A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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L'Anima dell'apostolato.... per una autentica evangelizzazione....

Ultimo Aggiornamento: 11/07/2013 11:08
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R. P. Chautard - L’Anima dell’Apostolato

 

R. P. Chautard - L’Anima dell’ApostolatoDatomi all’Azione Cattolica fin dai primi anni della mia vita ecclesiastica, notai ben presto che il più valido aiuto mi veniva da coloro che, sebbene laici, erano stati formati nello spirito da un vecchio Sacerdote, il quale non aveva molta coltura, ma aveva però molta pietà, e passava tutto il suo tempo in una piccola chiesa, ove, con istruzioni sacre in forma molto semplice, e col promuovere la frequenza dei Sacramenti, lavorava con zelo in prò delle anime. Alla scuola di quel pio Sacerdote imparai anch'io la necessità che avevo di ritemprare spesso lo spirito con gli Esercizi Spirituali, e di ricorrere frequentemente all’orazione per raccogliere dall’operosità quel frutto che ardentemente bramavo. Capii quindi fin d'allora che l'Azione Cattolica, mentre è commendevole sotto molti rispetti, può tuttavia divenire facilmente per tutti (anche pei Sacerdoti) sorgente di dissipazione, se chi la esercita non attende seriamente a coltivare anzitutto lo spirito in sè e negli altri.

Divenuto poi Vescovo, nel governo della Diocesi questa verità mi apparve sempre più evidente, e deplorai che, per non avere tenuto nel debito conto un principio così essenziale, fossero le tante volte e in tanti luoghi riuscite sterili le fatiche ed inutili i vari mezzi adoperati per dar vita o incremento all'Azione Cattolica. Mi provai quindi a manifestare questa mia convinzione desiderosissimo di rimuovere la causa di sì funesta sterilità, ma mi parve che pochi mi volessero dare ascolto, ed i più avessero invece una specie di compatimento per me, quasi che io non conoscessi le anime moderne e l’azione che deve spiegarsi ai giorni nostri dai cattolici. Avrei desiderato che su tale argomento vi fosse qualche libro per diffonderlo largamente, e dissipare con siffatto mezzo i pregiudizi che offuscano le menti, ma non ne conoscevo alcuno.

Gesù buono seppe rimediare a tutto, ed un bel giorno, per le mani di uno zelante Religioso della Società di Maria, mi fece capitare il libro che da tanto tempo sospiravo.

Io non sto a lodare il libro presente, perchè le cose belle come le cose buone, bisogna gustarle per apprezzarle convenientemente. Dirò soltanto che in Francia è giunto in breve alla settima edizione, e se ne sono già pubblicati 70.000 esemplari, e spero che in Italia sì diffonderà così da emulare anche in questo la Francia cattolica. Per conto mio, faccio voti che vada in mano a tutti i Parroci ed a tutti i Sacerdoti della mia Diocesi, nè manchi a nessuno di quelli che fanno parte delle Associazioni Cattoliche della Diocesi di Arezzo.

All’ardente ed umile solitario, che tra i rigori della troppa scrisse, pregando, questo libro, in cui si rispecchia al vivo il suo animo d’apostolo, conceda il Maestro Divino copiose benedizioni e quell’approvazione che Egli già fece sentire ad altri, i quali coi loro libri dettero a Lui gloria ed alle anime luce e pascolo salutare.

Arezzo, dall'Episcopato, 7 giugno 1918,
festa del Sacro Cuore di Gesù.


GIOVANNI VOLPI, Vescovo d'Arezzo

 

PARTE PRIMA - Dìo vuole le opere e la vita interiore

PARTE SECONDA - Unione della vita attiva e della vita interiore

PARTE TERZA - La vita attiva, pericolosa senza la vita interiore, con questa assicura il progresso nella virtù

PARTE QUARTA - Fecondità che deriva all'azione dalla vita interiore

PARTE QUINTA - Alcuni princìpi e avvisi per la vita interiore

 

Per Leggere o Scaricare il pdf Clicca Qui…

 

Pdf Cattolici - R. P. Chautard - L’Anima dell’Apostolato

[SM=g1740738]



[Modificato da Caterina63 01/09/2012 22:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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ACLibri
Cara amica, caro amico,

Come ogni mese, ACLibri la invita alla lettura di un testo rilevante per l'apostolato di Alleanza Cattolica, offrendo - in accordo con la libreria online san Giorgio - la possibilità di acquistarlo a un prezzo scontato del 15% e senza spese di spedizione.

