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Il potere e la grazia intervista di Andreotti a Ratzinger (2005)

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2012 18:49
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24/08/2012 18:44
 
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tratto dal n. 05 - 2005

 

Il potere e la grazia


 


La presentazione del libro di 30Giorni sull’attualità di sant’Agostino con il cardinale Joseph Ratzinger

 

Giulio Andreotti introduce la presentazione del libro Il potere e la grazia. Attualità di sant’Agostino fatta dal cardinale  Joseph Ratzinger

Giulio Andreotti introduce la presentazione del libro Il potere e la grazia. Attualità di sant’Agostino fatta dal cardinale Joseph Ratzinger

Il testo che segue è una nostra trascrizione degli interventi
che conserva l’immediatezza
e la vivacità di un parlato

GIULIO ANDREOTTI:

Eminenza, nonostante io da sette anni appartenga all’altro ramo del Parlamento, sono comunque abbastanza qualificato, avendo vissuto per quarantacinque anni qui alla Camera dei deputati, per darle il benvenuto e per ringraziare lei e tutti gli ospiti di aver accettato questo appuntamento singolare. Io devo solo introdurre.
Certo che in questo luogo, che è un compound della Camera dei deputati, siamo quanto mai nella città terrena. In effetti, l’ambiente è singolare, tanto singolare che quando si ospitano delle delegazioni straniere, e in modo particolare delle delegazioni di Paesi non classificati come cristiani, si nota in loro evidente la meraviglia di fronte a questi quadri, e allora dobbiamo spiegare loro la storia... Essendo oggi il 21 settembre, forse possiamo ricordare come proprio un certo numero di anni fa, all’indomani del 20 settembre di Porta Pia, non proprio in questo luogo (dov’era il convento), ma nel palazzo di Montecitorio, che era sede del Tribunale, si svolgeva un’attività piuttosto singolare. Se la storia non ci riferisce male, Montecitorio fu l’unico palazzo che fu preso d’assalto. Perché era il palazzo del Tribunale e, quindi – non certo a causa di una lotta fra clericalismo e anticlericalismo –, si volevano far sparire gli archivi. Perché ricordo questo? Perché in questo volume, nell’ultimo capitolo – in un certo senso un po’ ampliando l’orizzonte rispetto allo schema agostiniano del resto del libro – si riporta il saluto che il sindaco di Roma dette al Santo Padre quando era in visita al Campidoglio.
Noi che facciamo vita politica qui in Parlamento, certo sentiamo molte volte delle difficoltà. Però ringraziamo Dio di essere nati in un periodo in cui il rapporto tra mondo politico e mondo religioso è stato possibile senza difficoltà e senza contrasti. La Questione romana, del resto, anche prima della sua effettiva conclusione, da alcuni spiriti molto elevati era stata vista come superata. Poi abbiamo avuto il famoso discorso di Paolo VI (che già quando era cardinale aveva affrontato il tema) in cui disse che era stata una benedizione per la Chiesa essere liberata dal potere temporale.

Quindi, tutto un po’ si ricollega. Vorrei soltanto dire che questo angolo dell’insieme della Camera dei deputati è particolarmente caratterizzato da una attività religiosa: nel chiostro, infatti, c’è la piccola chiesa di San Gregorio Nazianzeno, dove monsignor Fisichella (siamo tutti lietissimi che rimanga dopo la sua nomina a vescovo ausiliare) quattro giorni alla settimana dice la sua messa. Anche questo ha un significato.

L’ultima cosa che vorrei segnalare è questa: rispetto a quasi tutti i Padri della Chiesa, sant’Agostino è particolarmente affascinante oltre che per quello che ha scritto, anche per la sua figura umana. Andando indietro con la memoria e pensando a uno dei miei anni di scuola, ricordo il successo che riscosse la scelta delle Confessioni da parte del professore di religione, come libro su cui egli ci istruiva. Cominciai allora a capire un po’. Non dico di aver poi compreso tutto di questa figura che suscita interesse anche solo per la sua storia personale (si pensi al suo itinerario: la partenza dall’Africa, l’arrivo a Roma, il non trovare qui un ambiente con una sua scuola molto recettiva, il viaggio a Milano voluto dalla Provvidenza, il suo rapporto con sant’Ambrogio, il suo ritorno in patria...).
Mi ha colpito una cosa leggendo l’Enciclopedia cattolica: laddove si parla di sant’Agostino (vi si dedicano moltissime pagine e mi sembra anche con studio molto accurato), si dice testualmente (e per questo forse, se fosse esistito ancora, il Sant’Uffizio sarebbe intervenuto) che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne «si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio». Certamente non è questa la cosa più importante, però mi sembra significativo il fatto che il cammino della grazia in sant’Agostino ha inizio, anche se non proprio dal gradino più basso – c’è di peggio –, da qualche cosa di completamente lontano e arriva a quella che può essere considerata una apoteosi, sia di cultura sia di spirito religioso. E ci arriva, non a caso, passando per Roma, passando per Milano e tornando poi in quell’Africa dove, con una certa mestizia, noi oggi vediamo, in Cartagine, cose stupende dal punto di vista archeologico ma non quelle impronte che certamente nella storia avevano avuto un grande significato. D’altra parte, io ritengo che proprio questa grande umanità di sant’Agostino ci deve abituare a non essere mai pessimisti. I tempi della storia qualche volta sono molto più lunghi di quelli che ci aspettiamo. Anche i tempi della cultura sono tempi non misurabili con criteri validi per altre realtà. Comunque, io credo che il fermarsi per qualche momento su sant’Agostino faccia del bene a tutti noi.

