A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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LE PIAGHE DELLA CHIESA DOPO IL CONCILIO - Don G. Lentini - ed altri testi

Ultimo Aggiornamento: 25/07/2016 12:43
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23/07/2012 00:18
 
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[SM=g1740720] LE PIAGHE DELLA CHIESA DOPO IL CONCILIO
secondo il mite e grande papa Paolo VI
non ancora rimarginate

CATTOLICI:
CREDIAMO QUELLO CHE DIO CI HA RIVELATO
E LA CHIESA CI PROPONE A CREDERE

Giorni fa venne a trovarmi, nella sacrestia della chiesa in cui giornalmente celebro, un vecchietta ottantenne. Dopo avermi salutato con l’ormai fuori uso «Sia lodato Gesù Cristo», mi volle raccontare quel che le era successo il giorno prima, per avere il mio parere. Me lo raccontò in perfetto dialetto siciliano; ne faccio perciò una fedele traduzione in italiano. Ecco.
 

«Mentre recitavo il santo Rosario vennero a trovarmi due testimoni di Geova, i quali sfacciatamente mi rimproverarono perché recitavo il Rosario. “Devi leggere il vangelo - mi dissero - e non dire il Rosario!”.
Io risposi: Avete la testa guastata. Intanto in non posso leggere il vangelo, perché non ci vedo bene; e poi il Rosario è vangelo: i misteri sono vangelo, il Padre nostro è vangelo, l’Ave Maria è vangelo. “Ma tu - mi dissero ancora - preghi la Madonna, e la Madonna non si prega; si prega il Signore”. Ed io infatti, ribattei, prego il Signore; dico alla Madonna solo: Prega per noi peccatori.
Ed essi: “La Madonna è una donna come le altre, e non è neppure vergine. Perciò non può fare niente”. Risposi: La Madonna non è una donna come le altre: è la benedetta fra tutte le donne. Ed è la Vergine: vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto; è scritto nel catechismo! Ed essi: “Nel vangelo c’è scritto che ebbe altri figli, e quindi non è vergine”. Non può essere - risposi - perché la Chiesa ci insegna che è vergine e noi cattolici crediamo quello che Dio ci ha rivelato e la Chiesa ci propone a credere.
A questo punto aprirono il vangelo, e mi lessero che, dopo il miracolo delle nozze di Cana, Gesù se ne andò a Cafarnao con Maria e i suoi fratelli; perciò, dicevano, se Gesù ebbe dei fratelli, Maria non era più vergine. Ma io insistevo: se la Chiesa ci insegna che Maria è la sempre Vergine, non può essere che così. Ed essi: “Nel vangelo c’è scritto diversamente”. Allora io tagliai corto dicendo: Non può essere. Se la Chiesa insegna che Maria è la sempre Vergine, vuol dire che voi non sapete leggere il vangelo!».


Poi concluse: «Mi dica, Padre, ho risposto bene?».

«Benissimo, meglio di qualche professore di teologia», le risposi. E se ne andò felice, mentr’io ripetevo la preghiera di Gesù: «Io ti rendo lode, o Padre... che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10,21).
Una donnetta analfabeta col solo Catechismo di Pio X ha una fede genuina e granitica; si sfalda invece quella di certi dotti e sapienti, superbi e pieni di sé, i quali, più che attuare il Concilio, lo hanno strumentalizzato e piegato alle loro idee stravaganti o addirittura eretiche; una donnetta ha una comprensione esatta e precisa di ciò che importa essere cattolici, tanti dotti e sapienti hanno smarrito, dopo il Concilio, le linee maestre della fede cattolica disintegrandola in una logica autenticamente protestante.

[SM=g1740771]  continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/07/2012 00:21
 
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[SM=g1740733]  GIOVANNI PAOLO II:
OGGI CRISTIANI IN GRAN PARTE
SMARRITI PERPLESSI DELUSI

Già nel 1968, il 7 dicembre, a tre anni esatti dalla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, Paolo VI, in un discorso agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, doveva amaramente constatare: «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine... Si pensava a una fioritura, a un’espansione serena dei concetti maturati nella grande assise conciliare. C’è anche questo nella Chiesa, c’è la fioritura; ma poiché “bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu“, si viene a notare maggiormente l’aspetto doloroso».

Giovanni Paolo II, il 6 febbraio 1981, rivolto ai partecipanti al primo Convegno «Missioni al Popolo per gli anni ‘80», ebbe a dire: «Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi; si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa la Liturgia; immersi nel “relativismo intellettuale e morale”, e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva».

Il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione della Fede, poco più di un decennio fa dichiarava: «Si ha l’impressione che la storia del cristianesimo sia stata una continua battaglia di ripiegamento, durante la quale si sono smantellate una dopo l’altra molte affermazioni della fede e della teologia. Naturalmente si è trovato di continuo qualche sotterfugio per potersi ritirare. Ma è quasi impossibile sottrarsi al timore di essere a poco a poco sospinti nel vuoto e che arriverà il momento in cui non avremo più nulla da difendere e nulla dietro cui trincerarci; il momento in cui tutto il terreno della Scrittura e della fede sarà occupato da una ragione, che non lascerà più seriamente sussistere alcunché di tutto questo» (Avvenire 4.12.1990).

Questo momento sembra essere arrivato particolarmente per l’Europa centrale, e non solo per essa. Lo stesso cardinale Ratzinger, in un’intervista concessa al giornalista G. Cardinale (Avvenire, 27.4.2003) constatava: «Senza voler condannare nessuno è evidente che oggi l’ignoranza religiosa è tremenda, basta parlare con le nuove generazioni... Nel post-Concilio non si è riusciti concretamente a trasmettere i contenuti della fede cristiana».

Ebbene, intendiamo analizzare gli aspetti della crisi della Chiesa post-conciliare denunciati da Paolo VI, e non ancora risolti, che sono i seguenti:
1) la Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte;
2) trasformazione esteriore e impersonale dell’edificio ecclesiastico;
3) accettazione delle forme e dello spirito della Riforma protestante;
4) non ci si fida più della Chiesa.


Tale analisi, pertanto, non ha lo scopo di incrudelire contro la Chiesa che amiamo come amiamo Cristo suo Capo, né di demoralizzare chi legge, bensì di spingere tutti i veri cattolici a prenderne coscienza per evitarla ed estirparla.  
 

D’altronde, noi crediamo e perciò siamo sicuri con sant’Ambrogio, uno dei grandi Padri della Chiesa, che, nonostante tutto, «fra le tanti correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l’infuriare del mare in tempesta. È battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato» (Dalle lettere, Breviario 7 dicembre).

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Fraternamente CaterinaLD

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23/07/2012 00:24
 
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1. LA CHIESA VIENE COLPITA NON SOLO DAI NEMICI, MA PURE DA CHI NE FA PARTE

Paolo VI, nel già citato discorso agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, diceva: «Oggi ci sono coloro che si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio... La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte; e un tale tumulto che tocca la Chiesa, come è logico, si ripercuote soprattutto sul Papa».

Giovanni Paolo I, quando ancora era patriarca di Venezia, nell’omelia di fine anno 1973, dopo avere elencato solo alcune  cervellotiche interpretazioni del Concilio, diceva: «Credo che bastino per darci la sensazione del momento difficile e della necessità di stringerci campatti attorno al Papa ed ai Vescovi del vero e autentico Concilio Vaticano II. Gli uomini dell’altro concilio dichiarano, infatti, di voler rimanere a bella posta dentro la Chiesa per disintegrarla dall’interno. “Restare dentro l’istituzione verso e contro tutto... aiuta a far avanzare un numero crescente di cristiani e l’istituzione stessa verso un impegno più audace” (G.Girardi, Christianisme, libération humaine. Lutte des classes, Paris 1972, p.204).

“Conosco contestatori, preti e laici, convinti che alle tortuose resistenze dell’istituzione si debba opporre l’astuzia, il raggiro, il ricatto, la prova di forza” (Testimonianze, XIII 1970, n.124, p.361). Situazioni di questo genere avevano già fatto dire a Maritain: non mi fanno paura quelli che se ne vanno, ma quelli che restano» (Opera omnia, vol.VI, pp.264-265).


Insomma, non pochi teologi, pur restando nella Chiesa,  non ebbero più come punto di riferimento, nelle loro riflessioni, la Tradizione e il Magistero; ma, alla stregua dei teologi protestanti... solo se stessi: il culto della loro persona, che dopo aver negato l’infallibilità al Papa e alla Chiesa, l’attribuiva a se stessa.

Un esempio per noi Italiani fu il conosciutissimo padre Ernesto Balducci, pur restando nella Chiesa,  sulla sua rivista Testimonianze nel 1970 (n.121, p.76) così scriveva: «Bei tempi quelli in cui Paul Claudel poteva rispondere ad un provocatore: “In che cosa io creda, andate a chiederlo a Roma!”. Ed ora eccoci qui, con i cocci in mano: le certezze squadrate non erano di granito, erano di terracotta. Qualcuno, tra di noi, fa ancora la voce grossa. Quel cardinale scrive: “Roma non sarà travolta!”. E il papa usa di tutta la sua autorità per imporre limiti alla libera discussione di ciò che è discutibile. Ma così è peggio... Ci lasci in pace, se ora noi, pacificati con l’uomo, vogliamo vivere la nostra fede umanamente, tenendo gli occhi fissi sull’uomo». [SM=g1740732]

Nel romanzo Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, il famoso scrittore siciliano, il capitano Bellodi chiede al mafioso don Mariano: «Certi suoi amici dicono che lei è religiosissimo». «Sì! - risponde don Mariano. - Vado in chiesa, mando denaro agli orfanelli...». «Crede che basti?». «Certo che basta: la Chiesa è grande perché ognuno ci sta dentro a modo proprio!».
Che questo lo pensi un mafioso (di poter stare dentro la Chiesa a «modo proprio») è comprensibile, poiché il mafioso pretende di stare «a modo proprio» non solo nella Chiesa, ma anche nelle amministrazioni dello Stato.
Ma che la stessa cosa possa pensare e pretendere il credente in Cristo (e tanto più se prete, teologo, esegeta, professore), e per giunta al fine di demolire, è veramente penoso e sconcertante. Costoro mancano perfino di quell’onestà, indispensabile appannaggio anche di chi non è cristiano, ma è almeno persona seria.


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23/07/2012 00:31
 
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2. RINNOVAMENTO ESTERIORE E IMPERSONALE PIUTTOSTO CHE MORALE, PERSONALE E INTERIORE

«L’interesse per il rinnovamento - ebbe a dire Paolo VI - è stato da molti rivolto alla trasformazione esteriore e impersonale dell’edificio ecclesiastico... piuttosto che a quel rinnovamento primo e principale che il Concilio voleva, quello morale, quello personale, quello interiore» (15.1.1969).

Purtroppo rinnovamento sembrò e sembra ancora creazione di strutture burocratiche sempre più numerose e capillari.
[SM=g1740733] Il cardinale Ratzinger, in una sua pubblicazione, La Chiesa, osserva: «Quanto più organismi facciamo, siano anche i più moderni, tanto meno c’è spazio per lo Spirito, tanto meno c’è spazio per il Signore e tanto meno c’è libertà. Io penso che dovremmo, da questo punto di vista, iniziare nella Chiesa, a tutti i livelli, un esame di coscienza senza riserve. A tutti i livelli questo esame di coscienza dovrebbe avere conseguenze assai concrete e recare con sé una ablatio (una eliminazione) che lasci di nuovo trasparire il volto autentico della Chiesa».


Leggendo l’Annuario Pontificio ci si accorge che diventa di anno in anno sempre più voluminoso: più ricco di centinaia di nomi di «funzionari»; e poi altri annuari riportanti gli organigrammi di conferenze episcopali continentali, nazionali, regionali, ciascuna delle quali è articolata da una serie impressionante di organi, di commissioni e di uffici. Per arrivare al parroco che è divenuto il coordinatore di una fungaia di commissioni che impegnano i pochi laici praticanti.


Occorre ormai togliere, smantellare, ritrovare l’essenziale: il Vangelo, che è molto più semplice di quella complicata e burocratica pastorale che per giustificarsi ha bisogno di complicarsi sempre più. Il Regno di Dio sembra che non simpatizzi troppo con le... troppe scrivanie dei funzionari e con quella infinità di sedute per spaccare il capello in quattro, perdendo il contatto con le pecorelle del Signore.

«Checché ne sia il rapporto tra l’albero burocratico e i mancati frutti pastorali è però innegabile che l’adeguarsi cattolico degli ultimi decenni alla struttura statale rischia di vanificare una delle più preziose singolarità della Chiesa. In essa, a differenza di quanto avviene nel “mondo”, il potere non vi era mai esercitato in modo anonimo ma sempre personale. Dal papa, ai vescovi, ai parroci, sempre una persona concreta aveva diritti, ma assumeva in proprio doveri e responsabilità. A ogni livello della struttura corrispondeva un volto e un nome. L’anonimato del ministero, della commissione, del comitato, dello staff di esperti fa parte di quello che è stato chiamato “il volto demoniaco del potere” (il diavolo, per la teologia, non è forse la non-persona per eccellenza?). Del senso di oppressione e di impotenza che ci coglie davanti a ogni burocrazia, è parte essenziale l’impossibilità di individuare “chi” decida e comandi davvero, dietro a strutture collettive che, rispondendo di tutto, non rispondono di niente. Anche in questo la Chiesa era “altra”.
Siamo davvero sicuri che ingabbiare lo Spirito in organigrammi da “sacro manegemant” sempre più complicati sia davvero un progresso, corrisponda all’intenzione di rinnovamento dei Padri conciliari, come tanti neo-clericali affermano senza esitazione?» (La sfida della fede).

Tanta parte del clero, di religiosi e religiose incominciò il rinnovamento dalla modifica o addirittura dall’abolizione dell’abito che li qualificava come tali.

Due esempi limiti sono riportati da Giovanni Paolo I, quando era patriarca di Venezia, in una lettera alla diocesi del 14.3.1972: «Alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme le guardie israeliane, in servizio alla porta, consigliano due donne a ripresentarsi vestite più decentemente. “Ma siamo suore!”, obiettano le donne. Sì, suore ultraconciliari in minigonna troppo audace!... Un vicario cooperatore accompagna il funerale in maglietta e calzoni lunghi; disdegna anticonformisticamente cotta e stola; in compenso suffraga il morto, accostando il transistor all’orecchio per seguire la partita di calcio» (Opera omnia, vol. V, p.340).

Giuseppe Prezzolini, il celebre scrittore e giornalista, sollecitato da una suorina, nel 1969 così scriveva: «Io non sono cattolico. Considero la Chiesa da un punto di vista meramente storico ed umano, e mi desta meraviglia e simpatia... Pertanto, osservando i gruppi cattolici che vogliono rinnovare la Chiesa mi ha colpito proprio questo: i preti vogliono diventare uomini comuni, come tutti gli altri. Non desiderano di essere esseri straordinari, coloro che ci liberano dai peccati, che battezzano e cacciano i diavoli (qualunque cosa sia il diavolo), che cresimano e comunicano. Vogliono invece essere mariti, padri di famiglia, segretari di sindacato, segretari del popolo. Vogliono vestirsi come gli altri, non essere riconosciuti, segnalati, distinti. Cercano l’uguaglianza in basso».

Madre Gina Tincani, domenicana, fondatrice delle Missionarie della Scuola (già citata nel precedente articolo sul post-concilio), in una lettera del 2.7.1968, a proposito del cambiamento dell’abito delle religiose, scriveva indignata: «Il Rosario. Questa cara devozione, che la Madonna ha mostrato nelle sue apparizioni sacre di approvare, gradire e di amare tanto, è oggigiorno criticata offesa disprezzata dai novatori, falsi profeti post-conciliari, che stanno alla scuola del diavolo e non della Chiesa e di Gesù Cristo. E così assistiamo allo spettacolo di intere famiglie religiose femminili che tolgono dal loro abito religioso la corona del Rosario, per essere moderne, all’altezza dei tempi! Il demonio sa bene quello che fa! Sa che il Rosario è sempre stato un baluardo della fede, che dal disprezzo del Rosario si passa al disprezzo del culto stesso alla santissima Madre di Dio».
E fu profeta: perfino nei seminari la recita del Rosario divenne un optional, lasciato alla devozione personale.     

Lo storico medievalista Franco Cardini, che ha pubblicato un libro su Francesco d’Assisi, a chi gli faceva osservare che san Francesco non indossò né fece indossare ai suoi frati un vestito diverso dai laici del suo tempo, rispondeva: «Mancano di consapevolezza storica (succede sempre più spesso, per qualunque tema, tra gli uomini di Chiesa) quei frati e quei preti che contestano l’abito clericale, cui hanno sostituito i blue-jeans, dicendo che oggi Francesco vestirebbe così. Chi conosce il Medio Evo - e, in genere, le epoche in cui la società ebbe una consapevolezza religiosa - sa benissimo che non è affatto vero. Oggi, i blue-jeans li porta anche l’avvocato Agnelli, li sfoggiano anche i più ricchi. I quali hanno imposto, per moda, quel tipo di vestire che chiamano casual: stracci, in apparenza, capi cui viene dato artificialmente un aspetto “vissuto”, magari strappati e stracciati appositamente. Sono ricchi che si vestono da finti mendicanti. Vestirsi, oggi, “come tutti” è un segno di conformismo mondano, non di radicalismo evangelico, non trasmette alcun messaggio. Al contrario del saio della corda, dei sandali che Francesco volle per sé e per i suoi» (cit. V.Messori, Pensare la storia).

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23/07/2012 00:40
 
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3. ACCETTAZIONE DA MOLTI DELLE FORME E DELLO SPIRITO DELLA RIFORMA PROTESTANTE

Paolo VI disse: “L’interesse per il rinnovamento conciliare da molti è stato rivolto all’accettazione delle forme e dello spirito della Riforma protestante” (15.1.1969). [SM=g1740732]
“Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (Intervista a G. Guitton, Paolo VI segreto).   


Don Divo Barsotti è un anziano prete, scrittore e fondatore di un istituto secolare, tanto stimato da Paolo VI da volerlo come predicatore nei suo esercizi spirituali nella Quaresima del 1971, in pieno caos contestatario. Disse in una intervista: “Ci sono oggi teologi che credono possibile superare i dogmi; si impegnano in “riletture” che in realtà ne svuotano i contenuti. È vero, è indispensabile aprirsi ai valori di altre culture diverse dalla latina, ma ciò non significa un “pluralismo teologico” come l’intendono in tanti: il Cristo è colui che assume ciò che c’è di buono e di valido ovunque, ma lo incorpora, lo trasforma, lo fa inconfondibilmente suo, in quel corpo che è la Chiesa. Al termine del processo di “apertura” non c’è la divisione, non c’è neppure il pluralismo: c’è l’unità... La fede è poi minacciata da teologi intimoriti: c’è il complesso d’inferiorità dei latini verso ciò che è scritto in tedesco; c’è il complesso d’inferiorità della cultura cristiana verso quella laica, per cui si prende sul serio ogni sproposito che venga dall’incredulità o dall’agnosticismo, senza controbatterlo in nome della verità, come sarebbe doveroso. Paura anche dell’impopolarità, per cui certuni riducono il vangelo a ciò che (presumono) si aspetta la gente, dimenticando che Gesù stesso ha voluto deludere il suo popolo. La purezza sessuale, la penitenza, la vita eterna: temi che si evitano ormai nella predicazione, per timore di non riuscire abbastanza “simpatici”. Ma che ce ne faremo di un cristianesimo così? La carità non è filantropia: questa mette al primo posto l’uomo, quella l’uomo anch’essa, ma per amore di Dio. E ciò cambia tutto” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo).

Mons. Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione, “non ha dubbi: in questi anni i cattolici sono chiamati a schierarsi, e a battersi per il futuro stesso del cristianesimo. E gli avversari non stanno più soltanto fuori; ma i più insidiosi si anniderebbero anche dentro la Chiesa. “Oggi - dice testualmente - siamo tornati a una situazione simile a quella in cui visse sant’Ambrogio, quando quasi tutta la Chiesa sembrava divenuta ariana”.
L’arianesimo - sarà bene ricordarlo - è l’eresia che declassa il Cristo, riducendolo a un uomo eccelso, ma non della stessa sostanza del Padre.
Un ritorno all’arianesimo, ma anche il ritorno di un’altra eresia: il pelagianesimo. Dunque, la negazione del peccato originale, la relativizzazione dell’importanza di battesimo, grazia, penitenza, preghiera.
“Insomma - afferma don Giussani - circola nella Chiesa un miscuglio di antiche eresie presentate da qualcuno come cose nuove. C’è un battere continuo sulla sola ragione, intesa però in senso illuministico, come la mia opinione, come ciò che in quel momento sembra a me vero. È qui, soprattutto, che vedo in azione un processo che insidia mortalmente il cattolicesimo di oggi: il pericolo di una protestantizzazione, per cui la Chiesa non è più la struttura di salvezza in cui continua a vivere Cristo, il quale parla attraverso il Magistero, ma è un club  di lettori dello stesso libro. Il processo degenerativo è oggi rilevante. Ai tempi della Riforma, almeno Italia, Spagna, Portogallo restarono saldamente cattoliche. Ora lo spirito protestante serpeggia un po’ ovunque”.

Non c’è qui, io dico (V. Messori, l’intervistatore - ndr), una scarsa attenzione allo spirito ecumenico che il Concilio ha tanto raccomandato?
“Niente affatto - risponde l’intervistato. - Ho grande stima per l’esperienza protestante. Ma questo non impedisce di deprecare l’infiltrazione nel cattolicesimo di atteggiamenti estranei alla sua natura: e il protestantesimo è tra questi. Oltretutto (il protestantesimo - ndr) è un cristianesimo ridotto a sola Parola, a sola lettura della Bibbia, non più visto e vissuto come realtà... Per giunta la Parola cui è ridotto è sfracellata da una esegesi biblica che ha fatto dell’intelligenza illuministica il suo nuovo idolo”.

“Della confusione in cui è stata gettata la Chiesa - continua a dire don Giussani -, soprattutto a danno dei membri più semplici e indifesi, sono responsabili certi teologi con la loro leggerezza e il loro terrore di non essere graditi, alla moda, accettati, applauditi. Da un lato la ricerca teologica aveva, come sempre nella Chiesa, un suo preciso diritto. Dall’altro lato la divulgazione teologica - su giornali e libri - è stata maneggiata in modo irresponsabile, quando non strumentalizzata, come sfogo intemperante, come autoaffermazione vanitosa... Ciò che rimproveriamo a certa teologia post-conciliare è l’avere scelto di essere subalterna alla cultura laicista; di essersi fatta, e volontariamente, cortigiana e serva della mentalità egemone. E non si accorgono che quel laicismo che mette loro tanta soggezione e bisogno di riverirlo, è in agonia, assieme a tutta la modernità nata dall’illuminismo settecentesco... Comunque non possono pretendere di parlare secondo lo spirito del Concilio e si rifanno ai testi conciliari coloro che rimuovono al contempo l’insegnamento del  Magistero, dei Papi soprattutto, ossia l’interpretazione autentica del Vaticano II” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo).


