È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

San Giovanni XXIII era devotissimo del beato Pio IX e di san Pio X

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2015 18:22
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
25/08/2012 20:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

C. Terzo momento da valutare attentamente è quello del centenario dell’unità d’Italia: 1961, durante la presidenza di Giovanni Gronchi, col ricevimento in Vaticano dell’onorevole Amintore Fanfani, presidente del Consiglio dei ministri.
Nella sua garbata allocuzione, il Papa sottolineò anzitutto l’ambito caratteristico delle attribuzioni specifiche della Chiesa e dello Stato, con particolare sottolineatura sulla essenza e sulla variazione dei rapporti che devono intercorrere tra le due entità: «La singolare condizione della Chiesa cattolica e dello Stato italiano – due organismi di diversa struttura, fisionomia ed elevazione, quanto alle caratteristiche finalità dell’uno e dell’altro – suppone una distinzione ed un tal quale riserbo di rapporti, pur fatti di garbo e di rispetto, che rendono tanto più gradite le occasioni dell’incontrarsi, di tratto in tratto, dei loro più alti rappresentanti, anche a titolo di comune letizia e di edificante incoraggiamento verso la ricerca dei beni più preziosi per la vita sociale» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 204-205).


Poi offrì, in nome suo proprio e del governo centrale della Chiesa, l’attestato di una presenza festosa alla celebrazione, quasi a cancellare – come più compiutamente avrebbe fatto col pellegrinaggio a Loreto e Assisi nel 1962 – un secolo talora turbato da reciproca incomprensione: «La ricorrenza che in questi mesi è motivo di sincera esultanza per l’Italia, il centenario della sua unità, ci trova, sulle due rive del Tevere, partecipi di uno stesso sentimento di riconoscenza alla Provvidenza del Signore, che pur attraverso variazioni e contrasti, talora accesi, come accade in tutti i tempi, ha guidato questa porzione elettissima d’Europa verso una sistemazione di rispetto e di onore nel concerto delle nazioni, grazie a Dio depositarie, sì, oggi ancora, della civiltà che da Cristo prende nome e vita» (Discorsi…, op. cit., III, p. 205).
Tutto questo, a mio avviso, per introdurre, infine, il diffuso accenno a Pio IX «che del suo nome, della sua storia ha lasciato un’orma così profonda nel nostro Paese» (Discorsi…, op. cit., I, p. 617), come aveva detto esplicitamente due anni prima. Niente e nessuno lo obbligava a farlo; forse taluno, temendo, da questo inciso, una ulteriore “scapigliatura” della stampa, l’avrebbe dissuaso. Ecco il testo proclamato, notisi bene, dinanzi al presidente del Consiglio dei ministri dello Stato democratico e repubblicano: «Ai figli d’Italia, per cui negli anni più accesi del movimento per l’unità nazionale certa letteratura, alquanto scapigliata, fu motivo di turbamento, non può sfuggire che astro benefico e segno luminoso, invitante al trionfo del magnifico ideale, fu papa Pio IX, che lo colse nella sua significazione più nobile e, da parte sua, lo vivificò come palpito della sua grande anima così retta e pura» (Discorsi…, op. cit., III, p. 205).

Astro benefico e luminoso! Non sono parole cadute dalla penna a caso. Esse insinuavano un giudizio storico; non direi che lo imponessero; miravano piuttosto ad indicare l’opportunità di uscire da vecchi schemi preconcetti e di ricominciare da capo e in profondità la valutazione del pontificato di Pio IX. Impareggiabile nella sua finezza di autentico principe della parola rispettosa e della comunione cordiale, principe della Chiesa e del popolo di Dio, Giovanni XXIII si congedò con estrema delicatezza, compendiando, per così dire, l’apertura del cuor suo in un’immagine primaverile: «Questo semplice tocco, che ci siamo permessi di offrirle, signor presidente, è come un fiore di campo sull’avviarsi della primavera. Esso è accompagnato dal voto che quotidianamente eleviamo innanzi al Signore per il capo dello Stato – che in questi giorni seguiamo con viva simpatia e con paterni auguri –, eleviamo per lei e per quanti con lei dividono le responsabilità nel governo della pubblica cosa, come l’abbiamo invocato nella liturgia della settimana santa: religionis integritas et patriae securitas. Qui sta invero la sostanza dei Patti Lateranensi: esercizio della religione libero e rispettato, ispirazione cristiana della scuola, nozze sacre, espansione di apostolato per la verità, per la giustizia, per la pace» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 205-206).


