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Ignazio di Loyola e la riforma cattolica. Discernere la volontà di Dio e mettere ordine nella propria vita.

Ultimo Aggiornamento: 31/07/2013 18:24
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Ignazio di Loyola e la riforma cattolica. Discernere la volontà di Dio per mettere ordine nella propria vita. File audio di una lezione tenuta presso la Chiesa del Gesù da Andrea Lonardo

Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /02 /2012 - 22:35 pm | Segnala questo articolo:
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Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare l'utilizzo in futuro di files audio la registrazione di una lezione tenuta da Andrea Lonardo nell'ambito del corso sulla storia della chiesa di Roma presso la Chiesa del Gesù il 18/2/2012.

Per altri files audio vedi la sezione Audio e video.

Il Centro culturale Gli scritti (27/2/2012)

Ascolto



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ANTOLOGIA DI TESTI UTILIZZATA DURANTE L'INCONTRO

Ufficio catechistico di Roma
www.ucroma.it
(cfr. anche www.gliscritti.it )

Premessa: il luogo in cui ci troviamo (le stanzette di Sant’Ignazio)

1/ La riforma cattolica

1.1/ I concetti di “riforma cattolica” e di “controriforma”

da H. Jedin, Riforma cattolica e controriforma, in H. Jedin (a cura di), Storia della chiesa VI, Jaca, Milano, 1975, pp. 513-514
Tanto il concetto di «riforma cattolica» quanto quello di  «controriforma» presuppongono nel termine «riforma» la designazione storica della crisi protestante con la conseguente frattura della fede e della chiesa. Con «controriforma» il giurista Pütter di Gottinga (1776) intese la riconquista alla fede cattolica, operata con la forza, delle regioni divenute protestanti. Ranke parlò inizialmente di controriforme (al plurale), ma presto riconobbe il carattere unitario del movimento e ne vide la radice nella «restaurazione, quasi piantagione ex novo, del cattolicesimo». Con l'opera di Moritz Ritter Deutsche Geschichte im Zeitalter der Gegenreformation (Storia della Germania al tempo della contro-riforma, 1889), il concetto di controriforma, contre-réforme, counter-reformation, contrarreforma, prese piede anche in Germania, ma si urtò contro il rifiuto quasi unanime della storiografia cattolica, perché esso sembrava concepire il nuovo consolidarsi della chiesa cattolica in modo unilaterale, come reazione allo scisma protestante e perché portava il marchio dell'uso della forza in materia di religione. L. Pastor, J. Schmidlin e altri preferirono quindi la designazione di «restaurazione cattolica», nella quale tuttavia non si esprimono sufficientemente né la continuità col medioevo, né i nuovi elementi apportati dalla riforma tridentina.
Nel frattempo W. Maurenbrecher, in dipendenza dal Ranke, aveva adottato (1880) il termine di «riforma cattolica» per designare quel rinnovamento di sé operato dalla chiesa, specialmente in Italia ed in Spagna, che si riannodava ai tentativi di riforma del tardo medioevo
. Egli era stato preceduto dai cattolici Giuseppe Kerker (Katholische Reform, 1859) e Costantino Höfler (Romanische Reformation, 1878). Noi diamo la preferenza a questa designazione di «riforma cattolica», perché allude ai tentativi di rinnovamento che si ebbero nella chiesa dal XV al XVI secolo, senza escludere, come il termine «restaurazione», i nuovi elementi che fanno la loro comparsa e l'influsso esercitato dalla crisi protestante sullo sviluppo del movimento. Tale designazione ha tuttavia bisogno di venir completata dal concetto di controriforma, perché di fatto la chiesa rinnovata e rafforzata internamente, dopo il concilio di Trento, passa al contrattacco e riconquista parte del terreno perduto, sia pure mediante un'alleanza con l'assolutismo confessionale, il cui significato è stato messo in evidenza dall'Eder.

Entrambi i concetti hanno quindi una loro giustificazione, designano però dei movimenti non separati, ma connessi tra loro. Anche autori cattolici come Paschini e Villoslada ritengono di poter usare la designazione di controriforma per l'intero movimento di rinnovamento e di riconquista.
Soltanto collegati tra loro i concetti di riforma cattolica e di controriforma possono servire a designare quest'epoca della storia ecclesiastica
.

da G. Martina, Storia della chiesa, Ut unum sint, Roma, 1980, p. 244
In sostanza, il problema «riforma o controriforma?», rinnova in un altro contesto la questione del rapporto fra il momento carismatico e quello giuridico tante volte incontrato: la riforma cattolica corrisponde al momento carismatico, e mostra maggiore spontaneità e freschezza, ma è più limitata; la controriforma corrisponde al momento giuridico, e sembra rallentare lo slancio iniziale, mentre in realtà ne assicura la stabilità.
In questo senso è stato detto, da storici laicisti, che la riforma cattolica fu sconfitta proprio nel momento in cui sembrava riportare vittoria, acquistando l'appoggio della gerarchia, mentre storici cattolici hanno opposto che la riforma cattolica poté vincere proprio perché divenne controriforma
.

