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LE PIAGHE DELLA CHIESA DOPO IL CONCILIO - Don G. Lentini - ed altri testi

Ultimo Aggiornamento: 25/07/2016 12:43
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23/07/2012 00:31
 
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2. RINNOVAMENTO ESTERIORE E IMPERSONALE PIUTTOSTO CHE MORALE, PERSONALE E INTERIORE

«L’interesse per il rinnovamento - ebbe a dire Paolo VI - è stato da molti rivolto alla trasformazione esteriore e impersonale dell’edificio ecclesiastico... piuttosto che a quel rinnovamento primo e principale che il Concilio voleva, quello morale, quello personale, quello interiore» (15.1.1969).

Purtroppo rinnovamento sembrò e sembra ancora creazione di strutture burocratiche sempre più numerose e capillari.
[SM=g1740733] Il cardinale Ratzinger, in una sua pubblicazione, La Chiesa, osserva: «Quanto più organismi facciamo, siano anche i più moderni, tanto meno c’è spazio per lo Spirito, tanto meno c’è spazio per il Signore e tanto meno c’è libertà. Io penso che dovremmo, da questo punto di vista, iniziare nella Chiesa, a tutti i livelli, un esame di coscienza senza riserve. A tutti i livelli questo esame di coscienza dovrebbe avere conseguenze assai concrete e recare con sé una ablatio (una eliminazione) che lasci di nuovo trasparire il volto autentico della Chiesa».


Leggendo l’Annuario Pontificio ci si accorge che diventa di anno in anno sempre più voluminoso: più ricco di centinaia di nomi di «funzionari»; e poi altri annuari riportanti gli organigrammi di conferenze episcopali continentali, nazionali, regionali, ciascuna delle quali è articolata da una serie impressionante di organi, di commissioni e di uffici. Per arrivare al parroco che è divenuto il coordinatore di una fungaia di commissioni che impegnano i pochi laici praticanti.


Occorre ormai togliere, smantellare, ritrovare l’essenziale: il Vangelo, che è molto più semplice di quella complicata e burocratica pastorale che per giustificarsi ha bisogno di complicarsi sempre più. Il Regno di Dio sembra che non simpatizzi troppo con le... troppe scrivanie dei funzionari e con quella infinità di sedute per spaccare il capello in quattro, perdendo il contatto con le pecorelle del Signore.

«Checché ne sia il rapporto tra l’albero burocratico e i mancati frutti pastorali è però innegabile che l’adeguarsi cattolico degli ultimi decenni alla struttura statale rischia di vanificare una delle più preziose singolarità della Chiesa. In essa, a differenza di quanto avviene nel “mondo”, il potere non vi era mai esercitato in modo anonimo ma sempre personale. Dal papa, ai vescovi, ai parroci, sempre una persona concreta aveva diritti, ma assumeva in proprio doveri e responsabilità. A ogni livello della struttura corrispondeva un volto e un nome. L’anonimato del ministero, della commissione, del comitato, dello staff di esperti fa parte di quello che è stato chiamato “il volto demoniaco del potere” (il diavolo, per la teologia, non è forse la non-persona per eccellenza?). Del senso di oppressione e di impotenza che ci coglie davanti a ogni burocrazia, è parte essenziale l’impossibilità di individuare “chi” decida e comandi davvero, dietro a strutture collettive che, rispondendo di tutto, non rispondono di niente. Anche in questo la Chiesa era “altra”.
Siamo davvero sicuri che ingabbiare lo Spirito in organigrammi da “sacro manegemant” sempre più complicati sia davvero un progresso, corrisponda all’intenzione di rinnovamento dei Padri conciliari, come tanti neo-clericali affermano senza esitazione?» (La sfida della fede).

Tanta parte del clero, di religiosi e religiose incominciò il rinnovamento dalla modifica o addirittura dall’abolizione dell’abito che li qualificava come tali.