La copertina del libro

La copertina del libro

Le rinnovo, eminenza, la profonda gratitudine per aver accettato di presentare questa nostra pubblicazione.



JOSEPH RATZINGER:


Signor senatore, eccellenze, signore e signori, innanzitutto devo un po’ precisare, o addirittura correggere, il testo dell’invito: infatti, a causa dei miei tanti impegni nei mesi passati, non ho trovato il tempo per una lettura approfondita e seria di questo libro. E perciò non mi trovo sufficientemente preparato per una vera presentazione. Nonostante questo, ho voluto dire sì all’invito semplicemente a motivo della mia amicizia e ammirazione per sant’Agostino. Poi, perché mi arreca realmente gioia il fatto che una rivista di informazione come 30Giorni abbia presentato per mesi al grande pubblico questa figura in un dialogo col nostro tempo. Un dialogo che realmente evidenzia la profondità e l’attualità del suo pensiero. Questo fatto, che sant’Agostino diventa accessibile alle nostre domande, e nella nostra attualità, è il mio motivo di gioia e quindi ho detto un sì un po’ paradossale, forse non giustificato, in una situazione in cui forse avrei dovuto dire no.
Quindi, devo chiedere scusa se mi presento abbastanza impreparato e incapace di presentare questo libro così da mostrare il suo reale valore, il suo contenuto profondo.

Mi sento in grado di fare alcuni accenni ai due elementi che a me, a una lettura superficiale, appaiono come i più importanti e che si vedono presenti nel titolo: il potere e la grazia. Quando cinquant’anni fa ho cominciato a dialogare con sant’Agostino, l’ho trovato quasi subito come un mio contemporaneo. Un uomo che non parla da lontano e da un contesto totalmente diverso dal nostro, ma che, avendo anzi vissuto in un contesto molto simile al nostro, risponde, naturalmente alla sua maniera, a problemi che sono proprio anche problemi nostri.

