modernisti le studiano tutte  per conquistarsi il nuovo Papa, ma non riusciranno. Avrà certo come tutti i suoi difetti umani, ma non s’illudano che egli perda il carisma dell’infallibilità, se messo alla prova e all’occasione propizia. Essi forse si sentono vicini all’aver messo un rahneriano sul trono di Pietro. Ma saranno scornati. L’eresia può giungere molto in alto, può arrivare tra i Cardinali - e lo abbiamo visto -, ma non può raggiungere il Papa.

Nessun Papa si è piegato all’eresia, per quanto sia stato circonvenuto, adulato, fatto soffrire e minacciato[8]. Nei primi secoli abbiamo Papi martiri e chi ci dice che la serie sia finita? Il Papa si piega a tutto ma non all’eresia. Forse Benedetto ha avuto forti pressioni perché cedesse ai rahneriani. Probabilmente l’enciclica sulla fede che aveva intenzione di preparare avrebbe dato fastidio a molti.

Ottimo è il ritratto di questo Papato che si riflette nelle sofferenze della Chiesa nel libro Gethsemani[9] del grande card. Siri. Egli colpisce nel bersaglio attaccando Rahner, meno felice è nella critica a De Lubac, del tutto fuori centro è col Maritain, uomo di santa vita ed esimio tomista aperto con discrezione ai valori del pensiero moderno, in perfetta linea con la figura di teologo promossa dal Concilio Vaticano II, lodato e raccomandato da Paolo VI e dal Beato Giovanni Paolo II.

Non si capisce perchè l’illustre Cardinale se la prenda con lui, quando avrebbe potuto avere l’imbarazzo della scelta nello scegliere i tormentatori della Chiesa[10]: dagli Schillebeeckx, Hulsbosch e Schoonenberg ai teologi della liberazione, Gutierrez, Girardi, Sobrino, Boff ed Assman, dai moralisti esistenzialisti come Molinaro, Rossi, Valsecchi e Mongillo, agli idealisti come Bontadini e Severino, dagli heideggeriani come Marranzini e Sartori ai neohegeliani come Küng, Kasper e Forte. In tal modo la sua polemica perde di mordente e presta il fianco alla critica modernista che lo accusò di conservatorismo, misconoscendo la tempra eccezionale di speculativo del dotto Cardinale.

La debolezza del Papato che si è manifestata ad iniziare dal periodo postconciliare dipende, a mio avviso, da un difetto nelle disposizioni pastorali del Concilio concernenti quella che dev’essere la collaborazione tra Papa e vescovi nella tutela della rettitudine della fede e nella correzione degli eretici. In modo sorprendente - e questo è stato notato dagli studiosi seri - il Concilio, contrariamente a tutta la tradizione dei Concili ecumenici, non fa parola di eresie o dottrine contrarie alla fede. Parla sì genericamente di gravi errori, come l’ateismo, il materialismo,  l’antropocentrismo, il secolarismo, lo scientismo, il liberalismo, il naturalismo, ma si tratta di condanne generiche e scontate, più riferite ad errori del passato che a precisi fenomeni eresiologici del presente.

Senza ovviamente negare la preminente responsabilità di Roma nella repressione dell’eresia, il Concilio promuove un’attività autonoma dei singoli vescovi o delle conferenze episcopali nella difesa della fede. In particolare, come sappiamo, il Concilio promuove e sviluppa la dottrina della collegialità episcopale, in se stessa di grande importanza, la quale tuttavia va intesa bene.

Alcuni la hanno intesa non come andava intesa, ossia come promozione della comunione fraterna dei vescovi tra di loro e col Papa e sotto il Papa, ma come accentuazione dell’autonomia del corpo episcopale rispetto al Papa, non certo finendo nel conciliarismo, il che sarebbe stata un’eresia, ma dando adito a questa interpretazione, certo sbagliata ma possibile. Ne hanno approfittato i modernisti per sottolineare esageratamente questa autonomia provocando gravi danni all’unità della fede nella Chiesa e solleticando l’ambizione dei vescovi.

Ancora di recente lo storico modernista Melloni, della cosiddetta “scuola di Bologna” si diceva insoddisfatto del grado di “collegialità” raggiunto ed auspicava che sia più accentuato: dunque un aggravamento del male anziché una sua mitigazione o correzione. Melloni popone una linea che è esattamente l’opposto rispetto a quella nella quale si deve procedere.

Negli anni ’80 a Roma ebbi un colloquio col card. Pietro Parente, illustre cristologo ed ex-Segretario del Sant’Uffizio, il quale mi disse con preoccupazione di essersi quasi pentito di essersi fatto promotore in Concilio della dottrina della collegialità, vista l’interpretazione conciliarista alla quale stava andando soggetta.

Con queste disposizioni poco prudenti per non dire sbagliate del Concilio è successo che il peso gravissimo della condanna dell’eresia e della correzione degli eretici ha finito per cadere quasi esclusivamente su Roma, mentre generalmente i vescovi hanno trascurato questo loro grave dovere per non dire che hanno favorito copertamente e qualche volta scopertamente gli eretici, con la scusa del dialogo, della misericordia, della libertà e cose del genere, che spesso sono diventate etichette che nascondono comportamenti errati.

Il nome scelto dal nuovo Pontefice - Francesco - è certo bello ed ha commosso tutto il mondo per il suo richiamo ai grandi temi della spiritualità francescana, con particolare riferimento alla giustizia sociale, ai poveri, ai semplici, agli umili, agli oppressi, ai perseguitati e ai sofferenti.

Tuttavia mi resta qualche perplessità o qualche timore, che penso saranno fugati dal futuro comportamento del Papa. Si tratta di questo: la spiritualità francescana evidentemente è innanzitutto propria del frate francescano e pertanto insiste sulle virtù tipiche del religioso: la povertà, la mitezza, l’umiltà, la docilità, la pazienza, la penitenza, la dolcezza, la misericordia.

Però, in questa spiritualità non appare evidente un altro essenziale aspetto della condotta cristiana, soprattutto quella che spetta ai superiori: la vigilanza contro il nemico, la forza nello scoprirlo, nel combatterlo e nel vincerlo, il far sentire ai ribelli la forza della legge, l’energia nel disciplinare e saper tenere unito il gregge di Cristo e difenderlo dai lupi, l’autorevolezza che all’occorrenza sa incutere timore nei ribelli e negli arroganti, la forza per difendere i deboli contro gli oppressori, il tutto certo nella massima carità, ma appunto la carità stessa chiede, come insegna il Vangelo e testimoniano i Santi, il saper intervenire con forza quando occorre.

Tutte queste doti si addicono in modo particolare al Papa e sono state proprie di tutti i grandi e santi Pontefici della storia. Certo il Papa dovrebbe poter disporre di questo potere, ma se non ce l’ha, che gli resta? Quello di soffrire sulla croce.

Perché tanti Papi col nome di Leone, Gregorio, Pio, Innocenzo, Giovanni, Paolo? Ma evidentemente perché ricordavano i S.Leone Magno, i S.Gregorio Magno, i S.Pio V o Pio X e via discorrendo, per non parlare dei Papi martiri. Oggi i modernisti sono riusciti a creare nell’immaginario popolare una certa antipatia per questi nomi, ma del tutto a torto. Un tempo il popolo cristiano li venerava ed accoglieva con gioia e speranza questi nomi che evocavano le passate glorie e non sono mancati i risultati positivi. Certo, abbiamo avuto Papi francescani, ma hanno fatto i Papi e hanno smesso di fare i frati. Questo sia detto con tutto rispetto dei frati - io sono un frate domenicano - ma non bisogna confondere i ruoli nella Chiesa. I frati domenicani che sono diventati Papi hanno fatto i Papi.

Questo nuovo Papa poi è Gesuita, ed anche questa sua qualità certo ci fa sperare insieme col carissimo nome di Francesco, anzi vorremmo sperare in una sintesi tra l’energia e la dottrina del Gesuita da una parte e la mitezza ed umiltà francescane dall’altra. In ogni caso il grande problema pastorale di oggi è una ritrovata collaborazione tra Papa ed episcopato. In ciò indubbiamente è utile l’applicazione delle direttive conciliari, tuttavia adeguatamente corrette nei loro difetti e non peggiorate come vorrebbero i modernisti, pensando così di far avanzare la Chiesa e invece la fanno retrocedere.

In particolare bisogna che i vescovi, senza affatto abbandonare la bella figura del pastore evangelico delineata dal Concilio, riprendano in mano il loro ufficio di maestri e custodi della fede evitando di lasciare solo il Papa in questo gravissimo compito che spetta a tutto il Magistero della Chiesa. Ovviamente il corpo episcopale in ciò è infallibile, ma lo è solo a condizione di compiere il proprio dovere in comunione col Papa, che non è un vescovo come gli altri alla pari degli altri, ma è il Successore di Pietro al quale Cristo ha detto pasce oves meas e confirma fratres tuos.

Il Papa non è vescovo di Roma alla pari del vescovo di Milano o di New York, ma è vescovo di quella diocesi che, come dice S.Ireneo, ha il compito e il carisma infallibile e indefettibile di presiedere su tutte le altre Chiese nella carità. Come ebbe a profetizzare il Vate latino: tu regere imperio populos, Romane, memento: parcere subiectis et debellare superbos. [SM=g1740721]

 

 


[1] Secondo il teologo domenicano modernista Albert Nolan, in linea con Gutierrez, non esiste un altro mondo oltre a questo, ma solo questo mondo, per cui la Chiesa deve renderci felici in questo mondo.

[2] La “Chiesa del Denzinger”, “piramidale ed aristocratica”, come dicono sarcasticamente i modernisti, mentre la loro è la Chiesa “dello Spirito Santo” o la Iglesia popular dei liberazionisti dell’America Latina. Il card. Martini ebbe a dire che per salvarsi non occorre la Chiesa, ma basta lo Spirito Santo - come se lo Spirito Santo non operasse nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.

[3] Famoso fu a suo tempo il processo intentato dall’arcivescovo di Milano al coraggioso pubblicista cattolico Vittorio Messori, per non parlare di altri casi simili..

[4] Alcuni ottimi seminaristi comunicano con me segretamente per non essere scoperti dai loro superiori.

[5] Come giudicare l’ineffabile ipocrisia dei modernisti che parlano di Papato autoritario ed impositivo?

[6] Ridicolo il commento di un modernista alle dimissioni del Papa: vede in esse il gesto di un uomo “non attaccato al potere”.

[7] Le adunate oceaniche del Beato Giovanni paolo II furono fuochi d’artificio o il grido strozzato delle masse cattoliche frastornate e scandalizzate dai loro pastori.

[8] Per citare un esempio relativamente recente: pensiamo all’eroica resistenza di Pio VI, prigioniero di Napoleone. Gli esempi addotti da Küng nel suo famoso libro Infallibile? circa supposte cadute di Papi nell’eresia, sono fasulli. E’ vero però che ciò può accadere come dottori privati o se privi del pieno possesso delle loro facoltà mentali. Teniamo inoltre presente che lo stesso Küng non crede all’immutabilità e quindi alla verità assoluta dei dogmi.

[9] Edizioni della Fraternità della SS.Vergine , Roma 1980.

[10] Bastava che Siri attingesse all’importante rassegna del Fabro L’avventura della teologia progressista, Rusconi Editore, Milano 1974 o al libro del card. Parente La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.



[SM=g1740722]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/04/2013 11:53
 
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OTTIME RIFLESSIONI DI  Padre Giovanni Cavalcoli O.P.
da Riscossa Cristiana

Gli intenti del Concilio Vaticano II

 

tvaIl Beato Giovanni XXIII nel famoso discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia del Concilio Vaticano II, evidenziava come scopo del Concilio non fosse tanto quello di condannare specifici errori del presente, quanto piuttosto quello di proporre il messaggio cristiano in uno stile ed in un linguaggio moderni, adatti all’uomo del nostro tempo.

Il Papa precisava come esistessero già le condanne; esse erano presupposte e non dovevano essere dimenticate; si trattava invece di dare la prevalenza al tono propositivo, senza per questo escludere totalmente, il che non avrebbe avuto senso proprio per il carattere pastorale del Concilio, la condanna degli errori, e questa condanna effettivamente ci fu, anche se il Concilio si limitò a denunce generiche senza entrare in dettagli e senza citare i nomi degli autori. Inoltre il Concilio ritenne di abbandonare la formula tradizionale del canone e dell’anathema sit, il che non significava assolutamente che le condanne conciliari potevano esser prese alla leggera.

Così nel Concilio troviamo la condanna dell’ateismo, del materialismo, dell’individualismo, del secolarismo, dell’antropocentrismo, del liberalismo, del relativismo dogmatico e morale, dello sfruttamento dei lavoratori, del disprezzo per poveri e i deboli, del delitto politico, della corsa agli armamenti, della guerra di aggressione, dell’aborto, delle dittature, del totalitarismo statale, del razzismo, dello sfruttamento della donna e dei minori, dell’ingiustizia sociale, delle sperequazioni economiche.

Inoltre il Concilio si guardò bene, nel riformare la Curia Romana, dall’abolire il Dicastero addetto alla sorveglianza dottrinale ed alla difesa della fede, che fino ad allora era chiamato “Sant’Offizio”. Invece questo ufficio, col nuovo nome più chiaro di “Congregazione per la Dottrina della Fede”, fu adeguato allo spirito del rinnovamento conciliare col perdere quel carattere di esclusivo ed eccessivo intervento repressivo e sanzionatorio ed acquistare un’impostazione ed uno stile più umani ed evangelici, per i quali la confutazione ragionata e motivata dell’errore era finalizzata alla valorizzazione dei lati positivi delle dottrine erronee e delle qualità umane e culturali dell’errante, mediante l’uso di procedimenti interpretativi e correttivi più aggiornati e l’assicurazione all’errante di una maggiore possibilità di difendersi e di spiegare le sue posizioni. Le pene poi venivano mitigate. Nel contempo veniva abolito l’Indice dei libri proibiti.

Questa saggia impostazione del Concilio si sarebbe dovuta assumere con quell’equilibrio che esso suggeriva; e invece purtroppo spesso negli ambienti dell’episcopato e delle istituzioni accademiche, sotto la spinta dei cosiddetti “progressisti”, che in realtà erano dei criptomodernisti, nacque l’uso, aggravatosi in questi ultimi decenni, di tollerare il rifiorire di vecchi errori e il sorgere di nuovi, per timore si essere trattati da Pastori preconciliari e nella convinzione di riconoscere così il pluralismo e la libertà di espressione.

 

Che cosa allora è successo

 

E’ successo che numerosi errori già condannati nel passato sono risorti e, non venendo condannati, hanno provocato in molti la convinzione o l’impressione che la precedente condanna fosse stata superata o annullata dal nuovo clima dottrinale e pastorale avviato dal Concilio. Ciò si è accompagnato al risorgere di quelle idee moderniste che sostenevano la mutabilità dei concetti dogmatici, senza che anche questo increscioso fenomeno sia stato adeguatamente represso, il che ha generato in molti una mentalità storicista, relativista ed evoluzionista, che ha favorito il disprezzo delle antiche condanne e la tranquilla assunzione degli errori moderni, riconosciuti peraltro come tali solo dagli esperti della storia delle idee e delle eresie, giacchè in realtà molte dottrine presentate come nuove ed avanzate, agli occhi degli storici seri del pensiero, sono quasi sempre il ritorno, magari con termini o sfumature diversi, di errori di tempi immediatamente precedenti il Concilio o anche antichi o antichissimi risalenti a volte addirittura ai filosofi presocratici, come per esempio gli aforismi di Eraclito, Anassagora, Pitagora, Epicuro, Democrito, Parmenide o Protagora o le mitologie dell’antica India o della Cina.

Potremmo fare molti esempi di questi errori condannati dalla Chiesa prima del Vaticano II risalendo nei secoli sino agli inizi del cristianesimo, errori che restano tali e che quindi il Concilio non ha affatto smentito, ma che anzi esso presuppone, almeno implicitamente: la negazione della dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio; la negazione della trascendenza, dell’immutabilità e dell’impassibilità divine; la negazione della divinità di Cristo; la negazione dei miracoli e delle profezie; l’idea che in Cristo Dio si muti in uomo; la negazione della Redenzione e quindi della Messa come sacrificio espiatorio e riparatore; la negazione della corporeità sensibile di Cristo risorto; la negazione della gerarchia ecclesiastica; l’idea che tutti e sempre sono in grazia; la possibilità di salvezza anche per gli atei e per chi è fuori della Chiesa; l’identificazione della Chiesa col mondo; l’idea che ogni religione sia salvifica; la negazione della coppia primitiva e della trasmissione della colpa originale per generazione; l’idea che Dio non castiga ma fa solo misericordia; Dio perdona anche chi non si pente; la negazione dell’esistenza di dannati nell’inferno; la negazione dell’esistenza del diavolo; la concezione dell’uomo come essere soprannaturale o divino; la negazione dell’immutabilità del dogma; la concezione della fede non come verità ma come esperienza o come prassi, oppure la fede come essenzialmente legata al dubbio o all’incredulità; la negazione della legge morale naturale; l’esaltazione dell’omosessualità; la liceità della fecondazione artificiale, dei rapporti sessuali extramatrimoniali e dell’uso degli antifecondativi; l’aborto e l’eutanasia intesi come diritti; il sacerdozio della donna.

Così similmente si crede che la dottrina delle due nature nel Concilio di Calcedonia non sia più attuale, si rifiuta il dogma dell’anima umana come forma sostanziale del corpo insegnato dal Concilio di Viennes nel 1312; si respinge la condanna di Eckhart fatta da Clemente V nel 1329; si nega il dogma dell’immortalità dell’anima proclamato dal Concilio Lateranense V nel 1513; si pensa che la condanna di Lutero fatta dal Concilio di Trento sia sbagliata; si crede che la condanna del liberalismo fatta dal Beato Pio IX sia superata; non si tiene conto della condanna del panteismo fatta dal Concilio Vaticano I e da S.Pio X; si disprezza l’enciclica Pascendi di S.Pio X; non si tien più conto degli errori di Rosmini condannati dal S.Offizio nel 1887; non ci si cura della condanna della massoneria fatta da Leone XIII, del comunismo fatta da Pio XI, nonché della scomunica dei comunisti fatta da Pio XII nel 1949; non ci si cura della condanna dello spiritismo fatta dal S.Offizio nel 1918; non si bada ai pericoli di un certo ecumenismo segnalati da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos; ci si è dimenticati degli errori segnalati da Pio XII nella Humani Generis; si rifiuta il monito circa il teilhardismo fatta dal S.Offizio nel 1959.

Non parliamo poi delle contaminazioni del cattolicesimo che sorgono dal fatto di mescolarlo col pensiero del Rinascimento italiano, di Cartesio, di Lutero, dell’illuminismo, dell’empirismo, di Kant, di Fichte, di Schelling, di Hegel, di Marx, di Freud, dell’esistenzialismo, di Husserl, di Heidegger, di Severino, del pensiero indiano, del buddismo e di altri.

 

La situazione attuale

 

Come ho già detto, la mancanza di interventi correttivi o critici da parte di vescovi o istituti accademici o uomini di cultura cattolici porta molti a credere che tutte queste teorie e queste idee tutto sommato siano divenute ammesse ed accettabili: la Chiesa, si pensa, ha mutato opinione o si è corretta in seguito a studi più critici e più documentati. Se vogliamo essere moderni,  aggiornati e seguaci del Concilio, – tale è il pensiero di molti – dobbiamo seguire questi pubblicisti, giornalisti, filosofi, teologi, moralisti, esegeti, vescovi e cardinali che oggi hanno assunto posizioni contrarie a quelle tradizionali presentate qui sopra. Il fatto che Roma o altre autorità ecclesiastiche non intervengano si crede essere segno che Roma tacitamente riconosce di essersi sbagliata.

Questa crisi della fede all’interno della Chiesa stessa e tra gli stessi pastori, esclusi, s’intende, il Papa, nonché lo stesso Magistero, che godono del carisma dell’infallibilità, può essere caratterizzata con cinque attributi: soggettivismo, buonismo, relativismo, modernismo,  secolarismo.