Da qualche mese viene diffuso in Italia un Dizionario della Bibbia, edito da Zanichelli, diffuso per corrispondenza dall’editore di area cattolica Piemme, con prefazione del "presunto" monaco cattolico Enzo Bianchi, sponsorizzato dal settimanale "cattolico" - si fa per dire - Famiglia Cristiana con giudizio persino positivo del celebre esegeta cattolico mons. Gianfranco Ravasi, riportato sul dépliant. Il dizionario è tradotto dall’inglese, il cui titolo originale è: Harper Collins Bible Dictionary, curato dalla Society of Biblical Literature; l’ edizione italiana è a cura di Piero Capelli.
Perché i lettori se ne facciano un’idea riproduco alcune voci, e solo nelle parti essenziali. Ecco.
Cercando Eucaristia si è rimandati alla voce Ultima Cena; vi si legge tra l’altro: “È l’ultimo pasto consumato da Gesù prima della morte”. Niente dunque memoriale.
Del capitolo VI del vangelo di Giovanni viene detto: “Almeno tre interpretazioni di queste parole sono possibili.
1) quando i fedeli mangiano il pane e bevono il vino, essi stanno partecipando del cibo e della bevanda sacri che danno la vita eterna;
2) il linguaggio di mangiare la carne e bere il suo sangue suggerisce come occorra appropriarsi della salvezza, resa possibile attraverso la morte di Gesù, unendosi spiritualmente al Crocifisso e Risorto;
3) alla luce di Gv 6,63, il linguaggio sconvolgente e offensivo (per es. nei vv.51.52-57) indica lo scandalo dell’incarnazione: per avere la vita eterna occorre affidarsi a Gesù in quanto rivelatore inviato da Dio, Verbo fatto carne (Gv 1,14)”. E così la realtà eucaristica di Sacrificio, Comunione e presenza reale di Cristo viene dimenticata e annullata.


Maria Vergine: “È la moglie di Giuseppe, conosciuta come “la Vergine””. Però, Paolo scrivendo “Giacomo, “fratello del Signore” in Gal 1,19 suggerisce che Maria avesse un altro figlio”. E salta la perpetua verginità di Maria.
Leggiamo ancora: “Marco ci presenta Maria negativamente... Per esempio, la risposta di Gesù, “un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” include evidentemente anche sua madre”... Matteo ci presenta Maria meno negativamente, e positivamente Luca... Le parole di Simeone a Maria: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35), la qualificano forse come una che ascolta e osserva la parola di Dio”.


Pietro: “Pietro è uno dei discepoli di Gesù. Secondo Marco fu scelto per la rivelazione del Cristo risorto (16,7). In questo modo Pietro divenne uno speciale destinatario della conoscenza e della rivelazione esoterica”. Si parla pure del primato di Pietro. Ma in che cosa consiste? Ecco: “I Sinottici insistono che Pietro fu il primo ad essere chiamato in ordine di tempo e il primo dei Dodici a ricevere un incarico; gli fu data una conoscenza esoterica eccezionale... Pertanto Paolo andò a consultare Pietro (Gal 1,18) per ottenere informazioni, riconoscendo in tal modo in lui, sulla scia dei Vangeli, la fonte delle informazioni esoteriche relative a Gesù”. Un disastro: il cristianesimo ridotto ad esoterismo!    

Eppure un tale Dizionario della Bibbia è presentato ai fedeli della Chiesa cattolica italiana, e in modo positivo, dal celebre monaco che si dice cattolico Enzo Bianchi, Priore di Bose; il quale afferma, a conclusione della sua presentazione: “Solo lo Spirito Santo è l’ermeneuta della Parola entrata nella storia facendosi scrittura e facendosi carne. Solo lo Spirito, che abita le Scritture e le rende ispiranti, può compaginare la comunione della comunità cristiana e può guidare le Chiese a quella unità visibile e storica voluta dal Signore affinché il suo corpo nella storia non sia lacerato”

Ma un tale principio non è quello di Lutero che ha frantumato la Chiesa di Gesù Cristo nella sua evangelica visibilità? Come può ricostituirlo?
Anche mons. Gianfranco Ravasi, qualificato come il più autorevole biblista italiano, dà, di un tale dizionario, un giudizio positivo sul settimanale cattolico della San Paolo Famiglia Cristiana, riportato nel dépliant della Piemme: Dizionario “eccellente - egli scrive - per la molteplicità delle voci, la legione degli ottimi collaboratori, la ricchezza e l’accuratezza dei contenuti. Esemplari le analisi di archeologia, economia, sociologia...”.

Poveri cattolici italiani, vittime di tali maestri!

Ecumenismo e dialogo ecumenico, anche su tale argomento gli equivoci, coscientemente o incoscientemente sono tanti.
A tale proposito Giovanni Paolo I, quando era ancora Patriarca di Venezia, scriveva il 14.3.1972: “Dialogo. Ricorre, esso o i suoi sinonimi, una cinquantina di volte nei documenti conciliari. Nel suo nome la Chiesa sta gettando ponti in tre direzioni: cristiani separati, non cristiani e non credenti; tenendo conto di più di quel che unisce che di quello che ci divide, essa ha risolto o tenta di risolvere malintesi vecchi di secoli, rende giustizia agli ebrei e a Galileo, confessa umilmente che alcuni suoi uomini hanno sbagliato. Ciò è bello, dice passione per l’unità dei cristiani, dice umiltà, apertura, comprensione, maturazione e rispetto verso le opinioni religiose altrui. Altra cosa - invece - è affermare - dialogando - che la Chiesa cattolica ha delle manchevolezze costitutive, né più né meno delle altre chiese; anch’essa non si trova in situazione migliore delle altre e, per arrivare all’unità, deve fare solo questo: salire con le altre chiese verso Cristo; confessare - sempre alla pari delle altre chiese - le proprie colpe e rinunciare alla antica sua sicurezza circa il proprio “Credo”. Questo porta a cedimenti e compromessi sul terreno della fede, ad un irenismo a spese di verità, che non sono cosa nostra, ma solo “deposito” a noi affidato e da conservare gelosamente. Sarebbe poi ingenuo credere che il dialogo dottrinale sia una cosa facile; esso ha i suoi rischi e lo può condurre utilmente solo chi ha sicura preparazione dottrinale e psicologica” (Opera omnia, vol. V, pp. 342-343.)

“Il vero ecumenismo - scriveva il cardinale Jean Danielou - si realizza in una convergenza progressiva verso la totalità delle affermazioni che sono integralmente conservate nella tradizione ortodossa, che si trovano ugualmente nelle massima parte della tradizione protestante, che sono quelle della tradizione cattolica. È attorno a queste affermazioni che è possibile sperare si possa giungere ad un autentico dialogo” (Memorie, SEI Torino 1974, p.184).

[SM=g1740771]  continua....


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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4. INCERTEZZE E DUBBI CON DEVASTANTI CONSEGUENZE

Paolo VI, nell’omelia della festa dell’Immacolata del 1970, così accoratamente diceva: “Oggi molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo d’ambiguità, d’incertezze e di dubbi che toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione”.

Ma già in un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 24.7.1966, ad appena un anno e mezzo dalla conclusione del Concilio, si legge: “Il Concilio Vaticano II ha promulgato sapientissimi documenti sia in materia dottrinale sia in materia disciplinare allo scopo di promuovere efficacemente la vita della Chiesa... Tuttavia bisogna confessare con dolore che da varie parti sono giunte notizie infauste circa abusi che vanno prendendo piede nell’interpretare la dottrina conciliare, come pure di alcune opinioni peregrine ed audaci qua e là insorgenti con non piccolo turbamento di molti fedeli”. Vengono poi elencati ben dieci errori di interpretazione, e “in primo luogo circa la Sacra Rivelazione. Ci sono alcuni, infatti, che ricorrono alla Sacra Scrittura lasciando deliberatamente da parte la Tradizione, ma poi restringono l’ambito e la forza della ispirazione biblica e dell’inerranza, né hanno una giusta nozione del valore dei testi storici”.

Ci chiediamo, a questo punto: come mai uno sbandamento di tale portata nell’interpretazione del Concilio? C’è una spiegazione di ordine razionale almeno, se non di fede e di fede cattolica? Sì. E ci proviamo a documentarla.
Giovanni XXIII indisse e inaugurò il Concilio; ma si trovò, ben presto, dinanzi a problemi e a difficoltà cui non aveva pensato, nel suo evangelico candore. Perciò, sul letto di morte, a coloro che dicevano di pregare perché guarisse, rispondeva: “No, non pregate per questo. È meglio che muoia, è meglio che un altro prenda in mano la situazione”.

A prendere in mano la situazione fu Paolo VI, il grande, insuperabile, forte e mite cireneo del Concilio. Il suo primo intervento fu quello di modificarne l’art. 4° del regolamento che assegnava al consiglio di presidenza, per autorità del Sommo Pontefice, la direzione delle discussioni e di tutta la disciplina del Concilio. Ebbene egli avocò a sé di “dirigere tutta la disciplina del Concilio”. Egli disse: “Il Papa non è il semplice notaio del Concilio. Ha una sua responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa”.

Ma che cosa era successo all’inizio del Concilio con Giovanni XXIII?


Alla sua apertura furono accantonati tutti gli schemi preparati dalla Curia romana sui vari argomenti da trattare; preparati, peraltro, col concorso dei Vescovi di tutto il mondo. Non solo, ma i Vescovi dichiararono subito che non intendevano comminare condanne per nessuno. “La qual cosa - osserva don Divo Barsotti, già citato - significava rinunciare al loro servizio di maestri della fede, di depositari della Rivelazione. Loro dovere era di proporre la fede autentica e di mettere in guardia i fedeli dalle deviazioni.
I Vescovi, infatti, non devono sostituire i teologi, che hanno un’altra funzione e possono dunque vagliare ipotesi ed emettere pareri: l’episcopato deve dirci con chiarezza che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo rifiutare. Ebbene, poiché i Vescovi non misero al primo posto la loro funzione (pur così primaria ed essenziale) i documenti del Vaticano II hanno un linguaggio più teologico che dottrinale. Addirittura a volte (per esempio, in certe pagine della Gaudium et spes, su la Chiesa nel mondo contemporaneo) c’è un accento sociologico e un progressismo ottimistico”.


Ciò spiega perché nei documenti del Concilio, celebrato nel secolo del trionfo del comunismo, ossia della eresia che sintetizza tutte le eresie di tutti i tempi e che sembrava inarrestabile, ebbene, la parola comunismo non c’è scritta, questa ideologia è ignorata; né tanto meno, conseguentemente c’è una condanna. C’è, sì, menzionata la parola materialismo, ma non si tratta di quello storico concretizzato nei regimi comunisti, che ha reso e rende ancora schiavi miliardi di uomini; realizzato su milioni e milioni di morti ammazzati, bensì come modo di vivere pratico come se Dio non ci fosse, che ci è sempre stato e sempre ci sarà.
Tal cosa non sembrerà strana ai posteri del 2° millennio che, dopo avere studiato il comunismo così crudele e barbaro, lo troveranno ignorato da un Concilio di portata sicuramente epocale?


“Dunque - si chiede a questo punto don Divo Barsotti - il Vaticano II è stato un errore? No, di certo: la Chiesa rischiava di diventare un ghetto, aveva bisogno di confrontarsi con la cultura del mondo; in questo modo si sono poste però le basi d’un pericolo di mondanizzazione che per fortuna lo Spirito Santo ha evitato. È lo stesso Spirito Santo che - naturalmente - ha impedito che nei documenti s’insinuasse l’errore; ma se tutto è giusto nel Vaticano II, non è detto che tutto sia opportuno” (V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo).  
    

Hans Urs von Balthassar, morto nel 1988, fu un autorevole esponente della teologia cattolica. Fautore del rinnovamento conciliare della teologia, avversò tuttavia quel progressismo teologico che ha preteso di rompere gli argini della tradizione cattolica. Scrisse:  “La confusione di questo periodo post-conciliare è in gran parte dovuta al fatto che il Vaticano II credette di poter lasciare da parte i problemi primari - i dogmi della Trinità, della cristologia e dell’ecclesiologia, ad essi intimamente collegata - e di affrontare invece subito le questioni pastorali derivate. Facendo così, siamo stati subito puniti con una babelica confusione delle lingue. Tentando di vendere (peraltro, in buona fede) il cristianesimo a prezzo ridotto, soltanto per trovare compratori, non ci si è accorti che esso perdeva, così, ogni valore” (La Chiesa nel mondo, Napoli 26.1.1972).

La crisi post-conciliare negli anni Settanta raggiunse una tale macroscopica evidenza che Leonardo Sciascia, il famoso scrittore siciliano, ebbe l’impudenza di dichiarare, in una intervista pubblicata su l’Europeo, 25 gennaio 1975, quanto segue: “Oggi non so a che punto sia la Chiesa, la Chiesa di dentro, nelle gerarchie, nei suoi movimenti interni: tranne che siamo, cioè che è, sul punto della fine. Credo che la Chiesa sia oggi come il mondo pagano verso il quinto secolo”.
Evidentemente Sciascia, fedele discepolo di Voltaire, ripeteva quello che un tale maestro aveva detto duecento anni prima, alla fioca luce della sola ragione e senza quella comprensione della storia, che ci si sarebbe aspettata da una persona tanto intelligente. La storia ha smentito Voltaire, la storia smentirà anche Sciascia. Non sarà smentito Gesù Cristo che assicurò agli Apostoli: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. E lo vedremo. [SM=g1740722]

Don Gerlando Lentini (*)

***
http://lavia.altervista.org/don_lentini.jpg (*) Don Gerlando Lentini:
 da sempre e da chi lo conosce, è definito un prete all’antica, uno degli ultimi che ancora indossa l’abito talare con i suoi  33 bottoni, che simboleggiano i 33 anni di vita terrena di Gesù Cristo. Un “nero rapace” dal becco affilato capace di squarciare e "gridare dai tetti la verità", un Don di quelli tosti incapace di fare compromessi che possano compromettere la dottrina della Chiesa. Non tace neppure sulle questioni sociali e culturali, non teme di mettersi in gioco, né in prima linea quando c'è da difendere veramente l'uomo nella sua dignità anzitutto di "figlio di Dio" e non perchè "figlio" di qualche ideologia politica o modaiola.
Il suo sito:
http://lavia.altervista.org/

***

Caro teologo, sono preoccupato su ciò che scrive Famiglia Cristiana. Più che un giornale cattolico mi sembra un giornale protestante e, quindi, eretico. Lei che ne pensa?

 A.G.

Caltanissetta


(VERGOGNA!! è inaccettabile l'attaggiamento di questo sacerdote in giacca e cravatta, è di scandalo!)


Risponde Don Gerlando Lentini, scrittore, agiografo e fondatore e direttore responsabile del mensile “La Via”.

La mia opinione preoccupata «da vero cristiano», non riguarda solo la rivista “Famiglia Cristiana” (nella foto il suo direttore “don” Antonio Sciortino), che non ha uno stile cristiano nei contenuti oltre che nella pubblicità, ma le stesse edizioni sia della San Paolo che delle Paoline, che sfornano testi di argomento biblico tutt’altro che cattolico; te ne cito alcuni:
a) 2009. “ENTRARE NELLA PAROLA DI DIO/Come lasciarsi interpellare dalla Scrittura”. Edizioni San Paolo. L’autore è W. Brueggemann. L’opera di Brueggemann è perfettamente protestante.
b) 2007. “ALLA SCOPERTA DELLA BIBBIA”, autore M. Beaumont. Edizioni Paoline. Si tratta sì di una guida alla fede, ma a quella smaccatamente protestante.
c) 2007. “LA BIBBIA/UN PERCORSO DI LIBERAZIONE”, Edizioni Paoline. vol. 1° «Le tradizioni storiche», autori A. Sacchi e S. Rocchi. vol. 3°, «La novità del Vangelo», autore A. Sacchi.- Sono due testi di liberazione… dalla fede cattolica per aderire a quella protestante, e peggio ancora: «Gesù – scrive don Alessandro Sacchi nel 3° volume, p. 155 – non è un essere divino, ma un uomo dotato di una missione speciale in favore di Israele e di tutta l’umanità».
d) R. Aguirre C. Bernabé C. Gil, “Cosa sappiamo di GESÙ DI NAZARET?”, Edizioni San Paolo. Storicamente (secondo questi autori) di Gesù di Nazaret sappiamo solo, o quasi, che non fu un impostore.
Come si vede, è un tradimento del carisma di don Alberione il quale prescrisse per i suoi discepoli impegnati nel campo delle edizioni una precisa strategia: «L’apostolato delle edizioni consiste nell’opporre stampa a stampa, pellicola a pellicola, televisione a televisione. Il che significa opporre la verità all’errore, il bene al male, Gesù Cristo a Satana». Chiaro, no? [SM=g1740721]

Per le vostre domande a UN TEOLOGO RISPONDE mandate una mail all’indirizzo: orma78@virgilio.it



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[SM=g1740722] Ritorna Padre Giovanni Scalese con il suo blog Senzapelisullalingua e.... leggiamo:

domenica 24 marzo 2013

Relativismo nella Chiesa?

 

Fino a qualche anno fa mi sono occupato, in forma piú o meno diretta, di formazione all’interno del mio Ordine religioso. Quel che lamentavo sovente era la “molteplicità delle formazioni”: praticamente tanti erano i modi di formare, quanti erano i formatori. Nonostante ci fossero le Costituzioni, la Ratio institutionis, le delibere dei Capitoli generali, le tradizioni domestiche, di fatto ciascun novizio o studente veniva formato a seconda dei gusti personali del Padre Maestro che si ritrovava ad avere. Con quali conseguenze sull’unità della Congregazione, vi lascio immaginare. In tutte le riunioni dei formatori e nei Capitoli ho sempre insistito sulla necessità dell’unità della formazione e, devo riconoscere, delle delibere in tal senso sono state anche approvate; ma ho l’impressione che, nonostante le delibere, la situazione sia rimasta pressoché immutata.
 
Beh, quel che lamentavo riguardo alla formazione nel mio Ordine, in realtà costituisce un problema generale, che tocca ogni ambito, diffuso in tutta la Chiesa, soprattutto dopo il Vaticano II, col quale ciascuno si è sentito autorizzato a fare di testa propria. Non mi si fraintenda, non sto criticando il Concilio: accetto con convinzione tutte le riforme da esso promosse e successivamente realizzate; sono riforme che si rendevano necessarie per il mutamento dei tempi. Negli anni dopo il Concilio i Papi e i Dicasteri della Curia Romana hanno fatto un enorme sforzo di aggiornamento in tutti i settori, lasciando talora spazio anche alla possibilità di ulteriori adattamenti alle situazioni locali, ma sempre entro i limiti previsti dalle nuove normative. Il problema è che spesso tali normative sono state completamente ignorate dalla “base”, la quale anzi riteneva che, col Concilio, si era fatta piazza pulita di ogni legalismo e che unico criterio di azione fosse ormai l’attenzione al soffio dello Spirito, solitamente coincidente — guarda caso — con i propri gusti personali.
 
Perché, direte voi, questa lunga introduzione? Dove vuole arrivare Padre Scalese? È la riflessione che mi è venuta in mente quando, l’altro giorno, ho letto una notizia che mi ha lasciato alquanto perplesso: il Papa, il giovedí santo, celebrerà la Messa in Cena Domini nel carcere minorile di Casal del Marmo. Beh, dove sta il problema? Non è un bellissimo gesto quello deciso da Papa Bergoglio? “Visitare i carcerati” non è forse una delle opere di misericordia corporale? Il Papa non può decidere liberamente dove celebrare la Messa del giovedí santo?
 
Vorrei cominciare col rispondere a quest’ultima domanda, perché credo che da una corretta risposta ad essa dipenda tutto il resto. È vero che il Papa può decidere quel che vuole: egli è il legislatore supremo. Ma può decidere, appunto, legiferando.
Se esiste una legge che a lui non piace, può cambiarla; ma, se una legge esistente, fatta da lui o da uno dei suoi predecessori, lui non la cambia, non mi sembra opportuno che la disattenda. Non sono un canonista, ma non mi pare che al Papa possa applicarsi il principio “Princeps legibus solutus”: non sarebbe molto corretto nei confronti di quanti quelle leggi sono tenuti a osservarle. Questo, come principio generale.
 
Nel caso presente, non si tratta propriamente di leggi, ma di indicazioni pastorali, che comunque hanno, a mio parere, un valore piuttosto vincolante. Una trentina d’anni fa fu pubblicato il Cæremoniale Episcoporum, che non credo fosse destinato soltanto ai cerimonieri delle cattedrali, ma innanzi tutto ai Vescovi stessi. Faccio notare che non mi riferisco al Cerimoniale del 1600, ma a quello del 1984, “ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatum”. Ebbene, che cosa si dice nel suddetto Cerimoniale a proposito dei riti del Triduo pasquale?
 
«Tenendo quindi presenti la particolare dignità di questi giorni e la grande importanza spirituale e pastorale di queste celebrazioni nella vita della Chiesa, è sommamente conveniente che il Vescovo presieda nella sua chiesa cattedrale la Messa nella Cena del Signore, l’azione liturgica del venerdí santo “nella passione del Signore”, e la veglia pasquale, soprattutto se in essa si devono celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana» (n. 296).
 
E, specificamente a proposito del giovedí santo, il Cerimoniale prosegue:
 
«Il Vescovo, anche se ha già celebrato al mattino la Messa del crisma, abbia ugualmente a cuore di celebrare anche la Messa della Cena del Signore con la piena partecipazione di presbiteri, diaconi, ministri e fedeli intorno a sé» (n. 298).
 
Non si tratta di norme tassative, ma di indicazioni in ogni caso pressanti, dalle quali, a mio parere, solo per gravissime ragioni ci si potrebbe discostare. Ma, a quanto è stato riferito, Papa Francesco non fa altro che continuare un’abitudine che aveva quando era Arcivescovo di Buenos Aires (il che lascia presumere che intenda ripetere il gesto ogni anno).
È chiaro che il problema non sorge solo ora che Bergoglio è diventato Papa, ma esisteva già quando era Arcivescovo.
Posso supporre il ragionamento che avrà fatto: “Ho già celebrato questa mattina la Messa del crisma con tutto il mio clero; questa sera la Messa in Cena Domini sarà celebrata nelle diverse parrocchie; con chi celebro io in cattedrale? Magari non ci saranno neppure i seminaristi perché mandati ad aiutare nelle rispettive parrocchie. Quindi me ne vado a celebrar Messa ai carcerati (o agli ammalati o agli anziani) e cosí faccio anche un’opera di misericordia”. Un ragionamento abbastanza comprensibile, addirittura encomiabile, ma che rischia di “smontare” tutto d’un tratto quanto il Concilio aveva autorevolmente dichiarato:
 
«Il Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la piú grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al Vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri» (Sacrosanctum Concilium, n. 41).
 
