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Fra i tanti effetti del successo ormai planetario del social network come modalità di comunicazione istantanea e condivisa ve n’è uno che merita di essere messo in evidenza in quanto particolarmente significativo, vale a dire la progressiva diffusione del «leone da tastiera» anticattolico. Di chi si tratta? Di soggetti di varie fasce di età anche se in prevalenza giovani che, pur non di rado contraddistinti da un elevato livello di istruzione, proprio non riescono a trattenere in generale il loro astio nei confronti delle religioni, ritenute oppio dei popoli, e, in particolare, quello contro la Chiesa cattolica, vista come l’Istituzione simbolo di tutte le peggiori nefandezze e dei più efferati crimini a sfondo confessionale commessi nel corso della storia.

Il modus operandi del «leone da tastiera» – che appunto predilige i “botta e risposta” su internet mentre nelle discussioni dal vivo, se messo alle strette, finisce sovente per perdere le parole assumendo le sembianze di un agnellino indifeso – è caratterizzato da una contraddizione e da diversi luoghi comuni. La contraddizione è quella di proclamarsi amante della libertà ma di esibire forte insofferenza verso quella del culto che osi sbucare dalle catacombe: in pratica, anche se si professa campione della democrazia, il «leone da tastiera» è un inconsapevole nostalgico dei fascismi. L’aspetto più interessante del «leone da tastiera» è però il repertorio di luoghi comuni che, quando capita, spara come pallottole che, però, possono trasformarsi in boomerang. Vediamone alcuni.

Il primo luogo comune per essere un buon «leone da tastiera» è quello di ricordare sempre, alla prima occasione, che in nome di Dio si sono commesse atrocità: vero, purtroppo. Ma generalizzare o esagerare, in tutti i casi incluso questo, sarebbe sbagliato. In seguito ad un accurato esame di quasi milleottocento conflitti si è infatti potuto appurare come meno del sette percento di questi, in realtà, sia stato originato da motivi religiosi (cfr.Encyclopedia of Wars, 2004); per quanta ostilità si possa avere verso la religione, le cause delle peggiori crudeltà vanno, dunque, ricercate altrove. Non a caso la gran parte dei conflitti moderni – dalla campagna napoleonica alla guerra in Corea, dalla Rivoluzione Americana a quella Russa – non sono di natura confessionale.

Negli stessi dittatori novecenteschi, più che una ispirazione religiosa, è l’anticristianesimo ad essere stato ben presente: da Benito Mussolini (1883-1945) – che dopo i Patti Lateranensi, davanti al Gran Consiglio del fascismo, disse un eloquente «Abbiamo fatto la pace con la Chiesa…Ora che la pace è fatta, si può pure riprendere la guerra!» – ad Adolf Hitler (1889–1945), per il quale il cristianesimo era «un’invenzione di cervelli malati», un insieme di «mistificazioni ebraiche manipolate dai preti». Impressionanti, in particolare, le parole pronunciate dal padre del nazionalsocialismo la notte tra l’11 e il 2 luglio 1941: «Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto è l’avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è un figlio illegittimo del cristianesimo».

Un secondo, immancabile “must” di ogni buon «leone da tastiera» è l’Inquisizione che nel Medio Evo avrebbe spedito al rogo – si narra – milioni di persone. Ora, a parte che ad eseguire le condanne era in ogni caso l’autorità secolare, e a parte che il solo parlare di “milioni” di roghi evidenzia notevole incompetenza rispetto all’effettiva dimensione, molto più ridotta, del fenomeno, c’è da dire che l’apice delle caccia alle streghe si registrò durante il Rinascimento e nelle regioni germaniche protestanti più che in quelle cattoliche: dunque quella sulla sanguinaria Santa Inquisizione del Medio Evo è solo un’invenzione come dimostrano pure il contenuto ricorso alla tortura e le sentenze di morte, relativamente poche accanto a quelle di quasi tutti gli altri tribunali italiani dell’epoca.