Due esempi limiti sono riportati da Giovanni Paolo I, quando era patriarca di Venezia, in una lettera alla diocesi del 14.3.1972: «Alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme le guardie israeliane, in servizio alla porta, consigliano due donne a ripresentarsi vestite più decentemente. “Ma siamo suore!”, obiettano le donne. Sì, suore ultraconciliari in minigonna troppo audace!... Un vicario cooperatore accompagna il funerale in maglietta e calzoni lunghi; disdegna anticonformisticamente cotta e stola; in compenso suffraga il morto, accostando il transistor all’orecchio per seguire la partita di calcio» (Opera omnia, vol. V, p.340).

Giuseppe Prezzolini, il celebre scrittore e giornalista, sollecitato da una suorina, nel 1969 così scriveva: «Io non sono cattolico. Considero la Chiesa da un punto di vista meramente storico ed umano, e mi desta meraviglia e simpatia... Pertanto, osservando i gruppi cattolici che vogliono rinnovare la Chiesa mi ha colpito proprio questo: i preti vogliono diventare uomini comuni, come tutti gli altri. Non desiderano di essere esseri straordinari, coloro che ci liberano dai peccati, che battezzano e cacciano i diavoli (qualunque cosa sia il diavolo), che cresimano e comunicano. Vogliono invece essere mariti, padri di famiglia, segretari di sindacato, segretari del popolo. Vogliono vestirsi come gli altri, non essere riconosciuti, segnalati, distinti. Cercano l’uguaglianza in basso».

Madre Gina Tincani, domenicana, fondatrice delle Missionarie della Scuola (già citata nel precedente articolo sul post-concilio), in una lettera del 2.7.1968, a proposito del cambiamento dell’abito delle religiose, scriveva indignata: «Il Rosario. Questa cara devozione, che la Madonna ha mostrato nelle sue apparizioni sacre di approvare, gradire e di amare tanto, è oggigiorno criticata offesa disprezzata dai novatori, falsi profeti post-conciliari, che stanno alla scuola del diavolo e non della Chiesa e di Gesù Cristo. E così assistiamo allo spettacolo di intere famiglie religiose femminili che tolgono dal loro abito religioso la corona del Rosario, per essere moderne, all’altezza dei tempi! Il demonio sa bene quello che fa! Sa che il Rosario è sempre stato un baluardo della fede, che dal disprezzo del Rosario si passa al disprezzo del culto stesso alla santissima Madre di Dio».
E fu profeta: perfino nei seminari la recita del Rosario divenne un optional, lasciato alla devozione personale.     

Lo storico medievalista Franco Cardini, che ha pubblicato un libro su Francesco d’Assisi, a chi gli faceva osservare che san Francesco non indossò né fece indossare ai suoi frati un vestito diverso dai laici del suo tempo, rispondeva: «Mancano di consapevolezza storica (succede sempre più spesso, per qualunque tema, tra gli uomini di Chiesa) quei frati e quei preti che contestano l’abito clericale, cui hanno sostituito i blue-jeans, dicendo che oggi Francesco vestirebbe così. Chi conosce il Medio Evo - e, in genere, le epoche in cui la società ebbe una consapevolezza religiosa - sa benissimo che non è affatto vero. Oggi, i blue-jeans li porta anche l’avvocato Agnelli, li sfoggiano anche i più ricchi. I quali hanno imposto, per moda, quel tipo di vestire che chiamano casual: stracci, in apparenza, capi cui viene dato artificialmente un aspetto “vissuto”, magari strappati e stracciati appositamente. Sono ricchi che si vestono da finti mendicanti. Vestirsi, oggi, “come tutti” è un segno di conformismo mondano, non di radicalismo evangelico, non trasmette alcun messaggio. Al contrario del saio della corda, dei sandali che Francesco volle per sé e per i suoi» (cit. V.Messori, Pensare la storia).

[SM=g1740771]  continua...

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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