Buona lettura!

In Jesu et Maria
Alleanza Cattolica - Cristianità
Una casa senza biblioteca è come una fortezza senza armeria
da un antico detto monastico
Jean-Baptiste Chautard O.C.S.O.
L'anima di ogni apostolato

Reprint dell'8a edizione delle ediz. Paoline (1958), pp. 311, euro 6.60 (anziché 7.75), spese di spedizione incluse.

 

Dopo il Trattato della vera devozione alla Ss.ma Vergine, scritto da san Luigi Grignion di Monfort, un altro libro che diede un inestimabile beneficio alla mia vita spirituale e alla mia vocazione contro-rivoluzionaria fu L'anima di ogni apostolato, scritto dal celebre abate trappista dom Chautard.

Nato in un paesello di una regione montagnosa della Francia, questo insigne uomo di Dio sentì risuonare precocemente nel suo intimo il richiamo della Trappa. Avendo abbracciato la vita religiosa, divenne non soltanto un monaco esemplare, ma anche un ardito e vittorioso combattente per la causa cattolica, perseguitata dall'anticlericalismo francese all'inizio del nostro secolo.

Dom Chautard visse durante il pontificato di San Pio X, quando il progresso tecnico e industriale del mondo contemporaneo cominciava a dare grandi prove di sé.  Ai suoi fautori, tale progresso appariva come antitetico alla Chiesa tradizionale, la quale sembrava lenta, impolverata dal passato, radicata nei suoi dogmi e nei suoi immutabili princìpi morali: una Chiesa, quindi, che pian piano veniva trascurata da tutte le persone che s'inebriavano di modernità3.

Questa ebbrezza recava, di conseguenza, un grave rilassamento spirituale, provocando non poche apostasie. Per affrontare questa decadenza religiosa, molti sacerdoti zelanti incominciarono a fondare quelle che si chiamarono "opere pie", cioè cattoliche. Erano luoghi in cui i giovani potevano riunirsi senza mettere a rischio  la loro vita spirituale; in cui, a fianco di sani svaghi, ricevevano lezioni di catechismo ed erano formati nella conoscenza della dottrina cattolica.  

Queste opere evitarono che innumerevoli giovani cadessero sotto le grinfie del male. Fu senza dubbio un frutto abbastanza prezioso... ma insufficiente. Occorreva conquistare nuove anime alla Chiesa, il che non avveniva. Rappresentava, dunque,  uno sforzo colossale che però produceva un risultato esiguo.

"O cerco di santificarmi, o non sarò che un pagliaccio"

Profondo osservatore delle cose, dom Chautard mise allora il suo vigoroso dito nella piaga e scrisse il libro L'anima di ogni apostolato. Il titolo rivela già una grande verità: esiste dunque un apostolato senz'anima, poiché se esiste un'anima di ogni apostolato vuol dire che quest'ultimo può essere fatto con essa o senza di essa. Dom Chautard dimostrerà, appunto, che l'apostolato delle "opere pie" non otteneva migliori frutti proprio perché non aveva anima.

Qual'è, dunque, quest'anima di ogni apostolato? La risposta a questa domanda m'interessava moltissimo. Infatti, desiderando realizzare la Contro-Rivoluzione, un'opera eminentemente apostolica, volevo invitare ed attirare a questo ideale i giovani del mio tempo. Notavo però la relativa inutilità degli sforzi che, a questo fine, si facevano intorno a me. Donde il mio immenso interesse nel prender conoscenza della dottrina esposta dall'abate trappista.

Secondo dom Chautard, la sostanza dell'apostolato sta nel fatto che l'apostolo sviluppi nella sua anima, in grado superlativo, la grazia di Dio e la trasmetta agli altri. Quando qualcuno possiede in sé, in modo intenso ed abbondante, la vita della grazia, l'azione di Dio si fa sentire - persino involontariamente - attraverso questa persona, su coloro ch'essa vuole conquistare. Nelle loro anime, tale azione produce quindi frutti spirituali analoghi a quelli che ha prodotto nell'anima dell'apostolo. Così, l'apostolato sarà fecondo quando il suo strumento umano godrà di una elevata partecipazione alla grazia divina; sarà invece sterile quando questa partecipazione sarà insufficiente.

Dom Chautard insiste però nel dire che, per il pieno successo, non basta che l'apostolo viva nel semplice stato di grazia; occorre ch'egli lo abbia con sovrabbondanza, affinché i doni celesti trabocchino dalla sua anima a quelle dei suoi discepoli.