Un testo che viene ripreso dal Cerimoniale, che aggiunge:
 
«Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal Vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie … In tempi determinati e nei giorni piú importanti dell’anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri» (nn. 12-13).
 
«La principale manifestazione della Chiesa locale si ha quando il Vescovo, come grande sacerdote del suo gregge, celebra l’Eucaristia soprattutto nella chiesa cattedrale, circondato dal suo presbiterio e dai ministri, con la partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio. – Questa Messa, chiamata stazionale, manifesta l’unità della Chiesa locale e la diversità dei ministeri attorno al Vescovo e alla sacra Eucaristia. – Quindi ad essa siano convocati quanti piú fedeli è possibile, i presbiteri concelebrino con il Vescovo, i diaconi prestino il loro servizio, gli accoliti e i lettori esercitino le loro funzioni» (n. 119).
 
«Questa forma di Messa sia osservata soprattutto nelle maggiori solennità dell’anno liturgico, quando il Vescovo confeziona il sacro crisma e nella Messa vespertina in Cena Domini, nelle celebrazioni del santo fondatore della Chiesa locale o del patrono della diocesi, nel giorno anniversario dell’ordinazione del Vescovo, nelle grandi assemblee del popolo cristiano, nella visita pastorale» (n. 120).
 
Nel comunicato con cui si informa della decisione di Papa Francesco, si aggiunge: «Com’è noto, la Messa della Cena del Signore è caratterizzata dall’annuncio del comandamento dell’amore e dal gesto della lavanda dei piedi» (21 marzo 2013). Anche in questo caso il Cerimoniale dei Vescovi appare piú completo e preciso:
 
«Con questa Messa dunque si fa memoria della istituzione dell’Eucaristia, o memoriale della Pasqua del Signore, con la quale si rende perennemente presente tra di noi, sotto i segni del sacramento, il sacrificio della nuova alleanza; si fa ugualmente memoria della istituzione del sacerdozio, con il quale si rende presente nel mondo la missione e il sacrificio di Cristo; infine si fa memoria dell’amore con cui il Signore ci ha amati fino alla morte. Il Vescovo si preoccupi di proporre opportunamente ai fedeli tutte queste verità mediante il ministero della parola, affinché possano penetrare piú profondamente con la loro pietà in cosí grandi misteri e possano viverli piú intensamente nella vita concreta» (n. 297).
 
La lavanda dei piedi è certamente un momento significativo della celebrazione del giovedí santo, ma sarebbe un errore considerarlo il suo elemento essenziale. Tanto è vero che non è un rito obbligatorio: esso viene compiuto solo «dove motivi pastorali lo consigliano» (n. 301). Purtroppo, negli ultimi anni, in diversi luoghi, esso è stato caricato di significati che esorbitano dal suo valore originario.
 
Qualcuno dirà che sto facendo di un’inezia una montagna; qualcuno mi accuserà di pignoleria, se non addirittura di rubricismo o di legalismo; qualcuno sicuramente scomoderà anche i farisei, che accusavano Gesú di non osservare la legge quando guariva di sabato; qualcuno dirà che voglio insegnare il mestiere al Papa. Ciascuno dica quel che vuole.
Nessuno però può impedirmi di pensare che certe decisioni, apparentemente innocue, potrebbero avere conseguenze devastanti:

a) innanzi tutto, disattendendo le norme esistenti, anche quelle che potrebbero apparire secondarie, si rischia di mettere in discussione alcuni valori fondamentali, che il Concilio ha rimesso in luce e ha voluto che divenissero patrimonio comune della Chiesa;

b) in secondo luogo, potrebbe passare l’idea che le norme ci sono, sí, ma non è poi cosí importante rispettarle: se il Papa ritiene possibile trascurarle, significa che non sono poi cosí importanti; e se lo fa lui, perché non potrei fare io altrettanto?;

c) inoltre si potrebbe dare l’impressione che non esista alcuna norma oggettiva e stabile, valida per tutti e per sempre, ma che tutto dipenda esclusivamente dalla discrezionalità del responsabile di turno;

d) infine c’è il rischio che il relativismo, tanto osteggiato a parole nella società, diventi di fatto la norma suprema anche all’interno della Chiesa.

[SM=g1740771]


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[SM=g1740758] Il padre Calmel e la crisi della Chiesa

Padre Roger-Thomas Calmel

(di Cristina Siccardi) «Lo spirito cattolico diminuirà rapidamente; la preziosa luce della fede si spegnerà progressivamente fino a quando si giungerà ad una pressoché totale corruzione dei costumi (…). Nel supremo momento del bisogno della Chiesa, coloro che dovranno parlare resteranno in silenzio! (…). Alla fine del XIX secolo e per gran parte del XX, si diffonderanno varie eresie, e, sotto il loro potere, la luce preziosa della fede si spegnerà nelle anime (…)».

Questo disse la Madonna a Madre Mariana de Jesus Torres il 2 febbraio 1634 a Quito (Ecuador), quando la lampada del Tabernacolo si spense, lasciando al buio la cappella del convento dell’Immacolata Concezione (le apparizioni di Quito sono riconosciute dalla Chiesa). Eppure, come Maria Maddalena e san Giovanni sono rimasti sempre accanto a Gesù, così esistono amici stretti di Dio che restano, come guardie fedeli, ferme e incorruttibili, a vigilare il Tabernacolo. Fra questi c’è sicuramente la splendida figura di Padre Roger-Thomas Calmel O.P. (1914-1975), un sacerdote di solida formazione tomista, che ha lasciato un insegnamento straordinario di fermezza nella fede e di vivida comprensione delle problematiche sorte nella Chiesa a causa delle idee dei novatori, che trovarono terreno fertile durante i lavori del Concilio Vaticano II.

Con lucidità e lungimiranza, illuminato da una vita di intensa preghiera e di grazia, egli seppe spiegare le dinamiche rivoluzionarie che traevano matrice dal liberalismo, atte ad edificare una «Chiesa-miraggio», nel tentativo “ecumenico” di realizzare l’unità religiosa del genere umano, dispensato dal rinunciare al mondo e a Satana (come, invece, Gesù Cristo insegna), e teso a vivere nella libertà e nella fratellanza universale.

Padre Calmel spiegò come in un dato momento della storia della Chiesa, si sia sentito «il bisogno di un rinnovamento biblico, o liturgico, o missionario, o del “laicato”; questo rinnovamento era nell’aria; guardate come la rivoluzione si affermi attraverso l’inganno, la seduzione, la falsificazione; si incomincia mettendo da parte i cristiani tradizionali e vitali che avrebbero fatto fiorire il rinnovamento nella fedeltà alla Tradizione della Chiesa, si dà un posto ai rivoluzionari che vogliono il rinnovamento contro la Tradizione e il Vangelo contro la Chiesa, a poco a poco si insegna al popolo cristiano, terribilmente ingannato, a leggere la Scrittura contro la teologia tradizionale, a celebrare la liturgia contro l’adorazione e la contemplazione, a magnificare il matrimonio contro la verginità consacrata, a esaltare la povertà evangelica contro la proprietà privata, a divenire apostolo dei non credenti, prescindendo dalla fede e dal battesimo; questa deviazione incredibile, quest’arte di confiscare per falsificare è assolutamente connaturata ed essenziale alla rivoluzione» (Père Jean-Dominique Fabre, Le père Roger-Thomas Calmel, Clovis, Suresnes Cedex 2012, p. 314).

Padre Calmel, che non ha tradito ed è rimasto sul Calvario, senza salpare per altre lidi mondanamente più accattivanti (ma proprio per questo deprimenti), riuscì a realizzare disamine filosofiche e teologiche intrise di realismo e di misticismo, puntando lo sguardo anche al futuro: ciò che noi oggi viviamo lui lo profetò. Egli affermò che con il Concilio Vaticano II, senza condannare alcun errore, all’«errore sarà dato libero sfogo» (ivi, p. 318). Egli, «per amore di Gesù», non si fece sospingere dai nuovi venti, ben cosciente che «noi saremo sempre più isolati» (p. 318).

Il suo esempio, la sua coerenza spirituale e intellettuale, in questo tempo di smarrimento e sconcerto religioso ed etico, donano quell’entusiasmo e quel vigore che, inevitabilmente, riconducono a Paolo di Tarso. Nella Breve apologia della Chiesa di sempre (Ichthys, 2007) l’autore, che scrisse anche una magnifica Teologia della Storia (Borla, 1967), ricordò ciò che santa Teresina di Lisieux affermò sul letto dell’agonia:«Vorrei vivere ai tempi dell’anticristo» (p. 153) per poterlo combattere con la verità, quella verità che di giorno in giorno è sempre più soffocata. Grazie a maestri come il domenicano Roger-Thomas Calmel, i cui ragionamenti sono roccia e le cui parole sono rifugio, il Tabernacolo continua ad essere adorato, seppure nelle tenebre. (Cristina Siccardi)

[SM=g1740771]


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30/03/2013 21:03
 
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[SM=g1740758]  La profezia di Lefebvre e l’alleanza di Ratzinger - da Rinascimento Sacro





Marcel Lefebvre

La riforma liturgica di Paolo VI, senza precedenti nella storia della Chiesa per il tenore delle innovazioni e per lo spazio lasciato all’iniziativa personale del celebrante, fu promulgata nel 1969. Immediatamente suscitò reazioni negative e resistenze da parte delle più alte sfere della Chiesa – il “Breve esame critico” dei Cardinali Ottaviani e Bacci fu fatto pervenire a Paolo VI qualche settimana prima dell’entrata in vigore del nuovo messale – come anche dai semplici fedeli. Provocò inoltre la reazione di numerose personalità del mondo delle arti, delle lettere e della scienza, che si preoccupavano del declino culturale che essa rappresentava, nel famoso appello pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e all’origine dell’indulto detto “Agatha Christie”.

Infatti, dalla morte di Paolo VI, appena dieci anni più tardi, era già chiaro, persino ai suoi promotori, che questa riforma non aveva raggiunto i suoi obbiettivi e che le chiese cominciavano a svuotarsi.

All’inizio degli anni ’80 una reazione di buon senso si manifestò in modo via via più chiaro: perché non lasciare le forme liturgiche antiche a disposizione di coloro che vi trovavano il proprio nutrimento sacramentale e spirituale? E visto che all’epoca tutto sembrava ormai libero e permesso, perché non permettere anche ciò che si faceva prima? Paolo VI stesso, prima di morire, non aveva forse dato un segno forte relegando Monsignor Annibale Bugnini, l’autore della riforma, ad una sorta di esilio a Teheran? Il papa non aveva capito che la messa che porterà per sempre il suo nome, voluta come la radiosa manifestazione della “primavera” conciliare, si rivelava in effetti un nuovo strumento di divisione in una Chiesa che si stava indebolendo?

La questione della libertà della messa preconciliare emerse da subito nel pontificato aperto nel 1978 da Giovanni Paolo II, anche se poi ci sono voluti trent’anni perché trovasse una risposta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. All’epoca, in effetti, era stata già annunciata dai due personaggi che rimarranno per la storia – quali che siano le opinioni che si abbiano su l’uno e sull’altro – le figure chiave della soluzione della frattura liturgica: Joseph Ratzinger e Marcel Lefebvre.

I – MONSIGNOR LEFEBVRE : LA « PROFEZIA » SULLA LIBERTA’ DELLA MESSA NEL 1979

L’11 marzo 1979, davanti ai suoi seminaristi di Écône, Monsignor Lefebvre dichiarava:

Se veramente il Papa rimettesse la messa tradizionale al suo posto nella Chiesa, credo che potremmo dire che l’essenziale per la nostra vittoria sarebbe fatto. Il giorno in cui davvero la messa diverrà nuovamente la messa della Chiesa, la messa delle parrocchie, la messa delle chiese, certo ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete, ma alla fine, la messa di sempre, la messa che è il cuore della Chiesa, la messa che è l’essenziale della Chiesa, quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza, e bisognerà evidentemente dargliene uno ancora più grande, ma alla fine comunque, il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa.

Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà… Ecco, io credo che la Tradizione sarà salva. Il giorno in cui verrà salvata la messa, la Tradizione della Chiesa sarà salva, perché con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto… ci sono i seminari… e c’è la Tradizione che si salva. si può dire che si vedrà la luce di un’aurora nella Chiesa, che avremo attraversato una tempesta formidabile, saremo stati nell’oscurità più completa, sferzati da tutti i venti e che alla fine all’orizzonte si rivelerà di nuovo la messa, la messa che è il sole della Chiesa, che è il sole della nostra vita, il sole della vita cristiana…”

“Il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa”: non è forse esattamente questo il contributo fondamentale del Motu Proprio del 2007? La Fraternità San Pio X si è fortemente felicitata di questo testo liberatore attraverso le parole di Monsignor Fellay. E questo non è stato che un atto di giustizia visto che proprio il fondatore della Fraternità l’aveva annunciato come “un’aurora nella Chiesa”.

II – IL CARDINALE RATZINGER: IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ DELLA MESSA SANCITO NEL 1982

Questa della libertà liturgica, all’inizio del pontificato wojtyliano, è stata un’idea che era nell’aria. Oggi sappiamo che, appena nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – e ufficiosamente incaricato dal Papa Giovanni Paolo II di prendersi carico della questione della contestazione liturgica -, il 16 novembre 1982 il Cardinale Joseph Ratzinger organizzò una riunione presso il Palazzo del Sant’Uffizio “in materia delle questioni liturgiche” (1), ovvero per discutere sul problema liturgico in sé e contemporaneamente sul problema della Fraternità San Pio X.

1982. Esattamente un quarto di secolo prima del Summorum Pontificum. Durante quella riunione il Cardinale Ratzinger aveva ottenuto che senza eccezioni tutti i partecipanti (2) affermassero come un’evidenza di buon senso che “il messale romano, nella forma sotto la quale è stato usato fino al 1969, deve essere ammesso dalla Santa Sede in tutta la Chiesa per le Messe celebrate nella lingua latina”. I prelati in quell’occasione parlarono anche della questione della Fraternità San Pio X e valutarono che la sua soluzione doveva avere inizio con una visia canonica (che ebbe infatti luogo cinque anni dopo).

III – L’ALLEANZA RATZINGER/LEFEBVRE PER IL RAGGIUNGIMENTO DELLA LIBERTA’ LITURGICA

Le tappe del processo di liberazione della liturgia antica, processo tanto inaudito quanto la riforma Bugnini stessa, hanno contrassegnato il quarto di secolo che seguì questa presa di posizione del Cardinale Ratzinger. Nei fatti questo processo si è rivelato intimamente legato al regolamento canonico delle questioni concernenti la Fraternità San Pio X, anche se, ufficialmente, tutti vogliono considerare che si trattava di due faccende distinte.

a) Il 18 marzo 1984, il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, scrive (su impulso del Cardinale Ratzinger) al Cardinale Casoria, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, per chiedergli di preparare il primo atto della restaurazione dell’uso del messale tradizionale: “un divieto assoluto dell’uso di quel messale non può essere giustificato né dal punto di vista teologico, né da quello giuridico”. Il 3 ottobre 1984, il successore del Cardinale Casoria al Culto Divino, Monsignor Mayer, invia dunque ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo la circolare Quattuor abhinc annos, detta “Indulto del 1984″, che autorizzava le celebrazioni secondo il messale del 1962 “per il gruppi che lo chiedevano”.

b) Il 30 ottobre 1987, l’ultimo giorno dell’assemblea del Sinodo sulla “vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo”, il Cardinale Ratzinger annuncia che viene avviata una visita apostolica presso l’opera di Marcel Lefebvre. Dopo questa visita, svolta dal Cardinale canadese Édouard Gagnon, presidente del Consiglio per la Famiglia, hanno luogo in aprile e maggio 1988 delle negoziazioni tra il Cardinale Ratzinger e Monsignor Lefebvre che portano all’accordo del 5 maggio, fatto saltare alla fine da quest’ultimo – essenzialmente per la mancanza di garanzie sulla nomina e la data dell’ordinazione di un altro vescovo per la Fraternità. Successivamente Monsignor Lefebvre procede all’ordinazione di quattro vescovi a Écône il 30 giugno 1988. Come reazione, Roma pubblica il Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988 che, condannando Monsignor Lefebvre, istituiva una Commissione pontificale per “facilitare la piena comunione ecclesiale” dei sacerdoti e dei religiosi legati al messale del 1962 e per supervisionare l’applicazione dell’indilto del 1984 da parte dei vescovi.

c) Nel gennaio 2002, l’accordo mancato del 1988 tra Monsignor Lefebvre e Roma ispira quello fatto a beneficio di Monsignor Licinio Rangel, successore di Monsignor de Castro Mayer alla testa della comunità tradizionale della diocesi di Campos. Viene creato un ordinariato personale e Roma accetta, nel giugno dello stesso anno, che venga designato un coadiutore per succedere automaticamente a Monsignor Rangel. Una comunità di più di 20.000 fedeli, una ventina di sacerdoti e altrettante scuole tornano dunque alla piena comunione con Roma conservando pienamente i propri usi liturgici preconciliari.

d) A coronamento di questo processo, il 7 luglio 2007, il Papa Benedetto XVI promulga il Motu Proprio Summorum Pontificum che restituisce a tutti i sacerdoti l’uso privato del messale del 1962 e invita i parroci a rispondere favorevolmente ai gruppi stabili di fedeli che ne vogliono beneficiare. Salutato dal superiore della FSSPX, Monsignor Fellay, questo testo, che ha valore di “legge universale della Chiesa” come precisato dall’istruzioneUniversæ Ecclesiæ, favorisce i contatti fra Roma ed Écône e permette, nel gennaio 2009, la remozione delle scomuniche ai vescovi consacrati nel 1988.

IV – LA LIBERTA’ LITURGIACA / LIBERTA’ TEOLOGICA: IL DISCORSO DEL LUGLIO 1988 DI JOSEPH RATZINGER SU MONSIGNOR LEFEBVRE

Nella nostra lettera francese del 4 giugno 2010 (lettre PL 233), relativa al libro di Monsignor Brunero Gherardini “Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare” (Casa Mariana Editrice, 2009), evocavamo un discorso molto importante pronunciato dal Cardinale Ratzinger il 13 luglio 1988 davanti ai vescovi del Cile e della Colombia (3). In questa allocuzione, il futuro papa, esaminava le responsabilità di ciascuno all’indomani delle consacrazioni episcopali da parte di Monsignor Lefebvre a Écône il 30 luglio 1988.

Quel discorso contiene due affermazioni fondamentali per comprendere l’attuale pontificato:
a) “La verità è che lo stesso Concilio non ha definito nessun dogma e ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale; certo, molti lo interpretano come se fosse quasi il superdogma che toglie importanza a tutto il resto”;
b) “Difendere la validità e il carattere obbligatorio del Concilio Vaticano II, nel confronto con Monsignor Lefebvre, è e continuerà ad essere una necessità”.

Da cui una difficoltà ancora irrisolta oggi e che ha pesato sulle recenti discussioni tra la FSSPX e Roma: quale “carattere obbligatorio” possono comportare degli insegnamenti per la fede espressi “ad un livello più modesto” rispetto al Credo?

Questo parallelo scioccherà alcuni, ma perché non applicare al Concilio ciò che il Santo Padre ha applicato alla liturgia? Per relativizzare il carattere di superliturgia della nuova messa il Papa ha in effetti ricordato con il Motu Proprio Summorum Pontificum che la messa antica non era mai stata vietata e ne ha reso libero l’uso (almeno teoricamente) ai sacerdoti ed ai fedeli.

V – I COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE

1) La dichiarazione fatta l’11 maggio 1979 da Monsignor Lefebvre è stupefacente non solo in ragione della data, ma anche perché essa mette il prelato di Écône sotto una luce un po’ diversa da quella a cui siamo abituati. Niente di volutamente polemico o di rigido, ancor meno di settario, nelle sue parole del 1979. Esprime invece una speranza sulla vita concreta della Chiesa. E’ un “Lefebvre pastorale”, nel senso dato al termine dal Concilio, ma con un altro tenore: quello di un ecumenismo intra-ecclesiale appoggiato sull’esperienza concreta della libertà della messa tradizionale nelle parrocchie in vista di favorire il rinnovamento liturgico, spirituale e dottrinale.
Il fondatore della FSSPX testimonia la sua speranza di vedere la messa tradizionale divenire liberamente “la messa delle parrocchie, la messa delle chiese”. Certo, ammette che “ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete”. Ma mira all’essenziale, molto concretamente: “quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza”. Assegna poi alla sua opera una finalità tanto più forte per quanto sembri modesta: “il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa. Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà”. E Monsignor Lefebvre prosegue, sviluppando il tema della coerenza liturgia/dottrina: “con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto…”

2) Per quanto riguarda il processo di liberalizzazione iniziato dal Cardinale Ratzinger nel 1982, anch’esso fu assolutamente pastorale e concreto. Possiamo parlare, come per il dogma – ma in questo caso per ciò che concerne la liberalizzazione in pratica della messa detta oggi straordinaria -, di “evoluzione omogenea”:
:: La circolare Quattuor abhinc annos, del 3 ottobre 1984: La messa tradizionale può essere autorizzata dai vescovi, ma a certe regole e comunque non nelle chiese parrocchiali;
:: Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta del 2 luglio 1988: I vescovi sono invitati a dare il permesso alla sua celebrazione in modo (in teoria) largo e generoso nelle loro rispettive diocesi;
:: L’erezione dell’Amministrazione apostolica personale Saint-Jean-Marie-Vianney a Campos nel gennaio 2002: Essa può rappresentare la sorgente unica della vita eucaristica di un’intera comunità;
:: Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007: La decisione di celebrarla spetta ora (in teoria) ai parroci per le rispettive parrocchie. In particolare si dichiara che la messa antica non è mai stata abolita e la sua celebrazione diventa un diritto per tutti i sacerdoti di rito romano senza alcuna restrizione.
:: Logicamente un ultimo testo non potrà che intervenire un giorno per constatarne la libertà. Una libertà “normale”, secondo le parole del Cardinale Cañizares, di celebrare la messa straordinaria in tutte le chiese. La “messa di sempre” sarà diventata allora, per il rito romano, la “messa di ogni luogo”.

3) Sarà difficile che arrivi quest’ultima tappa, perché si è passati da un non-dogma del Vaticano II a un superdogma che si estende anche alla liturgia del Vaticano II; si è passati da un concilio non infallibile, che non riguarda questioni di fede, a un preteso “spirito del Concilio” tirannico che intende dogmatizzare anche le nuove forme del culto divino.