Il primo problema nascosto sotto la parola “potere” è quello della cosiddetta teologia politica, della relazione tra mondo politico e mondo religioso. Il senatore Andreotti ha già accennato come anche questo contesto ci faccia molto pensare sulla relazione tra i due mondi. Agostino ha vissuto in un Impero giuridicamente cristiano, dove il cristianesimo era religione di Stato anche se la maggioranza dei cittadini ancora non erano cristiani. L’imperatore era cristiano e si considerava il protettore della Chiesa, anzi la personificazione della Chiesa, che era per lui quasi identificata con l’Impero. E in uno Stato in cui il cristianesimo è religione ufficiale, intrecciandosi con i gradi più alti dello Stato, è grande il pericolo che anche il teologo e il vescovo perdano di vista la differenza tra le due cose e si arrivi a una politicizzazione della fede incompatibile sia con la sua libertà sia anche con la sua universalità. In realtà, nel periodo e nella generazione precedenti a sant’Agostino, Eusebio di Cesarea aveva creato una teologia politica in questo senso, nella quale l’Impero e la Chiesa quasi si identificano. L’Impero diventa il modo in cui Dio realizza il suo progetto per la storia.
Il problema di quest’identificazione si è rivelato nella crisi ariana, che non è solo una crisi di insegnamento cristologico, di fede cristologica, ma è soprattutto una crisi del problema della giusta relazione tra Stato e Chiesa, tra politica e fede. Pensiamo soltanto all’episodio relativo al Sinodo di Milano del 355, quando Eusebio di Vercelli, una delle grandi figure che resistettero a questa identificazione, rifiutò di sottostare alla volontà dell’imperatore che voleva che egli firmasse un documento di fede ariana.
A Eusebio, che considera questo documento non compatibile con le leggi della Chiesa, l’imperatore Costanzo risponde: «La legge della Chiesa sono io». La fede è divenuta, quindi, una funzione dell’Impero. Eusebio è, con pochi altri, una delle grandi figure che, come ho detto, resistono a queste insinuazioni e difendono la libertà della Chiesa, la libertà della fede e anche la sua universalità. Questo, una generazione dopo, nella vita di sant’Agostino, appare già più difficile perché la fede nicena nel frattempo è accettata anche dagli imperatori. Quindi, non esistendo più questi conflitti, si potrebbe facilmente essere tentati di entrare in questa identificazione, arrivando così a un’inculturazione della fede nella quale fede e cultura si identificano in un modo inseparabile, e la fede perde così la sua universalità sia diacronica che sincronica.
La fede non è, cioè, più in grado di comunicarsi ad altri mondi di cultura, né ad altri tempi con altre culture. Sant’Agostino era, in questa grande tentazione, la figura che ha difeso la differenza essenziale che, anche in situazioni privilegiate di quasi identità della popolazione, non può mai scomparire. Certamente egli fu aiutato dal fatto che nell’anno 410 i Goti conquistarono Roma, la saccheggiarono, e i pagani reagirono dicendo: «Ecco, questo è successo adesso con il cristianesimo. Quando c’erano ancora gli dèi della patria, Roma era difesa, era la capitale del mondo. Adesso avete espulso gli dèi, e san Pietro e san Paolo, i vostri patroni, non sono in grado di difendere la città. Vediamo che bisogna tornare agli dèi». E così i pagani si fanno (giustamente dal loro punto di vista) propagatori di una teologia politica in cui gli dèi sono in funzione dello Stato e lo Stato è in funzione delle divinità.

Proprio in questa situazione di profonda crisi spirituale, sant’Agostino capisce e vede che l’identificazione è una caratteristica della religione pagana, in cui le divinità sono autoctone, sono le divinità parziali di questa realtà. Mentre una fede che crede nell’unico Dio, nel Dio di tutti i popoli e di tutte le culture, non può conoscere questa identificazione. E così insiste sul fatto che Chiesa e Stato non possono confondersi. La Chiesa in tutta la sua fragilità, in tutto il suo inserimento nelle cose umane di un determinato tempo, anche nei peccati di un certo tempo, tuttavia è una realtà diversa, un segno di una nuova società futura che adesso non è Stato, ma che si annuncia, tramite la Chiesa, per il futuro e muove la storia verso il futuro. Mentre lo Stato rimane lo Stato del presente e la sua funzione è distinta dalla Chiesa.


Non vorrei adesso approfondire questo, ma mi sembra che il grande merito di sant’Agostino sia di aver creato questa filosofia, questa teologia della diversità delle funzioni, nella responsabilità comune guidata dai valori che possono costruire una società giusta. Sappiamo bene quanto fosse difficile per i contemporanei di sant’Agostino comprendere questa distinzione. Già il suo amico Orosio, nel suo libro sulla storia, sulla città di Dio, cade più o meno nella identificazione. Poi, il Medioevo ha creato un agostinismo politico che era un malinteso del vero agostinismo. Ma, con le letture approfondite, riappare la grandezza della figura di sant’Agostino. E penso che una filosofia politica e una vera ecclesiologia, una fede nell’unico Dio che è Dio di tutti, la ricerca di una vera universalità della fede che si esprime in tutte le culture, non identificandosi mai con una sola di esse, possano anche oggi imparare molto dal dialogo con sant’Agostino.
Mi sembra che la tentazione di ridurre il cristianesimo a un moralismo è grandissima anche nel nostro tempo, e sono molto grato che 30Giorni sottolinei spesso questo problema. Perché noi viviamo un po’ tutti in un’atmosfera di deismo