Questa dottrina, dom Chautard la dimostra con una ricchezza di argomenti inoppugnabili, illustrandoli con diversi esempi che egli colse dalle sue polemiche apostoliche.

Dinanzi a questo luminoso insegnamento, io mi posi il problema: "Quel che dice è perfetto e tutti questi argomenti valgono pure per il mio apostolato. Quindi, o io cerco di santificarmi, o non sarò che un pagliaccio. Trascorrere una vita spensierata, piacevole, senza sofferenze, illudendomi di realizzare nel mondo le trasformazioni che desidero, è pura fantasticheria! Non otterrò nulla, perché non avrò il grado di fervore necessario. Dunque, per concretizzare le mie aspirazioni, bisogna che io miri... alla santità!"

"Senza il libro di Dom Chautard, io avrei perduto la mia anima"

Esponendo la sua dottrina, dom Chautard indica come grandi indizi della santità specialmente la purezza e un'altra virtù, verso la quale avevo una certa incomprensione: l'umiltà. Benché io sapessi che si trattava di una caratteristica cristiana, e sebbene avessi letto nei Vangeli che Nostro Signore fosse stato infinitamente umile nella sua vita terrena, le persone che mi erano indicate come modelli di umiltà mi sembravano caricature di questa virtù. Provavo quindi difficoltà nel capirla.

Questo problema si risolse con la lettura dell'opera di dom Chautard, la quale mi fece capire che l'umiltà è, fondamentalmente, la virtù per cui non cerchiamo di attribuire a noi stessi quel che appartiene a Dio. Quindi, se nel fare apostolato convertiamo qualcuno, dobbiamo ammettere che non siamo stati noi ad averlo fatto, bensì Nostro Signore Gesù Cristo, servendosi di noi. Un uomo può quindi essere un ottimo predicatore, un esimio oratore, un eccellente catechista, eccetera; ma egli non convertirebbe nessuno, se Dio non gli concedesse la sua grazia al riguardo.  

 Da un'altra prospettiva, dom Chautard mette in rilievo che ogni uomo dev'essere umile nei confronti della persona che ha il diritto di comandargli; ha quindi l'obbligo di compiacersi nell'ubbidire al suo superiore, con rispetto, amore e sottomissione. Tutte queste disposizioni d'animo conducono alla santità, la quale costituisce il cuore del completo successo di ogni apostolato.  

Nella lotta quotidiana in cerca di questa perfezione, il libro di dom Chautard fu per me un preziosissimo aiuto. Senza di esso, io avrei semplicemente perduto la mia anima, per esempio quando fui eletto deputato federale. Infatti, a 24 anni, essere il parlamentare più giovane e più votato del Brasile, sul quale in quel momento erano puntati tutti gli occhi di tutti gli ambienti cattolici del Paese, poteva indurmi facilmente all'autocelebrazione, a pensieri di vanità: "Che gigante sono! Essere già riuscito, così giovane, ad impormi a tante migliaia di elettori! Che intelletto straordinario il mio!" , eccetera.

Il risultato sarebbe stato inebriarmi di me stesso; e quando mi fossi trovato di fronte all'alternativa - o apostatare o rinunciare alla rielezione - avrei scelto l'apostasia. Allora, fu grazie agli insegnamenti di dom Chautard che potei mantenermi fedele in quella delicata fase della mia vocazione.

"Mai consentire a un moto di ebbrezza di sé, per quanto piccolo sia"

A questo proposito, mi ricordo di un episodio molto significativo che mi capitò in un giorno solenne all'Assemblea Costituente, insediata in quei tempi a Rio de Janeiro, nel Palazzo Tiradentes. Le automobili che portavano i deputati dovevano passare davanti a una fila di soldati schierata lungo la via che conduceva all'entrata dell'edificio. Quando l'automobile in cui mi trovavo - da solo, in frac e cilindro - apparve all'inizio della via, un ufficiale diede ordine di presentare le armi. Lentamente, la mia vettura passò in mezzo a quei soldati con le armi alzate. In quel momento, provai una tendenza a inebriarmi di quell'omaggio, perché sono sempre stato un grande ammiratore degli onori militari, ritenendoli i più adatti a celebrare la grandezza di un uomo. Mi sentii inclinato a compiacermi di essere fatto oggetto di quegli onori... Nello stesso momento, però, la grazia risvegliò nella mia anima questo pensiero: "E dom Chautard?..."  

