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Ignazio di Loyola e la riforma cattolica. Discernere la volontà di Dio e mettere ordine nella propria vita.

Ultimo Aggiornamento: 31/07/2013 18:24
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11/08/2012 19:32
 
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2/ Ignazio di Loyola

2.1/ La serietà di una vita anche precedentemente alla conversione: il concetto di onore

Autobiografia, 1 (cfr. assedio di Pamplona)
Fino a ventisei anni, fu un uomo dedito alla vanità del mondo. Suo diletto preferito era il maneggio delle armi, con un grande e vano desiderio di procacciarsi fama.

da A. Sicari, Il terzo libro dei ritratti dei santi, Jaca, Milano, 1993, p. 29
«Non si dava pace, perché voleva continuare la vita mondana e pensava che ciò lo rendeva deforme [dopo la ferita alla gamba in guerra]. Chiese ai medici se si potesse nuovamente tagliare. Essi risposero che certamente si poteva tagliare, ma che i dolori sarebbero stati più atroci di quelli già sofferti perché l'osso era già sano e l'operazione era lunga. Ciò nonostante egli decise di sottoporsi a quel martirio per il proprio capriccio. Suo fratello maggiore era assai preoccupato e diceva che egli non avrebbe potuto sopportare un simile dolore. Il ferito invece lo sopportò con la solita forza d'animo. Si incise la carne, si segò l'osso sporgente, poi si usarono vari rimedi perché la gamba non restasse così corta: si applicarono unguenti e apparecchi che la tenessero in trazione. Un vero martirio. Ma Nostro Signore gli ridiede salute a poco a poco» (Autobiografia, 4-5).

da A. Sicari, Il terzo libro dei ritratti dei santi, Jaca, Milano, 1993, p. 29
«Immaginava le imprese che avrebbe voluto compiere in onore di una signora, i mezzi che avrebbe usato per raggiungere il paese dove abitava, le parole che avrebbe detto, i fatti d'arme che avrebbe compiuto in suo onore. Era talmente perduto in simili progetti che non s'accorgeva quanto fosse impossibile realizzarli; perché quella dama non era di nobiltà ordinaria: non era né contessa né duchessa, ma di rango assai più elevato» (Autobiografia, 6).
Sembra che si trattasse della infelice principessina Catalina, sorella di Carlo v, che sarebbe poi andata sposa a Giovanni III Re del Portogallo.

2.2/ Discernere cosa si vuole veramente: quali segni per orientarsi nei desideri? La gioia del bene che dura una vita intera e l’eternità

dagli "Atti" raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio (Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)
Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati "Vita di Cristo" e "Florilegio di santi", ambedue nella lingua materna. Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso. Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: "E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?". Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo. Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenze fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia. Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costatò che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti.

dagli Esercizi spirituali
[1] Prima annotazione. Con il termine di esercizi spirituali si intende ogni forma di esame di coscienza, di meditazione, di contemplazione, di preghiera vocale e mentale, e di altre attività  spirituali, come si dirà  più avanti. Infatti, come il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali i diversi modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà  di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima.

-si tratta di purificare, di ordinare (perché spesso l’uomo non sa cosa vuole, al di là delle apparenze in cui sembra di saperlo!)

appunti da p. Daniele
Gc 1,14-15 ciascuno è tentato dalle proprie passioni che lo attraggono, poi il peccato, poi la morte!
Ma anche:
Sal 83 l'anima mia anela e desidera...
Sal 42 l'anima mia anela
Is 26,7-9 al tuo nome si volge tutto il nostro desiderio.
Nella Scrittura il desiderio è molto presente.
Il desiderio ha una forza straordinaria nella vita, ma se non siamo padroni di noi stessi, i nostri desideri possono portarci molto in alto o molto in basso!
Possiamo essere vittima dei nostri desideri. Desiderare rimanda al “mestiere” degli àuguri... guardare le stelle, guardare in alto per trarne degli auspici, come uno stato di affezione dell'io verso qualcosa di cui si desidera la contemplazione o il possesso. Esiste qualcosa che non ci serve per vivere, ma è bello, quegli oggetti spirituali che sono propri dell'uomo. Ma i desideri possono essere anche smodati!
Esperienza profonda che l'uomo cerca qualcosa... l'uomo non basta a se stesso.... non può essere autosufficiente. A detto F. Hadjadj
Per elevare un palazzo, c’è bisogno di un terreno. Affinché l’uomo si elevi, ha bisogno di un Cielo. C’è una nostra creaturale destinazione a qualcun'altro. C’è la domanda: perché ci sono? A che serve la mia vita?
Ma esiste anche il desiderio della carne, il desiderio di una carne non cristificata
(cfr. Gal e Rm desideri della carne e dello Spirito), esiste una lotta nel cuore dell’uomo!
Se voi osservate, esiste un identikit dell'uomo integrato, equilibrato, dell'uomo che ha trovato il suo baricentro. Un esempio? Persone disordinate che quando si innamorano cambiano!
Che cosa ami, chi ami, cosa vuoi costruire, a chi vuoi donarti?