Soggettivismo. La fede non viene concepita più come ascolto di una dottrina insegnataci da Gesù Maestro, per il tramite della Chiesa, ma come incontro immediato, esistenziale, affettivo ed esperienziale con Cristo, anche senza passare attraverso il Magistero della Chiesa: un concetto tipicamente protestante della fede, la quale appare congiuntamente non come l’adeguarsi del nostro intelletto ad una verità oggettiva – ciò che S.Paolo chiama “obbedienza della fede” –, ma come libera espressione della coscienza soggettiva, che si ritiene direttamente illuminata da Dio, eventualmente per mezzo della Scrittura, ma nel senso di sola Scriptura.

Buonismo. La fede quindi non è virtù dell’intelletto, alla quale segue la carità come effetto della volontà, ma la fede è risolta nella carità e con essa confusa. La fede non è atto del conoscere, ma è coinvolgimento pratico dell’intera persona, ciò che in realtà appartiene alla carità e non alla fede. La carità in qualche modo si sostituisce alla verità. Non si fonda sulla verità, non presuppone la verità, ma appare essa stessa come fondamento della verità.

Alla base di questa visione c’è una disfunzione e un disordine nel rapporto tra intelletto e volontà. Bisogna dire che in passato si mancava alla carità in nome della verità (vedi il processo a Giordano Bruno); oggi si manca alla verità in nome della carità (il rahnerismo a piede libero).

Relativismo. Poiché ogni uomo ha bisogno di verità, si crede che di fatto tutti sono nella verità intesa come carità. Quindi tutti sono buoni e in buona fede, seppure ognuno a modo proprio. Infatti il rispetto della diversità, della libertà e del pluralismo richiede che la verità non sia un dato oggettivo, universale, vincolante, uno per tutti, ma sia qualcosa di relativo alla coscienza soggettiva e creativa di ciascuno, in quanto ognuno è diverso dagli altri.

Da qui un falso concetto della libertà religiosa, che praticamente è l’assolutizzazione della coscienza individuale, è liberalismo ed indifferentismo religiosi: perché affannarsi ad annunciare il Vangelo? Tanto tutti conoscono già la verità, tutti si salvano, tutti sono in grazia, tutti sono perdonati, tutti hanno buona intenzione e buona volontà. Nessuno fa il male volontariamente.

Secondo costoro tutti sono nella verità, anche se la mia verità contraddice alla tua. Ma comunque Dio è in tutti e salva tutti. Non esiste un’opposizione netta, assoluta, immutabile, universale ed oggettiva tra vero e falso: una medesima cosa può essere vera per me e falsa per te. Tutti abbiamo ragione. Dipende dal punto di vista. Quindi non si devono condannare errori ed eresie. Tutt’al più si può esprimere il proprio parere ma si devono rispettare anche le idee degli altri, per quanto contrarie alle nostre.

Sarebbe bene quindi per alcuni chiudere la Congregazione per la Dottrina della Fede, organismo che ancora riflette una superata mentalità preconciliare, inquisitoriale. La fede non è una certezza, ma una semplice opinione tra le altre, per sua natura è dialogo, confronto, convive col dubbio e con la stessa incredulità. Solo così si è aperti e tolleranti; altrimenti si diventa degli integralisti e dei talebani.

Secolarismo. Osserviamo che la fede ha perso il suo orientamento speculativo, contemplativo, spirituale, trascendente, soprannaturale, escatologico, benchè si continui ad usare questi termini, come fa Rahner, ma falsificandoli e secolarizzandoli. In realtà Rahner – e lo dice esplicitamente – non crede affatto nell’immortalità dell’anima e in una vita dopo la morte, ma per lui la salvezza è solo qui.

Dio non è al di sopra o al di là della storia, ma solo nella storia. Non c’è un altro mondo oltre a questo e superiore a questo, ma il cristianesimo è solo per questo mondo che è l’unico mondo. Non c’è un sacro oltre al profano, ma lo stesso profano è sacro (Rahner). Il sacerdozio non è fondato da Cristo, ma emana dal Popolo di Dio (“Chiesa dal basso”), per cui non esistono gerarchie (“struttura piramidale”), ma tutti siamo fratelli ugualmente sacerdoti (Schillebeeckx). L’azione della Chiesa è un’azione politica e non soprannaturale (teologia della liberazione).

Cristo non trascende il mondo ma è il vertice evolutivo del mondo -“Punto Omega” -: cristologia “cosmica” (Teilhard de Chardin). Infatti non è lo spirito (divino) che crea la materia, ma è la materia che si trasforma in spirito e diventa Dio (ancora Teilhard, cf Darwin, Schelling e Bruno).

Modernismo. Tutte queste idee e prospettive sono elaborate nella convinzione di essere moderni e di intrattenere un dialogo e un confronto con la modernità, sulla scia dell’impostazione innovativa del Concilio. L’idea in se stessa è buona, ma il guaio è che qui la “modernità”, invece di essere vista come un complesso di dati da vagliare alla luce del Vangelo, onde tenere il positivo e respingere il negativo, è considerata essa stessa un assoluto, alla luce del quale prendere dal Vangelo solo quello che si concilia con la modernità. E’ l’errore gravissimo del modernismo di ieri e di oggi.

 

Filiali suggerimenti ai vescovi

 

Il collegio dei vescovi in unione col Papa continua e continuerà sempre a costituire la guida infallibile nella fede cattolica, quale che sia il modo col quale il Magistero si esprime, semplice o solenne, ordinario o straordinario. Può sbagliare solo il singolo vescovo o un gruppo di vescovi (per esempio una conferenza nazionale) se non sono in comunione col Papa.

Spetta dunque ai vescovi, fraternamente uniti nella collegialità, rimediare a questa grave crisi di fede. Benedetto XVI non per nulla ha indetto l’Anno della Fede tuttora in corso ed aveva in programma la pubblicazione di un’enciclica sulla fede, se i modernisti, evidentemente allarmati, non lo avessero fermato. Tuttavia ritengo che sia bene che il nuovo Papa metta in atto il progetto di Papa Benedetto, senza paura dei modernisti. Sono loro che devono cedere, non certo Roma.

Bisogna tornare ad avere autentica stima per la virtù teologale della fede, che è l’inizio della salvezza. Se la fede è sana e forte, allora possono esercitarsi tutte le altre virtù, innanzitutto la carità. Ma se la fede è annacquata o confusa con altre cose per quanto importanti, tutto crolla e nulla si può costruire. La fede può stare senza la carità benchè con difficoltà: ma la carità non può assolutamente esistere  senza la fede, se non vuol decadere a mera filantropia, a emozione o, peggio, a sfogo di istinti soggettivi.

Ma la fede è verità, per cui occorre tornare ad aver rispetto per la verità, certo nella carità. Ma non c’è carità senza la verità. Il giusto rispetto per la coscienza soggettiva e per la libertà religiosa non dev’essere una scusa per disprezzare la verità oggettiva, universale ed immutabile. L’autorità ecclesiastica deve saper contemperare saggiamente il rispetto per la coscienza soggettiva con la cura del bene comune in fatto di dottrina della fede, promovendo la sana dottrina e sostenendo i suoi divulgatori ed apostoli, e confutando con buone ragioni e in modo persuasivo gli errori continuamente insorgenti, opponendo opportuni rimedi e correggendo amorevolmente con giustizia gli erranti e i ribelli.

Questa funzione dei vescovi, per quanto oggi soffra una grave crisi, è una funzione vitale di quella Chiesa che Cristo ha fondato garantendole che non sarà vinta delle forze dell’inferno. Per quanto dunque oggi la situazione sia angosciante e scandalosa, come cattolici siamo assolutamente sicuri che questa crisi sarà superata con la forza dello Spirito Santo per una Chiesa più santa e più forte di prima, vera luce delle genti e sacramento universale di salvezza.

RICORDIAMO ANCHE DI LEGGERE QUI PAOLO VI SUL CONCILIO DI TRENTO


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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csm [SM=g1740758]  L’OSSESSIONE DEL “MODERNO” - di P. Giovanni Cavalcoli, OP
da RiscossaCristiana 2.5.2013

Ormai ha preso un gran piede nella cultura cattolica, nella guida del pensiero e dell’azione, la categoria del “moderno” in sostituzione a quella della “verità”, considerata astratta, soggettiva, sterile, referente delle menti arretrate, ristrette e testarde e soprattutto sorgente di conflitti, rigidezze ed intolleranze, tenendo conto del fatto che nel passato, per secoli - si pensi alle guerre di religione o agli Stati totalitari - in nome della “verità” unica, universale ed oggettiva si sono commessi tanti crimini e tante ingiustizie.

Si ritiene di doversi rifare ad altri valori: la carità, la libertà, il pluralismo, l’ecumenismo, il dialogo, la solidarietà, la misericordia, l’apertura agli altri, la giustizia, la pace, la fratellanza, il rispetto di qualunque idea, anche le più contradditorie.

Non si teme la contraddizione e l’incoerenza, la si ritiene cosa normale[1] ed anzi segno di creatività, di genialità, di coraggio, di apertura e di rinnovamento. Si teme invece di essere isolati, in minoranza, emarginati, oppure si ha paura di apparire superati, retrivi e conservatori. Invece la categoria che sembra prevalere è quella della modernità, nelle molteplici forme della cultura contemporanea di successo e legata al potere e al prestigio o ecclesiastico o politico.

Ciò che conta non è una fedeltà sincera alla propria coscienza aderente alla verità oggettiva o al Magistero della Chiesa, ma godere del consenso e dell’approvazione degli altri, soprattutto se sono al potere o sono persone di successo, essere nella grazie di chi comanda senza chiedersi se la sua linea è giusta o ingiusta, conforme o non conforme alla dottrina della Chiesa, si tratti di politici, di intellettuali, scienziati, filosofi, teologi, vescovi o cardinali.

Il riferimento fondamentale del pensiero e dell’azione non è più il vero ma è il successo, è ciò che appare nuovo, rinnovato, moderno, attuale, soprattutto se non richiede sacrificio, rinuncia o sforzo morale, ma va incontro alle nostre tendenze all’ambizione, all’empietà, al piacere, al possesso, al prevalere sugli altri, fino ad accontentare gli istinti più vergognosi o criminosi.

Tutti i bei discorsi sulla carità, sulla comprensione, sul rispetto dell’altro, sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla libertà, sul dialogo finiscono quindi per essere una pura ipocrisia, quando l’altro non sta sottomesso al nostro potere, ci richiama i doveri assunti, ci rimprovera dei nostri peccati, chiede il proprio spazio di libertà. Non ha ragione chi è nella verità, fosse perseguitato, disprezzato o isolato, ma ha ragione chi comanda, chi ha successo e prestigio.

Non è ammirato chi cerca la verità, ma il furbo che si finge onesto, il sottile sofista, il brillante imbonitore, il fascinoso eretico, chi si ritiene più sapiente di Gesù Cristo o del Papa, il beffardo dissacratore, il derisore degli umili, dei semplici e dei poveri, il tenace e sfacciato arrivista, lo scalatore sociale, chi si destreggia o si barcamena nel doppio gioco e nell’ipocrisia, sotto pretesto di essere “aperto a tutti”, ed immaginando di essere l’ago della bilancia o il grande conciliatore tra le opposte fazioni.

Ma che idea ci si fa del “moderno”? Alcuni rincorrono il moderno, credendo di essere moderni, ma in realtà sono dei sorpassati. Sono una brutta copia del moderno, della vera, valida modernità. Il postmoderno, che è considerato una specie di modernissimo, è una putrefazione dei succhi velenosi della modernità, eppure non si ha il coraggio di rifare il cammino percorso dove ci si è smarriti per ritrovare la strada giusta. Così si raggiungerebbe una sana e costruttiva modernità.

Ormai, per esempio, è superdimostrato che la cosiddetta “filosofia moderna”, titolo tanto prestigioso quanto immeritato che cartesiani e postcartesiani si sono attributi seguìti in ciò da una pletora compiacente ed ingenua di storici idealisti e liberali fino ai nostri giorni, non è altro, per chi conosce veramente la storia della filosofia, che un raffinato e furbesco ritorno al più rozzo sofismo protagoreo, dualismo gnostico, scetticismo pirroniano ed idealismo parmenideo, sotto la maschera di un’alta ed addirittura esagerata spiritualità (res cogitans), quella spiritualità che giustamente fece dire a Pascal: “chi vuol far l’angelo, finisce per fare la bestia”.

E così di fatto è finito il cartesianismo nei secoli seguenti col dar luogo al più rozzo materialismo illuminista ed al pansessualismo di Freud (res extensa), come ha dimostrato il Fabro nel suo poderoso studio storico-teoretico sulle origini dell’ateismo moderno.

Il principio moderno dell’autocoscienza e della dignità del soggetto era già nell’aria sin dall’Umanesimo e dal Rinascimento, nato dalla concezione cristiana medioevale della persona[2], e non c’era bisogno di un Cartesio che ne approfittasse per guastarlo col suo idealismo scettico e materialista.

Già infatti è stato notato come per esempio nel siglo de oro della Spagna cinquecentesca - per esempio S.Teresa e S.Giovanni della Croce - abbiamo la fioritura di una stupenda letteratura e poesia mistica che costituisce una vera esaltazione dell’io, non però chiuso nella sua orgogliosa autosufficienza, ma fondato in Dio, assetato di Dio ed orientato a Dio.

Era la giusta risposta al fideismo immanentista luterano, che se metteva in luce la dignità della singola coscienza davanti alla Parola di Dio, tuttavia, con la sua rottura nei confronti dell’oggettività mediatrice della comunità ecclesiale, apriva anch’esso la strada all’immanentismo idealista hegeliano. [SM=g1740722]

Ma l’ossessione del moderno ha anche un altro volto: è l’assolutizzazione di tutto ciò che è moderno o ritenuto moderno solo perché è “moderno”, senza alcuna preoccupazione di discernere nel moderno il positivo e il negativo, se non in base criteri desunti dallo stesso moderno.

Questa impostazione è tipicamente modernista, giacchè suppone quella concezione della verità, di tipo storicistico-evoluzionista che fu condannata da S.Pio X nella seguente proposizione: “La verità non è immutabile più dell’uomo stesso, anzi evolve con lui, in lui e per mezzo di lui”(Denzinger 3458).

Infatti la categoria del “moderno” è legata alla temporalità e suppone un divenire del reale: moderno infatti è ciò che c’è oggi, diverso da ciò che ci fu ieri e da ciò che ci sarà domani. Esso fa riferimento a un qualcosa di mutevole. Così la verità immutabile, come la verità di fede o i princìpi della morale, stanno al di sopra del tempo perché sono verità immutabili. E quindi non si risolvono nel moderno, ma lo trascendono.

Vizio del modernismo è appunto quello di ritenere mutevoli queste verità, per cui tutto si racchiude nel “moderno”. Per questo nei trattati di dogmatica o di morale di orientamento modernistico[3], oggi assai diffusi, facilmente troverete l’enunciazione di un principio di fede o di morale accompagnata dalla seguente formula: “oggi a differenza di ieri, si pensa così”.

Non si dice più o non si sa dire più categoricamente, semplicemente ed assolutamente “le cose stanno così”, ma si ha sempre bisogno di relativizzare tutto al presente, al “moderno”, come se non fosse la verità, ma il moderno, il presente a decidere, a render valida e vera una data tesi di fede o di morale. In tal modo non si genera mai una certezza, perché sorge sempre la domanda: “e domani?”. Certo il legame al tempo vale per le cose generabili e corruttibili, ma è inammissibile ed obbrobrioso per la verità di fede e i princìpi della morale.

Così, come già notava la Pascendi di S.Pio X, è in atto oggi una mastodontica ed organizzatissima revisione, già a suo tempo tentata dall’illuminismo, di molte tesi storiche tradizionali: nel campo dell’agiografia o della storia delle eresie, per esempio, troverete spesso un capovolgimento di giudizio: chi in passato fu considerato santo, oggi è da ritenersi pieno di difetti.

Ricordo un mio collega di teologia, patrologo, il quale un giorno ebbe a dire che S.Atanasio “aveva un caratteraccio”. Il mio maestro di noviziato un giorno, per farmi un rimprovero, mi disse che assomigliavo a S.Atanasio. Io non ne provai nessuna vergogna, ma anzi sentii un moto di fierezza. E viceversa, soggetti notoriamente eretici, come per esempio Lutero, oggi fanno la figura di grandi riformatori della Chiesa. Ricordo al riguardo come un giorno sentii da un mio confratello dire sul serio che Lutero dovrebbe esser fatto santo.

Moderno, ho detto è ciò che c’è oggi. Ma ciò che c’è oggi si può considerare in due modi: come semplice dato di fatto, ecco allora il moderno di fatto, e questo può comportare cose buone e cose cattive. Esiste anche una criminalità moderna, una crisi moderna della famiglia. Ma ciò non vuol dire che per il fatto di esser cose moderne, esse siano cose buone. Qui sbaglia il modernismo.

Ed esiste un moderno che potremmo chiamare “di perfezione” o “di valore”, per esempio l’orologio moderno, un’auto moderna, la medicina moderna, i treni moderni: chi non apprezza queste cose? E questo perché si suppone che siano migliori che per il passato. In tal senso la filosofia e la teologia moderne sono da supporre migliori del passato, ci fanno conoscere più verità e meglio. Per questo la vera filosofia moderna non è la filosofia postcartesiana , ma è il tomismo moderno. [SM=g1740733]

Il moderno, poi, non è necessariamente il nuovo, può essere anche un valore antico che tuttavia vale ancora o viene recuperato. Così possiamo dire senz’altro che la filosofia di Platone, di Aristotele o di S.Tommaso d’Aquino sono moderne, per il fatto che, benchè elaborate tanti secoli fa, conservano intatto il loro valore di fondo. L’antico ancora valido saggiamente recuperato diventa un moderno di valore, legato al progresso.

Quanto al nuovo, esso non è necessariamente buono, secondo quell’aneddoto che si racconta a proposito di Gioacchino Rossini: gli si presentò un giovane compositore che gli chiese il parere su di una sua opera. Rispose il grande Rossini: “Ebbene, caro signore, c’è del nuovo e c’è del buono; peccato che il nuovo non sia buono e il buono non sia nuovo”. Così nella scienza teologica e morale e soprattutto nella dottrina della fede: se il nuovo è esplicitazione o sviluppo dell’antico, è certamente buono. Cattivo invece è quel nuovo che non è sviluppo della tradizione e del dato perenne, ma lo deforma o lo falsifica.

Il Concilio Vaticano II ci ha proposto un nuovo modello di vita cristiana e nuove dottrine. Occorre però intendersi: non si tratta di novità assolute, quasi un nuovo che sostituisca un vecchio ormai finito, giacchè nel cristianesimo sia la dottrina che la morale sono sostanzialmente immutabili. Di nuovo c’è quindi solo il modo col quale il Concilio ci propone la verità e il bene: nove sed non nova, diceva quel teologo. Il Concilio ha voluto certamente ammodernare e rinnovare la vita cristiana, secondo il modello dell’azione dello Spirito Santo: renovabis faciem terrae. [SM=g1740722]

Nel rinnovamento viene meno il vecchio e lo si sostituisce col nuovo. Così noi rinnoviamo la tessera dell’autobus, un impegno scaduto, la disposizione dell’orto di casa. Il Concilio ha rinnovato in tal senso solo nel campo disciplinare, pastorale, giuridico, comportamentale, non certo nel campo dottrinale, cosa che non avrebbe senso.

Qualcuno purtroppo confondendo il moderno col modernista, si duole che nel Concilio ci sia del modernismo; altri invece di tendenza modernista vedono nel rinnovamento conciliare una conferma alle loro idee. Sbagliano entrambi. Può sembrare che nel Concilio vi sia traccia di modernismo, ma guai a lasciarsi confondere da questa impressione, giacchè mentre la modernità e la novità che ci propone il Concilio sono salutari, è noto che il modernismo è un’eresia. O vogliamo considerare eretico il Concilio?