Non è un caso che, ripetendo sostanzialmente il pensiero anche di altri studiosi, la storica abbia Anne Schutte si sia spinta ad affermare come quel sistema inquisitoriale avesse «offerto la migliore giustizia criminale possibile nell’Europa dell’età Moderna». Lo dimostra il fatto – anche questo accertato dagli storici – che l’Inquisizione del Sant’Uffizio, ben lungi dall’essere quell’infernale e sanguinario tribunale che molti immaginano, adottasse nell’accertamento delle colpe metodologie più scettiche e rigorose di quanto facessero, negli stessi anni, i tribunali laici e le gerarchie ecclesiastiche locali, più facilmente inclini a cedere alle istanza fanaticamente persecutorie espresse dalla società civile. Insomma, chi parla della “terribile” Santa Inquisizione nel Medioevo non sa proprio, di fatto, che sta dicendo.

Terzo cavallo di battaglia per ogni buon «leone da tastiera» è poi, collegato a quello inquisitoriale, il processo di Galileo Galilei (1594-1642). L’argomento, anche qui, è non di rado tirato in ballo da chi ancora crede che costui sia stato processato per aver detto che la Terra era rotonda (questione risolta in realtà prima di Cristo) o da chi pensa che abbia dovuto subire indicibili torture mentre invece, dopo la condanna, la vita dello scienziato pisano continuò – è il caso di dirlo – di villa in villa: prima nel Giardino di Trinità dei Monti (alloggio a cinque camere, vista sui giardini vaticani e cameriere personale), poi nella magnifica Villa dei Medici al Pincio, quindi a Siena presso l’amico e arcivescovo Ascanio Piccolomini (1590–1671), in seguito a Firenze nella sua casa di Costa San Giorgio e, infine, nella Villa di Arcetri, presso il Monastero delle Clarisse di San Matteo dove vivevano le sue due figlie suore.

Non ha neppure senso, a ben vedere, considerare il processo a Galilei come quel terribile ed epocale scontro fra Scienza e Fede di cui spesso si sente dal momento che furono anzitutto invidie e rivalità accademiche a precederlo e a generarlo. Tutto questo, va da sé, il «leone da tastiera» lo ignora, ma uno studioso serio come Federico Di Trocchio (1949-2013) non aveva per esempio difficoltà ad ammettere come, in realtà, sia stato «gruppo di scienziati pisani e fiorentini a suscitare il fatale scontro tra Galileo e la Chiesa, mossa che costituiva l’unica possibilità di arrestare il copernicanesimo, vista l’impossibilità di contrastarlo sul piano scientifico». Inoltre è da considerare come non fu quello che lo scienziato pisano sosteneva – l’eliocentrismo – a procurargli processo e condanna, bensì come lo sosteneva, cioè vantando una sicurezza che nel processo, di fatto, non seppe supportare con i giusti argomenti

E che dire, continuando, dell’8×1000 alla Chiesa Cattolica? Non c’è «leone da tastiera» che su questo non si scateni ricordando come al riguardo abbia speso parole critiche anche la Corte dei Conti. Ora, a parte che dette critiche hanno fatto sobbalzare – tanto sono parse opinabili – giuristi del calibro del professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, due sono i fatti che stentano, ogni volta, ad essere capiti. Il primo riguarda la natura dell’8×1000 che, più che un regalo alle confessioni religiose, è in realtà un caso di democrazia nell’indirizzo della spesa pubblica con cui i cittadini possono partecipare alla destinazione della spesa tra finalità confrontabili: non è quindi certo colpa della Chiesa se l’ottanta percento dei contribuenti che esprimono una preferenza lo faccia in suo favore.

Il secondo aspetto da considerare è che, se da un lato è vero che grazie all’8×1000 una consistente quantità di fondi viene destinata alla Chiesa – nel 2015 sono stati così assegnati novecentonovantacinque milioni di euro -, dall’altro il risparmio che la Chiesa, con scuole, assistenza e servizi vari assicura allo Stato italiano, è decisamente maggiore ed è stato stimato in undici miliardi di euro annui (Cfr. Rusconi G. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno, Rubbettino 2013). Questo significa che se per magia la Chiesa in Italia sparisse – scenario che ogni buon «leone da tastiera», in cuor suo, sogna ardentemente – per lo Stato italiano sarebbero guai seri. E, soprattutto, lo sarebbero per le tasche di noi contribuenti, già messe alla prova da una pressione fiscali che, com’è noto, non ha pari al mondo.