Allora riflettei: "Devo reprimere immediatamente questo  moto d'animo, non guardare il plotone che mi sta presentando le armi e chiedere aiuto alla Madonna". Immediatamente deviai lo sguardo verso il lato opposto, facendo il proposito di ignorare qualsiasi onorificenza, purché non andasse a danno alla causa cattolica.

Ritengo che molti giovani, trovandosi in situazioni analoghe, se non avranno letto 
L'Anima di ogni Apostolato, si troveranno in grave rischio di perdersi, cedendo alla vanità. In questa materia è necessario essere meticolosi e non consentire mai a un moto di ebbrezza di sé, per quanto piccolo sia. Così, quando ci elogiano, ci applaudono o riconoscono in noi qualche qualità, dobbiamo sforzarci di non badare a queste lodi. Cerchiamo di essere umili con naturalezza, senza falsa modestia e senza arroganza. Però con un timore maggiore di diventare orgogliosi che artificiosamente umili: questi infatti godono di attenuanti e potrebbero quindi arrivare in Cielo; ma i vanitosi troverebbero chiuse le soglie della beatitudine eterna... Ecco alcune  preziose lezioni che ho tratto dalla lettura dell'ammirevole opera di dom Chautard. 
P. C. De Oliveira
Libreria online san Giorgio www.libreriasangiorgio.it
La  Libreria  San  Giorgio diffonde testi - talora di difficile reperibilità nel circuito librario strettamente commerciale - di carattere sia formativo sia informativo, direttamente o indirettamente funzionali alla «buona battaglia» della Contro-Rivoluzione cattolica nel secolo XXI.

Per ordinare il libro con lo sconto indicato, è sufficiente inviare un e-mail a info@libreriasangiorgio.it indicando chiaramente i propri dati e l'opera desiderata, e facendo riferimento alla "Promozione ACLibri". L'invio verrà effettuato  tramite  spedizione  postale  e  il pagamento dovrà essere effettuato con conto corrente postale dopo il ricevimento del libro; chi necessitasse di fattura è pregato anche di indicare codice fiscale o partita IVA.

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17/06/2013 22:29
 
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[SM=g1740717] San Tommaso Moro, il politico che scelse Dio al re.....

Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II.
(Avvenire)
www.gloria.tv/?media=460669

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org

[SM=g1740762]

Omelia per la Canonizzazione dei Martiri Giovanni Fisher, Vescovo, e Tommaso Moro

I gloriosi campioni della fede cattolica in Inghilterra.
Il 9 maggio 1935, in occasione della solenne esaltazione dei gloriosi Martiri inglesi Giovanni Fisher, Vescovo e Tommaso More, Pio XI teneva questa Omelia nella Basilica Vaticana.
Venerabili Fratelli e diletti Figli,
come «Cristo è ieri, oggi e nei secoli», cosi giammai rovina e vien meno la Sua Chiesa.

Un'epoca viene soppiantata da un'altra; ma se per la fuga dei tempi gli istituti umani invecchiano e rovinano, se le dottrine umane che brillano di luce fluttuante si succedono, la Croce invece sta fulgida in eterno, mentre il mondo passa, ed irradia la luce della verità ai popoli che si succedono.

Spesso serpeggiano eresie e sotto l'apparenza di verità si infiltrano e prendono piede; ma l'inconsutile veste di Gesù Cristo non è scissa.
I denigratori ed oppugnatori della fede cattolica, gonfi e agitati da pervicace superbia, rinnovano la lotte contro il nome cristiano; ma i figli che rapiscono alla Chiesa, li trasmettono imporporati di sangue al cielo.
Infatti «da nessun genere di crudeltà può essere distrutta la religione fondata nel mistero della Croce di Cristo. La Chiesa non viene diminuita dalle persecuzioni, ma ingrandita; e sempre il campo del Signore è rivestito di messe più abbondante, mentre i grani singoli che cadono, rinascono moltiplicati» (2).

Queste considerazioni piene di speranza e di conforto Ci vengono alla mente, mentre Ci accingiamo a celebrare pur brevemente davanti a voi nella maestà i questo tempio di San Pietro, le lodi dei due beati Martiri, che abbiamo annoverati nel Catalogo dei Santi. Essi infatti - egregi rappresentanti decoro della propria nazione - essendo sorta una fierissima persecuzione contro la Chiesa Cattolica, furono dati al proprio popolo «come una città forte e una colonna di ferro e una muraglia di bronzo», e perciò non poterono essere turbati né dalle fallitá degli eretici, né essere atterriti dalle minacce dei potenti. Si devono invero ritenere come le guide ed i maestri di quella gloriosa schiera di coloro, i quali - né pochi, né solo di umile condizione - da tutta la Gran Bretagna resistettero con petto impavido ai flutti degli errori e con l'effusione del proprio sangue attestarono il loro amore verso la Sede Apostolica.