Alla fine è una sana libertà che occorre difendere, una vera libertà teologica, non per contestare il dogma cattolico ma per spiegarlo, per difenderlo e anche per farlo “progredire”, o meglio, per far progredire la sua giusta comprensione

Questa libertà è strettamente connessa ad una sana libertà liturgica, non da usare per ogni tipo di abuso, ma per illustrare, difendere e per far progredire la fede dei fedeli nella transustanziazione eucaristica, la fede nel sacrificio propiziatorio riprodotto dalla celebrazione della messa, la fede nel sacerdozio sacramentale e gerarchico istituito da Gesù Cristo.

Non è forse un paradosso che oggi sia liberamente permesso tutto, e solo una libertà sia imbrigliata, quella che vuole essere esercitata nei percorsi tradizionali, libertà che viene rifiutata da coloro che stringono ancora nelle mani le leve del potere, una libertà che è talmente inquadrata nelle loro regole da essere di fatto annichilita, e tutto ciò nel nome della “spirito” di un Concilio che si è considerato come un concilio “liberatore”? © 2013 La Paix Liturgique

***

(1) “Nel 1982 neanche l’alleanza Ratzinger-Casaroli riuscì a sdoganare la Messa tridentina”, Il Foglio, 19 marzo 2006.

(2) Si trattava, oltre a lui stesso come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: dei Cardinali Sebastiano Baggio, Prefetto della Congregazione dei Vescovi; William W. Baum, arcivescovo di Washington; Agostino Casaroli, Segretario di Stato; Silvio Oddi, Prefetto della Congregazione del Clero; e di Monsignor Giuseppe Casoria, a quel tempo pro-Prefetto della Congregazione per il Culto e i Sacramenti.

(3) Monsignor Müller, nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha iniziato, quando era vescovo di Ratisbona, la pubblicazione dell’opera completa di Joseph Ratzinger in 16 volumi. Tra i volumi pubblicati fino ad ora non troviamo traccia di questo discorso pronunciato il 13 luglio 1988, mentre la sua formulazione avrebbe potuto trovare posto nel tomo 7 sull’insegnamento del Vaticano II e la sua interpretazione come nel tomo 11 sulla teologia della liturgia. Segue…

(4) L’abbé Claude Barthe, “Rome/Fraternité Saint-Pie X : où en sommes-nous?”, in L’Homme nouveau, 5 gennaio 2013.


[SM=g1740771]



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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[SM=g1740722] OTTIME RIFLESSIONI DI  Padre Giovanni Cavalcoli O.P.
da Riscossa Cristiana

Gli intenti del Concilio Vaticano II

 

tvaIl Beato Giovanni XXIII nel famoso discorso di apertura Gaudet Mater Ecclesia del Concilio Vaticano II, evidenziava come scopo del Concilio non fosse tanto quello di condannare specifici errori del presente, quanto piuttosto quello di proporre il messaggio cristiano in uno stile ed in un linguaggio moderni, adatti all’uomo del nostro tempo.

Il Papa precisava come esistessero già le condanne; esse erano presupposte e non dovevano essere dimenticate; si trattava invece di dare la prevalenza al tono propositivo, senza per questo escludere totalmente, il che non avrebbe avuto senso proprio per il carattere pastorale del Concilio, la condanna degli errori, e questa condanna effettivamente ci fu, anche se il Concilio si limitò a denunce generiche senza entrare in dettagli e senza citare i nomi degli autori. Inoltre il Concilio ritenne di abbandonare la formula tradizionale del canone e dell’anathema sit, il che non significava assolutamente che le condanne conciliari potevano esser prese alla leggera.

Così nel Concilio troviamo la condanna dell’ateismo, del materialismo, dell’individualismo, del secolarismo, dell’antropocentrismo, del liberalismo, del relativismo dogmatico e morale, dello sfruttamento dei lavoratori, del disprezzo per poveri e i deboli, del delitto politico, della corsa agli armamenti, della guerra di aggressione, dell’aborto, delle dittature, del totalitarismo statale, del razzismo, dello sfruttamento della donna e dei minori, dell’ingiustizia sociale, delle sperequazioni economiche.

Inoltre il Concilio si guardò bene, nel riformare la Curia Romana, dall’abolire il Dicastero addetto alla sorveglianza dottrinale ed alla difesa della fede, che fino ad allora era chiamato “Sant’Offizio”. Invece questo ufficio, col nuovo nome più chiaro di “Congregazione per la Dottrina della Fede”, fu adeguato allo spirito del rinnovamento conciliare col perdere quel carattere di esclusivo ed eccessivo intervento repressivo e sanzionatorio ed acquistare un’impostazione ed uno stile più umani ed evangelici, per i quali la confutazione ragionata e motivata dell’errore era finalizzata alla valorizzazione dei lati positivi delle dottrine erronee e delle qualità umane e culturali dell’errante, mediante l’uso di procedimenti interpretativi e correttivi più aggiornati e l’assicurazione all’errante di una maggiore possibilità di difendersi e di spiegare le sue posizioni. Le pene poi venivano mitigate. Nel contempo veniva abolito l’Indice dei libri proibiti.

Questa saggia impostazione del Concilio si sarebbe dovuta assumere con quell’equilibrio che esso suggeriva; e invece purtroppo spesso negli ambienti dell’episcopato e delle istituzioni accademiche, sotto la spinta dei cosiddetti “progressisti”, che in realtà erano dei criptomodernisti, nacque l’uso, aggravatosi in questi ultimi decenni, di tollerare il rifiorire di vecchi errori e il sorgere di nuovi, per timore si essere trattati da Pastori preconciliari e nella convinzione di riconoscere così il pluralismo e la libertà di espressione.

 

Che cosa allora è successo

 

E’ successo che numerosi errori già condannati nel passato sono risorti e, non venendo condannati, hanno provocato in molti la convinzione o l’impressione che la precedente condanna fosse stata superata o annullata dal nuovo clima dottrinale e pastorale avviato dal Concilio. Ciò si è accompagnato al risorgere di quelle idee moderniste che sostenevano la mutabilità dei concetti dogmatici, senza che anche questo increscioso fenomeno sia stato adeguatamente represso, il che ha generato in molti una mentalità storicista, relativista ed evoluzionista, che ha favorito il disprezzo delle antiche condanne e la tranquilla assunzione degli errori moderni, riconosciuti peraltro come tali solo dagli esperti della storia delle idee e delle eresie, giacchè in realtà molte dottrine presentate come nuove ed avanzate, agli occhi degli storici seri del pensiero, sono quasi sempre il ritorno, magari con termini o sfumature diversi, di errori di tempi immediatamente precedenti il Concilio o anche antichi o antichissimi risalenti a volte addirittura ai filosofi presocratici, come per esempio gli aforismi di Eraclito, Anassagora, Pitagora, Epicuro, Democrito, Parmenide o Protagora o le mitologie dell’antica India o della Cina.

Potremmo fare molti esempi di questi errori condannati dalla Chiesa prima del Vaticano II risalendo nei secoli sino agli inizi del cristianesimo, errori che restano tali e che quindi il Concilio non ha affatto smentito, ma che anzi esso presuppone, almeno implicitamente: la negazione della dimostrabilità razionale dell’esistenza di Dio; la negazione della trascendenza, dell’immutabilità e dell’impassibilità divine; la negazione della divinità di Cristo; la negazione dei miracoli e delle profezie; l’idea che in Cristo Dio si muti in uomo; la negazione della Redenzione e quindi della Messa come sacrificio espiatorio e riparatore; la negazione della corporeità sensibile di Cristo risorto; la negazione della gerarchia ecclesiastica; l’idea che tutti e sempre sono in grazia; la possibilità di salvezza anche per gli atei e per chi è fuori della Chiesa; l’identificazione della Chiesa col mondo; l’idea che ogni religione sia salvifica; la negazione della coppia primitiva e della trasmissione della colpa originale per generazione; l’idea che Dio non castiga ma fa solo misericordia; Dio perdona anche chi non si pente; la negazione dell’esistenza di dannati nell’inferno; la negazione dell’esistenza del diavolo; la concezione dell’uomo come essere soprannaturale o divino; la negazione dell’immutabilità del dogma; la concezione della fede non come verità ma come esperienza o come prassi, oppure la fede come essenzialmente legata al dubbio o all’incredulità; la negazione della legge morale naturale; l’esaltazione dell’omosessualità; la liceità della fecondazione artificiale, dei rapporti sessuali extramatrimoniali e dell’uso degli antifecondativi; l’aborto e l’eutanasia intesi come diritti; il sacerdozio della donna.

Così similmente si crede che la dottrina delle due nature nel Concilio di Calcedonia non sia più attuale, si rifiuta il dogma dell’anima umana come forma sostanziale del corpo insegnato dal Concilio di Viennes nel 1312; si respinge la condanna di Eckhart fatta da Clemente V nel 1329; si nega il dogma dell’immortalità dell’anima proclamato dal Concilio Lateranense V nel 1513; si pensa che la condanna di Lutero fatta dal Concilio di Trento sia sbagliata; si crede che la condanna del liberalismo fatta dal Beato Pio IX sia superata; non si tiene conto della condanna del panteismo fatta dal Concilio Vaticano I e da S.Pio X; si disprezza l’enciclica Pascendi di S.Pio X; non si tien più conto degli errori di Rosmini condannati dal S.Offizio nel 1887; non ci si cura della condanna della massoneria fatta da Leone XIII, del comunismo fatta da Pio XI, nonché della scomunica dei comunisti fatta da Pio XII nel 1949; non ci si cura della condanna dello spiritismo fatta dal S.Offizio nel 1918; non si bada ai pericoli di un certo ecumenismo segnalati da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos; ci si è dimenticati degli errori segnalati da Pio XII nella Humani Generis; si rifiuta il monito circa il teilhardismo fatta dal S.Offizio nel 1959.

Non parliamo poi delle contaminazioni del cattolicesimo che sorgono dal fatto di mescolarlo col pensiero del Rinascimento italiano, di Cartesio, di Lutero, dell’illuminismo, dell’empirismo, di Kant, di Fichte, di Schelling, di Hegel, di Marx, di Freud, dell’esistenzialismo, di Husserl, di Heidegger, di Severino, del pensiero indiano, del buddismo e di altri.

 

La situazione attuale

 

Come ho già detto, la mancanza di interventi correttivi o critici da parte di vescovi o istituti accademici o uomini di cultura cattolici porta molti a credere che tutte queste teorie e queste idee tutto sommato siano divenute ammesse ed accettabili: la Chiesa, si pensa, ha mutato opinione o si è corretta in seguito a studi più critici e più documentati. Se vogliamo essere moderni,  aggiornati e seguaci del Concilio, – tale è il pensiero di molti – dobbiamo seguire questi pubblicisti, giornalisti, filosofi, teologi, moralisti, esegeti, vescovi e cardinali che oggi hanno assunto posizioni contrarie a quelle tradizionali presentate qui sopra. Il fatto che Roma o altre autorità ecclesiastiche non intervengano si crede essere segno che Roma tacitamente riconosce di essersi sbagliata.

Questa crisi della fede all’interno della Chiesa stessa e tra gli stessi pastori, esclusi, s’intende, il Papa, nonché lo stesso Magistero, che godono del carisma dell’infallibilità, può essere caratterizzata con cinque attributi: soggettivismo, buonismo, relativismo, modernismo,  secolarismo.

Soggettivismo. La fede non viene concepita più come ascolto di una dottrina insegnataci da Gesù Maestro, per il tramite della Chiesa, ma come incontro immediato, esistenziale, affettivo ed esperienziale con Cristo, anche senza passare attraverso il Magistero della Chiesa: un concetto tipicamente protestante della fede, la quale appare congiuntamente non come l’adeguarsi del nostro intelletto ad una verità oggettiva – ciò che S.Paolo chiama “obbedienza della fede” –, ma come libera espressione della coscienza soggettiva, che si ritiene direttamente illuminata da Dio, eventualmente per mezzo della Scrittura, ma nel senso di sola Scriptura.

Buonismo. La fede quindi non è virtù dell’intelletto, alla quale segue la carità come effetto della volontà, ma la fede è risolta nella carità e con essa confusa. La fede non è atto del conoscere, ma è coinvolgimento pratico dell’intera persona, ciò che in realtà appartiene alla carità e non alla fede. La carità in qualche modo si sostituisce alla verità. Non si fonda sulla verità, non presuppone la verità, ma appare essa stessa come fondamento della verità.

Alla base di questa visione c’è una disfunzione e un disordine nel rapporto tra intelletto e volontà. Bisogna dire che in passato si mancava alla carità in nome della verità (vedi il processo a Giordano Bruno); oggi si manca alla verità in nome della carità (il rahnerismo a piede libero).

Relativismo. Poiché ogni uomo ha bisogno di verità, si crede che di fatto tutti sono nella verità intesa come carità. Quindi tutti sono buoni e in buona fede, seppure ognuno a modo proprio. Infatti il rispetto della diversità, della libertà e del pluralismo richiede che la verità non sia un dato oggettivo, universale, vincolante, uno per tutti, ma sia qualcosa di relativo alla coscienza soggettiva e creativa di ciascuno, in quanto ognuno è diverso dagli altri.

Da qui un falso concetto della libertà religiosa, che praticamente è l’assolutizzazione della coscienza individuale, è liberalismo ed indifferentismo religiosi: perché affannarsi ad annunciare il Vangelo? Tanto tutti conoscono già la verità, tutti si salvano, tutti sono in grazia, tutti sono perdonati, tutti hanno buona intenzione e buona volontà. Nessuno fa il male volontariamente.

Secondo costoro tutti sono nella verità, anche se la mia verità contraddice alla tua. Ma comunque Dio è in tutti e salva tutti. Non esiste un’opposizione netta, assoluta, immutabile, universale ed oggettiva tra vero e falso: una medesima cosa può essere vera per me e falsa per te. Tutti abbiamo ragione. Dipende dal punto di vista. Quindi non si devono condannare errori ed eresie. Tutt’al più si può esprimere il proprio parere ma si devono rispettare anche le idee degli altri, per quanto contrarie alle nostre.

Sarebbe bene quindi per alcuni chiudere la Congregazione per la Dottrina della Fede, organismo che ancora riflette una superata mentalità preconciliare, inquisitoriale. La fede non è una certezza, ma una semplice opinione tra le altre, per sua natura è dialogo, confronto, convive col dubbio e con la stessa incredulità. Solo così si è aperti e tolleranti; altrimenti si diventa degli integralisti e dei talebani.

Secolarismo. Osserviamo che la fede ha perso il suo orientamento speculativo, contemplativo, spirituale, trascendente, soprannaturale, escatologico, benchè si continui ad usare questi termini, come fa Rahner, ma falsificandoli e secolarizzandoli. In realtà Rahner – e lo dice esplicitamente – non crede affatto nell’immortalità dell’anima e in una vita dopo la morte, ma per lui la salvezza è solo qui.

Dio non è al di sopra o al di là della storia, ma solo nella storia. Non c’è un altro mondo oltre a questo e superiore a questo, ma il cristianesimo è solo per questo mondo che è l’unico mondo. Non c’è un sacro oltre al profano, ma lo stesso profano è sacro (Rahner). Il sacerdozio non è fondato da Cristo, ma emana dal Popolo di Dio (“Chiesa dal basso”), per cui non esistono gerarchie (“struttura piramidale”), ma tutti siamo fratelli ugualmente sacerdoti (Schillebeeckx). L’azione della Chiesa è un’azione politica e non soprannaturale (teologia della liberazione).

Cristo non trascende il mondo ma è il vertice evolutivo del mondo -“Punto Omega” -: cristologia “cosmica” (Teilhard de Chardin). Infatti non è lo spirito (divino) che crea la materia, ma è la materia che si trasforma in spirito e diventa Dio (ancora Teilhard, cf Darwin, Schelling e Bruno).

Modernismo. Tutte queste idee e prospettive sono elaborate nella convinzione di essere moderni e di intrattenere un dialogo e un confronto con la modernità, sulla scia dell’impostazione innovativa del Concilio. L’idea in se stessa è buona, ma il guaio è che qui la “modernità”, invece di essere vista come un complesso di dati da vagliare alla luce del Vangelo, onde tenere il positivo e respingere il negativo, è considerata essa stessa un assoluto, alla luce del quale prendere dal Vangelo solo quello che si concilia con la modernità. E’ l’errore gravissimo del modernismo di ieri e di oggi.

 

Filiali suggerimenti ai vescovi

 

Il collegio dei vescovi in unione col Papa continua e continuerà sempre a costituire la guida infallibile nella fede cattolica, quale che sia il modo col quale il Magistero si esprime, semplice o solenne, ordinario o straordinario. Può sbagliare solo il singolo vescovo o un gruppo di vescovi (per esempio una conferenza nazionale) se non sono in comunione col Papa.

Spetta dunque ai vescovi, fraternamente uniti nella collegialità, rimediare a questa grave crisi di fede. Benedetto XVI non per nulla ha indetto l’Anno della Fede tuttora in corso ed aveva in programma la pubblicazione di un’enciclica sulla fede, se i modernisti, evidentemente allarmati, non lo avessero fermato. Tuttavia ritengo che sia bene che il nuovo Papa metta in atto il progetto di Papa Benedetto, senza paura dei modernisti. Sono loro che devono cedere, non certo Roma.

Bisogna tornare ad avere autentica stima per la virtù teologale della fede, che è l’inizio della salvezza. Se la fede è sana e forte, allora possono esercitarsi tutte le altre virtù, innanzitutto la carità. Ma se la fede è annacquata o confusa con altre cose per quanto importanti, tutto crolla e nulla si può costruire. La fede può stare senza la carità benchè con difficoltà: ma la carità non può assolutamente esistere  senza la fede, se non vuol decadere a mera filantropia, a emozione o, peggio, a sfogo di istinti soggettivi.

Ma la fede è verità, per cui occorre tornare ad aver rispetto per la verità, certo nella carità. Ma non c’è carità senza la verità. Il giusto rispetto per la coscienza soggettiva e per la libertà religiosa non dev’essere una scusa per disprezzare la verità oggettiva, universale ed immutabile. L’autorità ecclesiastica deve saper contemperare saggiamente il rispetto per la coscienza soggettiva con la cura del bene comune in fatto di dottrina della fede, promovendo la sana dottrina e sostenendo i suoi divulgatori ed apostoli, e confutando con buone ragioni e in modo persuasivo gli errori continuamente insorgenti, opponendo opportuni rimedi e correggendo amorevolmente con giustizia gli erranti e i ribelli.

Questa funzione dei vescovi, per quanto oggi soffra una grave crisi, è una funzione vitale di quella Chiesa che Cristo ha fondato garantendole che non sarà vinta delle forze dell’inferno. Per quanto dunque oggi la situazione sia angosciante e scandalosa, come cattolici siamo assolutamente sicuri che questa crisi sarà superata con la forza dello Spirito Santo per una Chiesa più santa e più forte di prima, vera luce delle genti e sacramento universale di salvezza.

[SM=g1740771] RICORDIAMO ANCHE DI LEGGERE QUI PAOLO VI SUL CONCILIO DI TRENTO


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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"Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive...." (Benedetto XVI 29.1.2010)


             

IL CONTRASTO TRA IL MAGISTERO E LA PASTORALE -
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
15.5.2013 da RiscossaCristiana

Esiste un contrasto fra il Magistero della Chiesa e la pastorale della Chiesa? La risposta è purtroppo sì, e ciò in modo acuto soprattutto in questi ultimi decenni. Quali sono i termini di questo contrasto? Che il Magistero della Chiesa, Papa insieme con il collegio dei vescovi, è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo nel proporre la dottrina della fede; ma la pastorale della Chiesa non ha ricevuto da Cristo questa assistenza infallibile.
 
E ciò lo si avverte oggi più che mai, allorché capita che vengano nominati a posti di responsabilità in campo dottrinale: ufficiali della Curia Romana, cardinali, vescovi, superiori di ordini religiosi, docenti nella facoltà pontificie, che non sempre sono all’altezza del loro compito e invece di collaborare col Magistero, gli creano intralci, favorendo a loro volta forze e personaggi ribelli e disobbedienti e maltrattando, abbandonando o ignorando quei pochi che si affaticano a costo di sofferenze ed incomprensioni nella diffusione e difesa della sana dottrina. Si mette la museruola al bue che trebbia e si lascia che il lupo invada l’ovile.
 
La Chiesa docente, ossia la classe dirigenziale della Chiesa, costituita dal corpo episcopale sotto la guida del Papa, dà l’impressione di un’azienda alimentare che ha una produzione di alta qualità, ma che poi abbia più che dei collaboratori, dei sabotatori che distruggono o adulterano quello che produce.
 
Che direbbero i consumatori di una ditta che si comportasse in questo modo? Certo le sarebbero grati per la produzione di buoni cibi e cercherebbero di accaparrarseli il più possibile, ma resterebbero sconcertati e quasi increduli allo spettacolo di collaboratori della dirigenza aziendale che invece di sostenere e divulgare i prodotti nella loro genuinità, si dessero da fare a bloccare le vendite, a distruggere o a sofisticare i cibi, mentre la direzione arrancasse come può per mandare avanti l’azienda. In tal modo gran parte del lavoro deve andare più che per l’espansione  dell’azienda, per far fronte agli ostacoli interni.
 
La prima osservazione, di buon senso, che farebbero i consumatori sarebbe la seguente: questa azienda ha dei buoni prodotti, ma è difficile procurarseli, perché certi organizzatori e distributori, invece di farli giungere ai clienti, li distruggono o li avvelenano o ci fanno su loschi affari.
 
Ma la dirigenza aziendale non se ne accorge? E perché assume un personale di tal fatta? Da quali oscuri poteri è condizionata? Come mai usa strumenti pubblicitari e di distribuzione che contrastano con i suoi fini e i suoi prodotti? Possibile che essa non riesca a far qualcosa per eliminare questi gravi inconvenienti?
 
Domande di questo genere, conservate le differenze e le proporzioni, se le fanno molti buoni fedeli, sia tra il popolo che tra i pastori, teologi, studiosi, pubblicisti ed intellettuali cattolici. Certamente il cattolico che vuol sapere qual è il sentiero della verità, lo può trovare: la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, la presenza dello Spirito Santo, le risorse della sua coscienza, il Catechismo, l’esempio dei santi.
 
Ma che fatica! Dove sono i buoni teologi? I buoni moralisti? I buoni vescovi? E Roma cosa fa? Perché gli eretici e i tracotanti hanno campo libero e i poveri, pochi ortodossi sono trascurati e bastonati? Perché tanti personaggi indegni in posti di comando?
 