Non sfuggì ai figli d’Italia! Sarebbe interessante lo spoglio dei giornali e delle riviste dell’epoca: lavoro che converrà compiere, essendo io convinto della sua estrema utilità ai fini di conoscere gli umori dell’opinione pubblica, per constatare che, ad ogni buon conto, di acqua ne era passata sotto i ponti del Tevere. Per quanto so ricordare, la stampa italiana, di partito e di informazione, fatta eccezione del commento acido da parte di un paio di fogli, fu pressoché unanime nell’apprezzare nel suo complesso la parola e le argomentazioni del Papa. Tanta sua amabile accortezza dovette indurre a tranquillo silenzio l’eventuale resto di intolleranza di giudizio ancor diffuso nell’aria nei confronti di Pio IX.

Nel discorso, nessun riferimento diretto ai «tempi umili e infausti» (Scritti…, op. cit., I, p. 164); eppure davanti al suo sguardo dovettero apparire le seguenze «del disagio e delle condizioni insopportabili create alla Santa Sede e alla Chiesa cattolica in Roma, in quegli anni che corsero dal 1870 allo scoppio della prima guerra europea»: dal fallito tentativo di gettare sul Tevere le spoglie di Pio IX, «per cui tutto il mondo aveva palpitato e che morendo non aveva chiesto per sé altro favore che di dormire l’ultimo sonno nell’Agro Verano, in mezzo al popolo suo»; dall’oltraggiosa inaugurazione nel 1888 «e a pochi passi dal Vaticano» di una statua a Giordano Bruno «monaco infelice e ribelle»: quell’anno stesso, Zaverio Roncalli, prozio di Angelino, pellegrinò all’Urbe con un nutrito gruppo di bergamaschi; dall’«augurio laico e compassionevole: l’avvenire riposa sulle ginocchia di Giove», fatto stupidamente recitare al capo dello Stato, lo scettico Umberto I, proprio «mentre Leone XIII inaugurava dal Vaticano l’anno santo, con invito a tutto il mondo alla implorazione delle celesti grazie per la purificazione e la salute dei popoli»; sino alla celebrazione del 20 settembre 1900 – trentennio della presa di Roma –, a motivo della quale i pellegrini vennero sollecitati ad abbandonare la capitale: il chierico Roncalli era tra costoro, e ne profittò per recarsi a Loreto ed Assisi.

D. Quarto momento: il Concilio: l’ora di Dio e dell’appuntamento della storia. Nel citato discorso dell’8 dicembre 1960, Giovanni XXIII aveva espressamente accostato la sua alla persona di Pio IX, con riferimento alle difficoltà manifestatesi un secolo innanzi e sempre prevedibili nel succedersi dei papi e dei grandi fatti della Chiesa, ma considerate nella luce della fede: «Come la sua figura si leva alta e indicatrice davanti a noi! e ci propone la via giusta, noi ci teniamo con l’aiuto di Dio ad imitarlo e lo imiteremo nel proseguire il nostro apostolico ministero: con calma, con mitezza, con inespugnabile pazienza, con sicurezza, ardore di speranza e di vittoria spirituale: qualunque cosa ci accada.
Il volgersi delle circostanze di umane convenienze, talora propizie, tal altra avverse o silenziose alle nostre imprese, non potrà né esaltarci oltre misura, né deprimere le nostre energie, che contano soprattutto su l’intercessione della Madre immacolata di Gesù: Mater Ecclesiae, et Mater nostra dulcissima» (Discorsi…, op. cit., III, p. 77).