Come avviene il cammino? Imparando ad innamorarsi del Signore! Il problema non è il desiderio, ma amare troppo poco il Signore. Per Ignazio l’uomo è un coacervo di desideri, dove ci sono desideri di cose buone e di cose cattive, desideri eccessivi di cose buone e desideri eccessivi di cose non cattive, ma solo necessarie, dove c’é mancanza di desiderio per cose buone, ma anche desideri eccessivi di cose non buone, ecc. Ecco allora la prospettiva liberante. Il desiderio ci può portare all'inferno, ma anche alle vette più alte del vivere, bisogna quindi  scegliere ciò che è oggettivamente più idoneo, senza lasciarsi distogliere dall'obiettivo dei desideri più profondi.

da L’ordine dei sentimenti nel cammino di un credente, di Carlo Maria Martini   
Sento timore e trepidazione perché a causa della natura complessa e poliedrica del tema del sentire umano non è possibile azzardare una parola conclusiva, ma semmai indicare qualche pista di lavoro.
“L’ordine dei sentimenti nel cammino di un credente: gli esercizi spirituali di sant’Ignazio quale cammino verso la libertà”, è il titolo della mia relazione. Possiamo esprimerlo in forma di domanda: “C’è un ordine dei sentimenti? C’è un governo dei sentimenti? E’ lecito questo governo? E’ possibile?”. In altri termini: come fare quando i sentimenti mi tradiscono? Quando non sgorgano come e quando io vorrei oppure si spengono quando e come io non vorrei, oppure si accavallano e si urtano, così da togliermi il controllo di essi? Oppure si occultano, scompaiono, mi lasciano freddo, arido e cinico, quando io vorrei invece reagire a una situazione in modo diverso, più costruttivo e mi sento vuoto di sentimenti? E’ possibile questo governo? E’ giusto? O è meglio lasciare la briglia alla spontaneità, affidarsi ai torrenti del deserto, che ora si intorbidano nel momento delle grandi piogge, ora si seccano e deludono la nostra sete? Come fare ad esempio, quando in un amore, che si voleva senza fine, in una amicizia che si voleva perenne, i sentimenti si ottundono e si spengono? E’ necessario rassegnarsi? Oppure lottare? Si possono risuscitare? Come?
Sono domande a cui non pretendo di rispondere esaustivamente, ma che pure si pongono nel cammino di ogni uomo e di ogni donna, perché sono parte di ogni rapporto umano.
E’ il problema dell’esserci o meno dei sentimenti, dell’esserci a dispetto di noi. E’ questa incapacità a governarli che ci irrita, e vorremmo capire meglio. Il discorso vale, e fortemente, anche nel nostro rapporto o non rapporto con Dio, nel credere o nel non credere, perché molto spesso il sì o il no alla fede è giocato sull’onda del sentire o del non sentire.
“Non credo perché non sento niente”, dice qualcuno; “Credevo, e tuttavia mi pare di non credere più, mi pare che i miei sentimenti si siano affievoliti con gli anni”.
Ci chiediamo: esiste un tentativo di risposta sistematica a questi problemi? 
Il libretto degli “Esercizi spirituali”

Penso siano molto pochi coloro che hanno letto nella sua stesura originale il testo di sant’Ignazio. E’ composto di circa ottanta paginette ed è stato scritto quando Ignazio era ancora in ricerca di Dio e faceva le sue esperienze titubanti anche, e difficili, che annotava su dei fogli. Il libretto è stato scritto tra il 1521 e il 1538; Ignazio cominciò quindi a trentun anni ad appuntare alcune note di metodo su ciò che accadeva dentro di lui, sul suo itinerario mentale, e concluse la stesura circa verso i quarantacinque anni. E’ importante sapere che non è un libro fatto per essere letto, dal momento che raccoglie indicazioni metodologiche per un itinerario della mente: è un po’ come una guida dei sentieri di montagna, che non va letta, ma che accompagna chi percorre quei sentieri.
Il libretto si può definire come l’itinerario per una scelta libera da condizionamenti emozionali, da investimenti affettivi errati, da blocchi sentimentali. Scelta, però, non priva di emozioni e di sentimenti; tuttavia libera da condizionamenti ciechi e irrazionali, nella ricerca e nella suscitazione di sentimenti sorgivi e autentici
. Ignazio ci aiuta a ricercare, nel nostro intimo, i sentimenti autentici e a scoprire quelli inautentici e distruttivi, per mettere ordine.