Tuttavia, facciamo ben attenzione. Chi vede errori dottrinali nel Magistero, perde la bussola, sia egli un lefevriano che vuol giudicare il Magistero in nome della Tradizione, sia un modernista filoprotestante che vuol giudicare il Magistero in nome della Bibbia o di Rahner. Chi sceglie questa strada, non conclude nulla, le sue contestazioni non sono più credibili e si espone alle giuste ritorsioni.
 
E’ il Magistero e solo il Magistero che offre il criteri per giudicare i cattivi cardinali, i cattivi vescovi, i cattivi superiori, i cattivi teologi, i cattivi parroci e via discorrendo. Altrimenti si passa dalla parte del torto e si mette a serio rischio la propria anima, non si è più nella Chiesa come non lo sono più coloro che ci vivono col corpo ma non con l’anima.
 
Il fedele non deve scoraggiarsi se si ritrova con pochi altri in mezzo a una massa di dormienti, opportunisti, ambiziosi, ipocriti e conformisti. Deve bastargli la purezza della sua coscienza e l’intima soddisfazione di essere con Cristo e di soffrire con Cristo. Deve gioire se scopre di vivere le beatitudini evangeliche e se viene emarginato, criticato o punito per amore di Cristo.
 
Deve ricordare che i santi e i martiri hanno passato e stanno passando quello che sta passando lui. Le persecuzioni contro i cristiani non stanno avvenendo solo nei paesi musulmani o comunisti, ma anche da parte di fratelli di fede, con i quali magari vivi fianco a fianco tutti i giorni. Si ripete quello che ha passato Cristo: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”.
 
Il cattolico fedele al Magistero ha l’impressione di vivere nella sua patria occupata dallo straniero, un po’ come capitò durante la seconda guerra mondiale con l’occupazione tedesca. Sente di trovarsi nella sua casa, la Chiesa, ma avverte anche che ci sono forze estranee alla Chiesa che pure pretendono di guidarla dove vogliono loro e vogliono una Chiesa che non è quella vera. Queste forze lo vorrebbero cacciare, ma egli a buon diritto si domanda: ma perché non se ne vanno loro? Che ci stanno a fare tanti “cattolici” che in realtà sono modernisti, cattocomunisti, filomassoni, protestanti, epicurei e via discorrendo?
 
Il fedele deve trovare luce, consolazione e conforto nel Magistero. Ma povero Magistero! Il Magistero a sua volta ha bisogno di essere consolato. Invece un vescovo o un cardinale o un famoso teologo non fanno il Magistero, né possono giudicarlo, anche se vendono i loro libri a milioni di copie in tutto il mondo. La disgrazia è quando si diventa fanatici di quel cardinale, di quel vescovo, di quel teologo contro il Papa e il Magistero.
 
Occorre che il Papato riprenda in mano la guida della Chiesa: pasce oves meas, confirma fratres tuos. Questo è il compito imprescindibile del Papa, per il quale gode dell’assistenza infallibile dello Spirito Santo.
 
D’altra parte, l’esser riusciti a creare due Papi è stato il gesto più diabolicamente astuto dei modernisti, mai accaduto nella storia. Una beffa terribile, spaventosa, un’umiliazione tremenda per il Papato, della quale essi ridono sotto i baffi, benchè non vogliano troppo farlo vedere per non stravincere.
 
Quanto al gesto di Benedetto XVI di lasciare il suo ufficio, esso può essere stato un gesto di umiltà, ma non so quanta testimonianza abbia dato del fatto che Pietro è la roccia sulla quale Cristo edifica la sua Chiesa.
 
Non so pertanto quanto la coesistenza di due Papi, cosa mai successa nella storia, dia testimonianza dell’unità della guida della Chiesa. Certo Papa Francesco è il Papa legittimo e nessuno lo mette in discussione. Ma Papa Ratzinger non ha più niente da dire? Un teologo delle sue dimensioni, che è stato prefetto della CDF per vent’anni ed appunto è stato Papa? Non gli è rimasta la lucidità mentale? Per dimostrare la sua sottomissione al Papa attuale è proprio necessario che taccia completamente, mentre strillano gli araldi del modernismo dicendo al Papa che cosa deve fare?
 
Che ne è dell’Anno della Fede? Dell’enciclica che Papa Ratzinger intendeva scrivere? Certo la linea di Papa Francesco è molto dialogante, molto simpatica, attira le folle dei giovani con gesti insoliti, ma i gravi problemi che Ratzinger ha tentato invano di risolvere restano. Egli è in un certo senso crollato davanti ad essi.
 
Potrà Papa Francesco ignorarli? Non è ignorandoli che si risolvono. Papa Francesco prima o poi dovrà affrontare il confronto o la sfida che gli viene dalla parte ribelle della Chiesa. Dio gli ha concesso la forza di vincere. Deve farcela. Preghiamo.


*****************************************

  ricordiamo anche la denuncia di mons. Crepaldi, Arcivescovo di Trieste che così denunciò in una Lettera aperta nel marzo 2010:


A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.
 
Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.
 
Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.
 
Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.
 
La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.



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Il Concilio restituito alla Chiesa di Stefano Fontana

Il Concilio restituito alla Chiesa di Stefano Fontana(di Cristina Siccardi)

È accaduto davvero qualcosa di veramente molto grave nella nostra identità di cattolici, una «presa di coscienza», per utilizzare un’espressione semantica moderna che ben viene delineata e descritta da Stefano Fontana nell’introduzione al suo libro Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, con la prefazione dell’Arcivescovo di Trieste Monsignor Giampaolo Crepaldi (La Fontana di Siloe, Torino 2013 pp. 191, € 18.00).

In questo testo Fontana, direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa e del settimanale diocesano di Trieste “Vita nuova”, veste i panni di un semplice fedele, scevro da ogni intenzione teologica o storica. «Questo fedele qualunque sono io stesso, siamo noi che abbiamo vissuto quest’epoca senza ricoprire una cattedra universitaria pontificia, senza esserci letti tutti i cinque volumi della Storia del Concilio Vaticano II curati da Giuseppe Alberigo, senza aver frequentato Romano Amerio autore del famoso Iota Unum, senza aver partecipato a Convegni e Congressi sul Vaticano II, innumerevoli in questi decenni e ancor più nell’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI e che coincide con il 50mo anniversario dell’apertura del Vaticano II l’11 ottobre 1962» (p. 14).

Dapprima l’autore stende i ricordi di un’infanzia vissuta in una realtà tutta cattolica, quando i bambini venivano educati da suore e preti con talare; quando il sacerdote era rivolto verso Dio per compiere il Santo Sacrificio dell’altare; quando la particola veniva presa in ginocchio e in bocca e non si doveva assolutamente masticare; quando bisognava essere digiuni dalla mezzanotte per comunicarsi. «Tutte queste cose finirono con il Concilio. Il nostro fedele qualunque non sa bene dire se finirono a causa del Concilio o se erano già esaurite e il Concilio volesse rimediare a questo loro esaurimento. Il collegamento però tra Concilio e fine di un’epoca è molto chiaro nella sua mente» (p. 17).

Non sono le lacrime lamentevoli di chi ha nostalgie per un passato che non ritorna più, è lo smarrimento intelligente di chi si rende conto che è stato sottratto, all’improvviso e con una nuova pastorale, un insegnamento perenne che nutriva le anime e indicava loro come giungere alla salvezza, con armonia e senza schizofrenie. È la voce della fede che dall’interno del credente reclama una coerenza di principi e vuole comprendere perché, ad un certo punto, durante la santa Messa si pregava Gandhi o Martin Luther King, si ascoltavano le note dei Pink Floyd durante l’elevazione e perché si iniziò a fare catechismo sulla base delle canzoni di Fabrizio De André o di Giorgio Gaber.

L’autore propone questa sua riflessione sul Concilio Vaticano II con intenti risolutivi, sforzandosi di incanalare il Concilio nel discorso di “giusta interpretazione”, dentro la linea dell’ «ermeneutica della riforma nella continuità», indicata da Benedetto XVI. Ma l’impresa è ardua, come ammette lo stesso direttore di “Vita nuova” e noi, aggiungiamo, è proprio impossibile, poiché non è sufficiente una giusta interpretazione conciliare: per risolvere realisticamente i problemi è necessario individuare i nodi nei documenti e sgarbugliarli, soltanto così il Concilio sarà restituito alla Chiesa.

Fontana cerca di trovare un rimedio perché sente tutto il peso di una voragine che si è aperta e slabbrata in questi 50 anni di frutti conciliari. È evidente che ci sia una presa d’atto, senza ipocrisie e annebbiamenti, delle discontinuità fra un prima e un dopo Concilio; egli, così, si pone di fronte ad un orizzonte dai lineamenti incerti e confusi e, in ultima analisi, la sua speranza è riposta, come in ogni buon fedele, nell’intervento della Provvidenza, in grado di risolve errori e divisioni anche, e a maggior ragione, all’interno della Chiesa di cui Cristo solo è il Capo e il Fondatore. (Cristina Siccardi)


[SM=g1740771]


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LE FORZE MALIGNE COLLETTIVE

di P. Giovanni Cavalcoli, OP da RiscossaCristiana

 

 

tdDalle narrazioni della Sacra Scrittura, dalla storia dell’umanità, delle nazioni, degli imperi   e delle religioni, nonché dalla storia della santità e della perversione umana, considerando le azioni collettive più crudeli e disumane suscitate da ideologie aberranti, immorali, empie, antireligiose o sconsiderate, quelle che la Bibbia chiama “dottrine diaboliche”, lo scatenarsi irrazionale dell’odio di massa contro innocenti indifesi e calunniati, non è difficile indovinare, riconoscere o dedurre l’influsso non solo sugli individui ma anche su governi, capi religiosi o militari, movimenti politici, culturali o forze armate, di quel misterioso, potente e malvagio agente spirituale, a sua volta collettivo, che la tradizione cristiana, in base all’insegnamento biblico ed evangelico, chiama “diavolo”, “demonio” o “Satana”, il “maligno” per eccellenza.

Da notare è che, secondo la Bibbia, questo personaggio non è, come alcuni credono, un simbolo mitico del “male”, né tanto meno è il “male” inteso come sostanza - già S.Agostino, liberandosi dal dualismo manicheo, aveva ben compreso che il male non è una sostanza, ma un accidente contingente e precisamente un difetto o carenza o privazione di bene.

Invece, sempre secondo la Scrittura, il demonio è una vera e propria persona, simile a noi, con la differenza che è puro spirito, mentre la nostra natura comporta un’unione sostanziale di spirito e corpo.

Questo agente spirituale incorporeo, come è confermato dal Concilio Lateranense IV del 1215, è una creatura di Dio in sè stessa più nobile dell’uomo, ma in quanto irrevocabilmente ribelle a Dio per propria colpa, è animata da un odio implacabile sia nei confronti di Dio che dell’uomo.

Per questo Dio permette che per tutto il corso della storia[1] di questo mondo, questa personalità invisibile in sè stessa ma visibile negli effetti sensibili che lascia, soprattutto nell’uomo, dotata di una raffinata astuzia e capacità di inganno, tanto da essere chiamata da Cristo, “padre della menzogna”, insista caparbiamente, con parziale successo, ma con la prospettiva finale della sconfitta, nell’incitare singole persone ed intere collettività o formazioni umane al peccato, alla violenza, all’odio reciproco, ad ogni sorta di ingiustizia, discordia e sopraffazione, tanto da essere chiamata da Cristo anche “omicida sin da principio”.

Questa creatura, in seguito al peccato originale, sempre secondo la rivelazione biblica, ha acquistato per permissione divina come castigo di Adamo per il suo peccato, un forte potere in questo mondo, un potere oppressivo o di seduzione, per il quale l’uomo, anche il più santo, soffre per la presenza di questo essere malvagio, tentatore, fascinoso e corruttore. Il fatto che la coppia originaria si sia fidata del serpente diffidando di Dio, ha lasciato come traccia nel genere umano una maledetta tendenza a preferire a volte, sotto vari pretesti, Satana a Dio, a lasciarsi ingannare dal diavolo.

Per questo Cristo lo chiama anche “principe di questo mondo” e S.Paolo “spirito del mondo”, espressione curiosamente ripresa (inconsapevolmente?) da Hegel (Welgeist), ma in un senso che, secondo Hegel, dovrebbe essere positivo, benchè nella concezione hegeliana, come ho fatto notare in un mio recente articolo su questo sito (“L’apologia della morte in Hegel”), il riferimento sia proprio al demonio, che Hegel considera il simbolo mitico di quella “negatività”, che per il filosofo tedesco è la leva di quella “dialettica” che assicura il divenire storico e con ciò stesso il divenire di Dio identificato con la Storia.

Il modo di influire di Satana sugli uomini e sui popoli è molteplice e molto diversificato. L’immaginazione popolare, soprattutto iconografica, quando pensa al demonio o ai posseduti dal demonio, li vede come esseri orrendi e ripugnanti, brutti quanto si può, carichi di odio, con gli occhi strabuzzati o iniettati di sangue, agitati da una furia scatenata, in preda alla più crudele violenza, assetati di sangue, vomitanti le più orribili bestemmie ed urla infuocate.

Ora, tutto questo non è sbagliato, ma è ben lontano dal rappresentare compiutamente la condotta del demonio e dei “figli delle tenebre”, ossia dei popoli invasati, sedotti o comunque influenzati dal demonio, quella che Agostino chiama la “Città di Satana”. La possessione diabolica costituisce un fenomeno assai raro e di non facile diagnosi, certamente pauroso, curabile con l’esorcismo.

Questi fatti non recano danno se non al malcapitato, ma non vanno più in là; anzi a volte formano un argomento apologetico per renderci consapevoli dell’esistenza di Satana e quindi per correre ai ripari. Per questo Satana sa che non è con questo metodo che egli conquista le masse, ma ne ha ben altri, che vedremo sotto.

Questo aspetto dunque non è l’elemento più pericoloso ed insidioso dell’azione di Satana. Esso colpisce di più la fantasia popolare, che vede nel demonio più uno che spaventa o danneggia fisicamente che non il sottile e affascinante tentatore all’incredulità, all’odio ed all’eresia.

Invece, come avverte la Scrittura, spesso e volentieri, per indurci al peccato, soprattutto di empietà e di superbia, egli sa anche abilissimamente “mascherarsi da angelo della luce” e suggerire quindi idee e condotte apparentemente moderate, beneducate, gentili, controllate, politically correct, come si dice oggi, ma che nascondono l’odio, il tradimento, la diffidenza, la disobbedienza, l’invidia e la malvagità: “veleno d’aspide sotto le labbra”, come dice il Salmo.

Per questo Cristo chiama i servi del demonio col nome di “serpenti” e “razza di vipere”, per il loro insinuarsi ipocritamente nascosto, contorto, dolce ed apparentemente innocuo, ma in realtà pronto ad aggredire improvvisamente e proditoriamente per colpire senza pietà.

Già l’Antico Testamento vede negli dèi dei popoli pagani dei demòni ed Agostino riprende insistentemente questa idea. Forse essa non sarebbe molto gradita a certi dialoganti di oggi e soprattutto ai buonisti. Eppure essa mantiene la sua verità, anche se naturalmente oggi, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ci chiede un’attenzione ai valori delle altre religioni e delle culture non cattoliche, che un tempo non esisteva. Ma con questo il Concilio non ci autorizza assolutamente ad abbassare la guardia e ci obbliga ad avere quel saggio discernimento che sa distinguere gli spiriti, cogliere il buono e rifiutare il cattivo.

L’Antico Testamento vede nelle guerre condotte dai popoli pagani contro Israele una figura profetica della guerra ricorrente dei “figli di questo mondo” contro i “figli della luce”, ossia contro la Chiesa, della quale guerra parlerà il Vangelo ed un linguaggio simile si trova anche nella letteratura di Qumran, ed in altre correnti apocalittiche. Infatti nella stessa Apocalisse biblica, come è noto, è annunciato lo scontro finale tra le forze di Cristo capo della Chiesa dei santi e le forze del male capeggiate da Satana e dai suoi accoliti.

Tuttavia il nemico può essere anche all’interno della Chiesa, così come la Chiesa visibile può avere amici, aiuti e collaboratori nei “buoni samaritani”, ossia non-cattolici, apparentemente increduli, laicisti o atei, che si trovano al di fuori dei suoi confini visibili, ma che, per la loro buona fede, ignoranza invincibile, buona volontà ed onestà naturale possono benissimo appartenere inconsciamente alla Chiesa ed esser più santi di molti che vi appartengono visibilmente, ma come pesi morti, ossia non col cuore, ma solo col corpo.

Anzi oggi più che mai assistiamo a questo fenomeno a causa di un fraintendimento della pastorale missionaria del Concilio Vaticano II, per il quale, per la prima volta nella storia dei Concili, la Chiesa non si rivolge più soltanto ai cattolici o al massimo ai cristiani non-cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, ossia agli uomini in quanto tali, per cui non fonda quello che dice solo sulla base della dottrina cattolica, ma delle comuni convinzioni della ragione e della coscienza naturali, per proporre a tutti il Vangelo.

Con questo atteggiamento la Chiesa ha voluto rimediare a un certo difetto del periodo preconciliare,  nel quale c’era sì la giusta preoccupazione di aver ben chiari i confini dell’ortodossia e ci si curava di custodirli con zelo, precisione e coraggio, ma poi era scarsa l’attenzione e la comprensione degli aspetti validi delle altre religioni e delle culture diverse da quella della tradizione greco-romana.

La Chiesa, attaccata radicalmente da questi nemici esterni ed aperti, si difendeva vigorosamente e validamente, colpo su colpo, con saggi avvertimenti, centrate condanne e sottili confutazioni. Ma, nel fervore della polemica, tendeva a non vedere o a minimizzare valori comuni di carattere umano, che potevano costituire una base di dialogo col quale ammodernare, ampliare ed arricchire l’edificio della cultura cattolica, avere più contatti con gli uomini del proprio tempo aiutandoli a risolvere i propri problemi, e proponendo a tutti, nelle loro lingue e culture, il messaggio di Cristo.

Il Vaticano II ha ovviato a questi difetti, ma purtroppo la sua apertura al mondo moderno ed agli uomini in quanto esseri razionali sono stati da molti fraintesi, come se la nuova Chiesa da costruire non avesse più quei confini dottrinali che erano stati fissati dalla tradizione e dal dogma, ma fosse diventata una specie di pappa molle, raccolta sincretistica ed incoerente di tutte le possibili opinioni del mondo moderno, accettate semplicemente per il fatto di essere moderne e condivise da personaggi in vista o famosi, eretici riabilitati, o comunque graditi alla grande massa della gente.

Ci si è dimenticati che la Chiesa è un organismo vivente, il quale, come tale, per vivere decentemente e in buona salute, deve fare due cose: conservare la propria identità e intrattenere relazioni con l’ambiente assumendo il buono e rifiutando il nocivo. Il criterio della distinzione proviene nel vivente dalla sua stessa vitalità interiore, essenziale e strutturale, supposta sana, la quale evidentemente va conservata, se no non si ha rinnovamento ma corruzione.

Qualcosa del genere si sarebbe dovuto fare per applicare veramente le direttive conciliari: conservare l’essenza o identità immutabile della Chiesa, ed in base a questa autocoscienza fare un’opera di discernimento nei confronti della modernità proponendo il positivo e confutando il negativo.

E’ stato ed è un atto di grande stoltezza quello dei modernisti di deridere e disprezzare l’atteggiamento conservatore o tradizionalista, quasi che esso sia di per sé sbagliato. Esistono invece nella Chiesa come in ogni circostanza della vita, anche la più banale, cose da conservare e cose da gettar via o da mutare.

Anche qui è importante il discernimento da farsi, nel nostro caso, sulla base degli elementi essenziali della Chiesa, che la Chiesa stessa si è sempre premurata di definire, compreso il Vaticano II. Il vero rinnovamento o il vero progresso non sono una rivoluzione che cancella tutto per tutto rifare come farebbe un cuoco che ha bruciato una vivanda. Ragionare in questo modo vuol dire dar prova di un’enorme, colpevole superficialità o immaturità intellettuale. Vero rinnovamento e vero progresso invece  sono rinnovare e far progredire ciò che va conservato. Progresso e tradizione, riforma e fedeltà sono valori inscindibili nella vita della Chiesa come in ogni altra forma di vita umana.

Invece oggi la Chiesa si presenta, bene che vada, come una specie di caotico e confusionario mercato delle pulci, dove troviamo tutto e il contrario di tutto, sicchè non c’è da sorprendersi se il mondo non si converte perchè gli presentiamo un volto della Chiesa che, come disse drammaticamente Paolo VI, demolisce sè stessa, con un doppio magistero, quello dei vescovi e quello dei teologi in contrasto e in competizione tra di loro, quando dovrebbero essere i vescovi a guidare e a correggere i teologi, sicchè il comune onesto uomo della strada o una persona che ha la testa sul collo o ha un po’ di buon senso è portato a dirci: mettetevi d’accordo su cosa siete e prenderemo in esame la proposta cristiana. Oppure viceversa tende a diffondersi un’immagine modernista della Chiesa che non corrisponde a quella veramente voluta da Cristo.

Occorre ritrovare o meglio raggiungere l’equilibrio. Senza sconfessare le conquiste del Vaticano II e proprio per dare ad esse un fondamento ed una credibilità, è necessario ritrovare i criteri immutabili, dogmatici del volto della Chiesa, già ben noti nella tradizione e sulla loro base aggiungere gli sviluppi e le esplicitazioni del Vaticano II, superando l’apparenza di “rottura” che questi possono dare nei confronti del passato. Solo così la Chiesa mostrerà di essere un vero organismo vivente, il Corpo di Cristo così come Cristo lo ha voluto per la salvezza del mondo.

 

 


[1] Come è ricordato dallo stesso Concilio Vaticano II.



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[SM=g1740758] Come si deve obbedire alla Chiesa

10.07.2013 23:09

 

«Non si fa più difficoltà ad ammettere che da un secolo
tutto è cambiato non solo sulla terra, ma anche in cielo;
che sulla terra c’è un’umanità nuova e in cielo un Dio nuovo.
Il che è tipico dell’eresia: esplicitamente o implicitamente
ogni eresia ha pronunciato questa bestemmia».

(Louis Veulliot: “L’illusione liberale”).

 

Commonitorio di San Vincenzo di Lerino
Capitolo IV
Che s'abbia a fare in caso di divisioni nella Chiesa.


"Che farà pertanto un Cristiano cattolico, se qualche piccola porzione di battezzati siasi separata dalla comunione di tutti i fedeli?
Che altro in vero avrà a fare, se non anteporre a un membro putrido e contagioso tutto il restante del corpo sano?
E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora?
Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità.