Le due anime gemelle: Angelo Giuseppe Roncalli e Giovanni Maria Mastai Ferretti si accostavano per proseguire insieme lo stesso cammino.

L’evidente proposito di volersi collegare all’azione magisteriale e pastorale di Pio IX apparve chiarissima nel sermone: «Dalla contemplazione della figura mite e forte di Pio IX, prendiamo ispirazione per inoltrarci di buon passo nella grande impresa del Concilio Vaticano II, che ci sta innanzi.
Anche in questo impegno, forse il più grave della nostra umile vita di “servus servorum Dei” ci conforta e ci fortifica la sicurezza di obbedire alla buona e potente volontà del Signore. E questa sicurezza, se è motivo di tranquillità, e di consueto abbandono alla grazia dell’alto, corrobora altresì l’anima nostra, le nostre imprese, elevandole sulle ali di una attesa, che tutta si fonda in Dio» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 77-78).

Il 24 novembre, giusto quattordici giorni innanzi a quell’8 dicembre, il Papa, parlando ai suoi collaboratori e figli di Roma, nell’atto di commentare gli atti del primo Sinodo diocesano, celebrato in gennaio, aveva confidato con risolutezza i suoi propositi di forte lavoro nel valico, com’egli si trovava come Pio IX nella stessa circostanza, tra il settantanovesimo e l’ottantesimo anno di vita: «Da mesi, il Papa dà alcune delle sue ore subsecivae alla storia degli ultimi concilii, con speciale riferimento al Vaticano I; ed in questa giornata, sentendo intorno alla nostra umile persona gli echi di tante buone parole di augurio per la continuazione della lunga vita che il Signore ci ha concesso, pensiamo al venerato predecessore nostro Pio IX di gloriosissima e santa memoria, che appunto all’età nostra esatta, sul finire del suo settantanovesimo anno, e sull’inizio dell’anno ottantesimo, come accade a noi in quest’ora, si accingeva alla apertura immediata del Concilio Vaticano, che tanto beneficio nell’ordine spirituale e pastorale doveva apportare e portò alla Chiesa cattolica nel mondo intero.

Da tempo amiamo applicare a noi stessi quanto diceva di sé il cardinale Federigo Borromeo (Manzoni, I promessi sposi, cap. XXVI): “Dio conosce i miei mancamenti e quello che ne conosco anch’io, basta a confondermi”. Ed è per questo che anche nella circostanza dell’ottantesimo vi preghiamo di lasciarci quasi nell’ombra del grande nostro predecessore Pio IX, di cui amiamo leggervi una testimonianza che teniamo nelle nostre note personali.
“La sua salute è perfetta” scriveva Luigi Veuillot. “Egli conversa con tanta finezza che bontà. Il suo occhio riconosce sempre i suoi amici, nella folla, ed ama dire di averli veduti qua e là. La sua mano, che pure sostiene una così gran parte di peso del mondo, non trema affatto. Il suo orecchio ascolta e comprende il cuore commosso di rispetto e di amore di chi gli parla a bassa voce. Il suo spirito è presente a tutto, e ricorda tutto, tranne le ingiurie” [Louis Veuillot, Rome pendant le Concile, ed. Lethielleux, Paris 1927, p. 366]» (Discorsi…, op. cit., III, pp. 50-51).

6. Nella stima riverente di Giovanni XXIII, il pontefice dell’Immacolata e del Vaticano I fu il papa del magistero e della strenua difesa della fede, colui che osò convocare la grande assise ecumenica in tempi procellosi, proprio perché la sua fede era solida come la roccia: «All’annunzio del Concilio ecumenico Vaticano I (1869-1870) vi fu chi, con voce ritenuta tra le più risonanti del tempo, non esitò a scrivere al Sommo Pontefice che se un concilio poteva comprendersi agli albori del cristianesimo, come fu il primo Concilio di Nicea (325), un simile avvenimento, indetto nei tempi moderni, poteva significare soltanto la fine della Chiesa. Ma il Signore ha pienamente smentito l’incauto presagio. La Chiesa vive ed è più che mai fiorente nel mondo, anche se non mancano ostacoli, contrarietà, martiri» (Discorsi…, op. cit., IV, p. 677).