Infine è bene distinguere all’interno della categoria del moderno, la riforma e il progresso. La prima riguarda i costumi, il secondo consiste in una migliore conoscenza delle immutabili verità di fede grazie ad una loro esplicitazione o spiegazione. Ad ogni modo sia il pensiero che l’azione devono progredire: “una carità che non progredisce, dice S.Agostino, non è carità”.

Esistono due modelli di riforma. Si può riformare recuperando l’antico, e questo fu il tentativo di Lutero, non riuscito, perchè non si accorse di peccare di arcaismo, come se la fede medioevale avesse aggiunto cose che sono estranee al Vangelo, il che è falso.

E c’è la riforma come avanzamento, cosa che anch’essa ha il suo valore, purchè sgorghi dalle origini, sia radicata sulla tradizione e sulla verità perenne. Il Concilio ha riformato ed ha fatto progredire la dottrina, anche se non contiene veri e propri nuovi dogmi definiti. In generale ha fatto avanzare tutta la vita cristiana ed ecclesiale accogliendo quanto di buono c’è nella modernità e sostituendo a quel vecchio che ormai doveva scomparire una bontà fondata sulla verità. [SM=g1740722]

Conclusione: schiavitù del moderno, idolatria del moderno, ossessione del moderno, no. Sarebbe, questo, modernismo. Scoprire il vero moderno, moderno salutare alla luce del Concilio, della Tradizione, della Scrittura, sì. E’ questa la via che lo Spirito Santo ci dice oggi di percorrere, è questo ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa.

 

 


[1] E’ molto di moda la concezione di Dio nel Cusano come “coincidentia oppositorum”.

[2] Per esempio S.Bernardo, i Vittorini, S.Bonaventura, S.Tommaso e il Beato Duns Scoto.

[3] Non si ha più il coraggio di chiamarli “trattati”, perché si sa bene che non si possiede il metodo scolastico, ma li si chiama “saggi” Il saggio, in realtà, tradizionalmente, come dice la parola, essay in francese, implica semplicemente l’idea dell’assaggiare, come diceva il mio maestro, il dotto e famoso Luciano Anceschi all’Università di Bologna, il che implica evidentemente una piccola quantità, un volumetto e non un libro di grossa mole. Eppure è con questi “saggi” che si pretende sostituire il metodo scientifico della scolastica.

[SM=g1740733]




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[SM=g1740758] "Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive...." (Benedetto XVI 29.1.2010)


             

IL CONTRASTO TRA IL MAGISTERO E LA PASTORALE -
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
15.5.2013 da RiscossaCristiana

Esiste un contrasto fra il Magistero della Chiesa e la pastorale della Chiesa? La risposta è purtroppo sì, e ciò in modo acuto soprattutto in questi ultimi decenni. Quali sono i termini di questo contrasto? Che il Magistero della Chiesa, Papa insieme con il collegio dei vescovi, è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo nel proporre la dottrina della fede; ma la pastorale della Chiesa non ha ricevuto da Cristo questa assistenza infallibile.
 
E ciò lo si avverte oggi più che mai, allorché capita che vengano nominati a posti di responsabilità in campo dottrinale: ufficiali della Curia Romana, cardinali, vescovi, superiori di ordini religiosi, docenti nella facoltà pontificie, che non sempre sono all’altezza del loro compito e invece di collaborare col Magistero, gli creano intralci, favorendo a loro volta forze e personaggi ribelli e disobbedienti e maltrattando, abbandonando o ignorando quei pochi che si affaticano a costo di sofferenze ed incomprensioni nella diffusione e difesa della sana dottrina. Si mette la museruola al bue che trebbia e si lascia che il lupo invada l’ovile.
 
La Chiesa docente, ossia la classe dirigenziale della Chiesa, costituita dal corpo episcopale sotto la guida del Papa, dà l’impressione di un’azienda alimentare che ha una produzione di alta qualità, ma che poi abbia più che dei collaboratori, dei sabotatori che distruggono o adulterano quello che produce.
 
Che direbbero i consumatori di una ditta che si comportasse in questo modo? Certo le sarebbero grati per la produzione di buoni cibi e cercherebbero di accaparrarseli il più possibile, ma resterebbero sconcertati e quasi increduli allo spettacolo di collaboratori della dirigenza aziendale che invece di sostenere e divulgare i prodotti nella loro genuinità, si dessero da fare a bloccare le vendite, a distruggere o a sofisticare i cibi, mentre la direzione arrancasse come può per mandare avanti l’azienda. In tal modo gran parte del lavoro deve andare più che per l’espansione  dell’azienda, per far fronte agli ostacoli interni.
 
La prima osservazione, di buon senso, che farebbero i consumatori sarebbe la seguente: questa azienda ha dei buoni prodotti, ma è difficile procurarseli, perché certi organizzatori e distributori, invece di farli giungere ai clienti, li distruggono o li avvelenano o ci fanno su loschi affari.
 
Ma la dirigenza aziendale non se ne accorge? E perché assume un personale di tal fatta? Da quali oscuri poteri è condizionata? Come mai usa strumenti pubblicitari e di distribuzione che contrastano con i suoi fini e i suoi prodotti? Possibile che essa non riesca a far qualcosa per eliminare questi gravi inconvenienti?
 
Domande di questo genere, conservate le differenze e le proporzioni, se le fanno molti buoni fedeli, sia tra il popolo che tra i pastori, teologi, studiosi, pubblicisti ed intellettuali cattolici. Certamente il cattolico che vuol sapere qual è il sentiero della verità, lo può trovare: la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, la presenza dello Spirito Santo, le risorse della sua coscienza, il Catechismo, l’esempio dei santi.
 
Ma che fatica! Dove sono i buoni teologi? I buoni moralisti? I buoni vescovi? E Roma cosa fa? Perché gli eretici e i tracotanti hanno campo libero e i poveri, pochi ortodossi sono trascurati e bastonati? Perché tanti personaggi indegni in posti di comando?
 
Tuttavia, facciamo ben attenzione. Chi vede errori dottrinali nel Magistero, perde la bussola, sia egli un lefevriano che vuol giudicare il Magistero in nome della Tradizione, sia un modernista filoprotestante che vuol giudicare il Magistero in nome della Bibbia o di Rahner. Chi sceglie questa strada, non conclude nulla, le sue contestazioni non sono più credibili e si espone alle giuste ritorsioni.
 
E’ il Magistero e solo il Magistero che offre il criteri per giudicare i cattivi cardinali, i cattivi vescovi, i cattivi superiori, i cattivi teologi, i cattivi parroci e via discorrendo. Altrimenti si passa dalla parte del torto e si mette a serio rischio la propria anima, non si è più nella Chiesa come non lo sono più coloro che ci vivono col corpo ma non con l’anima.
 
Il fedele non deve scoraggiarsi se si ritrova con pochi altri in mezzo a una massa di dormienti, opportunisti, ambiziosi, ipocriti e conformisti. Deve bastargli la purezza della sua coscienza e l’intima soddisfazione di essere con Cristo e di soffrire con Cristo. Deve gioire se scopre di vivere le beatitudini evangeliche e se viene emarginato, criticato o punito per amore di Cristo.
 
Deve ricordare che i santi e i martiri hanno passato e stanno passando quello che sta passando lui. Le persecuzioni contro i cristiani non stanno avvenendo solo nei paesi musulmani o comunisti, ma anche da parte di fratelli di fede, con i quali magari vivi fianco a fianco tutti i giorni. Si ripete quello che ha passato Cristo: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”.
 
Il cattolico fedele al Magistero ha l’impressione di vivere nella sua patria occupata dallo straniero, un po’ come capitò durante la seconda guerra mondiale con l’occupazione tedesca. Sente di trovarsi nella sua casa, la Chiesa, ma avverte anche che ci sono forze estranee alla Chiesa che pure pretendono di guidarla dove vogliono loro e vogliono una Chiesa che non è quella vera. Queste forze lo vorrebbero cacciare, ma egli a buon diritto si domanda: ma perché non se ne vanno loro? Che ci stanno a fare tanti “cattolici” che in realtà sono modernisti, cattocomunisti, filomassoni, protestanti, epicurei e via discorrendo?
 
Il fedele deve trovare luce, consolazione e conforto nel Magistero. Ma povero Magistero! Il Magistero a sua volta ha bisogno di essere consolato. Invece un vescovo o un cardinale o un famoso teologo non fanno il Magistero, né possono giudicarlo, anche se vendono i loro libri a milioni di copie in tutto il mondo. La disgrazia è quando si diventa fanatici di quel cardinale, di quel vescovo, di quel teologo contro il Papa e il Magistero.
 
Occorre che il Papato riprenda in mano la guida della Chiesa: pasce oves meas, confirma fratres tuos. Questo è il compito imprescindibile del Papa, per il quale gode dell’assistenza infallibile dello Spirito Santo.
 
D’altra parte, l’esser riusciti a creare due Papi è stato il gesto più diabolicamente astuto dei modernisti, mai accaduto nella storia. Una beffa terribile, spaventosa, un’umiliazione tremenda per il Papato, della quale essi ridono sotto i baffi, benchè non vogliano troppo farlo vedere per non stravincere.
 
Quanto al gesto di Benedetto XVI di lasciare il suo ufficio, esso può essere stato un gesto di umiltà, ma non so quanta testimonianza abbia dato del fatto che Pietro è la roccia sulla quale Cristo edifica la sua Chiesa.
 
Non so pertanto quanto la coesistenza di due Papi, cosa mai successa nella storia, dia testimonianza dell’unità della guida della Chiesa. Certo Papa Francesco è il Papa legittimo e nessuno lo mette in discussione. Ma Papa Ratzinger non ha più niente da dire? Un teologo delle sue dimensioni, che è stato prefetto della CDF per vent’anni ed appunto è stato Papa? Non gli è rimasta la lucidità mentale? Per dimostrare la sua sottomissione al Papa attuale è proprio necessario che taccia completamente, mentre strillano gli araldi del modernismo dicendo al Papa che cosa deve fare? [SM=g1740763]
 
Che ne è dell’Anno della Fede? Dell’enciclica che Papa Ratzinger intendeva scrivere? Certo la linea di Papa Francesco è molto dialogante, molto simpatica, attira le folle dei giovani con gesti insoliti, ma i gravi problemi che Ratzinger ha tentato invano di risolvere restano. Egli è in un certo senso crollato davanti ad essi.
 
Potrà Papa Francesco ignorarli? Non è ignorandoli che si risolvono. Papa Francesco prima o poi dovrà affrontare il confronto o la sfida che gli viene dalla parte ribelle della Chiesa. Dio gli ha concesso la forza di vincere. Deve farcela. Preghiamo. [SM=g1740733]


*****************************************

[SM=g1740771]  ricordiamo anche la denuncia di mons. Crepaldi, Arcivescovo di Trieste che così denunciò in una Lettera aperta nel marzo 2010:


A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.
 
Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.
 
Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.
 
Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.
 
La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.



[SM=g1740771]




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30/05/2013 19:27
 
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[SM=g1740733] Padre Tomas Tyn OP brani scelti sulla Fede

Dopo avervi offerto le riflessioni sull'importanza del Santo Rosario:
www.gloria.tv/?media=448624
vi offriamo ora alcuni brani tratti da una Conferenza di Padre Tyn sulla Fede, perciò, per approfondimenti e per trovare testi integrali, vi raccomandiamo il sito

ufficiale: www.studiodomenicano.com/bibliografia.htm
curato da Padre Giovanni Cavalcoli OP.
Buona meditazione a tutti
upload.gloria.tv/?media=451995


Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org


[SM=g1740717]

[SM=g1740738]

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05/06/2013 00:09
 
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FRUTTA E VERDURA PER BENEDETTO XVI - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana 1.6.2013

 

pesSul Corriere della Sera del 27 maggio scorso è apparso un interessante articolo su come Papa Benedetto passa le sue giornate nella sua ritirata residenza in Vaticano. L’articolista si avvale di notizie di un prelato della Curia Romana che resta anonimo, il quale riferisce che il Papa Emerito passa le giornate nel nascondimento col suo fido segretario Mons. Gaenswein, in compagnia di un cagnolino, ascoltando musiche di Bach, Mozart e Beethoven, facendo passeggiate, dandosi alla lettura e a molta preghiera,  e frequentando due orticelli di frutta e verdura.

Queste notizie suscitano in me alcune riflessioni. Se i modernisti volevano far sparire Papa Benedetto dalla scena mondiale e farlo tacere, bisogna proprio dire che il loro diabolico ed inaudito piano è effettivamente riuscito. Un attentato perfettamente condotto a termine, come quello delle torri gemelle di New York. Il proverbio dice però che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. I modernisti probabilmente credono di aver tolto di mezzo il Vicario di Cristo, il “dolce Cristo in terra”, come lo chiamava S.Caterina da Siena, che pur non risparmiava al Pontefice vigorosi richiami, filiali rimproveri ed accorate suppliche non prive di minacce di eterni castighi.

Papa Benedetto, lasciando il suo ufficio, disse che “sarebbe rimasto nascosto al mondo, dedito alla preghiera, ma non alla Chiesa”: parole belle e profonde, da uomo spirituale quale si è manifestato in molte occasioni, maturato nella sofferenza e nelle umiliazioni ricevute, nel solco della più pura tradizione ascetica dei SS.Padri, da lui ben conosciuti, tradizione direi quasi monastica del cristianesimo.

Ma non so cos’hanno capito i modernisti, ai quali non interessa la Chiesa ma il mondo o che riducono la Chiesa al mondo, e la spiritualità a lotte di potere, il che poi alla fine è la stessa cosa. A loro interessa che Papa Ratzinger non appaia più sulla scena pubblica di questo mondo o della Chiesa visibile terrena; il resto, Chiesa celeste, solitudine orante, silenzio e nascondimento contemplativo nella preghiera, a loro non interessa perché non ci credono, lo ritengono privo di qualunque efficacia a mettere in pericolo i loro interessi e traffici di dominio terreno e le loro mire massoniche di trasformare ed assoggettare a loro la Chiesa come mera associazione filantropica di operazioni socioeconomiche e finanziarie. C’è inoltre da notare che Papa Benedetto resta consapevole di essere nel cuore della Chiesa, mentre non so quanto i suoi persecutori lo siano veramente o solo col corpo.

E’ incredibile come questi potenti scribi, farisei e sommi sacerdoti dei nostri tempi siano riusciti a far tacere improvvisamente ed inaspettatamente uno dei più grandi teologi del secolo scorso e del nostro secolo, faro della Chiesa, personalità ricchissima che sintetizzava esemplarmente nel suo pensiero e nel suo insegnamento lo stesso principio ermeneutico da lui enunciato del “progresso nella continuità”, aperto agli aspetti positivi della modernità ma nemico dei mostri del modernismo, alto testimone della sacralità della liturgia, saldamente agganciato ai valori perenni ed universali “non negoziabili” della ragione e della fede, ma nel contempo e proprio per questo campione dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso e con ogni uomo di buona volontà, attento ad ogni miseria umana, quella del corpo come quella dello spirito, uomo di Dio e amorevole pastore, come Papa, della Chiesa, uno dei massimi protagonisti del Concilio Vaticano II e per vent’anni custode zelante della sana dottrina a nome del Beato Papa Giovanni Paolo II.

Questo è il Papa che i modernisti, per usare il loro linguaggio, hanno “fatto fuori”, così almeno loro credono, soddisfatti con piacere malcelato per non sembrare di stravincere, come il mafioso dopo che si è vendicato della sua vittima in un colpo abilmente preparato da tempo.

Ma l’astuzia più grande e raffinata dei modernisti è stata quella comunemente usata nelle dittature e nei sistemi oppressivi, per esempio quelli comunisti o mafiosi: fare in modo che sia la vittima stessa, ormai disprezzata, calunniata, emarginata, esasperata o impaurita o resa impotente, ad arrendersi o a dichiarare o chiedere di ritirarsi, onde aver modo di spargere su di lei lacrime di coccodrillo e di ringraziarla e lodarla per il “prezioso servizio reso”.

In tal modo il colmo dell’ipocrisia dei mestatori giunge a dire che è la vittima stessa che ha voluto andarsene per viltà tradendo la propria comunità o il proprio impegno religioso. Certo nel caso di un Papa non potevano farla così “sporca” e semplicemente dimetterlo dall’incarico come possono fare invece certi superiori o certi prelati nei confronti dei loro sudditi.

Ma comunque il risultato ottenuto è sostanzialmente lo stesso, con il vantaggio che la loro prepotenza resta celata, ma poi non troppo, solo che riflettiamo un poco alla situazione ecclesiale drammatica che si trascina ormai dai tempi di Paolo VI, di sistematica ribellione dei modernisti al Papa e al Magistero (il “magistero parallelo”), accompagnata dalla loro scalata al potere, che ormai ha raggiunto i massimi livelli della gerarchia ecclesiastica e delle supreme cariche della Chiesa.

A Papa Benedetto non son successe cose molto diverse da queste, anche se ovviamente si è rispettata la forma esteriore, che vuole che un Papa non possa essere deposto o espulso, se non per patenti motivi gravissimi, come pure è accaduto in passato; ma, mancando tali motivi, come nel caso di Papa Ratzinger, dovrà o potrà egli stesso dire di andarsene “liberamente dopo matura riflessione”, come pure è concesso dal diritto canonico.

Ad ogni modo, benchè sia già accaduto nella storia che un Papa sia stato deposto, ciò è avvenuto ad opera del Concilio e non per una malcelata congiura di palazzo come nel caso di Papa Benedetto e sopratutto è avvenuto per questioni organizzative o giuridiche e non – cosa del tutto inaudita -  perché si è riusciti a mettere il Papa nelle condizioni di non sentirsi più in grado, come il Papa stesso ha dichiarato, di affrontare i “problemi della fede”; i motivi di salute sono un semplice contorno, una mossa diplomatica,  per attutire lo choc, ma non sono certo stati determinanti. Il Papa tuttora sta bene, anche se ovviamente può star bene un uomo della sua età. Il Papa ha così vissuto la stessa sofferenza di Cristo: “venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”(Gv 1,11).

Andando adesso col pensiero al Papa attuale, potremmo chiederci: quali sono le forze che hanno condotto il Card.Bergoglio al trono di Pietro? Confesso che non ne ho un’idea. Ma non penso che abbiano avuto molto peso i modernisti. Da come il Papa attuale si comporta, si ha l’impressione che egli sia il frutto di una corrente ecclesiale desiderosa di un nuovo annuncio del Vangelo aperto il più possibile a tutti gli uomini di buona volontà, nella linea missionaria del Concilio Vaticano II.

Quanto ai modernisti, essi hanno tentato di accaparrarsi questo nuovo Papa, contrapponendolo slealmente al precedente, come è accaduto con gli interventi di Küng, di Enzo Bianchi, di Melloni e di Boff, e di altri; ma certamente la loro operazione non avrà successo.

D’altra parte Papa Ratzinger ha lasciato in eredità al Papa presente numerosi gravi problemi ecclesiali attinenti alla dottrina e alla vita cristiana, che dovranno quanto prima essere affrontati, problemi davanti ai quali Papa Benedetto si è arreso per la loro gravità e perchè ostacolato dai modernisti. C’è da prevedere che affrontando quei problemi Papa Francesco incontrerà le stesse opposizioni che ha incontrato il Papa precedente. Tuttavia lo Spirito Santo potrebbe aver fornito questo Papa della forza e della saggezza adatte al grave momento presente.

Quanto a Papa Ratzinger, io sono del parere che sarebbe bene che egli si facesse vivo con qualche scritto o qualche intervento, tanto più che, stando a quanto è riferito dal Corriere, egli è tuttora “lucidissimo”. Non avrebbe bisogno di fare ulteriori studi, ma di utilizzare la grande saggezza, cultura ed esperienza pastorale, che ha acquistate nel lungo corso della sua vita e nello stesso esercizio del ministero petrino.