E se se in mezzo alla stessa antichità traviata rinvengasi qualche partita d'uomini, o qualche intera città, o tutt'anche una provincia, come s'avrà a contenere?
In questo caso sarà sua cura di dare la preferenza sopra la temeriarità e l'ignoranza di pochi a' decreti di tutta la Chiesa, quando ve n'abbia d'universalmente ab antico accettati...."

San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia, in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.
Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa.
Ecco la “Regola”:

«NON È SICURAMENTE CATTOLICA, E QUINDI VA RESPINTA, OGNI NOVITÀ IN CONTRASTO CON QUANTO SEMPRE E DOVUNQUE È STATO CREDUTO E INSEGNATO NELLA CHIESA CATTOLICA».

Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi.
Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata dall’“inimicus homo”.
In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede una validità indiscutibile ed intramontabile.
San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere più chiaramente ciò che già si credeva in maniera molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato senza capire”, ma il chiarimento non può contraddire ciò che la Chiesa ha fino ad oggi insegnato.

Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”, Al N° 22, l’ammonizione paolina:
«O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato, non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne; nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo dovere seguirlo».

Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la Fede, non di modificazione.
Caratteristica del progresso è che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa; della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in un’altra».

Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché, se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo» (N° 23).

San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale, ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità con l’antico!
Il Commonitorio, quindi, è ben lungi da una immobilità cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale immutabilità.

Leggiamo quanto scrive San Vincenzo al N° 23:
«Che la  religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi, i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».
In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato rilevato (explicatio Fidei).
Se, invece, con l’aumento dell’età «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie, se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno si debiliterebbe».

«Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano… senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà, nessuna variazione di ciò che è definito».
È, insomma, il grano di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre di senape.
Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione” o di identità sostanziale, che consente di distinguere tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo della corruzione dottrinale.

Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).
È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un vivissimo senso della Chiesa e che la Chiesa stessa, citandolo in un Concilio dell'epoca moderna, lo tiene ancora oggi in alta considerazione.

Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e cattolico» (N° 2).

La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”, ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi Concili ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero sempre nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3).

Infine San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha tutta la ragione di essere interna alla Chiesa, affinché il Magistero stesso si possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore, magari da errori proposti da persone investite di autorità nella Chiesa, fattesi “Maestri della Chiesa”, come avvenne con Nestorio, patriarca di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di Sirmio (Pannonia); come il vescovo Donato, ecc...  «con la più grande stima di tutti» (N° 11).
Come non pensare oggi ai tanti "don Gallo" disseminati nella Chiesa, lasciati liberi di seminare l'errore senza che la Gerarchia faccia un solo passo per ammonire questi sacerdoti erranti? Come non pensare alla situazione gravissima di un laico che si è autoelevato a dicitura di monaco fondando un monastero modernista e che invece di fare il monaco va in giro per le diocesi a seminare veleni dottrinali con il tacito e a volte esplicito consenso di non pochi vescovi?
In questo caso San Vincenzo, lo abbiamo letto, è chiarissimo: "E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora? Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità", ma sempre da dentro la Chiesa deve avvenire che sia il Magistero a dire l'ultima parola.

Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite, negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed incontaminata» (N° 4).

«L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna nuova menzogna» (N° 3).

Concludendo, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio soggettivo protestantico, liberale, modernista.

Ma leggiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:
«Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio quasi divino dei confessori della Fede, è che essi hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto, preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire l’antica fede universale» (N° 5).

E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hannomostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità dell’antichità consacrata».
Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato, quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”, le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale, condizione indispensabile della nostra salvezza!
(c.p. 6-7).

Concludiamo riportando dal Documento della CTI (Commissione Teologica Internazionale) del 1990, presieduta all’epoca dal card. J. Ratzinger:
L’Interpretazione dei Dogmi, tratto dal Libro: CTI Documenti 1969-2004 Ed. ESD pag. 381-421
quanto segue.


“ Le dichiarazioni del Magistero circa l’interpretazione dei dogmi sono chiare in proposito e non lasciano dubbi: la storia dei dogmi è il processo di una interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione (…) il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa Cattolica guidata dallo Spirito Santo”.

Non a caso il Concilio di Trento difendendo questa dottrina, metteva al tempo stesso i fedeli in guardia contro una interpretazione privata della Scrittura, sottolineando come spetti alla Chiesa giudicarne il senso autentico e la corretta interpretazione.
Idem fece il Concilio Vaticano I° nel riaffermare Trento anzi, approfondendo ulteriormente, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi purchè, tale sviluppo: “ si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato - eodem sensu eademque sententia.
In sostanza: “ per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa”.
Pio XII ritorna su questi aspetti nell’Enciclica Humani generis nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.
Non a caso lo stesso Paolo VI nell’Enciclica Mysterium Fidei (del 1965) ritorna sull’argomento sottolineando anzi, insistendo, sulla necessità che: “si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione…”.

Commette un grave errore ( e lo ha commesso) chi, usando il Concilio Vaticano II, ha pensato (e pensa ancora oggi) che fosse (e che sia) innocuo modificare la terminologia usata per la proclamazione dei dogmi! E’ come se si fosse preteso (o si pretendesse) di modificare la terminologia usata per il Teorema di Pitagora, o di modificare le regole matematiche pensando di non apportare alcun danno alla applicazione delle stesse.
Il tentativo continuo, da dopo il Concilio, di pretendere di spiegare i dogmi o le dottrine modificandone la terminologia ha finito, in verità, per snaturalizzarli…

Così come non a caso nel 2007, la CdF ha dovuto emanare ulteriori chiarimenti per le: “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”.
Cinque domande, cinque risposte!
La prima spiega, appunto, che il Concilio Vaticano II “né ha voluto cambiare, né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente”.
Infatti il Concilio  presentò la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio valorizzando, semmai, la questione anche storica dei dogmi, leggiamo infatti nella DV, n.8:
“vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della Tradizione apostolica…”, vi è pertanto un progresso, non un regresso come è di fatto avvenuto in molti ambiti ecclesiali!
E cosa intendesse la Chiesa per questo “progresso” lo spiegò chiaramente Giovanni XXIII al Discorso di apertura del Concilio del giorno 11.10.1965 quando disse che, l’insegnamento della Chiesa, pur conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, deve essere trasmesso agli Uomini, integralmente, in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo!
Le "esigenze del tempo" tuttavia, non possono essere l'espediente per snaturalizzare le dottrine o modificarle, questo tempo esige il coraggio della vera fede e la carità nella verità, le esigenze saranno allora contenute nei modi attraverso i quali offrire al mondo questa dottrina e non è il contenuto da adattare al tempo eretico che stiamo vivendo.

***


Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/come-si-deve-obbedire-alla-chiesa/


[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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15/07/2013 15:09
 
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"Anch'io ho nostalgia della Messa in latino"
INTERVISTA: IL BIOGRAFO DI PAOLO VI ACCUSA
Jean Guitton (amico di fiducia di Paolo VI e Giovanni Paolo II poi):
"Quanti errori, Lefebvre aveva ragione..."

"Freud, Marx e Lutero hanno sostituito nei seminari Tommaso, Ambrogio e Agostino"



PARIGI: "Quel giorno tremavo dall'emozione. Per tutta la vita avevo sognato un Concilio che affrontasse le grandi questioni del Novecento, l'ecumenismo, il progresso, i diritti della donna... E ora ero la', e avrei parlato, primo laico nella storia, a un Concilio della Chiesa cattolica. Sono passati trent'anni...".

Jean GUITTON, 91 anni, la coscienza critica della cristianita', l'amico di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, il confidente di Paolo VI, e' commosso. Guarda fuori dalla finestra del suo piccolo appartamento parigino, sui giardini del Luxembourg. Agita una mano fragile, e comincia. "Il Concilio e' stato perfetto. Ma l'applicazione... quanti errori. E' diminuita la fede. Ha perso vigore la verita. Quanti errori: la Chiesa cattolica ha rinunciato a proclamarsi la sola vera Chiesa. Ha pregato assieme ai protestanti, alle altre religioni. Nei seminari Freud, Marx, Lutero hanno preso il posto di Tommaso, Ambrogio, Agostino".


-Per questo Lefebvre se ne e' andato?
Paolo VI e poi Papa Wojtyla mi avevano incaricato di trovare una soluzione, di evitare lo scisma. Io ho fallito. Parlare di Econe per me e' molto doloroso. Perche', in fondo, Lefebvre aveva ragione.

-In che senso aveva ragione?
La verita' non puo' cambiare. Se e' bianca, non puo' diventare grigia, rossa o marrone. E se la Chiesa possiede la verita', rimane identica a se stessa attraverso la storia. Quando Lefebvre diceva che il Concilio non poteva cambiare l'affermazione solenne della Chiesa sulla verita', diceva cose che dobbiamo condividere. Ma Lefebvre le sosteneva in modo maldestro. Confondeva l'adesione alla Chiesa con l'adesione a un partito. Era uno spirito chiuso.

-Quali sono le altre ombre del post-Concilio?
L'anarchia. Il curato che non obbedisce piu' al parroco, il parroco al vescovo, il vescovo al cardinale. La catechesi affidata alla gente che passa per strada. Guardi, vicino a casa mia ci sono due parrocchie, Saint-Sulpice e Notre Dame des Champs. E non dicono le stesse cose. Pensi che coerenza puo' avere una catechesi affidata al primo venuto.

-Il nuovo catechismo risolvera' il problema?
Ecco dov'e' il male. Com'e' possibile che i cattolici abbiano dovuto attendere trent'anni per sapere cosa e' giusto fare, cosa e' giusto credere e cosa no? Il nuovo catechismo doveva arrivare tre minuti dopo il Concilio, non dopo trent'anni. E il Catechismo c'era, si chiamava "Catechismo San Pio X" chi ha dato l'ordine di dismetterlo in attesa di fare quello aggiornato?

- Vede ancora altre ombre?
La crisi delle vocazioni. Finito il Concilio, pensavo che i seminari si riempissero. Invece... E poi, siamo arrivati a pensare che basti la sincerita' per fare un cristiano. Anche se si e' ladri, anche se si e' omosessuali. Verita', ci vuole. Pentimento. E fede.

-Ha nostalgia della Messa in latino?
Sì. In latino ho espresso le emozioni di 60 anni della mia vita di cattolico. Anche Paolo VI soffrì per il cambio di liturgia. Mi disse: dobbiamo sacrificare i nostri sentimenti, per rendere il Vangelo comprensibile a tutti. Aveva ragione. Ma il Concilio non abolì il latino: lasciò libertà di liturgia. Soltanto in seguito la Messa tridentina e' stata considerata un reperto da museo.

-Quali sono invece le luci?
Il dialogo. Nei duemila anni prima del Concilio la Chiesa cattolica aveva solo condannato. Ora ha cambiato metodo: non condannare, ascoltare. Il dialogo con i non cattolici continua oggi piu' che mai: con gli anglicani, con i protestanti; con gli ortodossi, ora che la Russia sovietica e' diventata la Russia di San Pietroburgo. Anche i rapporti con l'immenso mondo dei non credenti non sono mai stati cosi' intensi.

-Qual e' stata la piu' bella innovazione del Concilio?
La liberta' religiosa. Ricordo i cardinali spaccati in due partiti. I progressisti dicevano: la religione dev'essere fondata su un atto di liberta'. Io ero d'accordo. Sapevo che Sartre aveva affrontato il problema, ma senza risolverlo: perche' non c'e' liberta' senza Dio, non c'e' Dio senza liberta'. Passo' la linea dei progressisti.

- E i conservatori furono battuti. Chi erano?
Il loro capo era Ottaviani. Uno spirito netto, bello, pulito. Parlava benissimo il latino. Sapeva anche essere ironico, ricordo che dovevamo stabilire quando una famiglia cattolica e' numerosa. Qualcuno disse: e' numerosa se ha quattro figli. "No, se ne ha dodici!", urlo' lui. "Altrimenti io non sarei nato". Lo disse in latino, ovviamente e sorridendo, ma senza dubbio diceva una profonda verità in difesa delle famiglie numerose".

- Quale altra figura le e' rimasta impressa?
Wiszinsky. Il primate di Polonia era un uomo eccezionale. E di destra.

- E Wojtyla?
Era il suo allievo. Non so con chi fosse schierato. Sa, nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato Papa...

- Perche' Paolo VI volle che lei, un laico, prendesse la parola?
Tra noi c'era un grande amore, una grande amicizia. E' il mistero degli incontri. La prima volta che lo vidi era un 8 settembre, lui era ancora vescovo... fu come un fulmine. Mi fece promettere che ogni 8 settembre sarei andato a trovarlo. Lo feci per 27 anni. Quando divenne Papa gli dissi: Eminenza, le porto il mio addio. E lui, gridando: ma come, non ho forse un cuore? Non posso piu' amarla? No, avro' bisogno dei suoi consigli piu' di prima. Paolo VI è stato incompreso da molti e davvero maltrattato. Ha commesso diversi errori, è vero, come tutti noi del resto, ma era sempre davvero in buona fede, oserei dire che fu piuttosto tradito dalle persone ed anche dai gruppi di cui si fidava e spesso si circondava: spesso facevano il contrario di quanto egli chiedeva.

- Cosa le diceva nei giorni del Concilio?
La sera del mio intervento mi regalo' un orologio, dicendo: "Oggi e' stata una giornata storica. Lei portera' questo orologio per ricordare che il tempo non e' che un soffio in confronto all'eternità. Che emozione. Che gioia.

- Cosa le rivelo' ancora?
Che soffriva. Seguiva i lavori su una tv a circuito chiuso. Sentiva nel suo cuore le divisioni dei cardinali, sapeva delle manovre.

- Chi manovrava? I conservatori o i progressisti?
Entrambi. C'erano duemila vescovi. In ogni Parlamento ci sono uomini abili che tentano con sistemi piu' o meno corretti di influenzare gli altri.

- Cosa ricorda della fine del Concilio?
Ora che mi resta poco da vivere posso farle una confidenza. Paolo VI sognava di morire sul campo di battaglia. La responsabilita' lo schiacciava. Un giorno mi disse: "Diamoci un appuntamento dopo la morte". Era l'uomo piu' solo del mondo. Erano soli, lui e Dio. Lo capisco, il Concilio e' stato l'evento del secolo. Me lo disse anche De Gaulle. Io lo lodavo: lei ha salvato la Francia. E lui: ma lei ha partecipato al Concilio.

- Sono stati trent'anni difficili per la Chiesa. Ma oggi possiamo ancora dirci cristiani?

I nostri anni sono il trionfo della violenza, l'apoteosi del sesso, della televisione, del denaro. Il piu' grande nemico del cristianesimo non e' l'ateismo. Quello si vede, si tocca. Il nemico invisibile e' l'indifferenza.

- E il consumismo, il capitalismo?
Il capitalismo e' come la sua cravatta. Posso usarla per abbellire il suo abito. Oppure per strangolarla.

- Lei ha detto che il comunismo non e' morto, e risorgera' in qualche altra forma.
Le diro' di piu'. Il comunismo non e' di per se' contro il cristianesimo. Lo diventa quando sostiene l'ateismo. I primi cristiani avevano i beni in comune.

- E il cristianesimo, rischia di morire?
La Chiesa attraversa una crisi terribile. Ma la crisi e' la sua condizione esistenziale. Dio vuole cosi'. La Chiesa era in crisi gia' quando Giovanni scriveva l'Apocalisse. Ma quando al mondo fosse rimasto anche un solo cristiano, la Chiesa vivrebbe con lui. Vede, la nostra e' l'eta' del degrado. E' come tirare con l'arco. La freccia deve tendersi all'indietro per schizzare in avanti. Ecco, noi oggi siamo compressi all'indietro. Ma siamo alla vigilia di grandi cambiamenti. Il prossimo secolo sara' l'era della nuova evangelizzazione, e la luce tornera' a illuminare la Chiesa. Ma i miei occhi non faranno in tempo a vederla.

Aldo Cazzullo

Jean Guitton (Saint-Étienne, 18 agosto 1901 – Parigi, 21 marzo 1999) è stato un filosofo e scrittore francese cattolico; papa Paolo VI lo nominò primo uditore laico al Concilio Vaticano II.

Da La Stampa dell'11 ottobre 1992

***************************


Padre Pio era un modello di rispetto e di sottomissione verso i suoi superiori religiosi ed ecclesiastici, specialmente quando era perseguitato. Malgrado ciò, non potè restare silenzioso davanti alle deviazioni che erano funeste alla Chiesa. Prima della fine del Concilio, nel febbraio 1965, qualcuno gli annunciò che presto si sarebbe celebrata la Messa secondo il nuovo rito, ad experimentum, in lingua volgare, rito che era stato composto da una commissione liturgica conciliare al fine di rispondere alle ispirazioni dell'uomo moderno. Padre Pio scrisse immediatamente a Paolo VI, prima ancora di avere visto il testo, per chiedergli di essere dispensato da questa esperienza liturgica e di potere continuare a celebrare la Messa di San Pio V.

Quando il Cardinale Bacci venne a visitarlo per portargli l'autorizzazione richiesta, Padre Pio si lasciò sfuggire un lamento in presenza del messaggero del papa: «Per pietà, mettete fine rapidamente al Concilio». Quello stesso anno, in mezzo all'euforia conciliare che prometteva una nuova primavera della Chiesa, egli confidò ad uno dei suoi figli spirituali: «In questo tempo di tenebre, preghiamo. Facciamo penitenza per gli eletti».

Altre scene della vita del Padre sono molto significative; ad esempio, la sua reazione all'aggiornamento degli ordini religiosi voluta dal Vaticano II. Le seguenti citazioni provengono da un libro che ha avuto l'imprimatur: «Nel 1966, il Padre Generale dei Francescani venne a Roma un po' prima del capitolo speciale che doveva trattare delle costituzioni, al fine di chiedere le sue preghiere e benedizioni a Padre Pio. Incontrò Padre Pio nel chiostro. "Padre, sono venuto per raccomandare alle vostre preghiere il capitolo speciale per le nuove costituzioni....". Aveva appena pronunciato le parole "capitolo speciale" e "nuovi costituzioni" che Padre Pio fece un gesto violento ed esclamò: "Tutto ciò è solamente un nonsenso distruttore". "Ma, Padre, dopo tutto, bisogna tenere conto delle giovani generazioni... i giovani si evolvono secondo le loro mode... ci sono dei bisogni, delle nuove richieste....". "La sola cosa che manca, disse il Padre, sono l'anima e il cuore, sono tutto, intelligenza e amore". E partì per la sua cella, si rigirò e disse, puntando il suo dito: "Non dobbiamo snaturarci, non dobbiamo snaturarci! Al giudizio del Signore, San Francesco non ci riceverà come suoi figli"! Un anno dopo, la stessa scena si ripetè all'epoca dell'aggiornamento dei cappuccini.

Un giorno, alcuni colleghi discutevano col definitore generale, il consigliere vicino al provinciale o al generale di un ordine religioso, i problemi dell'ordine, quando Padre Pio, assumendo un atteggiamento scandalizzato, esclamò, con un sguardo severo nei suoi occhi: «Che cosa volete a Roma? Che cosa intrallazzate? Volete cambiare anche la regola di San Francesco»? Il definitore replicò: «Padre, si vorrebbero proporre dei cambiamenti perché i giovani non vogliono più saperne della tonsura, dell'abito, dei piedi scalzi...». «Cacciateli! Cacciateli! Che cosa bisogna dire? Forse che fanno un favore a San Francesco prendendo l'abito e seguendo la sua regola di vita, o non è piuttosto San Francesco che offre loro questo grande dono?».

Fonte: Fr. Jean, OFM Cap., Lettre aux Amis de Saint François del Monastero di Morgon, febbraio 1999, fasc. n. 17.

[SM=g1740733]  il severo monito di San Padre Pio ci rammenta quello di Paolo VI, alle sue tristi parole in una Lettera scritta proprio ai religiosi, la Sacrificium Laudis:

"Dalle lettere di alcuni di voi e da parecchie missive giunteci da varie parti siamo venuti a conoscenza che i cenobi o le province da voi dipendenti - parliamo solo di quelle di rito Latino - hanno adottato differenti modi di celebrare la divina Liturgia: alcuni sono molto attaccati alla lingua Latina, altri nell'Ufficio corale vanno chiedendo l'uso delle lingue nazionali e vogliono inoltre che il canto cosiddetto Gregoriano sia sostituito qua e là con canti oggi in voga; altri addirittura reclamano l'abolizione della lingua latina stessa.
Dobbiamo confessare che tali richieste Ci hanno non lievemente colpiti e non poco rattristati; e vien da chiedersi da dove sia sorta e, perché si sia diffusa questa mentalità e questa insofferenza in passato sconosciuta".



[SM=g1740733]




[Modificato da Caterina63 15/07/2013 15:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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“Troppi pastori scappano all’arrivo del lupo”. Cavalcoli replica a Cottier

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cavalcoli

Nella disputa in corso su www.chiesa e Settimo Cielo circa l’interpretazione del Concilio Vaticano II, l’intervento del cardinale Georges Cottier, teologo emerito della casa pontificia, non è passato liscio all’occhio attento di padre Giovanni Cavalcoli, suo confratello nell’ordine di san Domenico, docente di teologia a Bologna.

Ecco qui di seguito la sua replica critica.

*

COMMENTO ALL’INTERVENTO DEL CARDINALE COTTIER

di Giovanni Cavalcoli OP

Mi è sembrato opportuno il richiamo del cardinale Georges Cottier al contributo in Concilio del teologo belga Gérard Philips, che collaborò alla preparazione della “Lumen Gentium”, circa la dottrina della Chiesa come “riflesso” della luce di Cristo. Non è infrequente, infatti, la tentazione di certi ambienti ecclesiali di ingigantire l’autorità della Chiesa nei confronti del suo divino Capo e Sposo, allontanandola con ciò stesso dalla guida che le viene da Cristo.

Mi è parsa buona anche la critica al professor Enrico Morini, simile a quella che gli feci io a suo tempo in questo blog.

Invece – con tutto il rispetto per un porporato così illustre, teologo emerito della casa pontificia, per di più mio confratello nel medesimo ordine domenicano – non condivido la convinzione del cardinale Cottier che oggi la Chiesa “rinuncia ad ogni mezzo di coercizione”.

Se così fosse, essa mancherebbe ad un suo dovere essenziale, per quanto certamente inferiore al dovere della clemenza, della misericordia e del dialogo.

L’enciclica “Ecclesiam suam” di Paolo VI, citata dal cardinale, è esplicitamente e solamente dedicata al dialogo e non rispecchia tutta la dottrina di Paolo VI e della Chiesa stessa. Il medesimo papa, in altra occasione, in un suo discorso ricordò esplicitamente che la Chiesa mantiene a tutt’oggi il suo potere coercitivo, ovviamente nell’ambito della legalità canonica.