L'uno dotato di soavissimo carattere, sommamente versato nelle discipline sacre e profane, si distinse talmente per sapienza e virtù tra i suoi contemporanei da essere promosso Vescovo di Rochester con la stessa approvazione del Re d'Inghilterra.
E nell'esercitare tale ministero fu acceso di tale fervore di pietà e di operosa camitá verso le anime e risplendette di tanto zelo nel difendere l'integrità della fede cattolica che la sua casa episcopale sembrava piuttosto un tempio, una sede di arti belle e una università, che una casa privata.

Era solito castigare il fragi le corpo con digiuni, flagelli, cilizi; e niente gli era più familiare che visitare i poveri, alleviare le loro miserie, sollevare la loro povertà e se trovava dei peccatori turbati e atterriti per le loro colpe nefande, confortava i loro animi sfiduciati e li innalzava alla fiducia nella divina misericordia. Spesso, mentre celebrava il Santo Sacrificio effondeva abbondanti lacrime dagli occhi scintillanti, indizio e testimonianza della sua bruciante carità: e mentre attendeva all'ufficio delle predicazioni appariva a tutti gli astanti non già un nunzio e predicatore umano, ma come un Angelo di Dio in veste mortale. E se era di cuore mite e benigno verso ogni genere di miserie, quando si trattava della incolumità della fede e della genuina integrità dei cost umi, come un altro Precursore del Signore, del cui nome si gloriava, non ebbe mai timore di annunziare pubblicamente la verità e di difendere con tutte le forze i divini precetti.

Conoscete certamente, o Venerabili Fratelli e diletti Figli, per quale motiv o Egli sia stato chiamato e condotto al supremo pericolo della sua vita: ossia perché non desistette di illustrare, provare e difendere coraggiosamente la santità del casto connubio, che si addice a tutti i cattolici, anche insigniti della corona regale e il primato gerarchico che i Romani Pontefici posseggono per diritto divino. Per questo, fu gettato in carcere e quindi fu condotto al patibolo.

E mentre si dirigeva verso di esso con fronte serena, recitando l'Inno ambrosiano rendeva somme grazie a Dio che gli concedeva di coronare con la gloria dei Martiri il corso di questa vita terrena, e raccomandava a Dio con ferventissima preghiera se stesso, il popolo e il Re: dal che appare evidente che l'amor di patria non é diminuito dalla religione cattolica, ma piuttosto massimamente accresciuto.
Ascendendo poi al patibolo e risplendendo alla luce del sole la sua veneranda canizie come un diadema, disse con volto ilare: «Accostatevi a lui e sarete illuminati e i vostri volti non arrossiranno». Oh certamente alla sua santissima anima, liberata dai lacci del corpo e volante verso il cielo, corsero incontro le festanti schiere degli Angeli e dei Santi.

L'altro astro di santità segna con la sua via luminosa la medesima epoca tempestosa: vogliamo dire Tommaso More, Gran Cancelliere d'Inghilterra. Egli, eccellendo per il sommo vigore dell'ingegno e la somma versatilità in tutte le discipline, era in tanta stima e favore dei suoi concittadini che raggiunse in breve le più alte cariche. Ma non era meno acceso di zelo per la perfezione cristiana e di non minore carità nel procurare la salvezza del prossimo. Di ciò sono prova l'acceso ardore della preghiera, con cui secondo le possibilità recitava anche le ore canoniche, il cilicio che portava con somma pietà, le frequenti macerazioni corporali e inoltre tutto ciò che fece per difendere l'incolumità della fede cattolica e per rivendicare l'integrità dei costumi, sia con la parola, sia con gli autorevolissimi scritti.

