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Anno Fidei: i Padri, Dottori e Santi della Chiesa “ ricordateli. Imitatene la fede ”

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2013 21:32
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26/08/2012 16:02
 
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La testimonianza dei Padri della Chiesa (Terza ed ultima parte)


La trasmissione della fede nel mondo di oggi


di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org).-

3. Ancora Ambrogio e Agostino: come educare alla fede?

Occorre aggiungere, a questo punto, che – nel trasmettere la fede della Chiesa – Ambrogio e Agostino si servivano di un itinerario peculiare di edu­cazione alla fede.

3.1. La teoria catechetica di Ambrogio1

Nel ministero pastorale di Ambrogio l'educazione alla fede conosce tre tappe fondamentali. Oggi possiamo discutere sulla prio­rità dell'una rispetto all'altra: è certo però che esse rappresentano tre istanze irrinunciabili per ogni itinerario di fede.

a) La catechesi di Ambrogio è una catechesi molto concreta, che pretende di informare le scelte e i comportamenti pratici della vita. Egli partiva, appunto, dall'istruzione morale, e questa era la prima cosa che ricavava dalla lettura della Bibbia: «Abbiamo trat­tato ogni giorno di morale», diceva ai destinatari della sua cate­chesi, quando leggeva a loro le storie dei patriarchi e le massime dei Proverbi, «affinché, così formati e istruiti, voi vi abituaste ad entrare nella via dei padri e a seguire il cammino dell'obbedienza ai precetti divini, e – rinnovati dal battesimo – conduceste il genere di vita che conviene a coloro che sono stati purificati» (I misteri 1,1).

Da parte nostra, dobbiamo riconoscere che la fede cresce attraverso le esperienze della vita. Perciò chi educa alla fede è uno che promuove esperienze positive, atteggiamenti concreti, fatti..., che consentano questa circolarità feconda tra fede e vita.

b) In secondo luogo, la catechesi ambrosiana ha una robusta dimensione dogmatico-dottrinale. Al fedele – già «purificato» nella prima tappa – viene consegnato il Simbolo romano nei suoi dodici arti­coli fondamentali, e questo «breviario della fede» gli viene spiegato, in modo che egli lo assimili e possa restituirlo, trasmettendolo a sua volta e testimoniandolo con le parole e con la vita (Spiegazione del Simbolo 2).

Così chi educa nella fede deve essere provvisto di una precisa competenza teologica. Questa non potrà essere improvvisata, anzi­tutto per un'esigenza di rispetto nei confronti del depositum fidei: infatti chi educa nella fede non consegna un messaggio che gli appartiene in proprio; il messaggio che egli consegna lo supera, e va trasmesso ancora, dopo di lui.

c) Infine, la catechesi ambrosiana conduce ai sacramenti: il pastore accompagna per mano i fedeli nell'universo dello spirito, alzando il velo e comunicando una nuova capacità visiva, che gli consente di fare l'esperienza della salvezza nell'oggi della celebra­zione liturgica (i sacramenti, appunto).

«Sei andato», recita un celebre testo ambrosiano, «ti sei lavato, sei venuto all'altare, hai cominciato a vedere ciò che prima non eri riuscito a vedere. Cioè, mediante il fonte del Signore e l'annuncio della sua passione, i tuoi occhi si sono aperti in quel momento. Tu, che prima sembravi acce­cato nel cuore, hai cominciato a vedere la luce dei sacramenti» (I sacramenti 3,15).

Questo è precisamente il punto d'arrivo dell'itinerario di fede. Pertanto chi educa nella fede è uno che – segnando la strada – attua e vive in prima persona la «dimensione sacramentale», e si studia di testimoniarne efficacemente l'irrinunciabile valore.

In generale, riscontriamo nell'educazione ambrosiana alla fede il primato della vita sui concetti. E’ questo il realismo della fede, che, del resto, avevamo già registrato nella prassi pastorale di Ambrogio, ricordando la storia del suo incontro con Agostino. Il fatto è che per Ambrogio la Cosa (Res) più importante di tutte non è la dottrina: è una Persona vivente, Gesù Cristo. Cristo, esclama con entusiasmo il vescovo di Milano, «Cristo è tutto per noi: Omnia Christus est nobis!» (La verginità 16,99).