Lo stesso diritto canonico, a proposito del potere coercitivo della Chiesa parla di “ius nativum”. Altrimenti che ci starebbero a fare i tribunali ecclesiastici e il diritto penale della Chiesa?

La convinzione di una certa tendenza postconciliare secondo la quale oggi la Chiesa non deve più irrogare pene è sbagliata e viene falsamente fatta risalire al Concilio Vaticano II e a papa Giovanni XXIII, il quale invece disse, per l’esattezza, che oggi la Chiesa preferisce la misericordia alla severità e non – come vorrebbero i buonisti – che usa solo la misericordia e mai la severità. Una misericordia senza giustizia diventa connivenza col crimine e con i criminali, lasciando gli offesi senza compenso e i delitti senza riparazione.

Una delle giuste lamentele che da cinquant’anni sorgono da molti ambienti del mondo cattolico è la denuncia di un’eccessiva indulgenza, per non dire debolezza, in molti pastori, sino al limite della connivenza o della complicità nei confronti di dottrine o costumi a larga diffusione che non sono conformi alla retta fede e degradano il livello morale dei fedeli e in genere della società.

Sono troppi oggi i pastori che scappano all’arrivo del lupo o nemmeno se ne accorgono. Un pochino di energia e di coraggio, pagando di persona, non guasterebbe, anzi sarebbe un’ottima misura, come è dimostrato da tutti i grandi e santi pastori della storia della Chiesa.

Anche tutta la recente chiassosa e bislacca polemica contro il professor Roberto de Mattei a proposito dei castighi divini dimostra che larga parte del mondo cattolico ha perso il concetto della giustizia divina, considerando Dio come un bonaccione cha lascia passare tutto e non chiude solo un occhio ma tutti e due.

È ovvio che certi sistemi penali del passato sono oggi assolutamente improponibli e addirittura ci fanno orrore, perchè – ci son voluti dei secoli, ma questa è la storia – ci siamo accorti (meglio tardi che mai) che erano disumani ed antievangelici.

Ma il rifiutare questi e il pensare di risolvere i problemi dottrinali e morali solo con le cortesie e le dolci parole sono una pericolosa illusione, una tremenda ingenuità ed una nefasta utopia, per non dire un’ipocrisia, che denotano la dimenticanza delle conseguenze del peccato originale e finiscono per dare campo libero ai furbi ed ai prepotenti e lasciare senza difesa gli onesti, vittime delle menzogne e dei soprusi, con grave pregiudizio per il destino eterno di tutti.

Bologna, 24 ottobre 2011

*

In www.chiesa e in Settimo Cielo la discussione sull’interpretazione del Concilio Vaticano II è in corso da diversi mesi. In essa sono intervenuti a più riprese Francesco Agnoli, Francesco Arzillo, Inos Biffi, Giovanni Cavalcoli, Stefano Ceccanti, Georges Cottier, Roberto de Mattei, Masssimo Introvigne, Agostino Marchetto, Alessandro Martinetti, Enrico Morini, Enrico Maria Radaelli, Fulvio Rampi, Martin Rhonheimer, Basile Valuet, David Werling, Giovanni Onofrio Zagloba.

Nell’ordine, ecco le precedenti puntate della disputa

> I grandi delusi da papa Benedetto (8.4.2011)
> Francesco Agnoli: il funesto ottimismo del Vaticano II (8.4.2011)
> I delusi hanno parlato. Il Vaticano risponde (18.4.2011)
> Chi tradisce la tradizione. La grande disputa (28.4.2011)
> La Chiesa è infallibile, ma il Vaticano II no (5.5.2011)
> Benedetto XVI “riformista”. La parola alla difesa (11.5.2011)
> Libertà religiosa. La Chiesa era nel giusto anche quando la condannava? (26.5.2011)
> La Chiesa può cambiare la sua dottrina? La parola a Ceccanti e a Kasper (29.5.2011)
> Ancora su Stato e Chiesa. Dom Valuet risponde a Ceccanti (30.5.2011)
> Padre Cavalcoli scrive da Bologna. E chiama in causa i “bolognesi”(31.5.2011)
> Può la Chiesa cambiare dottrina? Il professor “Zagloba” risponde(6.6.2011)
> Tra le novità del Concilio ce n’è qualcuna infallibile? San Domenico dice di sì (8.6.2011)
> Un “grande deluso” rompe il silenzio. Con un appello al papa(16.6.2011)
> Bologna parla: la tradizione è fatta anche di “rotture” (21.6.2011)
> Esami d’infallibilità per il Vaticano II. Il quizzone del professor Martinetti (27.6.2011)
> Il bolognese Morini insiste: la Chiesa ritorni al primo millennio(15.7.2011)
> La Tradizione abita di più in Occidente. Padre Cavalcoli ribatte a Morini (27.7.2011)
> Rampi: come cantare il gregoriano nel secolo XXI (3.8.2011)
> Concilio cantiere aperto. Ma c’è chi incrocia le braccia 
(17.10.2011)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/11/2014 18:37
 
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  Intervista a Mons. Schneider sul Sinodo: «Cercano di minare l'insegnamento di Nostro Signore ma Egli guida la sua barca»








La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno di testimoni intrepidi e candidi della verità tutta intera del comandamento e della volontà di Dio, di tutta la verità delle parole di Cristo sul matrimonio. I moderni farisei e scribi clericali, i vescovi e cardinali che gettano i grani di incenso agli idoli dell' ideologia neo-pagana del genere e del concubinato, non convinceranno nessuno a credere in Cristo o ad essere pronti ad offrire la propria vita per Cristo. Lo ha detto Athanasius Schneider Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Santa Maria ad Astana, in Kazakistan in un'intervista ad Izabella Parowicz di Polonia Cattolica.


 



 

Eccellenza, qual è la sua opinione sul Sinodo? Qual è il suo messaggio alle famiglie? 

Durante il Sinodo ci sono stati momenti di manipolazione manifesta da parte di alcuni chierici che detengono posizioni chiave nella struttura editoriale e di gestione del Sinodo. La relazione intermedia (Relatio post disceptationem) era chiaramente un testo prefabbricato senza alcun riferimento alle effettive dichiarazioni dei padri sinodali. Nelle sezioni su omosessualità, sessualità e "divorziati risposati" con la loro ammissione ai sacramenti il testo rappresenta una ideologia neo-pagana radicale. Questa è la prima volta nella storia della Chiesa che un testo eterodosso del genere è stato effettivamente pubblicato come documento di una riunione ufficiale dei vescovi cattolici, sotto la guida di un papa, anche se il testo aveva solo un carattere preliminare. 


Grazie a Dio e alla preghiera dei fedeli di tutto il mondo, un consistente numero di padri sinodali ha risolutamente respinto tale documento-base; esso riflette la corrente morale egemone del nostro tempo, corrotta e pagana, che viene imposta a livello globale per mezzo della pressione politica e attraverso i quasi onnipotenti mass media ufficiali, che sono fedeli ai principi del partito mondiale sulla ideologia del genere. Tale documento sinodale, anche se solo preliminare, è un vero peccato e dà la misura di quanto lo spirito  anticristiano del mondo è già penetrato a livelli così importanti della vita della Chiesa. Questo documento rimarrà per le generazioni future e per gli storici una macchia nera che ha macchiato l'onore della Sede Apostolica. Fortunatamente il Messaggio dei Padri sinodali è un vero e proprio documento cattolico che delinea la verità divina sulla famiglia senza tacere sulle radici più profonde dei problemi, vale a dire circa la realtà del peccato. Dà vero coraggio e consolazione alle famiglie cattoliche. Alcune citazioni: "Pensiamo dell'onere imposto dalla vita nella sofferenza data da un bambino con bisogni speciali, da una grave malattia, dal deterioramento della vecchiaia, o dalla morte di una persona cara. Ammiriamo la fedeltà di tante famiglie che sopportano queste prove con coraggio, fede e amore. Lo vedono non come un peso inflitto loro, ma come qualcosa in cui si danno, vedendo il Cristo sofferente nella debolezza della carne. ... L'amore coniugale, che è unico e indissolubile, resiste nonostante le molte difficoltà. Si tratta di uno dei più belli di tutti i miracoli e il più comune. Questo amore si diffonde attraverso la fertilità e la generatività, che riguarda non solo la procreazione dei figli, ma anche il dono per loro della vita divina nel battesimo, nella catechesi, nell'educazione . ... La presenza della famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe nella loro modesta casa aleggia su di voi ".

 


Quei gruppi di persone che erano in attesa di un cambiamento nella dottrina della Chiesa per quanto riguarda le questioni morali (ad esempio consentendo ai divorziati risposati di ricevere la Santa Comunione o concedendo qualsiasi forma di riconoscimento per le unioni omosessuali) sono stati probabilmente delusi dal contenuto della Relatio finale. Non c’è, però, il pericolo che discutere le questioni che sono fondamentali per l’insegnamento della Chiesa stessa possa aprire le porte a gravi abusi come pure ad analoghi tentativi di rivedere questo insegnamento in futuro?


 


In realtà l’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale è un comandamento divino, nel nostro caso il sesto comandamento, una regola divinamente stabilita, che comporta che coloro che sono in stato di peccato grave non possono essere ammessi alla Santa Comunione. Questo è insegnato da San Paolo nella sua lettera ispirata dallo Spirito Santo in 1 Corinzi 11, 27-30, questo non può essere messo ai voti, così come la divinità di Cristo non sarebbe mai messa ai voti. Una persona che è ancora sotto l’indissolubile vincolo matrimoniale sacramentale e che nonostante questo vive una unione di convivenza stabile con un’altra persona, per legge divina non può essere ammessa alla Santa Comunione. Farlo provocherebbe una dichiarazione pubblica da parte della Chiesa di efferata legittimazione e la negazione dell’indissolubilità del matrimonio cristiano e, allo stesso tempo, di abrogazione del sesto comandamento di Dio: «Non commettere adulterio». Nessuna istituzione umana, neanche il Papa o un Concilio Ecumenico, ha l’autorità e la competenza per invalidare anche solo in maniera minima o indiretta uno dei dieci comandamenti divini o le divine parole di Cristo: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi (Mt 19, 6)».


Indipendentemente da questa lucida verità, insegnata in modo costante e immutabile – perché è immutabile – dal Magistero della Chiesa attraverso tutti i secoli fino ai nostri giorni, come ad esempio nella Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e da Papa Benedetto XVI, la questione della ricevibilità della Santa Comunione da parte dei cosiddetti “divorziati risposati” è stata messa in votazione nel Sinodo. Questo fatto è di di per sé atroce e rappresenta un atteggiamento di arroganza clericale verso la verità divina della Parola di Dio. Il tentativo di mettere la verità divina e la Parola divina al voto è indegno ad opera di coloro che in qualità di rappresentanti del Magistero devono trasmettere con uno zelo fatto di buone e fedeli norme (cfr. Mt 24, 45) il deposito Divino. Ammettendo i “divorziati risposati” alla Santa Comunione, questi vescovi stabiliscono una nuova tradizione sorta dal loro velleitarismo e trasgrediscono in tal modo il comandamento di Dio, per cui Cristo una volta rimproverò i farisei e gli scribi (cfr. Mt 15, 3). E ciò che è ancora più grave, è il fatto che tali vescovi cercano di legittimare la loro infedeltà con la parola di Cristo, per mezzo di argomenti come la «necessità pastorale», «misericordia», «apertura allo Spirito Santo». Inoltre non hanno paura e non si fanno scrupoli a pervertire in modo gnostico il vero significato di queste parole etichettando al tempo stesso i loro oppositori che difendono il comandamento divino immutabile e la vera tradizione non-umana come rigidi, scrupolosi o tradizionalisti.


Durante la grande crisi ariana nel IV secolo, i difensori della divinità del Figlio di Dio sono stati etichettati come «intransigenti» e «tradizionalisti». Sant’Atanasio fu perfino scomunicato da Papa Liberio; il Papa si giustificò con l’argomento per cui Atanasio non era in comunione con i vescovi orientali, i quali erano per lo più eretici o semi-eretici. San Basilio il Grande, in quella situazione, dichiarò: «un solo peccato è oggi severamente punito: il rispetto attento delle tradizioni dei nostri padri. Per questo motivo i buoni sono scacciati dal loro posto e portati nel deserto» (Ep. 243).


In realtà i vescovi che sostengono la Santa Comunione per i “divorziati risposati” sono i nuovi farisei e scribi, perché trascurano il comandamento di Dio contribuendo al fatto che i “divorziati risposati” continuino a «commettere adulterio» (Mt 15, 19); perché vogliono una soluzione «pulita» secondo l’esteriorità e vogliono apparire puliti anche agli occhi di coloro che hanno il potere mediatico (i social media, l’opinione pubblica). Ma quando, alla fine, appariranno innanzi al tribunale di Cristo, essi sicuramente sentiranno con loro sgomento queste parole di Cristo: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle …. degli adùlteri ti fai compagno» (Sal 50 (49), 16-18).

 

La Relatio finale del Sinodo contiene anche, purtroppo, il paragrafo con il voto sulla questione della Santa Comunione per “divorziati risposati”. Anche se non ha ottenuto i necessari due terzi dei voti, resta tuttavia il fatto preoccupante e sorprendente che la maggioranza assoluta dei vescovi presenti ha votato a favore della Santa Comunione per i “divorziati risposati”: una ben triste riflessione sulla qualità spirituale dell’episcopato cattolico dei nostri giorni. È triste inoltre che il paragrafo – che non ha ottenuto l’approvazione richiesta della maggioranza qualitativa – resti tuttavia nel testo finale della Relatio e verrà inviato a tutte le diocesi per ulteriori discussioni. Aumenterà sicuramente la confusione dottrinale tra i sacerdoti e i fedeli, essendo ora ventilato che i comandamenti divini e le divine parole di Cristo e quelle dell’apostolo Paolo sono messi a disposizione di gruppi decisionali umani.


Un cardinale che apertamente e con forza ha sostenuto la questione della Santa Comunione per i “divorziati risposati” – ed ha anche proferito dichiarazioni vergognose sulle «coppie» omosessuali nella Relatio preliminare – era insoddisfatto della Relatio finale, dichiarando sfacciatamente: «Il bicchiere è mezzo pieno»; analogamente ha dichiarato che si deve lavorare affinché sia pieno al Sinodo dell’anno prossimo. Dobbiamo credere fermamente che Dio dissiperà i piani di disonestà, infedeltà e tradimento. Cristo tiene infallibilmente il timone della barca della sua Chiesa in mezzo ad una simile grande tempesta. Noi crediamo e confidiamo nel vero sovrano della Chiesa, in Nostro Signore Gesù Cristo, che è la verità.

 



 


Più avanti, nel corso dell'intervista, mons Schneider non nasconde la gravità della situazione, che torna a paragonare alla crisi ariana, come in questa precedente intervista [qui]. Mi ha colpito la sua affermazione che allora la fede è stata salvata dal popolo (la chiesa docta-discente, piuttosto che da quella docente) insieme a Atanasio e pochi sacerdoti in comunità sparse... Così risponde all'intervistatrice :



Attualmente stiamo vivendo il culmine dell'aggressione contro la famiglia; questa aggressione è accompagnata da una confusione tremenda nel campo delle scienze sull'uomo e sull'identità umana. Purtroppo, ci sono alcuni membri della gerarchia della Chiesa che, discutendo questi argomenti, esprimono opinioni che contraddicono l'insegnamento di Nostro Signore. Come dovremmo parlare con quelle persone che diventano vittime di questa confusione, al fine di rafforzare la loro fede e per aiutarle verso la salvezza?


 


In questo momento straordinariamente difficile Cristo purifica la nostra fede cattolica, in modo che attraverso questo processo la Chiesa splenderà più luminosa per essere veramente luce e sale per l' insipido mondo neo-pagano grazie alla fedeltà e alla fede pura e semplice in primo luogo dei fedeli, dei più piccoli nella Chiesa, della "ecclesia docta" (la chiesa che apprende), che ai nostri giorni rafforzerà la "docens Ecclesia» (la Chiesa docente, vale a dire il Magistero), in maniera simile a come accadde nella grande crisi della fede nel IV secolo come il beato John Henry Newman ha dichiarato: «Questo è un fatto molto notevole: ma c'è una morale in esso. Forse è stato permesso, al fine di imprimere alla Chiesa durante la persecuzione la grande lezione evangelica, il cui vero punto di forza non è costituito dal saggio e potente, ma dall'oscuro, l'ignorante e il debole. Il Paganesimo è stato rovesciato soprattutto dai fedeli; fu il popolo fedele, sotto la guida di Atanasio e dei vescovi egiziani, e in alcuni luoghi sostenuto dai propri Vescovi o sacerdoti, che ha resistito alle peggiori eresie che sono state espulse dal territorio sacro. ...in quel tempo di immensa confusione il dogma divino della Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo fu proclamato, imposto, mantenuto e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens; che gran parte dell'Episcopato fu infedele al suo mandato, mentre il popolo rimase fedele al suo battesimo; che a volte il Papa, a volte i Patriarchi, Metropoliti o Vescovi, a volte gli stessi Concili dichiararono ciò che non avrebbero dovuto o fecero cose che oscuravano o compromettevano la verità rivelata. Mentre, al contrario, il popolo cristiano, guidato dalla Provvidenza, fu la forza ecclesiale che sorresse Atanasio, Eusebio di Vercelli ed altri grandi solitari che non avrebbero resistito senza il loro sostegno. In un certo senso si può dire che vi fu una "sospensione temporanea" delle funzioni della Ecclesia docens. La maggior parte dell'Episcopato aveva mancato nel confessare la vera Fede». (Ariani del IV secolo, pp. 446, 466).


Dobbiamo incoraggiare i cattolici ordinari ad essere fedeli al Catechismo che hanno imparato, ad essere fedeli alle chiare parole di Cristo nel Vangelo, ad essere fedeli alla fede che i loro padri e antenati hanno loro consegnata. Dobbiamo organizzare circoli di studio e conferenze sull’insegnamento perenne della Chiesa sulla questione del matrimonio e della castità, invitando soprattutto i giovani e le coppie sposate. Dobbiamo mostrare la grande bellezza di una vita nella castità, la grande bellezza del matrimonio cristiano e della famiglia, il grande valore della Croce e del sacrificio nella nostra vita. Dobbiamo presentare sempre più gli esempi dei santi e delle persone esemplari che hanno dimostrato che, nonostante il fatto che hanno sofferto le stesse tentazioni della carne, la stessa ostilità e derisione del mondo pagano, hanno tuttavia condotto con la grazia di Cristo una vita felice in castità, nel matrimonio e nella famiglia cristiani. La fede, la fede cattolica e apostolica pura e integra vincerà il mondo (cfr. 1 Gv 5, 4).


Dobbiamo fondare e promuovere gruppi di giovani dal cuore puro, gruppi di famiglie, gruppi di coniugi cattolici, che saranno impegnati nella fedeltà delle loro promesse matrimoniali. Dobbiamo organizzare gruppi che aiutino le famiglie moralmente e materialmente distrutte, le ragazze madri, gruppi che assistano con la preghiera e con buoni consigli le coppie separate, gruppi e persone che aiutino le persone “divorziate risposate” a incamminarsi in un processo di conversione seria, cioè riconoscendo con umiltà la proria situazione di peccato e con la grazia di Dio abbandonino i peccati che violano il comandamento di Dio e la santità del sacramento del matrimonio. Dobbiamo creare gruppi che aiutino con attenzione le persone con tendenze omosessuali ad entrare nel cammino della conversione cristiana, il percorso di una vita casta felice e bella, ed infine ad offrire loro in modo discreto una cura psicologica. Dobbiamo mostrare e predicare ai nostri contemporanei nel mondo neo-pagano la Buona Novella di liberazione della dottrina di Cristo: che il comandamento di Dio, e anche il sesto comandamento è sapienza, è bellezza: «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Sal 19 [18], 8-9).

 


Durante il Sinodo, l'arcivescovo Gądecki di Poznań e alcuni altri prelati illustri hanno espresso pubblicamente il proprio dissenso per il fatto che i risultati delle discussioni si sono allontanati dall'insegnamento perenne della Chiesa. C'è speranza che, in mezzo a questa confusione, ci sarà un risveglio di membri del clero e di quei fedeli che finora ignoravano che, nel seno stesso della Chiesa, ci sono persone che minano l'insegnamento di Nostro Signore?

 


È certamente un onore per il cattolicesimo polacco che il presidente dell'episcopato cattolico, Sua Eccellenza l'Arcivescovo Gądecki, abbia difeso con chiarezza e coraggio la verità di Cristo sul matrimonio e sulla sessualità umana, rivelando così di essere un vero figlio spirituale di san Giovanni Paolo II. Il Cardinale George Pell ha definito l'agenda sessuale liberale e il presunto sostegno misericordioso e pastorale della santa Comunione per "divorziati risposati" durante il Sinodo molto a proposito, dicendo che questa è solo la punta di un iceberg ed una sorta di cavallo di Troia nella Chiesa.

 

Che nel seno stesso della Chiesa, ci siano persone che minano l'insegnamento di Nostro Signore è diventato un fatto ovvio e unico in tutto il mondo nel vedere grazie a internet e al lavoro di alcuni giornalisti cattolici che non sono rimasti indifferenti a ciò che stava accadendo alla fede cattolica, che essi ritengono essere il tesoro di Cristo. Mi ha fatto piacere vedere che alcuni giornalisti cattolici e blogger di internet si sono comportati come buoni soldati di Cristo e hanno richiamato l'attenzione su questo ordine del giorno clericale di minare il perenne insegnamento di Nostro Signore. Cardinali, Vescovi, sacerdoti, famiglie cattoliche, i giovani cattolici devono dire a se stessi: mi rifiuto di conformarmi allo spirito neo-pagano di questo mondo, anche quando questo spirito viene diffuso da alcuni vescovi e cardinali; Non accetterò il loro uso fallace e perverso della santa misericordia divina e della "nuova Pentecoste"; mi rifiuto di gettare grani di incenso davanti alla statua dell'idolo della ideologia del genere, davanti all'idolo delle seconde nozze, del concubinaggio, anche se il mio vescovo avesse fatto questo, io non voglio farlo; con la grazia di Dio io scelgo di soffrire, piuttosto che tradire la verità di Cristo sulla sessualità umana e sul matrimonio.