Un quarto intramontabile argomento del «leone da tastiera», quando vuole mettere in seria difficoltà un interlocutore sospettato di essere cattolico, è quello delle Crociate. Una esperienza storica, si lascia intendere, vergognosa e criminale nella quale i cristiani avrebbero gettato la maschera rivelando tutto il loro spirito guerrafondaio. Quello che il «leone da tastiera» non dice è però che sono stati anzitutto mussulmani, con ancora il profeta Maometto in vita, ad iniziare la Jihad conquistando prima l’Arabia, a quell’epoca ancora in gran parte pagana, quindi Gerusalemme e i Luoghi Santi. Sbagliato sarebbe dunque attribuire al Cristianesimo la responsabilità originale delle crociate le quali, comunque, iniziarono dopo cinque secoli la grande e persistente offensiva islamica alla Cristianità.

Questo significa che, allorquando presero avvio, le vituperate Crociate – ognuna delle quali ha avuto luogo, giova rammentarlo, sotto espressa autorizzazione pontificia -, ben lungi dall’essere una cinica guerra di conquista, furono in primo luogo una risposta militare a secoli di incontrastato imperialismo mussulmano al quale, appunto, si replicò solo quando maturarono le condizioni e la forza per poterlo fare adeguatamente. Va quindi sottolineato come le Crociate furono inaugurate con tre finalità la cui legittimità è difficilmente contestabile. La prima, come detto, era la riconquista dei Luoghi Santi; la seconda era la difesa dell’incolumità dei pellegrini; la terza, la risposta militare a ben cinque secoli di conflitti fino a quel momento solo ed esclusivamente subiti.

Il quinto cavallo di battaglia del «leone da tastiera» è quello della pedofilia all’interno della Chiesa. Come per i crimini commessi in nome di Dio – che purtroppo non sono una creazione letteraria – anche in questo caso è bene sottolineare che non si tratta di un problema inventato: i pedofili preti sono esistiti e non è da escludere che, in quale realtà, possano ancora esistere. Tuttavia non va dimenticato come quello della pedofilia nella Chiesa sia una questione spesso strumentalizzata a fini anticristiani: non è un caso che in Germania, nel maggio 1937 – guarda caso subito dopo che, nel marzo dello stesso anno, Papa Pio XI (1857-1939) aveva condannato l’ideologia nazista con l’enciclica Mit brennender sorge – ad iniziare una feroce campagna contro i preti pedofili arrestando centinaia di sacerdoti, sia stato un certo Joseph Goebbels (1897-1945), ministro della propaganda del Terzo Reich.

Questo non significa, lo si ripete, che il problema della pedofilia nella Chiesa non esista: anche un solo pedofilo prete è qualcosa d’inaccettabile, così come del tutto inaccettabili sono le parole di chi giustifica gli abusi o non fosse chiaro nel condannarli. Ad ogni modo è bene sapere quanto il sociologo Massimo Introvigne, commentando i più recenti studi dell’americano John Jay College of Criminal Justice, fa osservare, vale a dire che oggi la diffusione degli abusi sui minori nelle scuole pubbliche, nelle società sportive giovanili e fra i boy scout non cattolici che è sedici volte maggiore di quella riscontrata nelle scuole e parrocchie cattoliche, ambienti dunque sedici volte più sicuri. Una realtà molto diversa da quella che – come anche sull’Inquisizione, sul processo Galilei e tutto il resto – i «leoni da tastiera» amano presentare. Fino a quando, ovvio, non incontrano qualcuno di minimamente preparato: allora, per loro, si mette davvero male.

(“La Croce”, 19.11.2015, p.2)

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