3.2. La teoria catechetica di Agostino2

Mi limito qui a richiamare una breve opera di Agostino, La catechesi ai semplici, indirizzata a Deogratias, diacono di Cartagine – un «catechista scoraggiato» –, verso il 400. Si tratta, come dice il titolo, di un piccolo manuale di catechesi, unico nel suo genere nella letteratura patristica.

Anche qui si possono rintracciare tre istanze fondamentali per una corretta trasmissione della fede.

a) Anzitutto il racconto della storia salvifica. Secondo Agostino, chi educa alla fede deve presentare un racconto completo della storia della salvezza, da «in principio Dio fece il cielo e la terra» (Genesi ,1), fino ai tempi della Chiesa. Naturalmente, si fermerà in partico­lare sui fatti essenziali, mentre tratterà quelli secondari attraverso rapidi cenni. Emergeranno i nodi centrali della storia della salvezza, soprattutto l'evento centrale, che è Cristo, sintesi di tutti gli altri. Di qui la continuità tra Antico e Nuovo Testamento: «L'Antico Testamento», scrive Agostino, «è il velo del Nuovo Testamento, e nel Nuovo si manifesta l'Antico». Così l'intera Scrittura «narra Cristo, e spinge ad amare» (La catechesi ai semplici 4,8).

Pare qui di sentire alcuni passi del «documento di base» per il Rinnovamento della Catechesi (= RdC), Roma 1970 («riconse­gnato» nel 1988 alla Chiesa italiana), testo che si è effettivamente ispirato in modo esplicito al libretto di Agostino. Si vedano soprat­tutto i paragrafi 105-108 di RdC, i quali riportano anche una cele­berrima citazione di san Gerolamo, contemporaneo di Agostino: «Ignorare la Scrittura sarebbe ignorare Cristo».

Proprio nel riferimento ad Agostino e a Gerolamo si possono individuare le più importanti fonti patristiche del cosiddetto biblio­centrismo della catechesi, sancito dai catechismi italiani postconci­liari (il catechista è uomo della Parola, perché per lui «la Scrittura è "il Libro": non un sussidio, fosse pure il primo»: RdC 107). Un bibliocentrismoche (in Agostino, discepolo di Ambrogio, e in generale nella corretta trasmissione della fede) equivale a un cristocentrismo: infatti il catechista «sceglie nella Scrittura, specialmente nei vangeli e negli altri libri del Nuovo Testamento, i testi e i fatti, i personaggi, i temi e i simboli che maggiormente convergono in Cristo... Nei per­sonaggi, si deve vedere la scelta che Dio ha fatto perché divenissero collaboratori, sia nel preparare la venuta del Salvatore, sia nel pro­lungarne la missione. Va messa in risalto la loro corrispondenza alla chiamata, l'orientamento verso Cristo» (RdC 108).

E si può citare anche il perentorio asserto della Catechesi Tradendae (= CT) di Giovanni Paolo II (1979): «Al centro stesso della catechesi noi tro­viamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazareth, unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità» (CT 5).

b) Un'altra istanza della trasmissione agostiniana della fede è quella di aprire alla speranza, la speranza che nasce dalla fede nella risurrezione. La speranza, infatti, ha un nome preciso: è Cristo risorto (La catechesi ai semplici 25,46). «E come è diventato la nostra speranza?» si chiede Agostino, in altro contesto. "Perché è stato tentato, ha patito ed è risorto. Così è diventato la nostra spe­ranza. In lui puoi vedere la tua fatica e la tua ricompensa: la tua fatica nella passione, la tua ricompensa nella resurrezione. È così che è diventato la nostra speranza. Perché noi abbiamo due vite: una è quella in cui siamo, l'altra è quella in cui speriamo. Quella in cui siamo ci è nota, quella in cui speriamo ci è sconosciuta (...). Con le sue fatiche, le tentazioni, i patimenti, la morte, Cristo ti ha fatto vedere la vita in cui sei; con la resurrezione ti ha fatto vedere la vita in cui sarai. Noi sapevamo solo che l'uomo nasce e muore, ma non sapevamo che risorge e vive in eterno. Per questo è diventato la nostra speranza nelle tribolazioni e nelle tentazioni, ed ora siamo in cammino verso la speranza» (Commento al Salmo 60,4).3