Io vedrei bene che Papa Ratzinger con tali interventi venisse in appoggio dell’attività di Papa Francesco, la cui autorevolezza e notorietà di teologo sono alquanto inferiori a quelle di Ratzinger. Nulla impedirebbe, a mio avviso, al Papa Emerito di appoggiare l’azione del Papa attuale proponendo valori e confutando errori, così da aiutarlo nella formazione del Popolo di Dio e nella sua difesa contro le forze avverse, sì da aiutarlo a togliere la “sporcizia” dalla Chiesa.

In tal modo quella situazione incresciosa che i modernisti hanno creato sperando di sbarazzarsi di Papa Ratzinger per sostituirlo con un Pontefice che vorrebbero manovrare, si volgerebbe contro gli stessi modernisti in un modo formidabile: due Papi, cosa mai avvenuta nella storia, solidali contro le minacce che oggi incombono sulla Chiesa, per la vera crescita del Popolo di Dio e la vittoria sul potere del peccato e delle tenebre.

Papa Ratzinger, con la sua luminosa testimonianza, aveva offerto ed offre alla Chiesa un saggio di quella delicata, raffinata, profonda, poetica e gentile spiritualità della quale è capace la cultura tedesca, contro le oscure mene del materialismo ateo (Marx) e dell’idealismo panteista germanico (Hegel), che è alle origini del modernismo.

Papa Francesco, con la sua straordinaria cordialità e la sua francescana semplicità, ci darà un saggio del Vangelo di misericordia che Cristo è venuto ad annunciare ai piccoli, agli umili, ai poveri e ai popoli secondo quel taglio mariano, pio, dolce, entusiasta e battagliero che è proprio della cristianità latinoamericana.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/06/2013 09:49
 
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Editoriale di "Radicati nella fede" del mese di giugno

 Non piange più nessuno.
 Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.
 Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.

 Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare  i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.

 Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.
 È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.
 Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.

 E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.

 Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...

 ...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.

 Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.

 Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.

 E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità. Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.

 E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote. E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.

 Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato.
 Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.

 A noi sembra ingiusto far finta di niente.

 Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti alla sua Chiesa.
 Cari fedeli, in questo mese di giugno, che è il mese delle sacre ordinazioni, abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
 E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi preti alla Chiesa di Dio.


Fraternamente CaterinaLD

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20/06/2013 18:08
 
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[SM=g1740720]  VI PREGO, LEGGETE QUESTO ARTICOLO E MEDITIAMO.... RIFLETTIAMO....


Benedetto XVI profeta

MA CHI PENSA A QUESTE COSE?
Cari amici,
 qualcuno mi ha chiesto il motivo del mio silenzio su questo blog in queste ultime settimane.
 Non è semplice dirlo.
 In due parole, banalmente, potrei dire che sto sentendo ancora tutto lo sconvolgimento provocato dallo choc delle dimissioni di Papa Benedetto e della elezione di Papa Francesco.

Mi spiego.
 Non è per il fatto di una sintonia affettiva con questo o quel Papa. Il papa è papa e basta, chiunque sia, punto.
 
E dunque non è per un sentire mio personale, quanto piuttosto, direi pure ecclesiologico, se non veramente perciò teologico.
 Il fatto è che ho l'impressione che ci sia quasi una voglia di "normalizzazione" nell'ambito ecclesiale (ma anche in buona parte del mondo esterno alla Chiesa) quasi a voler richiudere in fretta la parentesi del pontificato di Benedetto XVI.
Come se questi non ci fosse mai stato.
 Non è un problema di continuità con Francesco: che c'è, almeno nel richiamo al suo magistero.
 E' come se di fatto, anche tra quelli che credevamo essere tra i più vicini a papa Benedetto, di questo papa si sia avvertito solo la sua "scomodità".

Non si tratta di croci d'oro o di scelte liturgiche diverse o di sensibilità teologiche pre o post conciliari, credo che Benedetto XVI sia stato "indigesto" un po' alla maggioranza della gente (anche vescovi e preti, anzi, forse più vescovi e preti che laici) perché invece di presentare un cristianesimo tutto zucchero e miele e buono per tutti, è andato al cuore del dramma del mondo contemporaneo: la scomparsa di Dio dall'orizzonte del cuore dell'uomo, e quindi al dovere della Chiesa di ricentrare la sua missione sull'unicum necessario, l'annuncio del vangelo. E questo comporta anche il dovere della Chiesa di convertirsi e di rinnegare il male che ne deturpa il volto e che rischia di inficiarne la testimonianza.
 Benedetto ci ha riportato al "realismo cristiano" che è l'insegnamento a fondamento della fede cattolica: che significa mettere al centro l'uomo e Dio, il peccato e la grazia.
 E cioè ci ha ricordato che il cristiano è nel mondo ma non del mondo.
 Se il cristianesimo viene ricondotto in una cornice solamente intramondana è ridotto a filosofia, a morale, ma non è più l'evento che salva e la Chiesa non è più il Corpo di Cristo nel mondo ma solo un club (diviso tra l'altro tra chi lo vorrebbe esclusivo e chi lo pensa nazional-popolare) che pensa solo a ridurre la fame nel mondo.
 
Chiaramente Benedetto è stato scomodo sia per quelli che pensano solo alla fede come fuga mundi, sia per coloro che vorrebbero che la fede sia solo l'espressione dell'impegno per migliorare questo mondo.
 Ma a che giova all'uomo (e alla stessa Chiesa) guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?
 Ecco Benedetto ci ha fatto ripensare all'anima, all'impegno per salvarla: cioè a Dio, alla voglia di contemplare il suo volto. Ché per questo noi siamo fatti.
 Contro ogni tentativo di ridurre il cristianesimo ad una sorta di religione civile o ad un umanesimo senza Dio (che solo a scriverlo sembra di un'assurdità così lampante che ci si meraviglia di come alcuni non si rendano conto di questa lapalissiana evidenza).
 
Quello che mi meraviglia (ma poi mica tanto) dunque è come nel mondo cattolico ci sia questo tentativo di far rientrare tutto nella ordinarietà e nella "continuità" così da esorcizzare non solo lo scandalo di un pontificato tutto vissuto da papa Benedetto all'insegna della parresia, la franchezza cristiana, ma lo stesso scandalo della sua rinuncia al papato.
 Così tutto è letto come se il suo pontificato fosse stato una parentesi di nostalgia ecclesiale un po' retrò e la sua rinuncia come se fosse il pensionamento di un vecchietto che finalmente arriva all'agognato riposo.
 
Ma il pontificato di Benedetto brillerà sempre più nel futuro (la storia è giudice equanime) come uno dei più moderni della storia, dove moderno sta correttamente per un confronto con la contemporaneità e le istanze della secolarizzazione, e perciò come un pontificato profetico (e come tutte le profezie sarà il suo svelamento nel futuro a rivelarlo in tutta la sua grandezza).
 E perciò la sua stessa rinuncia al papato ha tutti i contorni di una profezia che come Chiesa forse si stenta a comprendere (o si rinuncia a comprendere) e che pure ha una sua valenza tutta da decifrare.
 Stranamente ciò che la teologia ha rinunciato a comprendere (ad oggi non mi risulta che ci sia stato qualche tentativo da parte di qualche teologo di leggere teologicamente la rinuncia - e tutto il papato - di Benedetto XVI: forse troppa fretta di chiudere il caso?) è stato oggetto di riflessione da parte di pensatori laici, e non solo del giornalista cattolico Socci o dell'ateo devoto Giuliano Ferrara. Mi riferisco al laico Massimo Cacciari col suo Il potere che frena e l'altro laico Giorgio Agamben  con Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi.

Non è questo il luogo di entrare nel merito di due scritti che da opposte visioni eppure arrivano a medesime conclusioni: che il gesto del Papa vada letto in un'ottica escatologica. Che cioè vada inquadrato nella lettura che l'Apocalisse (ma non solo, anche Paolo) fa della storia, come del luogo in cui si concentra lo scontro tra il Cristo e le potenze del Male. In ultima analisi tra il Cristo e l'anticristo. E l'anticristo, pur essendo animato dalla spirito del mondo, che è il satana, nasce sempre da un contesto ecclesiale, come se lo spirito del mondo fosse riuscito a entrare nella Chiesa e quasi a trionfarne. Non è un caso che Benedetto XVI ricordasse sempre che i veri nemici che attaccano la Chiesa nascono dal suo interno e ne provocano tutta la sua sporcizia. La pedofilia, la corruzione, l'attaccamento demoniaco al denaro e al potere nella Chiesa nascono proprio come espressione anticristica: non si possono leggere come fattori sociologici ma come espressione della lunga apostasia di parte della Chiesa dal suo Signore, e quindi da decriptare teologicamente. In ciò Benedetto, come ogni profeta, è stato incompreso ed inascoltato (o dovremmo dire volutamente equivocato?).
 
E' come se la Chiesa non comprendesse più se stessa e a chi volesse ricondurla alla sua identità originaria opponesse un netto rifiuto.
Perché di fatto non c'è più una Chiesa ma tante chiese quante sono le teste che la pensano, siano essi vescovi, preti o laici!
 
Il problema si complica quando si pensa che una incomprensione del ruolo della Chiesa e del cristianesimo porta pure all'incapacità di leggere la storia del mondo o quanto meno ne provoca una lettura distorta. E al ruolo del cristiano nel mondo.
E' come se la lettura buonista del mondo che si è avuta nel postconcilio abbia provocato la rinuncia ad una lettura teologica, e quindi escatologica, della storia.
 Perché un conto è dire che si aspetta il ritorno del Signore e la venuta del suo regno, un conto è dire che siamo qui sulla terra per costruire la civiltà dell'amore e rendere il mondo migliore e basta.
Perché il regno di Dio non è semplicemente questo mondo reso migliore dall'impegno degli uomini (altrimenti Dio che ci starebbe a fare?).

Una prova della rinuncia a una lettura escatologica della storia, e quindi alla incapacità di leggere teologicamente la storia stessa della Chiesa ed un evento epocale quale il pontificato e la rinuncia di Benedetto, è stata la marginalizzazione di tutta una letteratura non solo cattolica, ma anche anglicana e ortodossa, che - profeticamente - agli inizi del '900 aveva descritto con incredibile lucidità l'apostasia della Chiesa e dell'Occidente cristiano fino a preconizzare i segni della venuta dell'anticristo. Mi riferisco al Soloviev dei  Tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo (scritto nel 1900), e al romanzo (scritto nel 1903) di Robert Benson, Il padrone del mondo, in cui l'apostasia ecclesiale è introdotta dal trionfo del naturalismo, dell'animalismo, del pacifismo, dell'umanitarismo, dell'unione europea in chiave anticristiana... fino alla introduzione di un governo mondiale stile Grande Fratello ante litteram: cose che scritte un secolo fa sembrano essere la cronaca di quanto ultimamente avviene ai nostri giorni. Dove la sorte finale sarà quella del trionfo, dopo la sua durissima prova, della Catholica e del papato.
 
Perché si è perso questo sguardo cattolico? Perché mentre un russo ortodosso e un anglicano inglese (capofila di illustri intellettuali che dopo Newman, nel '900 si convertiranno al cattolicesimo, quali Chesterton, Green...) vedono la salvezza nella chiesa cattolica, in Pietro, i cattolici oggi hanno quasi paura di dirsi tali? Ci si dice solamente cristiani, dove cristiano sta per un ondivago sentire buonista che comprende di tutto di più ma a volte senza ormai il solo Cristo!
 
Benedetto XVI ha confessato che proprio i libri suddetti sono stati tra quelli che hanno contribuito alla sua formazione teologica (perché a volte un buon romanzo è meglio di un libro di teologia scolastica), così come hanno nutrito le altre grandi menti del '900, anche laiche.
 Ora è come se questo filo si sia spezzato.

Non so - e mi si scusi l'ardire e non vuole essere un giudizio - se questi libri concorrono ancora alla formazione del sentire cattolico dei nostri preti e dei nostri vescovi, di chi dovrebbe cioè educare alla forma cattolica del vivere la fede cristiana.
Se sento la gioia di essermi potuto formare alla scuola di questa grande tradizione cattolica, sento oggi la pena e la solitudine di non riuscire a comunicare questo sentire cattolico con altri, seppure ecclesialmente impegnati, fossero anche preti e vescovi (e se non con loro, vuoi che ci riesca con semplici laici buoni ma imbottiti di idee "moderniste"?).
 
Oggi sperimento quasi quella che un grande epistemologo chiamò la "incomunicabilità dell'evidenza". Come se ci fosse una sorta di follia collettiva che impedisca di vedere ciò che pure dovremmo vedere: "magari foste ciechi..."
 La rinuncia di Benedetto ci provoca e ci riporta alla lotta contro l'anticristo che ognuno di noi deve condurre.
 
Il papato di Benedetto è stato come un grande esorcismo che lui ha condotto sul corpo malato, indemoniato, della Chiesa: e come ogni esorcista sa, ogni scontro col nemico indebolisce le forze di chi vi lotta contro. Benedetto XVI ha esaurito le sue forze in questo combattimento contro le forze del Male che gli hanno riversato contro ogni sporcizia della Chiesa fino a fargli provare lo sconforto dell'abbandono e del tradimento. Per questo si è fatto da parte, per continuare a combattere con l'unica arma efficace che è la preghiera, e per dare l'opportunità a nuove e fresche forze di subentrare in questa lotta: non dimentichiamo che non c'è predica quotidiana in cui papa Francesco non richiami i tentativi del diavolo di stravolgere l'opera del Cristo e della Chiesa.

Una cosa che vorrebbero farci dimenticare: che la maggior parte dei miracoli di Cristo sono stati esorcismi.
 il diavolo ha ingannato tanti col far credere che lui non esiste. Ma il suo gioco è stato scoperto.
 Questi sono i suoi colpi di coda, i più pericolosi, prima della sconfitta finale, perciò non possiamo più essere ingenui.
 Questo è il tempo dell'Armagheddon.
 
Pubblicato da Padre Ignazio La China
http://catholicaforma.blogspot.it/2013/06/ma-chi-pensa-queste-cose.html



[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


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02/07/2013 23:50
 
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LE FORZE MALIGNE COLLETTIVE

di P. Giovanni Cavalcoli, OP da RiscossaCristiana

 

 

tdDalle narrazioni della Sacra Scrittura, dalla storia dell’umanità, delle nazioni, degli imperi   e delle religioni, nonché dalla storia della santità e della perversione umana, considerando le azioni collettive più crudeli e disumane suscitate da ideologie aberranti, immorali, empie, antireligiose o sconsiderate, quelle che la Bibbia chiama “dottrine diaboliche”, lo scatenarsi irrazionale dell’odio di massa contro innocenti indifesi e calunniati, non è difficile indovinare, riconoscere o dedurre l’influsso non solo sugli individui ma anche su governi, capi religiosi o militari, movimenti politici, culturali o forze armate, di quel misterioso, potente e malvagio agente spirituale, a sua volta collettivo, che la tradizione cristiana, in base all’insegnamento biblico ed evangelico, chiama “diavolo”, “demonio” o “Satana”, il “maligno” per eccellenza.

Da notare è che, secondo la Bibbia, questo personaggio non è, come alcuni credono, un simbolo mitico del “male”, né tanto meno è il “male” inteso come sostanza - già S.Agostino, liberandosi dal dualismo manicheo, aveva ben compreso che il male non è una sostanza, ma un accidente contingente e precisamente un difetto o carenza o privazione di bene.

Invece, sempre secondo la Scrittura, il demonio è una vera e propria persona, simile a noi, con la differenza che è puro spirito, mentre la nostra natura comporta un’unione sostanziale di spirito e corpo.

Questo agente spirituale incorporeo, come è confermato dal Concilio Lateranense IV del 1215, è una creatura di Dio in sè stessa più nobile dell’uomo, ma in quanto irrevocabilmente ribelle a Dio per propria colpa, è animata da un odio implacabile sia nei confronti di Dio che dell’uomo.

Per questo Dio permette che per tutto il corso della storia[1] di questo mondo, questa personalità invisibile in sè stessa ma visibile negli effetti sensibili che lascia, soprattutto nell’uomo, dotata di una raffinata astuzia e capacità di inganno, tanto da essere chiamata da Cristo, “padre della menzogna”, insista caparbiamente, con parziale successo, ma con la prospettiva finale della sconfitta, nell’incitare singole persone ed intere collettività o formazioni umane al peccato, alla violenza, all’odio reciproco, ad ogni sorta di ingiustizia, discordia e sopraffazione, tanto da essere chiamata da Cristo anche “omicida sin da principio”.

Questa creatura, in seguito al peccato originale, sempre secondo la rivelazione biblica, ha acquistato per permissione divina come castigo di Adamo per il suo peccato, un forte potere in questo mondo, un potere oppressivo o di seduzione, per il quale l’uomo, anche il più santo, soffre per la presenza di questo essere malvagio, tentatore, fascinoso e corruttore. Il fatto che la coppia originaria si sia fidata del serpente diffidando di Dio, ha lasciato come traccia nel genere umano una maledetta tendenza a preferire a volte, sotto vari pretesti, Satana a Dio, a lasciarsi ingannare dal diavolo.

Per questo Cristo lo chiama anche “principe di questo mondo” e S.Paolo “spirito del mondo”, espressione curiosamente ripresa (inconsapevolmente?) da Hegel (Welgeist), ma in un senso che, secondo Hegel, dovrebbe essere positivo, benchè nella concezione hegeliana, come ho fatto notare in un mio recente articolo su questo sito (“L’apologia della morte in Hegel”), il riferimento sia proprio al demonio, che Hegel considera il simbolo mitico di quella “negatività”, che per il filosofo tedesco è la leva di quella “dialettica” che assicura il divenire storico e con ciò stesso il divenire di Dio identificato con la Storia.

Il modo di influire di Satana sugli uomini e sui popoli è molteplice e molto diversificato. L’immaginazione popolare, soprattutto iconografica, quando pensa al demonio o ai posseduti dal demonio, li vede come esseri orrendi e ripugnanti, brutti quanto si può, carichi di odio, con gli occhi strabuzzati o iniettati di sangue, agitati da una furia scatenata, in preda alla più crudele violenza, assetati di sangue, vomitanti le più orribili bestemmie ed urla infuocate.

Ora, tutto questo non è sbagliato, ma è ben lontano dal rappresentare compiutamente la condotta del demonio e dei “figli delle tenebre”, ossia dei popoli invasati, sedotti o comunque influenzati dal demonio, quella che Agostino chiama la “Città di Satana”. La possessione diabolica costituisce un fenomeno assai raro e di non facile diagnosi, certamente pauroso, curabile con l’esorcismo.

Questi fatti non recano danno se non al malcapitato, ma non vanno più in là; anzi a volte formano un argomento apologetico per renderci consapevoli dell’esistenza di Satana e quindi per correre ai ripari. Per questo Satana sa che non è con questo metodo che egli conquista le masse, ma ne ha ben altri, che vedremo sotto.

Questo aspetto dunque non è l’elemento più pericoloso ed insidioso dell’azione di Satana. Esso colpisce di più la fantasia popolare, che vede nel demonio più uno che spaventa o danneggia fisicamente che non il sottile e affascinante tentatore all’incredulità, all’odio ed all’eresia.

Invece, come avverte la Scrittura, spesso e volentieri, per indurci al peccato, soprattutto di empietà e di superbia, egli sa anche abilissimamente “mascherarsi da angelo della luce” e suggerire quindi idee e condotte apparentemente moderate, beneducate, gentili, controllate, politically correct, come si dice oggi, ma che nascondono l’odio, il tradimento, la diffidenza, la disobbedienza, l’invidia e la malvagità: “veleno d’aspide sotto le labbra”, come dice il Salmo.

Per questo Cristo chiama i servi del demonio col nome di “serpenti” e “razza di vipere”, per il loro insinuarsi ipocritamente nascosto, contorto, dolce ed apparentemente innocuo, ma in realtà pronto ad aggredire improvvisamente e proditoriamente per colpire senza pietà.