La parola “ordine” è fondamentale e la troviamo già nella definizione che Ignazio dà degli Esercizi: “Esercizi spirituali per mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni emozionalmente compromesse”. Egli ha proprio di mira la forza dei sentimenti da incanalare nella maniera giusta. E, in una delle prime Annotazioni metodologiche del libretto, sottolinea la forza del binomio capire – sentire, perché non basta capire, ma occorre capire e sentire. Conclude: “Non è il sapere molto che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose interiormente” (Ann. 2. a).
Si avverte dunque che il capire è importante; meno importante è il sapere molto, l’accumulo di pure informazioni; molto importante, per un cammino autentico della persona, è l’educarsi al sentire e gustare interiormente. E’ una vera educazione dei sentimenti
.

Ho cercato così di far cogliere la relazione tra il libretto degli Esercizi spirituali e il tema che ci siamo proposti: l’ordine dei sentimenti nel cammino di una persona.
Ancora sottolineo, del testo ignaziano, che l’importanza dell’ordine dei sentimenti è anche indicata da alcune regole metodologiche, poste verso la fine, che trattano della scoperta che si deve imparare a fare dei propri movimenti interiori, delle emozioni, dei desideri, delle paure, delle angosce, delle ripugnanze, dei soprassalti di entusiasmo, ecc., in modo da mettervi ordine secondo una serie di principi orientativi chiari ed efficaci. Sono le cosiddette Regole per il discernimento, termine che appare già nella Scrittura, nel Nuovo Testamento e che acquista nel libretto un rilievo specifico. E’ importante – afferma sant’Ignazio – che ciascuno scopra e si renda ragione di ciò che ha dentro, soprattutto dei movimenti, delle pulsioni, degli istinti, non per una semplice psicanalisi del passato, bensì in relazione all’hinc et nunc, al vissuto del momento che si sta attraversando.
Come gli esercizi spirituali ci aiutano a ordinare i sentimenti.

Torna la domanda dell’inizio: è possibile un ordine dei sentimenti, un governo di essi?
Per rispondere sintetizzo alcune note di itinerario, che valgono per tutti e che mi sembra offrano le linee indicative e quasi conclusive di ciò che abbiamo vissuto nei precedenti incontri di questa sessione della “Cattedra” [dei non credenti].

1. E’ certamente possibile ordinare i sentimenti; ordinarli evidentemente con un dominio (lo diceva già Aristotele) non dispotico, bensì politico. Ordinarli infatti non significa schiacciarli o scatenarli o rimuoverli; esiste un giusto mezzo, un governo, una supervisione. E’ già un’acquisizione: c’è un cammino personale possibile del governo dei sentimenti.

2. Questo ordinamento dei sentimenti è in relazione a un fine, dice il libretto. Noi diremmo: un ordinamento dei sentimenti è possibile in relazione a un senso globale della vita, a una Weltanschauung. Non esiste un ordinamento senza un prima o un poi, senza priorità, senza un ordine dei valori, senza un cammino che va verso una meta. E’ il confronto tra il senso globale della vita e gli accadimenti oscuri del mio sentire tumultuoso e apparentemente incontrollabile e indecifrabile, che mi permette a poco a poco di tracciare delle coordinate di senso, di cominciare a capirci qualcosa, di separare alcune emozioni da altre, di riconoscerne alcune come costruttive, altre come distruttive, e di cominciare a darmi un ordine pratico nel confrontarmi con esse.

3. Nasce la domanda che ritengo cruciale per un cammino adulto, per colui che ha già superato le prime conflittualità adolescenziali o giovanili dei sentimenti e ha a che fare con sentimenti più profondi e duraturi, quelli che reggono o non reggono nell’impegno della vita. Che cosa fare quando il pozzo si prosciuga, quando la sorgente si dissecca, quando i sentimenti, che ritenevo necessari, ovvi, giusti, si affievoliscono? Che cosa fare quando nell’amore umano sembra che non si sia più capaci di dirsi niente? Quando nella preghiera non si sente più nulla, sembra di mangiare sabbia, di camminare in un deserto? Quando sembra di non credere più a niente?