1.2/ Aspetti della riforma cattolica

da G. Martina, Storia della chiesa, Ut unum sint, Roma, 1980, p. 247-248
I tentativi di un rinnovamento della Chiesa, che precedono la riforma protestante, e si sviluppano poi parallelamente ad essa, ma con spirito e metodi propri, si possono schematicamente ridurre a questi:
a) Le varie associazioni laiche, che si propongono un doppio fine, la carità verso i poveri e la pietà eucaristica. In molte città italiane dalla fine del Quattrocento, a cominciare da Genova per opera di Ettore Vernazza, si diffondono con questi intenti le Compagnie del Divino Amore, composte prevalentemente da laici, ma anche da cardinali e vescovi.
b) La riforma degli antichi ordini religiosi. Si moltiplicano i conventi di stretta osservanza, che finiscono per raccogliersi in una congregazione riformata, governata da un proprio vicario generale, e con forti tendenze all'autonomia, per meglio salvare i caratteri propri della riforma. Osserviamo questo processo in vari paesi d'Europa, tra i francescani (che vedono il graduale distacco dai conventuali dei frati minori osservanti, di cui fu a lungo vicario generale S. Bernardino da Siena), le clarisse, che vogliono applicare nel suo pieno rigore la regola primitiva di Santa Chiara, i benedettini (in Italia con la congregazione di Santa Giustina), i cistercensi e i camaldolesi (per esempio con la congregazione di Montecorona, cosiddetta dall'eremo di questo nome, in Umbria), i domenicani, gli agostiniani.
c) Nascita di nuovi istituti. Il movimento si accentua dopo il 1517, ed è parte cospicua della controriforma. Tuttavia alcuni dei nuovi istituti sono lo sviluppo logico delle confraternite laiche di cui abbiamo fatto cenno: la loro genesi è piuttosto lenta, e le prime idee risalgono talora alla fine del Quattrocento, anche se l'approvazione pontificia è posteriore; molti di essi sono sorti senza nessun rapporto con l'eresia luterana. La stessa Compagnia di Gesù, che le circostanze storiche resero uno dei baluardi della Controriforma, alla sua nascita non si prefiggeva affatto di opporsi al protestantesimo.
d) L'opera riformatrice dei vescovi nelle loro diocesi. Se molti vescovi non mostrano particolare zelo pastorale, altri si prodigano, convocano sinodi, promuovono la predicazione, si preoccupano della formazione del clero. In Germania emerge Nicolò da Cues, vescovo di Bressanone, che estende la sua attività ben al di là della sua diocesi; in Spagna spiccano tre persone; il « gran cardinale», Pietro Gonzales de Mendoza, il primo arcivescovo di Granada, Ferdinando de Talavera, il cardinale Ximenes de Cisneros, arcivescovo di Toledo, che fonda l'università di Alcalá, cura l'edizione della Bibbia Compeutense, traduce la Imitazione di Cristo. In Italia, possiamo ricordare almeno Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze.
e) Abbiamo ricordato ormai più volte i gruppi dell'umanesimo cristiano, che inculcano lo studio della Scrittura e dei Padri, e i circoli dell'evangelismo, anelanti ad un culto e ad una religiosità più intima, che si ricollegano in vario modo alla devotio moderna, che aveva avuto nell'Imitazione di Cristo la sua espressione più alta, e che ora hanno in Erasmo il loro campione più efficace, anche se non sempre coerente e talora non alieno da esagerazioni.
f) Le iniziative della curia e dei papi. Se la curia, come abbiamo detto, si mostrò in genere piuttosto distratta e restia, non mancarono alcuni gesti che avrebbero potuto essere efficaci se fossero stati accompagnati da una migliore volontà. Nel 1512 Giulio II convocò a Roma un concilio ecumenico, il Lateranense V, ecumenico XVIII: il Papa non si preoccupava però di rispondere all'attesa universale di una reformatio in capite et membris, e voleva soprattutto svuotare di ogni importanza un'assemblea aperta a Pisa dal re di Francia Luigi XII con cui egli era in guerra, e che si atteggiava a concilio ecumenico. Il concilio comunque continuò anche quando l'assise pisana era fallita, e fu proseguito dal successore di Giulio II, Leone X: se esso prese alcune decisioni utili, in sostanza non ebbe il coraggio di combattere in modo energico e definitivo gli abusi di cui tutti conoscevano l'esistenza, ma che erano di vantaggio ai prelati.

Nulla si disse sul fiscalismo della curia, che pure era una delle fonti di continui lamenti al di là delle Alpi, e quando si vietò il cumulo di uffici ecclesiastici nelle stesse mani, si fecero subito tali eccezioni da rendere praticamente nullo il divieto. Del resto, anche quei timidi ed incerti propositi espressi nel Lateranense V, restarono praticamente lettera morta. La bolla di riforma della curia è contemporanea alla autorizzazione data ad Alberto di Brandeburgo di reggere una terza diocesi (ossia di riscuotere altri redditi da una terza fonte), a condizione di pagare a Roma una forte tassa.




[SM=g1740771]  continua...........
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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