Già l’Antico Testamento vede negli dèi dei popoli pagani dei demòni ed Agostino riprende insistentemente questa idea. Forse essa non sarebbe molto gradita a certi dialoganti di oggi e soprattutto ai buonisti. Eppure essa mantiene la sua verità, anche se naturalmente oggi, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ci chiede un’attenzione ai valori delle altre religioni e delle culture non cattoliche, che un tempo non esisteva. Ma con questo il Concilio non ci autorizza assolutamente ad abbassare la guardia e ci obbliga ad avere quel saggio discernimento che sa distinguere gli spiriti, cogliere il buono e rifiutare il cattivo.

L’Antico Testamento vede nelle guerre condotte dai popoli pagani contro Israele una figura profetica della guerra ricorrente dei “figli di questo mondo” contro i “figli della luce”, ossia contro la Chiesa, della quale guerra parlerà il Vangelo ed un linguaggio simile si trova anche nella letteratura di Qumran, ed in altre correnti apocalittiche. Infatti nella stessa Apocalisse biblica, come è noto, è annunciato lo scontro finale tra le forze di Cristo capo della Chiesa dei santi e le forze del male capeggiate da Satana e dai suoi accoliti.

Tuttavia il nemico può essere anche all’interno della Chiesa, così come la Chiesa visibile può avere amici, aiuti e collaboratori nei “buoni samaritani”, ossia non-cattolici, apparentemente increduli, laicisti o atei, che si trovano al di fuori dei suoi confini visibili, ma che, per la loro buona fede, ignoranza invincibile, buona volontà ed onestà naturale possono benissimo appartenere inconsciamente alla Chiesa ed esser più santi di molti che vi appartengono visibilmente, ma come pesi morti, ossia non col cuore, ma solo col corpo.

Anzi oggi più che mai assistiamo a questo fenomeno a causa di un fraintendimento della pastorale missionaria del Concilio Vaticano II, per il quale, per la prima volta nella storia dei Concili, la Chiesa non si rivolge più soltanto ai cattolici o al massimo ai cristiani non-cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, ossia agli uomini in quanto tali, per cui non fonda quello che dice solo sulla base della dottrina cattolica, ma delle comuni convinzioni della ragione e della coscienza naturali, per proporre a tutti il Vangelo.

Con questo atteggiamento la Chiesa ha voluto rimediare a un certo difetto del periodo preconciliare,  nel quale c’era sì la giusta preoccupazione di aver ben chiari i confini dell’ortodossia e ci si curava di custodirli con zelo, precisione e coraggio, ma poi era scarsa l’attenzione e la comprensione degli aspetti validi delle altre religioni e delle culture diverse da quella della tradizione greco-romana.

La Chiesa, attaccata radicalmente da questi nemici esterni ed aperti, si difendeva vigorosamente e validamente, colpo su colpo, con saggi avvertimenti, centrate condanne e sottili confutazioni. Ma, nel fervore della polemica, tendeva a non vedere o a minimizzare valori comuni di carattere umano, che potevano costituire una base di dialogo col quale ammodernare, ampliare ed arricchire l’edificio della cultura cattolica, avere più contatti con gli uomini del proprio tempo aiutandoli a risolvere i propri problemi, e proponendo a tutti, nelle loro lingue e culture, il messaggio di Cristo.

Il Vaticano II ha ovviato a questi difetti, ma purtroppo la sua apertura al mondo moderno ed agli uomini in quanto esseri razionali sono stati da molti fraintesi, come se la nuova Chiesa da costruire non avesse più quei confini dottrinali che erano stati fissati dalla tradizione e dal dogma, ma fosse diventata una specie di pappa molle, raccolta sincretistica ed incoerente di tutte le possibili opinioni del mondo moderno, accettate semplicemente per il fatto di essere moderne e condivise da personaggi in vista o famosi, eretici riabilitati, o comunque graditi alla grande massa della gente.

Ci si è dimenticati che la Chiesa è un organismo vivente, il quale, come tale, per vivere decentemente e in buona salute, deve fare due cose: conservare la propria identità e intrattenere relazioni con l’ambiente assumendo il buono e rifiutando il nocivo. Il criterio della distinzione proviene nel vivente dalla sua stessa vitalità interiore, essenziale e strutturale, supposta sana, la quale evidentemente va conservata, se no non si ha rinnovamento ma corruzione.

Qualcosa del genere si sarebbe dovuto fare per applicare veramente le direttive conciliari: conservare l’essenza o identità immutabile della Chiesa, ed in base a questa autocoscienza fare un’opera di discernimento nei confronti della modernità proponendo il positivo e confutando il negativo.

E’ stato ed è un atto di grande stoltezza quello dei modernisti di deridere e disprezzare l’atteggiamento conservatore o tradizionalista, quasi che esso sia di per sé sbagliato. Esistono invece nella Chiesa come in ogni circostanza della vita, anche la più banale, cose da conservare e cose da gettar via o da mutare.

Anche qui è importante il discernimento da farsi, nel nostro caso, sulla base degli elementi essenziali della Chiesa, che la Chiesa stessa si è sempre premurata di definire, compreso il Vaticano II. Il vero rinnovamento o il vero progresso non sono una rivoluzione che cancella tutto per tutto rifare come farebbe un cuoco che ha bruciato una vivanda. Ragionare in questo modo vuol dire dar prova di un’enorme, colpevole superficialità o immaturità intellettuale. Vero rinnovamento e vero progresso invece  sono rinnovare e far progredire ciò che va conservato. Progresso e tradizione, riforma e fedeltà sono valori inscindibili nella vita della Chiesa come in ogni altra forma di vita umana.

Invece oggi la Chiesa si presenta, bene che vada, come una specie di caotico e confusionario mercato delle pulci, dove troviamo tutto e il contrario di tutto, sicchè non c’è da sorprendersi se il mondo non si converte perchè gli presentiamo un volto della Chiesa che, come disse drammaticamente Paolo VI, demolisce sè stessa, con un doppio magistero, quello dei vescovi e quello dei teologi in contrasto e in competizione tra di loro, quando dovrebbero essere i vescovi a guidare e a correggere i teologi, sicchè il comune onesto uomo della strada o una persona che ha la testa sul collo o ha un po’ di buon senso è portato a dirci: mettetevi d’accordo su cosa siete e prenderemo in esame la proposta cristiana. Oppure viceversa tende a diffondersi un’immagine modernista della Chiesa che non corrisponde a quella veramente voluta da Cristo.

Occorre ritrovare o meglio raggiungere l’equilibrio. Senza sconfessare le conquiste del Vaticano II e proprio per dare ad esse un fondamento ed una credibilità, è necessario ritrovare i criteri immutabili, dogmatici del volto della Chiesa, già ben noti nella tradizione e sulla loro base aggiungere gli sviluppi e le esplicitazioni del Vaticano II, superando l’apparenza di “rottura” che questi possono dare nei confronti del passato. Solo così la Chiesa mostrerà di essere un vero organismo vivente, il Corpo di Cristo così come Cristo lo ha voluto per la salvezza del mondo.

 

 


[1] Come è ricordato dallo stesso Concilio Vaticano II.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] LA DISOBBEDIENZA DEI SUPERIORI
- di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana 24.8.2013



Gli anziani come me ricordano bene l’agitato, chiassoso e scomposto periodo della cosiddetta “contestazione” soprattutto giovanile degli ambienti universitari civili ma anche ecclesiastici della fine anni ’60, che vagamente e confusamente si richiamavano al Concilio Vaticano II scambiato per una specie di Rivoluzione Francese o palingenesi universale dell’umanità, ma con agganci anche ad altri pensatori sedicenti innovatori, come per esempio il teologo Harvey Cox o i “teologi della morte di Dio” per i credenti o il famoso sociologo Herbert Marcuse per i non-credenti e i cattolici sedicenti “aperti”, mentre i comunisti più o meno scopertamente soffiavano sul fuoco o facevano da bordone con i soliti pretesti della liberazione dei lavoratori oppressi dall’oppressione capitalista.

E’ quel fenomeno diffusosi nel mondo occidentale, che è rimasto alla storia col nome di ’68, iniziato negli Stati Uniti all’Università di Berkeley e poi trapiantato a Parigi con l’ancora più famoso “maggio 1968”, dove si vedevano gli studenti dare l’assalto tra le barricate all’Università come i giacobini dettero l’assalto alla Bastiglia.

Io ho vissuto in pieno quel periodo perché allora mi trovavo a studiare filosofia all’Università di Bologna. Quello che allora maggiormente si notava, che turbava e preoccupava l’ambiente civile ed ecclesiale legato nella stragrande maggioranza ad un certo rispetto per le autorità, abituato ad un comportamento sociale tranquillo ed ordinato, erano i frequenti ed impressionanti episodi di spavalda e tracotante disobbedienza e ribellione alle istituzioni della Chiesa e dello Stato, come erano per esempio in campo civile le manifestazioni di studenti all’Università che impedivano il regolare svolgimento delle lezioni, cortei di protesta per le strade urlando l’odio di classe sotto al spinta dell’estremismo comunista.

Di lì a poco sarebbero iniziati i cosiddetti “anni di piombo” per l’azione sediziosa e criminale delle Brigate Rosse, mentre in campo ecclesiastico, anche se naturalmente non con tale violenza, analoghe manifestazioni di ribellioni a docenti e superiori, preti che dichiaravano all’omelia della Messa di volersi sposare, teologi sorpresi nudi sulla spiaggia come fu il caso del famoso Edward Schillebeecxk, teologi come Karl Rahner, affiancati dalla tacita o velata complicità di alcuni Episcopati nazionali, i quali rifiutavano come sbagliato l’insegnamento di Paolo VI contenuto nell’enciclica Humanae Vitae.

Tutto ciò avvenne in nome del rinnovamento della cultura e dell’autonomia degli studenti nei confronti di quelli che allora si chiamavano i “baroni”, assai semplicemente gli insegnanti, sulla base di una concezione della cultura – ho vissuto in prima persona questi avvenimenti –, per la quale lo studente è perfettamente alla pari del professore, ossia non ha nulla da imparare da lui, soprattutto se si tratta di contenuti tradizionali, ma il rapporto studente-professore doveva limitarsi ad un “dialogo” nel quale, se lo studente poteva anche apprendere dall’insegnante, anche questi però doveva accettare quello che diceva lo studente.

Nacque l’uso di interrompere l’insegnante durante la lezione per manifestare critiche e dissenso. Nei posti più educati invece l’intervento dello studente, come era già nell’antica tradizione della scolastica medioevale (le quaestiones quodlibetales), serviva a chiarire questioni anche per il bene della classe. Si introdusse la pratica dei cosiddetti “seminari di studio”, nei quali lo studente aveva una parte organizzativa facendo già tirocinio di insegnamento nei confronti degli altri studenti, sia pur sempre assistito dal professore, qualcosa di simile al medioevale baccalaureus, uno studente intermedio fra il docente e il resto della classe. La grande rivoluzione sessantottina recuperava antiche tradizioni medioevali!

Tuttavia, in un clima di relativismo culturale, quale quello di allora e tipico della modernità, non erano generalmente ammesse verità oggettive comuni, ma i contenuti della cultura dovevano emergere dal “confronto dialettico” in continua evoluzione, dove ogni risultato, mai del tutto scontato, certo e definitivo, poteva sempre esser messo in discussione da quello successivo.

Naturalmente gli studenti in questa rivoluzione non avevano tutti i torti e non erano assenti autentici maestri e formatori ed anche il ’68 non fu privo di aspetti positivi nel sottolineare la responsabilità e l’iniziativa personale dello studente nella propria formazione, mentre certamente idee nuove penetravano nel mondo dell’Università, più favorevoli ad una comunicazione tra studenti e docenti.

Adesso non si doveva più sottostare all’insegnante come a un dio in terra, ma era ammesso proporre o anche imporre ai docenti alcune alternative o limitazioni di potere concordate attraverso trattative e nel reciproco rispetto. Allo studente venivano concesse facoltà di mutare anche i programmi per ragionevoli motivi. L’insegnante doveva tener maggior conto della considerazione nella quale era tenuto dagli studenti. E gli insegnanti più saggi ed aggiornati rinunciavano a certi privilegi che consentivano loro di avere un eccessivo potere sugli studenti.

Avvenivano comunque all’Università agitatissime ed affollatissime riunioni di cinque o sei ore, fino alle cosiddette “occupazioni”, che duravano anche giorni, al termine delle quali, dopo una successione di martellanti e strillanti slogan marxisti, anarchici, maoisti e rivoluzionari, non si concludeva assolutamente nulla e chi pretendeva una conclusione certa e chiara appariva un reazionario, servo dei padroni.

Quanto alla situazione ecclesiale, imparai molto dal libro del Maritain Le Paysan de la Garonne, nel quale egli, con dovizia di documenti e fine umorismo, denunciava il ritorno di modernismo assai peggiore di quello dei tempi di S.Pio X, per una pretestuosa interpretazione del Concilio Vaticano II, che i neomodernisti facevano a loro vantaggio. Quasi nessuno ascoltò il grido di allarme del grande pensatore francese (che non fu il solo!) e per questo oggi ci troviamo nell’attuale situazione disastrata. E sì che Maritain non era un conservatore!

In mezzo a questa confusione e a questi disordini, trovai molta luce e conforto nella tradizione e nella dottrina della Chiesa, compresa quella conciliare e postconciliare. Ero un grande ammiratore di Papa Giovanni e Paolo VI. Proprio in quegli anni nei quali i sovversivi che si dichiaravano vittime dei baroni, preconizzavano una nuova società libera da qualunque autoritarismo, dove loro sarebbero stati i protagonisti e servi del popolo (i vari Capanna, Cohn-Bendit, Margherita Cagol, Toni Negri, ecc.), io studiavo Maritain, Gilson, Garrigou-Lagrange, S.Agostino, S.Bernardo, S.Bonaventura e S.Tommaso, insieme con i documenti della Chiesa con immensa gioia e frutto spirituale. Sentivo nella mia anima una perfetta consonanza e risonanza di quei sublimi insegnamenti e quindi la lealtà e l’onestà, la persuasività e la fondatezza delle loro motivazioni ed esposizioni.

Così maturò in me la vocazione domenicana ed entrai in convento a Bologna nel 1971. Fu allora che mi accorsi quanto il modernismo e la sovversione, sotto falso pretesto di “progresso”, avevano turbato e stavano turbando la Chiesa, dove avvenivano episodi di ribellione simili a quelli che stavano accadendo nella società civile, anche se certo non con la medesima violenza. Ma c’era una violenza più sottile: quella dell’inganno nel campo della fede e della teologia.

Nel contempo constatavo con sgomento il proliferare di errori tra teologi di grido senza che i vescovi intervenissero. Rari ed inefficaci gli interventi di Roma. Erano presi solo i pesci piccoli. Ed io mi domandavo: come mai? Ma che ci stanno fare i superiori? In tal modo gli errori si spargevano a piene mani in tutti gli ambienti ecclesiali: dalla famiglia, alla scuola, negli ambienti di lavoro, nella cultura, nelle parrocchie, nei movimenti, nelle istituzioni accademiche, come un’alluvione fangosa che all’inizio di basso livello, poi cresce e cresce sino a salire ai piani superiori delle case. O, all’inverso, come una seduzione fascinosa che sempre più avvolge fino a far perdere la testa e l’oggettività dello sguardo.

O in altre parole: una “sporcizia”, come avrebbe detto Benedetto XVI trent’anni dopo, che giungeva a contaminare vescovi, superiori, docenti ed educatori, i quali o non si rendevano conto di cosa stava succedendo o lo consideravano con un sorrisetto di compatimento o non facevano niente per non dire che alcuni erano conniventi o nascostamente o apertamente.

Certo Roma continuava sempre ad essere il faro e il centro del comando. Ma mentre il faro continuava ad illuminare – e questo come potrebbe non essere? – viceversa il comando diventava sempre più debole e disatteso da coloro stessi, collaboratori, pastori e superiori, che avrebbero dovuto trasmettere gli ordini alla base. E solo a questo titolo potevano esigere di esser obbediti a loro volta dai sudditi o dagli inferiori.

L’avvento di Giovanni Paolo II pose termine agli anni di piombo, all’espansione del comunismo ed  alle manifestazioni intraecclesiali plateali, eclatanti e violente contro la gerarchia, la Chiesa, il Papa e il Magistero. Ma non smise un lavoro o sotterraneo o anche palese da parte dei teologi e moralisti modernisti nel portare avanti il loro programma di secolarizzazione della Chiesa e le loro idee sovversive nella formare i giovani.

Qui purtroppo il Pontificato di questo grande Papa non potè far nulla. Egli si dedicò con grande impegno e prodigiosa energia, senza risparmio di forze, ad un’opera mondiale e spettacolare  di evangelizzazione con i suoi numerosissimi viaggi e contatti con un’infinità di persone, ma dedicò assai poco tempo a uno studio attento ed approfondito come soltanto il Papa avrebbe potuto e dovuto fare, dei principali problemi dottrinali e morali della Chiesa, onde fornire quei rimedi che solo il Papa avrebbe potuto offrire, ed a fornire la S.Sede di collaboratori competenti, coraggiosi e disinteressati, soprattutto nel campo della custodia della retta fede, sicchè il modernismo cominciò di soppiatto a penetrare anche nelle stanze dei bottoni.

Il Papa aveva sempre sulla bocca il problema dei giovani, e aveva con essi una grande capacità di contatto umano, ma purtroppo la formazione seminariale ed accademica, nonché quella  degli studentati religiosi restava in gran parte nelle mani dei modernisti, per esempio i rahneriani. Quali preti e quali vescovi, quali educatori di giovani potevano uscire da questi formatori? Quale concetto dell’obbedienza potevano dare questi formatori, loro che per primi erano disobbedienti alla Chiesa? Lo vediamo oggi.

Ed anzi che cosa successe soprattutto verso la fine del pontificato di Giovanni Paolo II? Che quella debolezza di governo che si era cominciata a notare con Paolo VI, che parlava di “magistero parallelo”, aumentò ulteriormente e ci fu un vero salto di qualità.

Quale? Che fino ad allora la diffusione del modernismo, non repressa come si sarebbe dovuto fare, si era limitata alla sola contaminazione delle intelligenze, e quindi era rimasta ad uno stadio solo teorico, senza conseguenze nel governo della Chiesa, mentre d’altra parte i fedeli sudditi della Chiesa, teologi e buoni pastori,  godevano tutto sommato della libertà di confutare i modernisti e di diffondere la sana dottrina in obbedienza al Magistero, dando essi stessi esempio di obbedienza.

Invece, con la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000, i modernisti cominciarono a raggiungere posti di potere sempre più numerosi ed elevati, dai quali potevano imporre con la forza e le minacce quelle idee modernistiche che avevano liberamente assorbito dai loro maestri negli anni o del seminario o della formazione religiosa o dell’Università, intralciando e fermando nel contempo il lavoro dei fedeli obbedienti al Magistero e al Papa, i quali hanno sempre più cominciato a sembrare dei “disobbedienti”, ma disobbedienti ovviamente non al Magistero ma ai superiori modernisti.

Così i sessantottini diventati vescovi o superiori si stanno mostrando ben più duri ed autoritari dei vecchi “baroni”, che essi forse con sincerità avevano contestato da giovani, mentre i vescovi del preconcilio potevano essere sì severi, ma almeno lo facevano in nome della retta fede e dell’obbedienza alla Chiesa. Invece questi nuovi superiori, contrari all’inquisizione medioevale (del resto giustamente), hanno poi istituito clandestinamente una nuova inquisizione, senza alcuna ragione giuridica, ma basata solo sulla loro prepotenza, per imporre con la forza la linea del modernismo.

Così oggi avviene che quegli stessi che trenta o quarant’anni fa con arroganza e sicumera, dai banchi del seminario o dell’Università si ribellavano ai maestri accusati di autoritarismo reazionario, presentandosi come paladini della libertà dello studio, antesignani del progresso della cultura e del futuro della Chiesa, nonchè profeti delle “comunità di base”, adesso che hanno raggiunto il potere dopo infinite vergognose adulazioni e “obbedienze” ai maestri modernisti, considerano i loro propri comandi come precetti divini, disobbedendo ai quali piovono sul ribelle i più rigorosi castighi per aver offeso nel superiore la presenza di Cristo, quando loro stessi per primi se ne infischiano di Papi, di Santi e di Magistero, certi dell’impunità ed anzi coccolati da tutta l’ideologia laicista, massonica o modernista come uomini del dialogo, della tolleranza e del rispetto del diverso.