Dotato della somma fortezza d'animo di Giovanni Fisher, vedendo che la santità della religione versava in sommo pericolo non temette di rinunziare alla somma dignità di cui godeva, di respingere la vana spudoratezza degli adulatori e infine resistere allo stesso supremo capo della Nazione, a causa dei comandi di Dio e della Chiesa. Perciò gettato in carcere, siccome le lacrime della moglie e dei figli tentavano di distoglierlo dal retto cammino della verità e della virtù, elevati gli occhi al cielo riuscì luminosamente esempio di fortezza. Per cui, colui che non molti anni prima aveva scritto che «non bisognava fuggire la morte per la fede », andò volentieri e con fiducia dalla prigione al supplizio; e dal patibolo volò ai gaudi dell'eterna beatitudine.

Giova quindi, o Venerabili Fratelli e diletti Figli, richiamare quella celebre sentenza del martire Cipriano: «Oh carcere beato, che manda gli uomini al cielo... 0 piedi felicemente legati, che nel viaggio salutare sono diretti al cielo».

Orbene, questi santissimi uomini, che col proprio sangue consacrarono l'integrità della fede cristiana ed i divini diritti del Romano Pontefice, meritamente da Noi, eredi del Principe degli Apostoli, sono decorati coi sommi onori della religione cattolica e press o le sacre spoglie di San Pietro. Ed ora altro non rimane che esortare ripetutamente voi che devotamente assistete, e tutti i Nostri figli in Cristo, nel mondo intero, di rivolgere le menti e i cuori ad imitare le loro virtù e ad implorare il loro patrocinio per se e per tutta la Chiesa.

Che se non tutti per la difesa delle santissime leggi divine siamo chiamati al martirio, tutti però mediante l'evangelico rinnegamento di se stessi, la volontaria mortificazione del corpo e l'operosa pratica della vita cri stiana «dobbiamo diventar martiri con la volontà... per conseguire come loro lo stesso premio»
E soprattutto desideriamo che otteniate, con fervide preghiere a Dio interposta l'intercessione di questi Santi, che finalmente l’Inghilterra «considerando l'esito del loro tenor di vita. ne imiti la fede»; e perciò ritorni a Noi «nell'unità della fede e nel riconoscimento del Figlio di Dio».

Coloro che ancora sono separati da Noi, considerino con animo attento le antiche glorie della loro Chiesa, che riferiscono i fasti di questa Chiesa Romana e sommamente li accrescono; considerino, come grandemente desideriamo, che questa Apostolica Sede già da lungo tempo li aspetta tutti ed attende che essi ritornino finalmente non in casa d'altri, ma nella propria casa.

« P a d re Santo - ripetiamo la divina preghiera di Gesù Cristo - conserva nel tuo nome coloro che mi hai dato; affinché siano una cosa sola come noi...»
(9).
Cosi sia.
_____________________
1.
Hebr., XIII, 8.
2.
S. Leone M., Serm. LXXXII, 6.
3.
Ler., I, 18; XV, 20.
4.
Ps. XXXIII. 6.
5.
M. L., IV, 425; IV, 416.
6.
S. Basilio M., M. G., 31, 508.
7.
Hebr., XIII, 7.
8.
Eph., IV, 13.
9.
Io., XVIII, 11.
_____________________________________
_________________
Testo originale latino in A. A. S., XXVII (1935), 204
-
203. Nostra versione. sito www.santommasomoro.com

[SM=g1740758] cliccare qui invece, per il MP di Giovanni Paolo II su Tommaso Moro
www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/motu_proprio/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_20001031_thomas-more...




[SM=g1740717]

[SM=g1740771]
[Modificato da Caterina63 17/06/2013 23:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] Come pani azzimi e agnelli di Pasqua

Solo una volta Paolo usa il termine "pasqua" nell'espressione "Cristo nostra Pasqua è stato immolato"di 1Cor 5,7.

Valentin de Boulogne, "San Paolo scrive le epistole", 1620.

Valentin de Boulogne, "San Paolo scrive le epistole", 1620.

Come pani azzimi e agnelli di Pasqua Per imparare a celebrare la Pasqua con la chiesa e il mondo, una chiave di buona lettura dei testi paolini, ci viene dal beato Giacomo Alberione, che già nell'ottobre del 1941, a proposito della santità personale e familiare, commentava:"L'amore che non porta al sacrificio è un inganno, è una sentimentalità; perché l'amore vero è quello di Gesù che si è immolato" (EM, 1942, 46). Usava lo stesso di Paolo. Anche noi parliamo, o sentiamo parlare di amore, che nella società in cui viviamo e purtroppo spesso anche nella Chiesa, con questo termine intendiamo il diritto inviolabile di ciascuno a esercitare la propria sessualità come sembra giusto.