«L’importante è di basarsi saldamente sul più vitale ed eccellente principio: il Vangelo da una parte; l’insegnamento, la cultura dall’altra. Come a proposito sovveniva la squisita parola d’ordine del sommo pontefice Pio IX: “Illuminate, illuminate, illuminate!” prodigarsi, cioè, non solo a dissipare le tenebre dell’ignoranza e dell’errore, ma anche a fornire non effimeri luccichii, bensì corroboranti fulgori» (Discorsi…, op. cit., I, p. 634).
«Oh! grande Pio IX, amabile e forte, custode inflessibile della verità, e previdente apostolo dei tempi moderni! quale esempio continua a darci di vera grandezza, di costanza tenace, di illuminata prudenza, a conforto e incoraggiamento delle nostre umili, ma generose intraprese!» (Discorsi…, op. cit., pp. 9-10).

7. È stato detto che Giovanni XXIII avrebbe fatto una certa pressione sulla congregazione preposta alle cause dei servi di Dio, avrebbe anzi, addirittura segnato per iscritto la circostanza in cui avrebbe dovuto aver luogo la beatificazione di Pio IX. Pressione è termine equivoco; non si addice alla natura, al temperamento, alla formazione di Giovanni XXIII. È risaputo, invece, che egli chiese spesso, potremmo aggiungere ansiosamente, anche per rispondere a sollecitazioni che gli venivano da distinte persone: «Ditemi quali obiezioni si fanno alla conclusione della causa, quali scogli realmente si presentano, se sormontabili o meno».

Ritengo importantissime, anche se contenenti notizie conosciute, due lettere di monsignor Alberto Serafini, a me indirizzate, ulteriore testimonianza dell’interessamento di Pio XII e Giovanni XXIII per questa “benedetta” causa. Esse meritano attento studio, perché lasciano trasparire i contorni precisi della coscienza di papa Pacelli e di papa Roncalli a questo proposito.

È dunque provato che Giovanni XXIII volesse ad ogni costo beatificare Pio IX? E in quale circostanza avrebbe desiderato l’auspicata glorificazione? L’indicazione, nel senso di voto ardente del cuore, riguardava la chiusura del Concilio Vaticano II, che avrebbe dovuto essere, nella mens di Giovanni XXIII, una solenne celebrazione della santità della Chiesa cattolica, una grande festa di ognissanti: provenienti da ogni popolo, lingua ed area culturale. Espresse questo voto a voce e per iscritto numerose volte: come il 25 agosto 1959, primo anno del suo pontificato, a Genazzano, rievocando la visita fatta a quel santuario della Mater Boni Consilii dall’angelico Pio, novantacinque anni innanzi: «Pio IX: ecco un nuovo motivo di preghiera al Signore perché, se a lui piacerà, si degni di affrettare il giorno della glorificazione anche in terra del grande e venerato Pontefice» (Discorsi…, op. cit., I, p. 785).

Passeranno tre anni. Il 22 agosto 1962 in udienza pubblica, ricordando la festa del Cuore immacolato di Maria, Giovanni XXIII farà riapparire dinanzi alla commossa assemblea il Papa dell’Immacolata, nuovamente compromettendosi sul tema della glorificazione del servo di Dio: «Eccelsa e nobile figura di pastore, del quale fu anche scritto, nell’avvicinarlo all’immagine di nostro Signore Gesù Cristo, che nessuno fu più di lui amato e odiato dai contemporanei. Ma le sue imprese, la sua dedizione alla Chiesa rifulgono oggi più che mai; unanime è l’ammirazione: mi conceda, cioè, il Signore il grande dono di poter decretare gli onori dell’altare, durante lo svolgimento del XXI Concilio ecumenico a colui che indisse e celebrò il XX, il Vaticano I» (Discorsi…, op. cit., IV, p. 849).