I loro protetti sono personaggi intoccabili, per cui chi osa criticarli scandalizza i loro devoti, meglio dire fanatici, più che se un credente vedesse profanata l’eucaristia. Viceversa i buoni cattolici sono trattati come pezze da piedi col massimo dispregio, come dementi e indegni di qualunque risposta, anche perché tali superiori, non avendo argomenti seri, non sanno controbattere alle loro obiezioni.

Per quanto un suddito faccia presente con rispettato, lealtà e competenza difficoltà od obbiezioni alle direttive di questi superiori con riferimento alla dottrina della Chiesa o la Magistero del Papa, questi superiori non ascoltano ragione, come se il loro verbo fosse la verità assoluta e la via necessaria della salvezza, castigando questi sudditi che in realtà non desiderano altro che obbedire ad un superiore decente ed obbediente. Accade così che a chi disobbedisce alla Chiesa non capita nulla, ma a chi disobbedisce al superiore modernista, si salvi chi può.

Come uscire da questa situazione gravissima, da questo male spaventoso? Ormai le forze della disobbedienza autolegalizzata sono tali che la S.Sede e i buoni vescovi non sono assolutamente in grado di governare tale la situazione.

Non resta che sperare in una resipiscenza dei responsabili, che in fin dei conti sono rivestiti quasi sempre di autorità legittima (non stiamo a verificare) e dovrebbero sapere qual è il loro dovere. Siano essi pronti ad ascoltare la loro coscienza e, rinunciando ad ogni ambizione e smania di potere, vogliano, con l’ispirazione dello Spirito Santo e l’intercessione della Beata Vergine Maria, temere l’incombente castigo divino e, mossi da un sincero spirito di pentimento, esercitare la loro sacra missione con autentico spirito di servizio alla verità e al bene delle anime.

[SM=g1740733]

[Modificato da Caterina63 25/08/2013 10:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/11/2013 19:28
 
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  Editoriale di Radicati nella fedefoglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale)
anno VI - NOVEMBRE 2013 n. 11

- impaginazione e neretti sono nostri - 


Cosa fare quando tutto sembra immerso in una confusione tremenda? Cosa fare quando non sembra sussistere nulla di certo?

L’uomo è fatto per vivere di fronte a Dio, e in Dio trovare la propria consistenza e pace. Un tempo la Chiesa Cattolica comunicava questa pace. Era il mondo, quello lontano da Dio, ad essere in continua agitazione, ma la Chiesa no. La Chiesa era la stabilità.

Era il mondo senza Dio ad essere immerso in una continua Rivoluzione e questa Rivoluzione continua era amata dalle anime instabili e disperate che, scontente della vita, cercavano affannosamente un’impossibile novità che appagasse il loro vuoto interiore.

La Chiesa no; sempre uguale a se stessa, composta e pacifica nella stabilità di Dio, avanzava nel mare della storia ed era il vascello sicuro per le anime che non amavano la Rivoluzione riconoscendola falsa e ingannevole.

Era il mondo moderno che, non volendo dipendere più da Dio e da nessuna autorità, criticava la Chiesa accusandola di non cambiare mai! Non credendo in Dio, il mondo moderno non capiva la stabilità della Chiesa, perché in fondo non capiva la stabilità di Dio.

Così, in mezzo a tutte le terribili rivoluzioni, la Chiesa con i suoi santi, con la grazia soprannaturale dei suoi sacramenti, con la verità immutabile rivelata da Dio e trasmessa dalla Tradizione e dalla Scrittura, camminava nel mondo, strappando tutte le anime che poteva alla Rivoluzione che uccide, per portarle nel suo seno, nella stabilità della grazia che edifica.

Tanti venivano colpiti dalla meravigliosa pace che emanava dalla Chiesa Cattolica, pace che convinceva e convertiva, pace che è tra i più grandi segni di Dio.

Quante conversioni anche nel mondo protestante verso la Chiesa Cattolica: i protestanti si erano adattati alla modernità sempre più atea e indifferente, ma questa modernità non dava pace e molti così tornavano alla Chiesa Cattolica. Descrive molto bene questa situazione Carlo Lovera di Castiglione nel suo famoso testo su “Il movimento di Oxford”. Parlando della crisi dottrinale scoppiata dentro la chiesa anglicana a metà dell’800 così dice: 
“…dei fedeli, gli uni non sapevano più che pensarne, altri parteggiavano per i novatori, molti guardavano oltre i confini della Chiesa Stabilita, verso i Cattolici Romani, per i quali la serenità della fede e dell’immutabile dottrina, si rifletteva nel possesso della verità pieno di sicurezza e di pace.” (Carlo Lovera di Castiglione, Il movimento di Oxford, Morcelliana 1935, pag. 220).

La serenità della fede e dell’immutabile dottrina, si rifletteva nel possesso della verità pieno di sicurezza e di pace”: come è dolce questo parlare. È la dolcezza stessa di Dio che dona nella Chiesa quella serenità che ogni cuore cerca.

Ma ora tutto è cambiato... sono giunti giorni terribili che la retorica buonista dei cristiani ammodernati non può nascondere: la Rivoluzione dal mondo ateo è entrata nella Chiesa e sta consumando tutto. Non c’è più stabilità, la Chiesa sembra entrata in una perenne Rivoluzione che tutto cambia continuamente: confusione nei riti, confusione nella dottrina, confusione nella morale, confusione nella disciplina. Non sai se la verità di oggi durerà domani. Tanti, preti e fedeli, corrono affannosamente per non restare indietro, per adattarsi come possono a questa estenuante confusione.

Chi cerca veramente Dio, in questa Chiesa rivoluzionaria, resta terribilmente solo.

Che fare in questo clima asfissiante? e che cosa non fare?

Innanzitutto occorre non farsi prendere dall’agitazione, occorre non reagire da rivoluzionari: sarebbe come curare il male, che è appunto la Rivoluzione, con la stessa malattia. Lo spirito rivoluzionario, anche quando pretende di salvare il bene, non sarà mai la soluzione.

Bisogna invece stare veramente fuori dalla Rivoluzione, vivendo integralmente il cattolicesimo in quella stabilità che era sua, prima che la Rivoluzione invadesse tutto.
Nella confusione nera, nelle tenebre, urge decidere di fronte a Dio di vivere da cattolici, stabilmente. Per questo bisogna riconoscere un luogo che ti comunichi la pace della fede nel possesso della verità rivelata. Un luogo dove è celebrata la Messa tradizionale: eleggerlo come riferimento per la propria vita, lasciandosi educare da questo luogo. Non vivere da agitati in una lotta perenne ma vivere da cattolici nella liturgia di sempre, nella dottrina di sempre, nella grazia di sempre secondo i sacramenti di sempre; e così operare tutto il bene che il Signore ci permette di compiere.

Lo dice padre Calmel: 
“Ciò che sarà sempre possibile nella Chiesa, ciò che la Chiesa assicurerà sempre, nonostante i tentativi diabolici della nuova Chiesa post-vaticanesca, è questo: tendere alla santità realmente, potersi istruire, in un gruppo reale anche se molto piccolo, sulla dottrina immutabile e soprannaturale, sotto un’autorità reale e conservando la sicurezza che resteranno sempre dei veri sacerdoti e dei Vescovi fedeli, che non avranno dimissionato (forse anche senza accorgersene) nelle mani delle commissioni e della collegialità.” (R. T. Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys, pag. 51).

Carissimi, se vivremo così, le tenebre terribili di oggi resteranno fuori dai nostri cuori.

Preghiamo perché la Madonna ci ottenga questo rifugio, e noi cerchiamo di esserne sempre più degni.


 



A quanto abbiamo letto sopra, ecco due conferme eccllenti, due cardinali di cui uno, mons. Perl, è parte del gruppo del Conciglio del Papa....

Card. Pell e le anomalie dei cattolici

31 ott 2013 di 




Card. Pell e le anomalie dei cattolici

Il Cardinale George Pell, Arcivescovo di Sydney e componente del Consiglio dei Cardinali chiamati da Papa Francesco nel Governo della Chiesa e a studiare un progetto di revisione della Curia Romana,  nel corso di una lezione a Venezia su “La Chiesa Cattolica nel mondo anglofono a 50 anni dal Concilio Vaticano II” in occasione dell’inaugurazione del 10mo Anno Accademico dello Studium Generale Marcianum, in materia di pratiche sessuali ed aborto, ha detto che “il primato della coscienza” da parte di molti Cattolici “viene invocato non solo contro l’insegnamento della Chiesa” andando così a scegliere “a piacimento tra i 10 Comandamenti” per giustificare scelte personali estranee alla Dottrina della Chiesa.

Pell, facendo riferimento ai cambiamenti dal 1968 ad oggi nella società ed al Concilio Vaticano II ha rilevato l’anomalia della posizioni di Cattolici “in materia di contraccezione ma anche per respingere l’idea che l’unione sessuale deve avvenire tra un uomo e una donna uniti in matrimonio, affermare la legittimità della pratica omosessuale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’aborto e l’eutanasia” il tutto ha aggiunto “per giustificare la possibilità di ricevere l’Eucaristia dopo il divorzio civile e le seconde nozze”.

“Molte, troppe di queste persone, non sono particolarmente inclini a concepirsi come ‘meno’ Cattoliche e ancora meno come ‘cattivi’ Cattolici – ha proseguito Pell -. Troppi di loro non frequentano regolarmente la Messa domenicale ma neanche questo sembra impedire loro di considerarsi buoni Cattolici tanto quanto il Papa”.

“Dobbiamo perciò continuare il buon lavoro, iniziato in molti luoghi – ha esortato Pell – e a cominciare dai bambini della scuola primaria, per istillare in loro la convinzione che il rispetto di tutti e 10 i Comandamenti rappresentano il quadro morale di riferimento per la vita quotidiana e che abbracciare i 7 Peccati Capitali e rifiutare le virtù tradizionali non sono opzioni possibili per chi vuole seguire Cristo”.

“I crimini devono essere denunciati alla Polizia, e le mancanze morali possono sempre essere riparate attraverso il pentimento, ma le eresie sia nell’ambito della fede che della morale possono essere curate solo attraverso la libera sottomissione e il riconoscimento delle verità dell’insegnamento Cristiano”, ha detto il Cardinale Pell.

“Sappiamo dalle rivelazioni sugli abusi sessuali che peccati e crimini gravi e reiterati non solo causano grandissimo dolore a chi li subisce ma danneggiano e avvelenano la Chiesa – ha detto -. Il compito immediato è aiutare le vittime assicurando che quanti si sono macchiati di tali crimini saranno denunciati alla Polizia e alle Autorità Civili”.

“Mentre lavoriamo per sradicare questo male dalla Chiesa e per proteggere i bambini e le persone più vulnerabili – ha proseguito -, l’insegnamento Cattolico deve continuare ad essere forte e chiaro rispetto alla realtà del peccato e del male in molti altri importanti ambiti”.

“Rifiutare di riconoscere i mali che sono frutto di alcuni peccati gravi in differenti ambiti – ha aggiunto il Cardinale Pell – costituirebbe nel lungo termine un danno enorme per la testimonianza Cristiana e per la vita Cattolica e per la gente che la Chiesa serve”.

Il Cardinale Pell, inoltre ha detto che “ci vogliono escludere da spazio pubblico voci e le testimonianze religiose fossero escluse dallo spazio pubblico, e io ho il sospetto che questo obiettivo verrà perseguito attraverso piccole modifiche progressive a leggi e regolamenti piuttosto che con un assalto frontale”.

Ma, secondo Pell, “potrà esserci anche un conflitto politico aperto, a partire dalla questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Se questo fosse legalizzato ci sarebbero fortissime pressioni per presentare le unioni omosessuali come equivalenti al matrimonio e impedire l’insegnamento della comprensione Cristiana della sessualità, del matrimonio e della famiglia, anche nelle scuole religiose”.



 


La denuncia del presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum a Trieste per l'inconro delle Conferenze Episcopali europee


REDAZIONE
ROMA


«Persino tra i battezzati e i discepoli di Cristo vi è oggi una sorta di `apostasia silenziosa´, un rifiuto di Dio e della fede cristiana nella politica, nell'economia, nella dimensione etica e morale e nella cultura post-moderna occidentale». Lo ha denunciato il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, intervenendo  a Trieste il 4.11.2013 alla prima giornata dell'incontro sulla carità promosso dalle Conferenze episcopali europee.

«Involontariamente - ha proseguito il presule - respiriamo a pieni polmoni dottrine che sono contrarie all'uomo e generano nuove politiche che hanno un effetto di erosione, distruzione, demolizione e grave aggressione, lente ma costanti, soprattutto sulla persona umana, la sua vita, la sua famiglia, il suo lavoro e i suoi rapporti interpersonali. Non abbiamo più nemmeno il tempo di vivere, amare, adorare. Ecco una sfida eccezionale per la Chiesa e per la pastorale della carità. La Chiesa, infatti - ha sottolineato - denuncia anche le varie forme di sofferenza di cui è vittima la persona umana».

Secondo il cardinale Sarah «un umanesimo senza Dio, abbinato a un soggettivismo esacerbato, ideologie che vengono veicolate oggi dai mezzi mediatici e da gruppi estremamente influenti e finanziariamente potenti, sono nascosti dietro le apparenze del servizio internazionale e operano anche nell'ambiente ecclesiale e nelle nostre agenzie di carità».

Per la Chiesa dunque, ha concluso, «i valori cristiani che la guidano e l'identità ecclesiale dell'attività caritativa non sono negoziabili, debbono respingere qualunque ideologia contraria all'insegnamento divino, rifiutare categoricamente qualunque sostegno economico o culturale che imponga condizionamenti ideologici contrapposti alla visione cristiana dell'uomo».



 



[Modificato da Caterina63 06/11/2013 21:54]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Liquefazione della Chiesa
La fede si svincola dalla verità trascendente, e diventa esperienza.Ratzinger ha perso la sua battaglia per restaurare il Concilio “non virtuale”.Per questo la nuova pastoralità di Francesco ora dilaga
di Roberto de Mattei

La maggior parte di coloro che hanno preso le distanze dagli articoli su “Il Foglio” di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro si sono limitati a una condanna di principio, evitando di entrare nel merito degli argomenti toccati dai due autori cattolici. Eppure i problemi sollevati da Gnocchi e Palmaro non solo esprimono il disagio di molti, ma sollevano una serie di problemi che vanno al di là della persona di papa Francesco e investono gli ultimi cinquant’anni di vita della Chiesa. Gli stessi Gnocchi e Palmaro hanno portato alla luce questi problemi in un libro che non ha avuto l’attenzione che meritava: La Bella addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà (Fede e Cultura, Verona 2012).
La “Bella addormentata” è la Sposa di Cristo che nel suo aspetto divino mantiene inalterata la sua bellezza, ma sembra immersa in un profondo letargo. Nel suo aspetto umano Essa ha il volto deturpato da un morbo che parrebbe mortale, se non sapessimo che Le è stata promessa l’immortalità.

Il male di cui soffre la Chiesa viene da lontano ed è esploso, con il Concilio Vaticano II, di cui si sta celebrando il cinquantenario. Il  Vaticano II, aperto l’11 ottobre 1963, fu un Concilio pastorale, privo, per sua esplicita dichiarazione, della voluntas definiendi, cioè dell’intenzione di definire in modo formale verità dogmatiche. Questa pastoralità tuttavia, ebbe un carattere anomalo, come sottolinea in un bel libro appena uscito il filosofo Paolo Pasqualucci (Cattolici in alto i cuori! Battiamoci senza paura per la rinascita della Chiesa, Fede e Cultura, Verona 2013).
Il Vaticano II non si limitò infatti ad esprimere in modo nuovo (nove) la dottrina antica, ma volle insegnare, su alcuni punti, anche “cose nuove” (nova). Nessuna di queste novità fu fornita del sigillo della definizione dogmatica, ma nel loro insieme esse costituirono un vero e proprio magistero, che fu presentato come alternativo a quello tradizionale. In nome del Vaticano II, i novatori pretesero di riformare ab imis l’intera Chiesa.
Per raggiungere questo obiettivo, si mossero soprattutto sul piano della prassi, ovvero di una pastoralità che, attuandosi, si faceva dottrina.  Non a caso Giuseppe Alberigo e i suoi discepoli della “scuola di Bologna” vedono nella pastoralità la dimensione costitutiva del Vaticano II. In nome dello “spirito del Concilio”, promanante dalla sua pastoralità, i “bolognesi” si sono opposti alla “riforma nella continuità” propugnata da Benedetto XVI e oggi salutano con entusiasmo il ministero di papa Francesco. Benedetto XVI ha esposto la sua tesi di fondo in due discorsi che aprono e chiudono il suo pontificato e ne offrono un filo conduttore: quello alla Curia romana del 22 dicembre 2005 e quello al Clero romano, del 14 febbraio 2013, tre giorni dopo l’annuncio delle dimissioni. Quest’ultimo discorso, ampio e articolato, è stato pronunciato a braccio, ex abundantia cordis e rappresenta quasi un testamento dottrinale di Benedetto XVI. Il Papa ammette l’esistenza di una crisi nella Chiesa, collegata al Vaticano II, ma ne attribuisce la responsabilità a un Concilio “virtuale” che si sarebbe sovrapposto a quello reale. Il Concilio virtuale è quello imposto dagli strumenti di comunicazione e da determinati ambienti teologici che, in nome di un malinteso “spirito” del Vaticano II, avrebbero travisato le intenzioni dei Padri conciliari. Una abusiva prassi postconciliare avrebbe tradito la verità del Concilio, espressa dai suoi documenti teologici, ed è a questi testi che si dovrebbe tornare per ritrovarne l’autenticità. Il problema del Concilio, per papa Benedetto, prima di essere storico o teologico, è ermeneutico. Il problema di una falsa ermeneutica che si oppone all’interpretazione autentica, non solo dei testi, ma dello stesso evento conciliare.La tesi di Papa Ratzinger non è nuova.
E’ l’idea di fondo di quei teologi che, nel 1972, dopo aver partecipato alla nascita della rivista “Concilium”, assieme a Karl Rahner, Hans Küng ed Edward Schillebeeckx, la abbandonarono per dar vita alla rivista “Communio”. Il padre Henri de Lubac, in una celebre intervista rilasciata all’allora mons. Angelo Scola (Viaggio nel postconcilio, Edit, Milano 1985, pp, 32-47), coniò l’espressione “para-concilio” per indicare quel movimento organizzato che avrebbe deformato l’insegnamento del Concilio attraverso una tendenziosa interpretazione di quell’evento.