 


I testimoni convinceranno il mondo, non i maestri, ha detto il Beato Paolo VI nella "Evangelii nuntiandi".1 La Chiesa e il mondo hanno urgente bisogno di testimoni intrepidi e candidi di tutta la verità del comandamento e della volontà di Dio, di tutta la verità delle parole di Cristo sul matrimonio. I Farisei e gli scribi ecclesiastici moderni, quei vescovi e cardinali che gettano i grani di incenso agli idoli dell'ideologia neo-pagana del genere e del concubinato, non convinceranno nessuno a credere in Cristo o ad essere pronti ad offrire la propria vita per Cristo. Infatti "veritas Domini manet in aeternum" (Sal 116: la verità del Signore rimane per sempre) e "Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13, 8) e "la verità vi farà liberi" (Gv 8 : 32). Quest'ultima frase era una delle frasi bibliche preferite di San Giovanni Paolo II, il papa della famiglia. Possiamo aggiungere: la verità divina rivelata e immutabilmente trasmessa sulla sessualità umana e del matrimonio porterà la vera libertà alle anime dentro e fuori della Chiesa. Nel bel mezzo della crisi della Chiesa e del cattivo esempio morale e dottrinale di alcuni vescovi del suo tempo sant'Agostino ha confortato i semplici fedeli con queste parole: «Così, come ho detto spesso e ripeto insistentemente: qualunque cosa noi siamo, voi siete sicuri: voi che avete Dio per padre e la Chiesa per madre». Contra litteras Petiliani III, 9, 10).


______________________________


1. «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii nuntiandi, n.41) (ndT)


 


Fraternamente CaterinaLD

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24/11/2014 19:56
 
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  La grande paura dei conformisti: Non prendiamo lezioni da coloro che hanno assassinato moralmente Benedetto XVI!


 

Sono ora in grado di mettere a disposizione il testo dell'imperdibile invettiva da Rorate caeli [qui

«Obbedienza»? «Rispetto»? Non accettiamo lezioni da coloro che hanno assassinato moralmente Benedetto XVI!
Siamo molto onorati di pubblicare questo nuovo articolo di un ecclesiastico molto saggio, competente e molto influente, che scrive sotto lo pseudonimo di don Pio Pace.
 
La grande paura dei conformisti:
Non prendiamo lezioni da coloro che hanno assassinato moralmente Benedetto XVI!
don Pio Pace

Da qualche tempo, modernisti, liberali, o auto-definentisi «moderati» e anche documenti e blog «mediamente conservatori» hanno inveito contro la «guerra senza quartiere» condotta dai cattolici ortodossi a Papa Francesco e ai suoi orientamenti.
 
Siamo proprio nel bel mezzo della parabola della pagliuzza e della trave! Queste anime buone che ora danno lezioni non hanno forse criticato, senza un attimo di riposo, Giovanni Paolo II e il suo tentativo di «restaurazione» minore? Non hanno forse distrutto Benedetto XVI fino al punto che si può parlare di suo assassinio morale?
Benedetto XVI, riguardo al quale i liberali, tra loro dicevano, il giorno dopo la sua elezione: «Questo non durerà più di un paio di anni!»
Benedetto XVI, ai nemici del quale Piero Marini aveva apertamente fornito il grido di battaglia: «Resistere! Resistere! Resistere!».
Proprio loro vorrebbero darci lezioni, coloro che, con i loro incessanti e brutali attacchi a Benedetto XVI, da parte dei cattolici o attraverso i media di regime, fughe di documenti, pressione finanziaria, distruggendogli tutto quello che faceva o non gli permettevano di fare, ciò che diceva o ciò che non diceva, lo hanno spinto a presentare le sue dimissioni. Non solo vogliono annientarci come hanno fatto con lui, ma vogliono che li ringraziamo per essere giustiziati, che troviamo divertente esser massacrati, e anche che ci scusiamo con loro per il fatto che il nostro sangue possa macchiare le loro vesti immacolate.

Ora, questi buoni apostoli hanno improvvisamente scoperto le virtù di «obbedienza» e «umiltà», predicano a noi il «rispetto» per Pietro, come se, affermando la verità - non facile da intendere, e in toni molto più miti nonché in maniera più equilibrata di quanto essi non abbiano mai fatto - venissimo meno a questa obbedienza e rispetto. Eppure è proprio a causa della nostra fede in Pietro e grazie alla nostra obbedienza incondizionata alla Chiesa e a tutta la sua tradizione che dobbiamo parlare come facciamo.

La verità è che hanno paura.
Vedo tre ragioni per questo. 
  1. La prima ragione è che i conservatori hanno mostrato una capacità assolutamente straordinaria e inaspettata di adattamento ai nuovi media. La loro capacità di essere presenti, il loro desiderio di reagire, di commentare tempestivamente, per fornire analisi non appena gli eventi accadono, moltiplicata attraverso i blog, i siti web e tutto il mondo dei social media ... C'è da dire che il cattolicesimo tradizionale oggi, in tutte le sue forme e tendenze, è in parte il risultato della modernità e ... del Vaticano II. Questo Concilio ha voluto dare voce ai laici. E, per lo stupore dei custodi dello «spirito del Concilio», i laici hanno preso la parola! Non i laici clericalizzati dell'establishment liberale, ma i nuovi cattolici ortodossi. Dalla promozione dell'individualismo scaturita dai cambiamenti attuati nella Chiesa, sono stati in grado di trarre profitto in una maniera che gli artigiani e i partigiani di questi stessi cambiamenti non avrebbero mai potuto prevedere. Al tempo del Vaticano II, la rabbia dei liberali si è scatenata contro il cardinale Ottaviani, che sono riusciti a far fuori. Oggi, i liberali si trovano di fronte eserciti di piccoli Ottaviani in tutti i forum e media cattolici. E molti di loro sono abbastanza abili!
  2. La seconda ragione è che la fazione pro-Vaticano II sta invecchiando rapidamente e viene colpita da una emorragia di «laici impegnati», di laici clericalizzati divenuti «de-spiritualizzati», cioè scoraggiati e divenuti vittime dei costumi e delle pratiche correnti borghesi. C'è anche un considerevole numero di cattolici che Joseph Malègue - un romanziere francese apprezzato da Papa Francesco - chiama «la classe media della salvezza», i cattolici che praticano la loro religione in modo più o meno regolare, che non vanno a confessarsi, che organizzano la loro religione e il loro sistema di credenze cattoliche calibrate sulle tendenze liberali di pensiero e di azione nelle quali essi vivono. Queste sono le pecore senza pastori, perché la Chiesa attualmente al potere non interrompe affatto il loro letargo spirituale. (E non si pensi trattarsi di una tendenza che riguarda solo le nazioni «del nord», piuttosto il contrario: in America Latina, mentre quelli che sono spiritualmente impegnati e vibrante e celebrare i costumi della famiglia tradizionale non trovano posto e non sono accolti nella Chiesa e scelgono il pentecostalismo, la maggior parte di coloro che rimangono nominalmente cattolici sono proprio i membri di queste letargiche e disimpegnate «classi medie».)
    D'altra parte, il cattolicesimo «conservatore» rappresenta, in tutte le sue sfumature, tendenze, correnti, nuove comunità, comunità, nuovi tradizionalisti, movimenti giovanili, gruppi di identità, seminari neo-classici, «nuovi sacerdoti», «suore con il velo», scuole e università decisamente cattoliche, che possiamo chiamare le «forze vive» della Chiesa di oggi. È vero ch'è un mondo estremamente diversificato, ma per esso, dai tradizionalisti da un lato e dai conservatori moderati dall'altro, e comprendente quasi tutta Chiesa africana, il nuovo orientamento assunto da Roma nel marzo 2013 «non può essere inghiottito». Ebbene, questo è chiaramente il cattolicesimo di domani. È evidentemente minoritario, ma è una minoranza che non cessa di crescere, perché è l'unica che è veramente feconda di vocazioni (o anche feconda e basta).
  3. Questo secondo motivo, sottolineato dal dibattito pubblico offerto dal primo, chiarisce l'esistenza di uno «iato» tra una parte considerevole dell'attuale «establishment» cattolico e dell'«elite» di cardinali e vescovi da un lato e il «nuovo Cattolicesimo» dall'altro; una discrepanza sempre più evidente. L'errore fondamentale del pontificato di Benedetto XVI è stato quello di non aver ridotto questo divario attraverso nomine episcopali di peso (tranne, in parte, negli Stati Uniti). Qualunque sia l'interpretazione «profonda» che si può dare al pontificato attuale, è del tutto evidente che si sta allargando questa lacuna. Papa Francesco, con tutte le sue capacità di manovra, è un uomo di un'altra epoca. Ha commesso errori notevoli, come la vicenda dei Francescani dell'Immacolata e la presentazione al voto sinodale della indissolubilità del matrimonio, errori che hanno danneggiato la sua credibilità (in profondità) molto più di quanto sia potuta costare a Benedetto XVI la vicenda Williamson e Vatileaks.

Insomma: se i liberali mirano a riempire i conservatori di un complesso di colpa, sono essi stessi che si mostrano(colpevole di assassinio morale come sono) ridotti a un atteggiamento molto difensivo. Non riusciranno a ridurre al silenzio coloro che agiscono attraverso la via della preghiera, di scritti, petizioni, dibattiti, proteste. E che lo fanno perché ispirati da Colui che è la Verità e la Giustizia. E chi sanno che il Cristo della beatitudine e della pace è lo stesso che ha cacciato i mercanti dal tempio.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
 

Fraternamente CaterinaLD

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01/08/2015 16:08
 
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  Uno scheletro di Messa per una Chiesa scheletrica

 
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 8 - Agosto 2015

Attendevano una nuova Chiesa, per questo si sono messi a cambiare la messa.
Volevano una chiesa con nuovi dogmi e nuova morale, allora hanno dovuto ritoccare la messa cattolica, così tanto da renderla uno scheletro di se stessa.
E a messa scheletrica, corrisponde uno scheletro di Chiesa, fatta di una dogmatica e una morale scheletriche.
 
Lo dicevamo il mese scorso [Non archeologisti, ma figli della Chiesa]: la nuova liturgia ha preteso di saltare due millenni di storia cristiana, con l'illusione di ricollegarsi ad un mitico inizio del cristianesimo. Hanno detto, i signori della riforma post-conciliare, che occorreva semplificare, per far emergere la nobile essenzialità del rito cattolico. Hanno ritenuto sostanzialmente negativo tutto il lavoro di secoli e secoli che la Chiesa aveva fatto, per rendere sempre più limpido ed educativo il rito cattolico.

Hanno tolto e tolto, considerando quasi tutto aggiunta negativa, e ne è venuto fuori uno scheletro di messa. Una messa piena di vuoti e di non-detto, vuoti e non-detto riempiti dalla fantasia del celebrante e dei fedeli. 

E le fantasie si sono moltiplicate quante sono le chiese del mondo, perché si sa che non si può vivere di uno scheletro: gli uomini lo rimpolpano lo scheletro, ma la carne e il sangue che gli danno non sono quelli di Dio, ma quelli normalmente della dittatura della mentalità comune. Così, a seconda delle stagioni, abbiamo avuto le messe socialiste, le messe impegnate, le messe intimiste, le messe allegre, le messe verbose, le messe catechistiche, le messe di guarigione, le messe carismatiche, le messe missionarie, le messe veloci e cosi via... insomma, la messa la costruisci tu, perché corrisponda a te e al tuo cristianesimo.
 
La messa così impoverita non ha nutrito più, e ci si è dovuti volgere alle varie ideologie del momento per rimpolparla. Togliendo molto di Dio, la messa la si è dovuta riempire molto dell'uomo, per ritenerla ancora utile: una tragedia, la perdita del cuore cattolico, cioè la redenzione operata da Cristo Crocifisso.
 
E la tragedia si propaga a tutto l'organismo cattolico: la messa nuova, scheletrica, piena di vuoti, è diventata così tanto ambigua da produrre un cristianesimo scheletrico, dal dogma e dalla morale scheletriche; un cristianesimo ambiguo.
 
I sacerdoti, ridotti a celebrare uno scheletro di messa, non sono stati più nutriti e difesi dalla messa stessa, così che a loro volta non hanno nutrito e difeso il popolo.
 
Dicevamo di un Cristianesimo dal dogma scheletrico:

cosa è rimasto, nella maggioranza dei cristiani di oggi, del dogma cattolico che sorge dalla Divina Rivelazione? Quasi nulla. Forse resta che esiste Dio, e che alla fine ci salverà: non c'è che dire, di tutta la Rivelazione, di tutto il dogma, di tutto il catechismo non resta quasi nulla, nel vissuto della maggioranza dei cristiani; ma allora, perché Dio si è rivelato, perché ha parlato nell'Antico e nel Nuovo Testamento, perché ha portato a compimento la Rivelazione in Gesù Cristo? Certamente non lo ha fatto per vedersi “semplificare” orrendamente nel cristianesimo moderno.
 
Qualcuno dirà che dimentichiamo la ricchezza biblica della riforma liturgica! Certo, di Bibbia se ne è letta tanta, ma ha vinto la messa scheletrica anche sulla Bibbia, tanto è vero che mai i cristiani sono stati tanto ignoranti come oggi nella Storia Sacra e nella Sacra Scrittura. Hanno letto sì la Bibbia in ogni occasione, ma sono stati formati come mentalità dall'ideologia di turno, che rimpolpava la messa scheletrica.
 
Dicevamo di un Cristianesimo dalla morale scheletrica:

cosa resta, nella maggioranza dei cristiani di oggi, della ricchezza morale cattolica? Sanno forse che Dio è amore, che dobbiamo volerci bene, e poco più: non c'è che dire, resta un po' poco. Della Morale Cattolica, della legge e della grazia, non si sa quasi più nulla. Ecco perché siamo terribilmente indifesi di fronte alla dilagante immoralità e di fronte, soprattutto, all’ideologia dell'immoralità, che vuole ammettere tutto sotto la scusa del voler bene. Assisteremo al compimento dell’apostasia: saranno varate le leggi più immorali con il silenzio dei cattolici, con il plauso di alcuni, e con la falsa prudenza dei pastori, che taceranno in nome della libertà e del rispetto umano. Più che morale scheletrica, è la sua morte vera e propria.

Tutto è cominciato con la scarnificazione della messa, svuotandola delle sue difese dogmatiche nelle parole e nei gesti.
E la rinascita inizierà con il ritorno alla vera e totale messa cattolica.

I riformatori post-conciliari volevano un nuovo cristianesimo più libero, più umanamente accattivante, per far questo hanno privato la messa delle sue difese, e non hanno voluto difendere il Cristianesimo di Dio.
 
Forse Paolo VI non aveva previsto questa tragedia, forse si era illuso di fermare la semplificazione e l'ammodernamento al solo linguaggio, forse... ma il linguaggio è contenuto; e i vuoti di linguaggio sono vuoti di contenuto, che il mondo si premura di riempire come vuole.
 
Forse Paolo VI non aveva immaginato tanto, ma è certo che oggi un Papa non potrà più fermare la deriva, senza accettare il martirio. Sì, dovrà accettare il martirio, perché se tenterà veramente di porre rimedio, sarà attaccato dal mondo e da quel mondo che si è infiltrato nella casa di Dio. Ma se non accetterà il martirio, rischierà di non fare il Papa.



L’Haec Sancta (1415), un documento conciliare che fu condannato dalla Chiesa

concilio-costanza

(di Roberto de Mattei) Il Concilio di Costanza (1414-1418) è annoverato tra i 21 Concili ecumenici della Chiesa, ma un suo decreto, la Haec Sancta del 6 aprile 1415 è considerato eretico, perché afferma la supremazia del Concilio sul Romano Pontefice. A Costanza, la Haec Sanctaebbe la sua applicazione nel decreto Frequens, del 9 ottobre 1417, che indiceva un Concilio cinque anni più tardi, il successivo dopo altri sette anni e poi uno ogni dieci anni.

Con ciò attribuiva di fatto al Concilio la funzione di organo collegiale permanente, che si affiancava al Papa e di fatto gli era superiore. Martino V, eletto Papa a Costanza nel 1417, nella bolla Inter cunctas del 22 febbraio 1418, riconobbe l’ecumenicità del Concilio di Costanza e tutto ciò che esso aveva deciso, sia pure con la formula genericamente restrittiva: «in favorem fidei et salutem animarum».

Non sappiamo se il Papa condividesse, almeno in parte, le teorie conciliariste o fosse obbligato a questo atteggiamento dalla pressione dei cardinali che lo avevano eletto. Di fatto non ripudiò la Haec Sancta e applicò con rigore il decreto Frequens, fissando la data di un nuovo Concilio generale, che si tenne a Pavia-Siena (1423-1424), e designò la città di Basilea come sede della successiva assise. Morì però il 21 febbraio 1431 e l’assemblea si aprì sotto il suo successore, Gabriele Condulmer, eletto Papa con il nome di Eugenio IV il 3 marzo 1431.

Fin dall’apertura nel Concilio di Basilea esplose il contrasto tra due partiti: i fedeli del Papato e i partigiani delle teorie conciliariste, che costituivano la maggioranza dei Padri conciliari. Il braccio di ferro conobbe momenti alterni. In una prima fase Eugenio IV ritirò la sua approvazione ai Padri ribelli di Basilea. Successivamente, cedendo alla pressioni politiche ed ecclesiastiche, fece marcia indietro e con la bollaDuduum Sacrum del 15 dicembre 1433, revocò lo scioglimento da lui già decretato del Concilio, ratificando i documenti che esso aveva emanato fino a quel momento, e perciò anche la Haec Sancta che i Padri di Basilea proclamavano come loromagna charta.

Quando  si rese conto che essi non si sarebbero arrestati nelle loro rivendicazioni, il Papa sconfessò nuovamente l’operato del Concilio, trasferendolo a Ferrara (1438), a Firenze (1439) e quindi a Roma (1443). Il trasferimento venne però rifiutato dalla maggioranza dei Padri conciliari che rimase a Basilea, continuando i lavori. A questo punto si aprì quello che è entrato nella storia come piccolo Scisma d’Occidente (1439-1449), per distinguerlo dal Grande (1378-1417) che lo aveva preceduto.

Il Concilio di Basilea depose Eugenio IV come eretico ed elesse il duca Amedeo VIII di Savoia antipapa con il nome di Felice V. Eugenio IV, da Firenze, dove era stato trasferito il Concilio, lanciò la scomunica sull’antipapa e sui Padri scismatici di Basilea. La Cristianità si trovò ancora una volta divisa, ma se nell’epoca del Grande Scisma avevano prevalso i teologi conciliaristi, in questa fase il Papa fu sostenuto da un grande teologo: il domenicano spagnolo Juan de Torquemada (1388-1468) (da non confondersi con l’omonimo Inquisitore).

Torquemada decorato da Eugenio IV del titolo Defensor fidei è autore di una Summa de Ecclesia, in cui afferma con vigore il primato del Papa e la sua infallibilitas. In quest’opera, egli dissipa con grande precisione gli equivoci che si erano creati nel XIV secolo a partire dall’ipotesi del Papa eretico. Questo caso, secondo il teologo spagnolo, è concretamente possibile, ma la soluzione del problema non va cercata in alcun modo nel conciliarismo, che nega la supremazia pontificia. La possibilità di eresia del Papa non compromette il dogma dell’infallibilità, anche perché se egli volesse definire un’eresia ex cathedra, decadrebbe in quel momento stesso dalla sua carica (Pacifico Massi, Magistero infallibile del Papa nella teologia di Giovanni de Torquemada, Marietti, Torino 1957, pp. 117-122). Le tesi di Torquemada vennero sviluppate nel secolo successivo da un suo confratello italiano, il cardinale Gaetano.

Il Concilio di Firenze fu molto importante perché, il 6 luglio 1439, promulgò il decretoLaetentur Coeli et exultet terra, che poneva fine allo scisma di Oriente, ma soprattutto perché condannò definitivamente il conciliarismo, confermando la dottrina della suprema autorità del Papa sulla Chiesa. Il 4 settembre 1439, Eugenio IV, definì solennemente «che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutto l’universo; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro  principe degli apostoli, è autentico vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani; che nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso a lui nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e dei sacri canoni» (Denz-H, n. 1307).

Nella lettera Etsi dubitemus del 21 aprile 1441, Eugenio IV condannò gli eretici di Basilea e i «diabolici fundatores» della dottrina del conciliarismo: Marsilio da Padova, Giovanni di Jandun e Gugliemo di Ockham (Epistolae pontificiae ad Concilium Florentinum spectantes, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1946, p. 28 – pp. 24-35), ma nei confronti della Haec Sancta ebbe un atteggiamento esitante, proponendone quella che in termini moderni potrebbe essere definita una “ermeneutica della continuità”. Nel decreto del 4 settembre 1439, Eugenio IV afferma che la superiorità dei Concili sul Papa, affermata dai Padri di Basilea sulla base della Haec Sancta, è «una cattiva interpretazione data dagli stessi Basileesi, che di fatto si rivela come contraria al senso genuino delle Sacre Scritture, dei Santi Padri e dello stesso concilio di Costanza» (Decreto del 4 settembre 1439, inConciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, Bologna 2002, p. 533).

Lo stesso Eugenio IV ratificò il Concilio di Costanza, nel suo insieme e nei suoi decreti, escluso «ogni pregiudizio al diritto, alla dignità e alla preminenza della Sede apostolica», come scrive il 22 luglio 1446 al suo legato. La tesi dell’ermeneutica della “continuità” tra la Haec Sancta e la Tradizione della Chiesa fu presto abbandonata. La Haec Sancta è certamente l’atto autentico di un legittimo Concilio ecumenico, ratificato da tre Papi, ma ciò non basta per rendere vincolante sul piano dottrinale un documento del Magistero che si pone in contrasto con l’insegnamento perenne della Chiesa. Oggi noi riteniamo che si possano accettare tutti e soli quei documenti del Concilio di Costanza che non ledono i diritti del Papato e non contrastano con la Tradizione della Chiesa. Questi documenti non comprendono laHaec Sancta, che è un atto conciliare formalmente eretico.

Gli storici e i teologi spiegano che la Haec Sancta può essere ripudiata perché non fu una definizione dogmatica, in quanto mancano in essa le formule tipiche comeanathema sit e verbi come “ordina, definisce, stabilisce, decreta e dichiara”. La reale portata del decreto è di carattere disciplinare e pastorale e non implica l’infallibilità (cfr. ad esempio la voce Concile de Constance, del cardinale Alfred Baudrillart, nelDictionnaire de Théologie Catholique, III, col. 1221 – coll. 1200-1224).

Lo scisma di Basilea si concluse nel 1449 quando l’antipapa Felice V raggiunse un accordo con il successore di Eugenio IV, Papa Niccolò V (1447-1455). Felice abdicò solennemente e il Papa lo creò cardinale e vicario papale. La condanna del conciliarismo fu ribadita dal V Concilio Lateranense, dal Concilio di Trento, e dal Concilio Vaticano I. Chi oggi difende l’istituzione del Papato deve accompagnare lo studio di queste definizioni dogmatiche, con l’approfondimento delle opere dei grandi teologi della Prima e della Seconda Scolastica, per trovare in questa miniera dottrinale tutti gli elementi necessari a fronteggiare la crisi attuale nella Chiesa. (Roberto de Mattei)


[Modificato da Caterina63 25/07/2016 12:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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