Il contesto dell'espressione di Paolo, l'unica nella Bibbia in cui festa (Pasqua) e sacrificio di sé sono strettamente vincolati, ha propriamente a che vedere con un amore mal inteso. Ragionando da apostolo, ma anche da pratico pastore di anime e di corpi, ai suoi lettori di Corinto, ancora poco capaci di un giudizio critico e responsabile, Paolo fa balenare gli effetti devastanti dell'immoralità, specificamente di un caso di incesto. Anche se fosse coinvolta una sola persona, è dissacrata la comunione e la comunità. È tagliente, Paolo escomunica l'incestuoso.

Lo manda letteralmente al diavolo: "questo tale", forse ancora giovane cristiano, ma con mentalità ellenista, e con matrigna giovanile e appetibile:"venga consegnato a Satana a rovina della sua carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore". Le modalità di questa consegna sono irrilevanti.

Non c'è un codice di diritto canonico. Importante è però che la chiesa, nel suo insieme, nel suo considerarsi essere corpo di Cristo, o fidanzata casta, sia forte. In questa durezza Paolo non è democratico ma profetico. Stranamente, e con un'intelligenza teologica, utilizza la collaborazione indiretta di Satana, per salvare l'anima di un giovane attraverso la distruzione (a questo porta la corruzione) della sua carne.

Morire per vivere al ritmo della festa


In questo processo all'incestuoso, e nella sua fine misteriosa, quasi escatologica, è adombrata una legge di celebrazione della gioia dell'amore: morire per salvare dei peccatori e convivere con loro per sempre; sacrificarsi per redimere altri. Chi soffre nella propria carne qualche condanna simile alla croce, salva non solo se stesso ma tante anime di fratelli e sorelle della comunità. E salva davvero i corpi dell'uomo e della donna, fatti per la vita. Questa sofferenza dell'incestuoso somiglia quindi, anche se lontanamente, al sacrificio patito da Cristo sulla croce; all'immolazione dell'agnello innocente, necessaria per lasciare che gli altri nella comunità facciano festa a Pasqua.

Del resto, Gesù per primo è stato crocifisso perché considerato bestemmiatore, indemoniato, non osservante del Sabato, mangione e beone, amico di prostitute, adultere, samaritane, pubblicani, ricchi, pagani, violatore e profanatore del Tempio. Gesù è morto da peccatore doc, da maledetto. L'amore per i peccatori - ma quelli più responsabili sono i sacerdoti, gli scribi, i dottori, i giudici del sinedrio - comporta l'immolazione di sé, l'accettazione di una scomunica, di una esecuzione di una condanna a morte.

Tutto avviene, anche in Gesù, nel suo corpo umano penetrato da chiodi, da spine, da una lancia. Da una solitudine da esclusione, insopportabile umanamente. É la morte dell'io, che non è necessaria solo per l'incestuoso; è l'accettare, anche per i seguaci autentici di Gesù, dell'essere con-crocifissi e con-sepolti con Cristo. Come lo stesso Paolo. Solo questa fine del lievito si possono preparare pani azzimi. Per la festa. Prostituta e insieme casta, la Chiesa è per Paolo sposa conquistata con il dono completo di sé, del suo corpo e del suo sangue, con la morte volontariamente accolta. Satana sicuramente è stato, ed è sempre attivo nell'esecuzione di una sentenza di scomunica, di inquisizione, di esecuzione atroce della Legge.

Comunque Paolo non è senza misericordia, in quanto pensa alla redenzione dell'incestuoso. Per questo è anche convinto che sia fuori luogo essere tolleranti verso derive morali che non giovano a nessuno a Corinto:" Non è bello che vi vantiate". Ciò che muove Paolo non è la sua avversione, culturale e quindi tradizionale in quanto ebreo, verso certe forme di indecenza greca, ma l'osservazione su quanto avviene o deve avvenire in una casa, nel preparare il pane per la festa di Pasqua: "Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta?"

Se il lievito non è cattivo, come non lo è la sessualità e neppure il piacere dell'unione tra un uomo e una donna, a Pasqua però il pane deve essere quello azzimo, per entrare nella festa di liberazione dal proprio passato di schiavitù a Satana, all'uomo vecchio, dominante, che si va guastando di giorno in giorno fino alla data di scadenza definitiva. Per ottenere pani azzimi, pasquali, è necessario mettere il lievito da parte per non fermentare la massa e inacidire il pane che non si conserva. Di qui l'imperativo ai responsabili e a tutti i membri, maschili e femminili, della Chiesa di Corinto.