Nel conchiudere questa timida esposizione, riprendo il mano Il giornale dell’anima di Giovanni XXIII, la raccolta delle «espressioni immediate, candide e pie della sua intima cronaca spirituale» (Insegnamenti di Paolo VI, XI, 1973): il libro cioè delle effusioni spontanee di un ecclesiastico mite e forte, pio e zelante; e mi soffermo su quattro righe, stilate nel raccoglimento del suo ritiro spirituale del 1959, riassumenti lo stato d’animo del Pontefice, ben consapevole, per lunga esperienza, che la croce è inscindibile dal servizio: «Io penso sempre a Pio IX di santa e gloriosa memoria: ed imitandolo nei suoi sacrifici vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione».

Giovanni XXIII non celebrò l’auspicata glorificazione di Pio IX. Ci si è arrivati oggi, ma la beatificazione in sé importa sino a un certo punto: vale assai più la pubblicazione di carteggi e di testi, affidata alla decifrazione di persone rette e giudiziose, affinché, in prosieguo di tempo, il personaggio si riaffacci alla ribalta della storia nei suoi contorni più nitidi e sia consentita una più esatta definizione della sua personalità. In tal modo verrebbe, inoltre, dimostrato che i suoi devoti sono ansiosi di verità non di trionfalismi; che la comunità dei fedeli vuol trarne edificazione e incoraggiamento; che la Chiesa non ha nulla da temere dalla scoperta di un’ombra quando il quadro nel suo insieme risultasse luminoso.

Credo di poter asserire che questo fosse, in concreto, il pensiero di Giovanni XXIII: nessuna ansietà pretenziosa da parte sua di pronunciare un giudizio definitivo ed inappellabile; ma egualmente nessuna negligenza nell’impostazione e nel prosieguo dell’indagine, essendo noi doverosamente invitati ad individuare i “segni dei tempi” e a scoprire in ciascuno di essi, persona o episodio, il nascosto disegno della Provvidenza. Nel caso potrebbe trattarsi della divina rivelazione, più convenientemente presentata, della libertà religiosa strenuamente difesa, della incontaminata devozione mariana, dell’unione col papa, del servizio apostolico.

Ho finito. Mi accade sovente di salire dalle Marche sino al valico umbro, per ridiscendere di là nella meravigliosa vallata spoletana, cantata da Francesco d’Assisi: «Nihil iucundius vidi valle mea spoletana»; e di rivivere, come in sogno, l’itinerario lauretano-assisano compiuto da papa Giovanni nel 1900 e nel 1962. Allora, ripercorrendo a ritroso alcuni decenni, mi immagino di incontrare uno studente di teologia chino sui rozzi banchi di un’improvvisata aula di caserma, mentre svolge il suo componimento d’italiano agli esami per la promozione a sergente: “La presa di Spoleto da parte delle truppe italiane (1860)”. E risento la voce melodiosa che a distanza di oltre sessant’anni commentava quell’episodio non senza una vena di humour: «Allo scritto me la cavai discretamente con i fatti d’arme di Spoleto.
Ma nella esercitazione pratica, dovendo comandare l’attacco del mio plotone all’assalto, poco mancò che i soldati, se avessero fatto sul serio, si infilzassero l’uno l’altro… Decisamente il comando militare non mi era congeniale».


Caro papa Giovanni! Sorridevate compiaciuto ai ricordi della vostra innocente giovinezza, e di questo vostro esame di sergente.
Chiamato ad essere il vicario del Principe della pace, la pace irradiava dal vostro volto, dal vostro sorriso, dal vostro servizio....


[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 18:18. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com