Altri teologi usarono il nome di “meta-concilio” e lo stesso cardinale Joseph Ratzinger, nel celebre Rapporto sulla fede del 1985, anticipò la tesi del Concilio virtuale, poi formulata più volte durante il suo pontificato.
Il discorso del 2013 è però la accorata confessione della crisi della ermeneutica della “riforma nella continuità”. La consapevolezza di questo fallimento ha certamente pesato sull’atto di rinuncia dell’11 febbraio. Perchè la linea di interpretazione “benedettina” non è riuscita ad imporsi, ed è stata sconfitta dalle tesi della “scuola di Bologna”, che dilagano incontrastate nelle università e nei seminari cattolici?La ragione principale sta nel fatto che la storia non è fatta dal dibattito teologico, e ancor meno da quello ermeneutico. La discussione ermeneutica mette l’accento sull’interpretazione di un fatto, più che sul fatto stesso. Ma, nel momento in cui vengono poste a confronto ermeneutiche diverse, ci si allontana dalla oggettività del fatto, sovrapponendo ad esso le soggettive interpretazioni dell’evento, ridotte ad opinioni. In presenza di questa pluralità di opinioni, la parola decisiva potrebbe essere pronunciata da una suprema autorità che definisca, senza ombra di equivoci, la verità da credere. Ma nei suoi discorsi Benedetto XVI, come i Papi che lo hanno preceduto, non ha mai voluto attribuire un carattere magisteriale alla sua tesi interpretativa. Nel dibattito ermeneutico in corso, il criterio di giudizio ultimo resta dunque l’oggettività dei fatti. E il fatto innegabile è che se vi fu Concilio virtuale, esso non fu meno reale di quello che è racchiuso nei documenti.
I testi del Vaticano II furono riposti in un cassetto, mentre ciò che entrò con prepotenza nella storia fu il suo “spirito”. Uno spirito poco santo e molto umano, attraverso cui si esprimevano l’azione lobbistica, le pressioni politiche, le spinte mediatiche, che orientarono lo svolgimento degli eventi. E poiché il linguaggio era volutamente ambiguo e indefinito, il Concilio virtuale offrì l’autentica chiave di lettura dei documenti conclusivi. Il Concilio dei testi non può essere separato da quello della storia e non ha torto la scuola di Bologna quando enfatizza la novità rivoluzionaria dell’evento. Essa ha torto quando di questo evento vuole fare un “luogo teologico”, il supremo criterio di giudizio della storia.L’ermeneutica di Benedetto XVI non è riuscita a rendere ragione della storia, ovvero di quanto è accaduto dal 1965 ai nostri giorni.
I testi conciliari sono stati schiacciati dalla prassi post-conciliare, una realtà che non ammette repliche, se ad essa si vuole contrapporre solo un’ermeneutica. Inoltre, se non si può criticare il Vaticano II, ma solo interpretarlo in maniera diversa, qual è la differenza tra i teorici della discontinuità e quelli della riforma nella continuità? Per entrambi il Concilio è un evento irreversibile e ingiudicabile, esso stesso criterio ultimo di dottrina e di comportamento.

Chiunque nega la possibilità di aprire un dibattito sul Vaticano II, in nome dello Spirito Santo che lo garantisce, infallibilizza l’evento e ne fa un superdogma, di fatto immanente alla storia.La storia, per il cristiano, è invece il risultato di un intreccio di idee e di fatti, che hanno la loro radice ultima nel groviglio delle passioni umane e nell’azione di forze soprannaturali e preternaturali in perenne conflitto. La teologia deve farsi teologia della storia per comprendere e dominare le vicende umane; altrimenti essa viene assorbita dalla storia, che diviene il supremo metro di giudizio delle cose del mondo. L’immanentismo non è altro che la perdita di un principio trascendente che giudica la storia e non ne è giudicato. Sotto questo aspetto le intenzioni dei Padri conciliari e i testi che essi produssero non sono che una parte della realtà. Il Vaticano II è, come la Rivoluzione francese o quella protestante, un evento che può essere analizzato su piani diversi, ma costituisce un unicum, con una specificità propria e, in quanto tale rappresenta un momento di indubbia, e per certi versi apocalittica, discontinuità storica.  La vittoria della “scuola di Bologna” è stata suggellata dall’elezione di papa Francesco che, parla poco del Concilio perché non è interessato alla discussione teologica ma alla realtà dei fatti, ed è nella prassi che vuole dimostrare di essere  il vero realizzatore del Vaticano II.  

Sotto questo aspetto egli incarna, si può dire, l’essenza del Vaticano II, che si fa dottrina realizzando la sua dimensione pastorale. La discussione teologica appartiene alla modernità e papa Francesco si presenta come un papa post-ermeneutico e perciò post-moderno. La battaglia delle idee appartiene a una fase della storia della Chiesa che egli vuole superare. Francesco sarà conservatore o progressista, a seconda delle esigenze storiche e politiche del momento. La “rivoluzione pastorale” è, per Alberto Melloni, la caratteristica primaria del pontificato di Francesco I. “«Pastorale» - scrive lo storico bolognese - è una parola chiave per comprendere il ministero di papa Francesco. Non perché di teologia pastorale sia stato insegnante, ma perché quando la interpreta Francesco evoca con naturalezza sbalorditiva questo cuore pulsante del vangelo nel tempo e lo snodo della ricezione (e del rifiuto) del Vaticano II. «Pastorale» viene dal linguaggio di papa Giovanni: era così che voleva il «suo» concilio, come un concilio «pastorale» - e il Vaticano II è stato così” (L’estasi pastorale di papa Francesco disseminata di riferimenti teologici, in “Corriere della Sera”, 29 marzo 2013).

Melloni forza, come sempre, la realtà, ma non ha torto nel fondo. Il pontificato di papa Francesco è il più autenticamente conciliare, quello in cui la prassi si trasforma in dottrina, tentando di cambiare l’immagine e la realtà della Chiesa. Oggi l’ermeneutica di Benedetto XVI è archiviata e dalla pastorale del nuovo Papa dobbiamo attendere nuove sorprese. Il direttore del “Foglio”, ospitando gli articoli di Gnocchi e Palmaro, lo ha intuito, con un fiuto che in questo caso è teologico e giornalistico al tempo stesso. Ma un’ultima questione si pone. Perchè i difensori più accaniti del Vaticano II, ed oggi i critici più severi di Gnocchi e Palmaro, provengono dall’area culturale di Comunione e Liberazione? Non è difficile rispondere se si ricordano le origini di CL e le radici del pensiero del suo fondatore, don Luigi Giussani.  L’orizzonte ciellino era, ed è rimasto, quello della “nouvelle théologie” progressista. In un celebre articolo apparso nel 1946 dal titolo La nouvelle théologie où va-t-elle, il domenicano Garrigou-Lagrange, uno dei massimi teologi del Novecento, indicava come caratteristica della “nouvelle théologie”, la riduzione della verità ad “esperienza religiosa”. “La verità - scriveva - non è più la  conformità del giudizio con la realtà extramentale (oggettiva) e le sue leggi immutabili, ma la conformità del giudizio con le esigenze dell’azione e della vita umana, che si evolve continuamente. Alla filosofia dell’essere o ontologia si sostituisce la filosofia dell’azione, che definisce la Verità in funzione non più dell’essere, ma dell’azione”. Ritroviamo questa caratteristica nel linguaggio e nella pratica di molti ciellini.

Basti pensare al continuo riferirsi alla fede come “incontro” e “esperienza”, con la conseguente riduzione dei princìpi a meri strumenti. E’ vero infatti che non c’è cristianesimo se non è vissuto, ma non si può vivere una fede che non si conosce, a meno di non ritenere, come il modernismo e la nouvelle théologie, che la fede prorompe dall’esperienza vitale del soggetto. Un’“esperienza” che sarebbe possibile in tutte le religioni e che ridurrebbe il cristianesimo a pseudo-misticismo o a pura prassi morale. La storica Cristina Siccardi in un altro bel libro appena pubblicato (L’inverno della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. I mutamenti e le cause, Sugarco, Milano 2013) analizza nel dettaglio le conseguenze di questa pastorale dell’“esperienza”, ricordando le parole di un altro grande teologo domenicano del ventesimo secolo, il padre Roger-Thomas Calmel: “Dottrine, riti, vita interiore sono sottoposti a un processo di liquefazione così radicale e così perfezionato che non permettono più di distinguere tra cattolici e non cattolici. Poiché il sì e il no, il definito e il definitivo sono considerati sorpassati, ci si domanda che cosa impedisca alle religioni non cristiane di far parte anche loro della nuova Chiesa universale, continuamente aggiornata dalle interpretazioni ecumeniche” (Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichtys, Albano Laziale 2007, pp. 10-11).

Parafrasando l’affermazione di Marx, secondo cui è nella prassi che il filosofo dimostra la verità della sua dottrina, potremmo riconoscere nella teologia postconciliare il principio per cui è nella “esperienza religiosa” che il credente dimostra la verità della sua fede. E’, in nuce, il primato della prassi della filosofia secolaristica moderna. Questa filosofia della prassi religiosa fu teorizzata dalle sètte più radicali del Cinquecento e del Seicento,  come gli anabattisti e i sociniani. Per essi la fede è misurata dalla sua intensità: ciò che importa non è la purezza e l’integralità della verità in cui si crede, ma l’intensità dell’atto con cui si crede.  La fede ha dunque la sua misura non nella dottrina creduta, ma nella “vita” e nell’azione del credente: essa diviene esperienza religiosa, svincolata da qualsiasi regula fidei oggettiva. Ritroviamo queste tendenze nella teologia progressista che preparò, guidò e, in parte, realizzò il Concilio Vaticano II.La “nouvelle théologie” progressista ebbe i suoi principali esponenti nel domenicano Marie-Dominique Chenu e nel gesuita Henri de Lubac. Non a caso Chenu fu il maestro di Giuseppe Alberigo e  de Lubac, il punto di riferimento dei discepoli di don Giussani. E non a caso, tra i primi testi ufficiali di Comunione e Liberazione, agli inizi degli anni Settanta, risulta lo studio del teologo Giuseppe Ruggieri intitolato La questione di cristianesimo e rivoluzione.

Ruggieri, che allora dirigeva la collana teologica di Jaca Book oggi dirige “Cristianesimo nella storia” ed è, con Alberto Melloni, l’esponente di punta della “scuola di Bologna”. Non c’è incoerenza nel suo itinerario intellettuale, presentato dallo stesso Melloni nel volume Tutto è grazia (Jaca Book, Milano 2010), così come non c’è incoerenza nelle posizioni di ieri e di oggi di alcuni (non tutti) esponenti di Comunione e Liberazione. Ciò che accomuna la teologia di CL a quella della scuola di Bologna è la “teoria dell’evento”, il primato della prassi sulla dottrina, dell’esperienza sulla verità, che CL situa nell’incontro con la persona di Cristo e la scuola di Bologna nell’incontro con la storia.Giuseppe Ruggieri fu il teologo di Comunione e Liberazione ed è oggi il teologo della scuola di Bologna. E oggi ciellini e bolognesi si ritrovano nel demonizzare in Gnocchi e Palmaro, non i critici di papa Francesco o del Vaticano II, ma i cristiani “eticisti” che ripropongono il primato della Verità e della Legge. Eppure, dice Gesù, “chi mi ama osserva i miei comandamenti” (Gv 14, 15-21. Non c’è amore di Dio al di fuori dell’osservanza della legge naturale e divina.  L’osservanza di questa verità e di questa legge è la misura dell’amore cristiano.


Fonte: “il Foglio” – 12 novembre 2013



 
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Don Ariel S. Levi di Gualdo ci propone la versione italiana di un articolo che offre un interessante contributo al dibattito in corso sul Concilio Vaticano II e sul nuovo pontificato. Il testo sarà tra poco pubblicato su una rivista teologica francese, mantenendo i contenuti teologici ed ecclesiologici, ma omettendo i riferimenti legati a nostre specifiche realtà locali nazionali.


  NUOVA PENTECOSTE O PENTECOSTE ININTERROTTA?


1 QUELLA DOMANDA INSIDIOSA
 
Buona parte del mio tempo la trascorro tra il confessionale e gli spazi privati in cui si svolgono gli incontri di direzione spirituale, dove con frequenza sempre più crescente mi capita di sanare le ferite sanguinanti di confratelli sacerdoti, ma anche di seminaristi partiti con tutta la purezza generata delle migliori speranze cristiane, spesso disilluse, peggio a volte tradite.        
Affermare: “Mi accade di sanare” è un modo di dire improprio. Sappiamo bene infatti che a sanare è solo la grazia di Dio, che si serve all’occorrenza di tanti strumenti diversi, incluso un utile somaro come me.
Un seminarista, studente di teologia presso una pontificia università romana, mi ha rivolto una domanda interessante ma anche complessa; a dire il vero anche insidiosa. Per questo ho deciso di rendere partecipi i lettori di questa Rivista teologica del dialogo che si è svolto tra questo giovane appena trentenne e me, giunto ormai alle soglie dei cinquant’anni. Questa la domanda rivolta: «Il periodo del post-concilio è stato celebrato come l’era della “nuova pentecoste” annunciata da Giovanni XXIII. In realtà ha visto manifestarsi una crisi come forse mai prima la Chiesa dovette affrontare. Come spiegare una così radicale devastazione e un così lungo periodo di cecità e di silenzio da parte di chi avrebbe il dovere di custodire la fede e di guidare il gregge?».                                  

Ho risposto con delle considerazioni teologico-pastorali incentrate sulla “ermeneutica della continuità” e sulla “ermeneutica della discontinuità” …
… negli anni del post Concilio presero vita due ermeneutiche contrarie, a tratti antitetiche. L’ermeneutica della discontinuità e della rottura, che ha fatto ampia breccia sui mass-media grazie alla prolifica opera di molti esponenti della teologia moderna; e l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità. L’ermeneutica della discontinuità porta a una rottura inevitabile tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare, con tutto ciò che di pericoloso ne consegue.

Credo che il Signore Gesù sia stato chiaro nell’affermare «Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»[1]. E spiega anche come mai  fosse «utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore. Ma, se me ne vado, io ve lo manderò»[2]. E ci rassicura: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto»[3].                                                                                 L’evento della Pentecoste cominciato nel cenacolo dello Spirito Santo non ha mai avuto fine e da allora fermenta in un processo di ininterrotta continuità, con buona pace dei padri della Scuola di Bologna: Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo e della cosiddetta ermeneutica della discontinuità prodotta a loro dire dal Vaticano II. Teoria sulla quale suonano — mi si passi il termine affatto insolente ma solo giocondo — flautini e controfagotti come certi nostri laici cattolici italiani, da Alberto Melloni a Enzo Bianchi, circondati da un riverente coro secolare d’atei devoti assisi dentro e fuori dal Cortile dei Gentili del Cardinale Gianfranco Ravasi; e che da troppo tempo pontificano senza possibilità d’ortodosso contraddittorio dottrinale alcuno. Presenze a tratti assolute sulle televisioni pubbliche e private, promossi dalla stampa anticattolica e dalla grande editoria italiana, incluse purtroppo stampa ed editoria cattolica, a partire da quella gestita da congregazioni religiose come la Società San Paolo, o persino dalla Conferenza Episcopale Italiana, come nel caso di Avvenire, organo ufficiale dei Vescovi d’Italia, da sempre vetrina e tribuna per svariati di questi personaggi noti per la loro discutibile dottrina.
 
 
2. QUELLA DITTATURA DISTRUTTIVA DEI MAESTRI DEL «PIÙ DIALOGO, PIÙ COLLEGIALITÀ PIÙ DEMOCRAZIA NELLA CHIESA»
 
 
Nel senso più squisitamente gramsciano del termine, flautini e controfagotti hanno da troppo tempo egemonizzato l’intera scena pubblica sul piano storico, teologico e pastorale, ponendo in atto un pericoloso processo che de facto esclude ogni voce contraria, ma soprattutto ogni voce autenticamente cattolica[4]. Un fenomeno giunto ormai al tumore con metastasi diffuse nelle nostre chiese del Nord Europa, dove da decenni s’ha persino l’ardire di chiamare il tutto: “Più dialogo … più collegialità … più democrazia”[5], mentre sempre più numerose sono le chiese antiche dei grandi centri storici urbani ormai vuote da alcuni decenni e per questo messe in vendita dalle diocesi, per essere acquistate da privati o da società e dalle stesse trasformate in eleganti ristoranti o in negozi di lusso. Credo che affiggere su questi stabili lapidi alla memoria del Padre Edward Cornelis Florentius Alfonsus Schillebeeckx O.P. o del Padre Karl Rahner S.J, per celebrare e tramandare ai posteri i concreti risultati della loro evidente opera e di quella ancora peggiore dei loro “nipotini” socio-politici camuffati da teologi, più che ironia sarebbe solo pura e semplice onestà intellettuale ed ecclesiale, proprio ciò che oggi pare mancare più che mai, in basso e in alto.
 
3.  LE PERLE: BRUNO FORTE E IL “PAPATO COLLEGIALE”, IL PORTAVOCE DELLA SALA STAMPA VATICANA ED ENZO BIANCHI CHE “REINVENTA LA CHIESA”
 
Di recente, poco dopo l’elezione del nuovo Romano Pontefice, S.E. Mons. Bruno Forte, responsabile della dottrina della fede della Conferenza Episcopale Italiana — di cui s’è occupato in recente passato il presbitero e teologo Brunero Gherardini, senza che ciò producesse i frutti da pochi o da molti sperati[6] — è tornato a deliziarci coniando un nuovo istituto ecclesiale in un’intervista rilasciata nel marzo 2013 a uno Speciale di Rai Uno: il «Papato collegiale». Nei giorni successivi, a noi presbiteri che viviamo a contatto con le membra vive del Popolo di Dio, non è stato facile rispondere a quanti hanno domandato spiegazioni a tal riguardo. Ciò non tanto per la perla ecclesiologica in sé, ma per l’autorevole bocca che via etere l’ha fatta giungere alle orecchie di milioni di telespettatori.                                                                                                                     
Simile modo mi piacerebbe sorvolare — ma per cattolica onestà pastorale e teologica non lo posso fare — sul pubblico discorso fatto dal portavoce ufficiale della Sala Stampa Vaticana in occasione del 70° genetliaco del “priore” di Bose, ossia quella deliziosa persona di Enzo Bianchi che «ci aiuta a reinventare la Chiesa»[7]. Un termine, quello di «reinventare la Chiesa» o di «reinventare la fede»[8], olezzante vecchia naftalina anni Settanta, tra fumosi comitati di base dove si giocava a fare sul serio quando si discuteva su “la sintesi dialettica dell’alternanza ideologica” e nei quali l’effige di nostro Signore Gesù Cristo veniva rischiosamente confusa con quella di Ernesto Guevara, noto comeel Che. E se nel 2013, al riverbero delle candeline poste sulla torta di compleanno di un settantenne, presente come illustre relatore anche il portavoce ufficiale di Sua Santità, ci si trastulla ancora su questo «reinventare», francamente non ci resta che implorare: miserere nostri, Domine, miserere nostri.In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum[9]. E infine confidare: quoniam in aeternum misericordia eius[10].
 
 
4.  NON SI GIOCA CON LE PAROLE: L’EVENTO DELLA PENTECOSTE
È NEGAZIONE DELLA ERMENEUTICA DELLA ROTTURA
 
L’evento storico e reale della Pentecoste[11] è la negazione cristologica e pneumatologia dell’ermeneutica della rottura, per non parlare di certe ricostruzioni che nascono dopo devastanti decostruzioni sulle ceneri delle quali si cerca poi di reinventare la Chiesa di Cristo. Nell’esperienza cristologica noi siamo chiamati a scoprire e accogliere il Verbo Incarnato e a viverlo in unione di mutua trasformazione[12], non certo a porlo sul tavolo delle autopsie esegetiche per smembrarlo e per poi ricucirlo a nostro modernistico piacimento, prendendo del corpo di Cristo ciò che ci piace e nel modo in cui ci piace. O per meglio dire: «Si è affermato un cattolicesimo à la carte, in cui ciascuno sceglie la porzione che preferisce e respinge il piatto che ritiene indigesto[13]».
L’invito a essere «perfetti nell’unità»[14] implica come suffisso l’armonica continuità, affinché «il mondo creda che tu mi ha mandato»[15]. Affermazioni, quelle giovannee, che delineano un inizio e una continuità incessante, sino alla parusia.                                                                           
Dalla Pentecoste nasce e prende avvio la storia della Chiesa e cominciano gli “Atti degli apostoli[16]. La Chiesa è dunque frutto vivo di un inizio che non ha mai avuto fine e da sempre è missionaria e pellegrina sulla terra.                                                                                                   

Forse, con l’espressione «nuova Pentecoste», s’intendeva riferirsi in modo più accattivante che teologico, o forse meglio poetico-mediatico, non tanto a una nuova discesa dello Spirito Santo sul Cenacolo, quanto all’opera incessante sulla Chiesa del Donum Dei altissimi che Gesù ci ha promesso sino alla fine dei tempi. Perché se la Chiesa non fosse di fatto governata dallo Spirito Santo di Dio, al presente noi non saremo qua; saremo solo oggetto di studi antropologici, alla stessa stregua in cui oggi sono studiate le antiche ed estinte credenze religiose di egizi, etruschi, greci …          
La teologia ha però un proprio linguaggio, diretto e preciso, basti pensare al problema teologico della Persona di Gesù che scuote i primi otto secoli di storia della Chiesa, tra eresie e problemi semantici a non finire tra Oriente e Occidente. E oggi, mentre ci avviamo sul finire di questo anno 2013, la mancanza di chiarezza e le affermazioni ambigue sembrano spesso farla da padrone in seno alla Chiesa, con uno smarrimento da parte dei fedeli cattolici che non s’era mai visto prima, tanto quanto mai, prima d’oggi, s’erano viste orde di anti-cattolici militanti e di atei devoti celebrare la liquida simpatia mediatica della persona umana in sé e fine a sé, anziché il solido ministero petrino edificato su una roccia che per mistero di grazia non dovrebbe mai essere scissa dalla persona che la incarna, posto che il Principe degli Apostoli cessa di essere Simone per diventare Pietro, la pietra sulla quale il Cristo ha edificato la sua Chiesa.
Oggi, in che misura al pescatore Simone è chiaro di essere l’universale pastore Pietro e in che misura all’universale pastore Pietro è chiaro che non può proseguire a essere il pescatore Simone perso per le periferie esistenziali dei villaggi dei pescatori della Giudea?