Secondo punto: il titolo del libro parla del potere e parla della grazia. Come sappiamo, nella seconda e ultima tappa della vita di sant’Agostino, è divenuto questo il suo grande tema, mentre nel dibattito sia con la reazione pagana sia con il donatismo ha visto soprattutto la necessità di riflettere il tema del potere e della diversità delle sfere. Entra poi, costretto dalla situazione, in un dibattito con certe tendenze del monachesimo del suo tempo, con un moralismo, la cui figura eccellente era Pelagio, in cui il monachesimo, che inizialmente era proprio vita dell’adorazione e fuga saeculi, come si diceva, diventa un moralismo nel quale si costruisce, con le forze della moralità umana, la nuova società. E la tentazione di trasformare il cristianesimo in un moralismo e di concentrare tutto sull’azione morale dell’uomo è grande in tutti i tempi. Perché l’uomo vede soprattutto sé stesso. Dio rimane invisibile, intoccabile, e quindi l’uomo si appoggia soprattutto sulla sua propria azione. Ma se Dio non agisce, se Dio non è un vero soggetto agente nella storia che entra anche nella mia vita personale, allora che cosa vuol dire redenzione?
Che valore ha la nostra relazione con Cristo e così col Dio trinitario? Mi sembra che la tentazione di ridurre il cristianesimo a un moralismo è grandissima anche nel nostro tempo, e sono molto grato che 30Giorni sottolinei spesso questo problema. Perché noi viviamo un po’ tutti in un’atmosfera di deismo. La nostra idea delle leggi naturali non ci permette più facilmente di pensare a un’azione di Dio nel nostro mondo. Sembra che non ci sia spazio perché possa agire Dio stesso nella storia umana e nella mia vita. E così abbiamo l’idea che Dio non può più entrare in questo cosmo, fatto e chiuso contro di lui. Che cosa rimane?

La nostra azione. E dobbiamo trasformare noi il mondo, dobbiamo noi creare la redenzione, dobbiamo noi creare il mondo migliore, un mondo nuovo. E se si pensa così, ecco che il cristianesimo è morto, il linguaggio religioso diventa un linguaggio puramente simbolico e vuoto. E 30Giorni ha il grande merito di aver mostrato come in preghiere moderne, anche nelle traduzioni delle preghiere liturgiche, c’è questa tentazione di lasciar cadere la speranza di un intervento di Dio – sembra troppo ingenuo sperare questo – che trasforma tutto in appelli al nostro agire. Molto comprensibile. Ma allora ci manca proprio il vero dialogo, ci manca la forza dell’amore eterno che è la vera forza che può rispondere alle sfide della nostra vita e della politica. Agostino ha conosciuto questa tendenza. Ha risposto fortemente e, essendo il dottore della grazia, ci invita a seguirlo e ad affidarci con la nostra azione alla comunione con l’azione di Dio, a credere che l’amore è un potere – un potere anche nel mondo di oggi – e che l’amore ha la capacità di trasformare il mondo e provoca il nostro amore, e in questa comunione delle due volontà, per così dire, si può andare avanti.

Quindi, con altre parole, Agostino insegna che la santità e la rettitudine cristiane non consistono in una qualche sovrumana grandezza o in qualche talento superiore. Se fosse così, il cristianesimo diventerebbe una religione per alcuni eroi o per gruppi di eletti, per monaci che hanno il tempo di farlo e le forze per farlo. Era questa la visione della filosofia della tarda antichità, per cui i filosofi hanno la capacità di elevarsi fino alla divinità, mentre la gente semplice deve accontentarsi e vivere a un livello inferiore. Agostino dice no, dice che la fede cristiana è proprio la religione dei semplici, il Signore si comunica ai semplici. Quindi non è una cosa sovrumana, ma si realizza nell’obbedienza che si pone a disposizione là dove Dio chiama, quella stessa obbedienza che non si affida al proprio potere o alla propria grandezza, ma si fonda sulla grandezza del Dio di Gesù Cristo ed è consapevole che tale grandezza divina si può trovare proprio nel servire e nel perdersi, nel lasciarsi guidare dalla verità e nel lasciarsi muovere dall’amore.


Un’ultima osservazione. Il titolo mi ispira ancora un ultimissimo pensierino. Il potere e la grazia: potrebbe essere tradotto, o almeno vi potrebbe essere associato anche un altro termine: il visibile e l’invisibile. Nei nostri tempi, la sollecitazione del visibile, del controllabile, è cresciuta ancora di più, al punto che oggi ci si crede più emancipati, più assennati perché prendiamo sul serio solo ciò che è visibile e ciò che possiamo dominare. In realtà, ciò diminuisce la capacità visiva della nostra mente e del nostro cuore. Non riusciamo più a guardare l’invisibile e l’eterno, senza il quale in realtà tutto il visibile non potrebbe sussistere ed esistere.

Per concludere, Agostino è attuale anche per questo. Perché la sua figura è un’esortazione a fidarci dell’invisibile, a riconoscere ciò che veramente è importante e determinante per la nostra vita. Grazie.




[SM=g1740771] 

[Modificato da Caterina63 24/08/2012 18:46]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733] vi ricordiamo che l'allora cardinale Joseph Ratzinger, divenuto Papa con il nome di Benedetto XVI, ha poi tenuto anche 5 bellissime Catechesi su sant'Agostino.....





[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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