Si vede così che l'Agostino ventinovenne – «disperato» – ha ceduto il posto a uno dei più grandi cantori della speranza che la Chiesa abbia mai conosciuto nella sua storia bimillenaria. Decisivo per questo passaggio fu l'incontro con Ambrogio, e finalmente il battesimo che il vescovo di Milano gli amministrò nella notte di Pasqua del 387.

Ne possiamo desumere, da parte nostra, che chi trasmette la fede è uomo o donna della speranza, pronto egli stesso a rendere ragione della speranza che è in lui. Ne consegue inoltre che egli evi­terà toni distruttivi o ipercritici sul tempo presente. C'è in lui un sostanziale ottimismo, sostenuto dalla fede, e un'attenzione cor­diale a tutti i valori terreni, nella consapevolezza che la risurrezione è parola di fiducia e di speranza anche nei loro confronti.

c) Infine, chi trasmette la fede è uno che dona la gioia: anche quando parla, dice Agostino, si sforzi «di non essere pesante, di esprimersi in modo piacevole» (La catechesi ai semplici 2,3). Qui sembra di sentire qualcosa di don Bosco, quando Agostino afferma che, se c'è la gioia, i catechizzandi «pronunciano per bocca nostra le cose che ascoltano, e noi apprendiamo da essi le cose che inse­gniamo» (ibidem 12,17).

Chi educa alla fede, per dirla appunto con don Bosco, è uno che «studia di farsi amare», capisce e condivide gli interessi, gli affetti, le condizioni e le attese dei fedeli, per condurli nella gioia all'incontro con il Signore.

***

«A seconda della varia espressione del fedele», scriveva ancora Agostino, «il mio discorso prende avvio, procede e termina» (ibidem 15,23).

E noi terminiamo qui le nostre riflessioni.

Ma il messaggio dei Padri, che ci hanno preceduto, continua ad interpellare ciascuno di noi, e invita a ridisegnare non certo la regula fidei, bensì la figura e il metodo di chi intende trasmettere la fede nell'oggi della Chiesa.

(La seconda parte è stata pubblicata ieri, martedì 3 luglio)

*

NOTE

1 Cfr. F. BERGAMELLI, Ambrogio di Milano, in J. GEVART (cur.), Dizionario di Catechetica, Leumann (Torino) 1986, pp. 29-30; AA. VV., S. Ambrogio di Milano, «Evangelizzare» 23 (1997), pp. 597-620. Si vedano anche il sussidio curato da E. MARROCCO – G. MONZIO COMPAGNONI, Ambrogio di Milano. L’amore generi la fede. La catechesi sul Credo, Milano 2007, e la catechesi del Papa su sant’Ambrogio, in BENEDETTO XVI, I Padri della Chiesa…, pp. 147-152.

2 Cfr. O. PASQUATO, Agostino, in J. GEVAERT (cur.), Dizionario di Catechetica..., pp. 23-25. Si vedano anche le cinque catechesi che il Papa ha dedicato a sant’Agostino, in BENEDETTO XVI, I Padri della Chiesa…, pp. 199-233.

3 Cfr. G. VISONA’, La speranza nei Padri, Milano 1993, pp. 245-246.

[SM=g1740771]


La lectio divina alla luce dei Padri


La prefazione del primo collaboratore del Papa al volume di don Enrico dal Covolo, postulatore generale dei Salesiani


del cardinale Tarcisio Bertone dicembre 2007


Enrico dal Covolo, <I>Lampada ai miei passi. Leggere la Parola come i nostri Padri</I>, Elledici, Leumann (To) 2007, 240 pp., euro 14,00

Enrico dal Covolo, Lampada ai miei passi. Leggere la Parola come i nostri Padri, Elledici, Leumann (To) 2007, 240 pp., euro 14,00