La buona e sana teologia e per logica conseguenza il migliore e sano ministero pastorale, non contempla espressioni estemporanee o cosiddette comunicazioni “a braccio”, stile “mozioni” da carismatici-animisti o “risonanze” da neocatecumenali-pentecostali, ma parole chiare e precise, non circonlocuzioni che possono voler dire tutto ma volendo anche l’esatto contrario, secondo la logica delle “parole nuove” rivelatasi nel corso dell’ultimo mezzo secolo tragicamente fallimentare.
A tal proposito è sufficiente ricordare che il mistero di quel «Verbo che si fece carne» che «era in principio ed era presso Dio»[17], era a tal punto grande che non esistevano neppure parole sul vocabolario per poterlo definire. Per questo abbiamo dovuto creare anzitutto le parole, prese perlopiù a prestito e modulate dal pensiero filosofico greco, basti pensare al concetto di ipostasi che indica la natura umana e la natura divina del Verbo fatto carne che abitano la stessa persona.                       

Siamo di fronte a un’architettura teologica, a un impianto di ingegneria costruito al millimetro nel corso dei secoli[18]. E, proprio da questo, nascono certi problemi: taluni filoni dell’ultimo concilio hanno insinuato diverse ambiguità nell’assisa, poi esplose in modo virulento nel post concilio, fino a creare l’idea di per sé ecclesialmente aberrante di ermeneutica della discontinuità, sfociata infine — e ciò con tutte le più drammatiche ed evidenti conseguenze — nella vera e propria dittatura del relativismo[19] di coloro che per alcuni decenni hanno giocano con “parole nuove”. E oggi, da una cattedra teologica all’altra, alcuni insegnano come superdogmatica “verità” di “fede” che il Concilio avrebbe rotto con la precedente tradizione[20]. Quel che poi è peggio e che costoro parlino della “precedente” Chiesa come se, in tutto e per tutto, fosse veramente un’altra Chiesa …
 
 
5.  LE ERESIE PEGGIORI COMINCIANO SEMPRE
GIOCANDO SULLE PAROLE
 
… asserire in modo aperto o ambiguo che la Chiesa del post concilio Vaticano II è un’altra Chiesa rispetto alla precedente è pura contraddizione teologica in termini, oltre che letale su altri delicati versanti ecclesiologici, pastorali e formativi. Procedendo a questo modo si opera una vera e propria corruzione delle menti dei nostri giovani e dei futuri sacerdoti, prima costretti ad assimilare queste dottrine ingannevoli e poi obbligati a ripeterle con le identiche parole attraverso le quali molti dialoganti docenti “liberal collegiali” esigono sentirsele ripetere in molte università e atenei pontifici romani e non solo. Salvo recidere di netto le gambe — in modo naturalmente dialogante e liberal collegiale, s’intende! — a chi osa non omologarsi alle loro fraseologie ereticheggianti, o peggio a chi osa non pensarla come loro.

Non è certo storia nuova, anzi è noto da sempre in che misura ultra liberisti o eretici siano per loro intima natura sprezzanti, aggressivi e coercitivi; in modo particolare quelli mascherati dietro le velette da sposa del “più dialogo … più collegialità … più democrazia”. Né mai si dimentichi che le eresie peggiori cominciano sempre giocando sulle parole[21], per giungere infine a decostruire o distruggere la fede nelle membra vive del Popolo di Dio, dopo avere svuotato le parole del loro significato e averle riempite d’altro.          
E il parlare ambiguo, oltre ad essere un non-parlare-teologico, sortisce sempre l’effetto di un parlare pericoloso, tanto più grave quanto più autorevoli sono le labbra dalle quali le ambiguità fuoriescono.        

Facciamo un chiaro esempio a tal proposito: eliminare dal lessico eucaristico la parola transubstantiatione e sostituirla col termine più socio-accattivante di transignificazione e transfinalizzazione, come insegnano certi pericolosi e mediocri nipotini della Nouvelle Théologie alla Pontificia Università Gregoriana o presso quel covo di filo-protestanti che tale notoriamente è il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, non è un semplice svecchiamento della metafisica tomista, ma qualche cosa che porta alla inevitabile allegorizzazione, all’Eucaristia come mero simbolo, non più al divino mistero della presenza reale del Cristo vivo e vero.
Chi pretende di oltrepassare la metafisica deve farlo producendo un altro pensiero che sia di rigore superiore. San Tommaso d’Aquino può essere anche superato, volendo pure sostituito, in fondo è solo un santo dottore della Chiesa, non è certo la parola incarnata di Dio, oltre a non essere esente, come tutti i mortali, da svariate imperfezioni. Dubito però che questo superamento e questa sostituzione possano avvenire attraverso l’equivoca filosofia religiosa[22] dell’Aquinate dei gesuiti degli anni Sessanta, Karl Rahner, che pretende di oltrepassare la metafisica classica rischiando nella maggior parte dei casi di riassumerne, a volte senza averne alcuna coscienza e profonda preparazione, la confusa caratteristica di fondo, tendente com’è ad articolare certe sue speculazioni muovendo dalla neo scolastica decadente con l’uso del metro di Francisco Suarez, che partendo dall’aristotelismo scolastico tomista elaborò dottrine teologiche e filosofiche per così dire originali.

Di fatto Karl Rahner, geniale, lo è senza dubbio, sicuro! È il genio della tuttologia-confuso-teologico-filosofica-sociologica, che come tale spazia dalla dogmatica alla patrologia alla ecclesiologia alla scolastica, senza conoscere bene e a fondo le une e le altre, riducendo tutto a una socio-filosofia religiosa che alcuni si ostinano tutt’oggi a chiamare: scuola teologica rahneriana.  È mezzo secolo che nelle nostre bocche spesso ricolme d’aria rimestiamo il concetto di “parole nuove”, dimenticando sempre più e sempre con maggiore pericolosità quella Parola viva, eterna e senza tempo che nasce dal mistero del Verbo Incarnato. È Dio ch’è parola vivente, ed è solo Dio che può dare un «cuore nuovo»[23] a noi, non siamo certo noi che possiamo dare un cuore nuovo a Dio con certe nostre frivole “parole nuove”.                                                                                 

Quella che taluni chiamano o che peggio bollano come “precedente tradizione”, parte dal Concilio di Gerusalemme e si sviluppa attraverso i secoli fino al Vaticano II, un concilio pastorale[24] frutto della continuità teologico-ecclesiale di tutte le esperienze precedenti. La Chiesa non nasce dalla pastoralità del Vaticano II, meno che mai dal post concilio dei teologi interpreti che hanno mutato le proprie elucubrazioni in un vero e proprio super dogma sfociato oggi in vera e propria dittatura. Dichiarare la rottura e la discontinuità con la precedente tradizione vuol dire mutare la Chiesa in altro e rompere l’unione con la continuità ininterrotta del Cenacolo. Come se d’improvviso lo Spirito Santo discendesse nella sua Chiesa per la prima volta attorno alla metà del XX secolo, pel sommo gaudio di tutti gli alti notabili della Nouvelle Théologie, o della New Theology, della Teologia della Liberazione, della Teologia Sincretista, infine della Teologia Indigenista che ha mutato la “precedente Chiesa” in una via di mezzo tra una serva al soldo dei colonizzatori e una pericolosa nemica.
 
6  LA TRADIZIONE SONO I PILONI CHE REGGONO L’ANTICO PONTE CHE
UNISCE L’UMANO E IL DIVINO, IL DIVINO E L’UMANO.
I VESCOVI CHE HANNO PARTECIPATO AL SINODO, SI RICONOSCONO
NEL DOCUMENTO FINALE DELLA EVANGELII GAUDIUM?
 
La “radicale devastazione” che oggi abbiamo sotto gli occhi nasce dal fatto che invece di “rinnovare” la Chiesa nel rispetto e nel rafforzamento della tradizione e del dogma, molti sono andati a intaccarne i delicati equilibri che hanno preso vita e che si sono poi solidificati a partire dalla prima epoca apostolica, rafforzandosi attraverso i grandi concili dogmatici e l’opera dei grandi padri della Chiesa. Con la stagione del post concilio si è aperta la grande crisi del dogma, ed alle verità divine ed eterne hanno finito col sostituirsi le dogmatizzazioni dei pensieri umani, perché quando l’uomo non crede più alle verità fondamentali, finisce per credere in tutto, lanciandosi allo sbaraglio attraverso parole ambigue nascoste dietro alle immancabili “parole nuove” dei peggiori arruffapopoli: i falsi profeti.
La tradizione sono i piloni che reggono l’antico ponte che unisce l’umano e il divino, il divino e l’umano. All’epoca che quel ponte fu costruito, appresso ampliato e rafforzato nel tempo, non esistevano le automobili, si viaggiava a piedi o coi cavalli. È chiaro che a un certo punto l’antico ponte doveva essere reso idoneo anche per il transito delle automobili. Purtroppo però, alcuni “teologi ragazzini”, quelli che discutevano nei bar e nelle osterie di Roma coi giornalisti sulle strategie da portare nell’assemblea conciliare, sono andati a intaccare proprio i piloni. E oggi ci ritroviamo con un ponte pericolante e inagibile, grazie ai vari Giuseppe Ruggieri e ai vari Andrea Grillo lasciati incoscientemente dai nostri vescovi a insegnare negli studi teologici, per avvelenare alla radice le menti dei nostri futuri sacerdoti preposti poi a confondere e scandalizzare il Popolo di Dio nella dottrina della fede e nella sacra liturgia, giudicando impietosamente e aggressivamente coloro che si dichiarano scandalizzati dalle loro parole, dei “cattolici infantili” e “immaturi” non divenuti ancora dei veri “cristiani adulti” sotto il vento della nuova Pentecoste grazie alla quale nel XX secolo è nata finalmente la Chiesa, dopo che per XIX secoli abbiamo solo scherzato.

Non so che cosa intenda fare chi per alto e ineffabile ministero è chiamato a custodire la fede e a guidare il gregge, ciò che so è che egli è il ponte, anzi secondo l’etimo di pontem facere, un costruttore di ponti. Il termine di pontefice prende vita nella prima epoca romana dall’antico Pons Sublicius. Così era infatti chiamato il gran sacerdote dell’antica religio[25]pontifex maximus, che assiso su quel ponte vigilava sui movimenti delle acque e sul volo degli uccelli, oltre a compiere vari altri riti. Oggi, il nostro Sommo Pontefice, rischia di ritrovarsi coi cieli sovrastanti il ponte coperti da stormi d’avvoltoi, ai quali speriamo di tutto cuore che non funga da involontario e inconsapevole richiamo. 
A maggior ragione confidiamo in lui per vedere di nuovo le rondini volare nei cieli e riportare la primavera di sempre, quella del cenacolo degli apostoli. 
La sola e vera primavera nata dallo Spirito Santo di Dio, cominciata in quel cenacolo apostolico e da allora mai tramontata, malgrado l’impegno, forte e incessante nei secoli di molti uomini, di far calare il sipario delle tenebre, ora attraverso “parole nuove” pronunciate sul cadavere disteso sopra al lettino delle autopsie dell’anatomopatologo, ora con la “ermeneutica della discontinuità” … Per questo ritengo ragionevole affermare che dal cenacolo dello Spirito Santo sino alla parusia non è possibile giungere al «Suo regno che non avrà fine» attraverso la discontinuità e le ambigue “parole nuove”, specie quelle dei falsi profeti che “reinventano la Chiesa”, ma solo attraverso quella continuità perfetta e di quelle parole precise di cui l’uomo, per quanto fallibile e imperfetto, è chiamato a essere fedele strumento, perché tempio privilegiato dell’azione di grazia di Dio sin dall’alba dei tempi.

Questo il motivo per il quale, letta l’esortazione post sinodale Evangelii Gaudium mi sono rinchiuso nel silenzio, consapevole di quanto in certi momenti, l’efficacia della preghiera cristiana che nasce dalla vera fede, giovi molto più alla Chiesa di quanto non le giovi invece il prendere la rincorsa per andare a battere la testa sopra a un muro di gomma, mossi da una disperazione tutta quanta umana e forse anche poco cristiana.

La risposta a questo documento non posso certo darla io che sono l’ultimo presbitero dell’orbe cattolica, dovrebbero darla però i vescovi, in particolare coloro che a quel sinodo hanno partecipato, rispondendo a quesito semplice e ovvio: si riconoscono, in modo libero e collegiale, nella liquida mancanza di chiarezza delle parole a tratti ambigue che caratterizzano quel documento conclusivo che pare ora dire tutto e poco dopo forse il suo esatto contrario?

Con dolore e smarrimento posso solo dire che quel documento sembra un assurdo: non si sa a chi parla né che cosa vuole. Non è né teologia né omiletica ma retorica con non poche punte di ambiguità. Non si dice “si” e non si dice “no”, si dice che forse potrebbe essere un po’ no e  forse un po’ si. Sembra tutto quanto dettato da quei teologi progressisti ormai al potere che mirano a “reinventare la Chiesa” con le loro rovinose “parole nuove”.

E che lo Spirito Santo di Dio assista la sua Chiesa e assista tutti noi suoi servi fedeli e devoti.



Ariel S. Levi di Gualdo  [26]

 

pubblicato anche su  Conciliovaticanosecondo




[1] Mt. 28, 20.


[2] Gv. 16, 7-15.


[3] Gv. 14, 26.

[4] Merita ricordare che quando il teologo e filosofo metafisico Antonio Livi contestò con pastorale e teologico garbo il pensiero di Enzo Bianchi confutandone punto per punto gli errori dottrinari, fu duramente attaccato in modo livoroso e scomposto dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che non gli consentì di replicare su quel giornale cattolico, come peraltro contempla in certi specifici casi il civile e democratico diritto al contraddittorio, che dovrebbe essere particolarmente sentito e praticato da quei filoni che invocano “più collegialità” e “più dialogo”. Antonio Livi replicherà sul quotidiano cattolico on-line La Nuova Bussola Quotidiana nel mese di dicembre 2012. Nessun intervento e provvedimento da parte delle competenti autorità della Conferenza Episcopale Italiana fu preso nei riguardi del direttore e dell’editorialista che seguita a scrivere ambiguità teologiche ed ecclesiologiche su quel quotidiano così particolare.


[5]  Nella mia opera E Satana si fece TrinoRelativismo, individualismo, disubbidienza. Analisi sulla Chiesa del terzo millennio, ho dedicato a questo delicato argomento un articolato paragrafo  titolato: «La Germania tra secolarizzazione radicale e scisma di fatto». Pagg. 157-169. Bonanno Editore, Roma 2011.


[6]  Cf. Disputationes Theologicae, Il Dio di Gesù Cristo. 29 gennaio 2010.


[7] «È stato presentato ieri a Torino alla presenza di Padre Federico Lombardi S.J, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, e di Massimo Cacciari, “La sapienza del cuore”, il libro con cui Einaudi festeggia i 70 anni di fr. Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, nato a Castel Boglione (AT) il 3 marzo 1943. Nel volume (760 pagine, 28 euro), definito nella presentazione “un autentico liber amicorum”, si trovano più di centotrenta interventi di personalità quali: card. Gianfranco Ravasi, mons. Bruno Forte, mons. Mariano Crociata, Alberto Melloni, ma anche Roberto Bolle, Claudio Magris, Guido Ceronetti, Giovanni Bazoli, Guido Martinetti, Federico Grom, Ferruccio de Bortoli, Ezio Mauro,  Michele Serra, Barbara Spinelli. «Il tema del reinventare la Chiesa, letto attraverso queste pagine» ha affermato Padre Lombardi nel suo discorso, «ha evocato in me una forte sintonia con ciò che mi sembra avvenire sotto i nostri occhi ogni giorno in quest’ultimo periodo, in modo inaspettato e sorprendente, in questo inizio di pontificato». [Fonte: Domenico Agasso Jr. Vatican InsiderLa Stampa It, 3 maggio 2013].


[8] I termini «reinventare la Chiesa» e «reinventare la fede» sono espressioni molto comuni nelle cosiddette “chiese di base”, o del celebre movimento “Noi siamo Chiesa”. Termine letteralmente abusato e soprattutto ideologizzato nella Teologia della Liberazione. A tal proposito si può consultare: Leonard Boff, Ecclesiogenesi. Le comunità di base reinventano la Chiesa.Borla Editore, Roma 1978. Si segnala inoltre un interessante articolo del Padre Giuseppe De Rosa S.J.  Le «Comunità di base» in Italia.  Pagg. 221-235. La Civiltà Cattolica, vol. I, quaderno 3133 – 3 gennaio 1981.


[9]   Te Deum laudamus.

[10]  Sal. 135.


[11] At. 2,1-13.


[12] «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [II, Gal. 2, 20].


[13] S.E. Adriano Bernardini, all’epoca nunzio apostolico in Argentina. Da un’omelia pronunciata il 27 febbraio 2011 a Buenos Aires poco prima del suo rientro in Italia per prendere possesso della sede della nunziatura italiana (CNA / EWTN News).


[14] Gv. 17, 23.


[15] Gv. 17, 21.


[16] Decreto conciliare Ad Gentes, 4.


[17] Gv. 1,1.


[18] Rimando alla mia opera E Satana si fece Trino. Relativismoindividualismo, disubbidienza, analisi sulla Chiesa del terzo millennio. Bonanno Editore, Roma 2011. Cit. pag. 102.


[19] Cf. Locuzioni varie di S.S. Benedetto XVI.


[20] Cf. Bunero Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento, 2010.


[21] Cf. Leonardo Grazzi, Arianesimo. Una tentazione antica e presente. Bonanno Editore, Roma 2013.

[22] Cf. Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica «scienza della fede» da un’equivoca «filosofia religiosa». Edizioni Leonardo da Vinci, Roma 2012.


Giovanni Cavalcoli O.P. Karl Rahner. Il concilio tradito. Ed. Fede&Cultura, 2009.


[23] Cf. Ez. 26.


[24] Cf. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare. Casa Mariana Editrice, Frigento, 2009.


Roberto de Mattei, Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta. Edizioni Lindau, 2010.


[25] Cf. Duodecim Tabularum Leges, 451-450 a.C. antica raccolta di regole di diritto romano privato e pubblico.


[26] Ariel Stefano Levi di Gualdo nasce nella Maremma Toscana il 19.08.1963. È consacrato sacerdote a Roma. Dirige la Collana teologica Fides Quaerens Intellectum delle Edizioni Bonanno. Svolge il ministero sacerdotale principalmente come confessore, direttore spirituale e predicatore. È autore di diversi saggi editi dalla Casa Editrice Bonanno e di vari articoli pubblicati su varie riviste teologiche internazionali italiane e straniere.










 
 
[Modificato da Caterina63 04/12/2013 16:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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