Ripeto per intero il versetto: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostraPasqua, è stato immolato!" (1Cor 5,7). Paolo, dicevo sopra, non ha mai usato fino ad ora "Pasqua", né lo farà altrove in altre lettere. Il termine páscha è vecchio, indicando tradizioni aramaiche ed ebraiche molto antiche: è trascrizione fonetica del caldaico pisha ed ebraico pesah, dal verbo pasah "passare oltre". Bisogna andare oltre anche rispetto a questa pasqua ebraica. L'evocazione più forte per un giudeo, all'ascoltare questa parola, è quella dell'angelo dello sterminio dei primogeniti egiziani, mentre passava oltre le case segnate dal sangue dell'agnello immolato in famiglia.

Propriamente quindi pasqua è il passare oltre della morte, non essere uccisi, l'essere risparmiati grazie al sangue dell'agnello, che gli israeliti erano soliti scannare il quattordicesimo giorno di Nisan, il primo mese dell'anno lunare. Nella LXX, in Es 12-13, in Nm 9 e in Dt 16 è usata spesso l'espressione greca, simile a quella usata da Paolo nel testo sopra citato:thýein tó páscha, per tradurre sahat hapesah, "immolare la pasqua"o "sacrificare la pasqua", o, interpretando, "uccidere l'agnello" e mangiarselo. Che pasqua e agnello siano la stessa cosa, o la stessa persona in Cristo,è deducibile appunto anche dall'espressione phageîn tó páscha, "mangiare la pasqua" (akal hapesah) come la si trova, per esempio in Mt 26,17 e Gv 18,28 e altrove nel NT.

Paolo pensa, nella stessa 1Cor, all'ultima cena, durante la quale è il corpo e sangue di Cristo che diventano pane azzimo e vino effervescente che donati, anticipano la morte in croce del giorno dopo. Non ci sono, per Paolo, riferimenti migliori per parlare, decidere e agire come Chiesa di Dio, se non questo vangelo del mistero pasquale.

L'Eucaristia è la regola per tutti i membri del corpo di Cristo. Non bisogna entrare in comunione con demoni - come si fa quando si pecca, ma anche quando si diventa troppo religiosi o idolatri. Nella stessa lettera, infatti, in 1Cor 10,20, l'apostolo mette in guardia dal mangiare carne sacrificata agli idoli, anche se questi oggettivamente sono il nulla:"quei sacrifici sono offerti ai demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni".

I demoni esistono, il nulla no. Bisogna mangiare l'agnello pasquale, invece, e pani azzimi, senza mescolanze di altre vivande. Subito spiega infatti, in1Co 10:21, che"non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensadei demòni". Anche ai Galati Paolo ricorda che "un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta" (5,9) e quindi va tolto di mezzo per ottenere pani azzimi.

Il discorso che fa Paolo "contro" l'incestuoso (ma per salvarlo!) somiglia a quello di Gesù in Mc 8,15, allorché il Maestro metteva in guardia i discepoli "dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!": da una religiosità devota e rigorosa, ma ipocrita, e dal potere forte sugli altri. Solo la morte di croce del Cristo, Agnello innocente, è il laboratorio della festa. Pensando così, l'apostolo agisce da sacerdote della nuova alleanza.

Festa in famiglia

Possiamo chiederci, come membri di uno stesso corpus paolino, come ci comportiamo con i peccatori o da peccatori insufficienti in tutto, nello spirito, nello studio, nell'apostolato e nella povertà. Alberione esortava, ma forse non quelli di dentro soltanto: "Peccatori, abbiate fiducia! Non guardate alpassato, basta che d'ora innanzi preghiamo di più, ci umiliamo, fuggiamo le occasioni. Solamente Caino pensò: "il mio peccato è troppo grande" (In preparazione alla Pasqua del 1938: HM I, 1 (1939) pp 90-91). Gesù è Maestro, Pastore e Sommo Sacerdote da seguire quando ci esorta a non temere perché è sempre con noi; ad avere un cuore penitente. "Avremmo mai capito cos'è l'umiltà, la dolcezza, la pazienza, la sopportazione delle ingiurie, la verginità, la carità fraterna spinta fino all'immolazione di sé, se non avessimo letto e meditato gli esempi e le lezioni di Nostro Signore su queste virtù? (ottobre 1954, CiSP, 1971 p. 1155). La Pasqua è una festa apostolica!

Angelo Colacrai, ssp


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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