L’itinerario della lectio divina, progressivamente riscoperto nei quarant’anni successivi al Concilio Vaticano II, è ormai familiare a molti fedeli, che intendono leggere e meditare la Scrittura nella tradizione vivente della Chiesa.
«Vorrei evocare», ha raccomandato ancora di recente Benedetto XVI nel quarantesimo anniversario della costituzione conciliare Dei Verbum, «l’antica tradizione della lectio divina: l’assidua lettura della Sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera realizza quell’intimo colloquio in cui, leggendo, si ascolta Dio che parla e, pregando, gli si risponde con fiduciosa apertura del cuore (cfr. DV, n. 25).
Questa prassi, se efficacemente promossa, recherà alla Chiesa – ne sono convinto – una nuova primavera spirituale. Quale punto fermo della pastorale biblica, la
lectio divina va perciò ulteriormente incoraggiata, mediante l’utilizzo anche di metodi nuovi, attentamente ponderati, al passo con i tempi. Mai si deve dimenticare che la Parola di Dio è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (cfr. Sal 118/119, 105)»1.


L’originalità di questo sussidio, esito di un esercizio ormai trentennale di lectio divina, consiste in un più esplicito riferimento ai Padri della Chiesa e al loro modo di leggere la Parola di Dio. Molte volte, infatti, chi pratica la lectio coltiva le sue competenze in ambito biblico, e assai di meno (o niente affatto) in ambito patristico: viceversa, è proprio quest’ultimo il luogo proprio in cui si è sviluppata la lectio divina.

Così il primo capitolo di questo libro intende recuperare l’attenzione dovuta ai Padri nell’esercizio della lectio, illustrando in rapida sintesi l’itinerario storico della lectio divina dalla «svolta origeniana» alle Regole monastiche, fino a Guigo II, priore della Grande Certosa tra il 1174 e il 1180. In definitiva, queste pagine iniziali forniscono il modello patristico, a cui si conformano gli esempi di lectio raccolti nel sussidio: anzitutto la sacra pagina viene letta e meditata (lectio e meditatio), per essere poi dischiusa alla preghiera e alla conversione della vita (oratio e contemplatio).
Icona di questo modello patristico è Maria santissima, la quale – stando a Luca 2, 19 – non solo custodiva la Parola di Dio (ecco la lettura e la meditazione), ma anche la confrontava nel suo cuore (ed ecco la preghiera e la conversione della vita, cioè l’autentica contemplatio).

Riguardo infine agli esempi di lectio qui addotti, che costituiscono il corpo del volume spaziando dall’Antico al Nuovo Testamento, è necessario accogliere nella fede la severa ammonizione di Origene († 254), maestro indiscusso della theía anágnosis (in latino lectio divina), nelle sue Omelie sui Numeri, là dove egli scrive: «Io non chiamo la Legge un “Antico Testamento”, se la comprendo nello Spirito. La Legge diventa un “Antico Testamento” solo per quelli che vogliono comprenderla carnalmente», cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma «per noi, che la comprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e i due Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma della novità del senso... Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità, anche i Vangeli invecchiano»2.

Viceversa, dice ancora papa Benedetto XVI, nella lettura orante della Scrittura e nel coerente impegno della vita «la Chiesa deve sempre rinnovarsi e ringiovanire, e la Parola di Dio, che non invecchia mai, né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. È infatti la Parola di Dio che, per il tramite dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13)»3.

Introduco ben volentieri, e raccomando alla lettura, questo agile volume di don Enrico dal Covolo, sdb, professore di Letteratura cristiana antica nell’Università Pontificia Salesiana di Roma e consultore della Congregazione per la Dottrina della fede: fra l’altro, il sussidio può rivelarsi di qualche utilità anche in vista della prossima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (ottobre 2008), che il Papa, con felice intuito, ha voluto dedicare alla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa».


Note
1 Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso internazionale per il XL anniversario della costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, L’Osservatore Romano, 17.9.2005, p. 5.
2 Origene, Omelia sui Numeri 9,4,2, edd. W.A. Baehrens – L. Doutreleau, SC 415, Paris 1996, p. 240.
3 Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso internazionale per il XL anniversario della costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, cit.


[SM=g1740771]
[Modificato da Caterina63 28/08/2012 19:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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