4. Gli Esercizi spirituali insegnano che esistono delle regole preziosissime... regole fondate sulla conoscenza profonda della persona e delle sue relazioni con altre persone e con il mistero al di là delle persone umane. Regole che danno una luce straordinaria per quei momenti di buio da cui pochi sono esenti nel corso della vita, soprattutto se si tratta di persone che hanno dedicato la loro esistenza alla preghiera. I contemplativi lottano più di ogni altro con l’aridità dei sentimenti, con la ripugnanza, con l’impotenza, con l’oscurità della notte. Sono i momenti in cui ci si chiede: Che cosa mi sta succedendo? Perché i miei sentimenti non mi obbediscono più?
La regola fondamentale, il segreto della “notte oscura” (per usare l’espressione di san Giovanni della Croce), è molto semplice: anche un pozzo prosciugato nutre i fiori della vita.
E’ dunque la scoperta di un’affettività subliminale al di là dei sentimenti immediatamente percepibili; è la scoperta di un’affettività che è dentro di noi senza che noi lo sappiamo
e che è, se noi lo vogliamo, più forte delle ripugnanze e delle paure.

Siamo o ci sembra di essere nel “buco nero”, ma in realtà c’è qualcosa di più profondo, che scorre nel silenzio e che nutre le risposte. Il non sapere dell’esistenza di queste acque porta alla disperazione, al cinismo, alla tomba dell’amore; lo scoprirlo invece è l’avvio di una nuova matura esistenza, di un nuovo ordine dei sentimenti.
L’ultima parola che in proposito ci dice il libretto degli Esercizi è quindi consolante: esiste, al di là dei sentimenti superficiali, vulcanici, tumultuosi, proprio là dove si entra nella notte, nel deserto, la capacità di scoprire la potenzialità di energie umane profonde, che, se accolte, pongono la persona in una maturità nuova, in un più definitivo e pieno controllo di sé, in una nuova, acquisita libertà.
E’ qualcosa che non si può esprimere a parole, perché va vissuta; è qualcosa verso cui si orienta tutta la grande tradizione mistica, e non solo cristiana, e che ha trovato una sedimentazione molto semplice proprio nel dinamismo, nel processo degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio.
Non riguarda, ripeto, soltanto i cammini mistici, ma ogni esistenza che voglia pensarsi seriamente come esistenza che fonde in unità pensare e sentire.
Chi vuol vivere un’esistenza così, arriva, presto o tardi, a dover fare il conto con la conflittualità e l’oscurità dei sentimenti che riteneva migliori e più validi. Soprattutto se si tratta della preghiera o dell’amore, di quegli amori che abbiamo scelto e che hanno costituito la nostra esperienza di vita. E’ qui che avviene la scoperta della radice più vera delle grandi scelte della vita, della “opzione fondamentale” che non si svolge nelle scaramucce dei sentimenti superficiali, bensì a queste profondità, dove ciascuno arriva, dove ciascuno ritrova, magari nel buio, la verità di sé.
Quali domande pratiche conseguono per noi?  

Sintetizzo le domande in una sola che possiamo portare con noi per continuare la riflessione: Dove, quando mi è stato dato di accedere a questa profondità di me?
Parlo di profondità – voglio sottolinearlo ancora – che non è frutto di introspezione, di terapia analitica, bensì di quella scoperta della propria autenticità che per lo più avviene nei momenti duri e neri della vita, allorché la persona giunge, forse per la prima volta, a una così autentica libertà, che la estrae dai condizionamenti emozionali che continuamente ci travolgono, verso la scoperta di un’emozionalità interiore potentissima, invincibile, perché sorgiva e finalmente libera
. Questo è l’accesso alla libertà, il cammino verso la libertà. Lasciamo allora che la domanda che ho posto penetri in noi.

da K. Demmer, Introduzione alla teologia morale
Nell'uso comune la parola «libertà» assume anzitutto il senso di libertà di scelta (libertas arbitrii) ed indica la capacità di ciascuno di scegliere tra diversi oggetti. Limitarsi però solo a questo significato comporta necessariamente percepire la norma come restrizione, un «gravamen libertatis». Sorge il dubbio che questa non sia ancora la piena essenza della libertà.
La prospettiva cambia
e ci permette di aderire maggiormente alla realtà se si inizia a comprendere la libertà come libertà essenziale; in altri termini come capacità di attuare il bene riconosciuto come tale e quindi di auto determinarsi. Questa visione permette di rischiare un progetto su degli ideali, su una meta di vita pienamente riuscita e sensata conferendo alla decisione morale, intesa come adempimento della norma, una sfumatura del tutto singolare.

Le norme in questo senso non restringono la libertà ma abilitano tutte le sue capacità, non sono un peso ma un dono, un gesto di solidarietà nell'ambito di una comunità fraterna. Prendere una decisione morale significa quindi non fuoriuscire da questo ambito, in cui il singolo non è abbandonato ad una norma, che forse lo impegna fino al limite delle sue forze, ma in cui la comunità lo accompagna per un tratto di strada. È in base a ciò che le norme devono essere trasparenti, altrimenti non assolvono il loro compito, non costruiscono ma schiacciano e conducono alla rassegnazione se non addirittura al cinismo.




[SM=g1740771]   continua.....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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