È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2012 18:54
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
07/09/2012 17:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

CAPITOLO 12

Ove si tratta delle percezioni immaginarie naturali. Si spiega che cosa siano e si prova che non possono essere mezzo adatto per giungere all’unione con Dio. Si parla, infine, del danno provocato dall’attaccamento ad esse.

1. Prima di trattare delle visioni immaginarie che sogliono presentarsi soprannaturalmente ai sensi interni, cioè all’immaginazione e alla fantasia, per procedere con ordine è opportuno trattare qui delle percezioni naturali di questi stessi sensi interni corporali. Si procederà, così, dal meno al più, dal più esterno al più interno, fino a giungere a quella quiete intima dove l’anima si unisce con Dio. Del resto è l’ordine seguito finora. Difatti ho parlato anzitutto dello spogliamento dei sensi circa le percezioni naturali degli oggetti esterni e, conseguentemente, delle forze naturali dei nostri appetiti. Tale è stato l’argomento dei libro I, dove ho parlato della notte dei sensi. Subito dopo ho cominciato a trattare dello spogliamento dell’anima circa le percezioni esterne soprannaturali, che accecano appunto i sensi esterni. L’ho fatto nel capitolo precedente, per introdurre l’anima nella notte dello spirito.

2. In questo libro II il primo argomento da trattare riguarda i sensi corporali interni, cioè l’immaginazione e la fantasia. Occorre spogliare anche tali sensi da tutte le forme e percezioni immaginarie che essi possono concepire naturalmente. Devo altresì provare che è impossibile all’anima giungere all’unione con Dio se non smette di agire per mezzo di queste percezioni, perché non possono costituire un mezzo adeguato e prossimo a tale unione.

3. Ricordo che i sensi dei quali parlo qui in particolare sono i due sensi corporali interni: l’immaginazione e la fantasia. Essi sono ordinati l’uno all’altro e si condizionano a vicenda, perché il primo procede per immagini, l’altro forma le immaginazioni, ossia ciò che è immaginato, lavorando con la fantasia. Per il nostro argomento è indifferente trattare dell’uno o dell’altro; perciò, quando li citerò entrambi, ci si ricordi di quello che ho detto qui. Ciò posto, bisogna dire che tutto quanto tali sensi possono accogliere o elaborare si chiama immaginazioni e fantasie: forme, cioè, che si presentano a questi sensi sotto l’immagine e la figura di un corpo. Tali forme possono essere di due specie: alcune soprannaturali, in quanto si presentano ai due sensi senza la loro cooperazione, ma vengono da essi ricevute passivamente. A queste, di cui parlerò più avanti, diamo il nome di visioni immaginarie. Vengono all’uomo per via soprannaturale. Altre sono naturali, in quanto i sensi interni possono produrle con la loro attività, sotto l’aspetto di forme, figure o immagini. Su queste due potenze si basa la meditazione, che è un atto discorsivo elaborato attraverso immagini, forme e figure, fabbricate e immaginate dai suddetti sensi. Avviene così quando ci si immagina Cristo crocifisso o legato alla colonna o in un’altra situazione, oppure Dio seduto in trono in tutta la sua maestà; o ancora la gloria come una luce bellissima, ecc., e similmente qualsiasi altra cosa del genere, sia divina che umana, che può essere oggetto d’immaginazione. Ora, l’anima deve liberarsi da tutte queste immaginazioni, rimanendo al buio secondo questo senso, se vuole pervenire all’unione divina. Queste, infatti, non possono assolutamente essere un mezzo proporzionato, immediato, per arrivare a Dio, proprio come le sensazioni corporali che provengono dai cinque sensi esterni.

4. Il motivo di questo sta nel fatto che l’immaginazione non può fabbricare né rappresentare una realtà diversa da quella sperimentata con i sensi esterni, cioè che ha visto con gli occhi, udito con le orecchie, ecc.; al massimo può formare immagini simili a quelle viste, udite o sperimentate, anche se queste non saranno mai superiori e così intense come quelle percepite attraverso i sensi esterni. Infatti, anche se può immaginare palazzi di perle o montagne d’oro, perché ha visto perle e oro, in realtà tutto questo è meno di un granello d’oro o di una perla, sebbene nell’immaginazione sia superiore in quantità e bellezza. Poiché, come ho già detto, tutte le cose create non possono essere assolutamente proporzionate all’essere di Dio, ne segue che tutto ciò che si può immaginare a loro somiglianza non può costituire un mezzo prossimo all’unione divina, anzi, ripeto, ce ne allontana.

5. Coloro, quindi, che immaginano Dio sotto qualcuna di queste forme, o come un grande fuoco o splendore, o sotto qualsiasi altra forma, oppure pensano che qualcosa del genere gli somigli, si allontanano molto da lui. Certamente queste considerazioni, forme e maniere per meditare sono necessarie ai principianti perché comincino a innamorarsi e a nutrire lo spirito per mezzo dei sensi, come dirò più avanti. Tutte queste rappresentazioni costituiscono per loro, dunque, mezzi remoti per unirsi a Dio, attraverso i quali ordinariamente devono passare per arrivare al termine e alla quiete del riposo spirituale. Tuttavia le anime devono solo passare attraverso di essi, non fermarvisi, perché altrimenti non arriverebbero alla meta, che non somiglia né ha nulla in comune con i mezzi remoti. Questi sono come i gradini di una scala che non hanno nulla di somigliante al termine o alla stanza cui conducono, ma sono soltanto mezzi per arrivarvi. Perciò, se colui che sale non lasciasse dietro di sé i gradini, ma volesse fermarsi su qualcuno di essi, non salirebbe né giungerebbe mai al pianerottolo e alla piacevole dimora in cima alla scala. Allo stesso modo l’anima che in questa vita vuole giungere all’unione con Colui che è assoluto riposo e sommo bene, deve passare per tutti i gradi delle considerazioni, delle forme e delle conoscenze e disfarsene, perché queste non hanno somiglianza alcuna né proporzione con il termine al quale conducono, cioè Dio. Per questo san Paolo, negli Atti, afferma: Non debemus aestimare auro vel argento, aut lapidi sculpturae artis, et cogitationis hominis divinum esse simile, che vuol dire: Non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte o dell’immaginazione umana (At 17,29).

6. Questo è il motivo per cui molte persone spirituali si sbagliano di grosso. Si sono esercitate, come principianti, ad avvicinarsi a Dio per mezzo di immagini, rappresentazioni e meditazioni, mentre sono da lui chiamate a conseguire beni più elevati, interiori e invisibili. A tale scopo vengono private del gusto e della sostanza della meditazione discorsiva, e ciò nonostante non smettono né osano né tanto meno sanno distaccarsi da quei modi sensibili cui sono abituate. Benché si affatichino a praticarli, vogliono procedere, come prima, con la riflessione e la meditazione di immagini, pensando che debba essere sempre così. In tale tentativo si affaticano molto e ricavando poco o nessun giovamento. Anzi, quanto più si affannano per quel gusto che provavano prima, tanto più crescono in esse l’aridità, la stanchezza e l’inquietudine spirituale. Ma l’anima non può conseguire tale gusto come in passato, perché, come ho detto, essa non prova più gusto per un cibo così grossolano. Sente il bisogno di un altro più delicato, più interiore e meno sensibile, che non consiste nel lavorare con l’immaginazione, ma nel riposo e nella quiete assoluta. Tale nutrimento è più spirituale. In realtà, quanto più l’anima diventa spirituale, tanto più cessa di operare con le potenze in atti particolari, concentrandosi in un atto generale e puro. A questo punto le potenze abbandonano la via che aveva condotto l’anima a tale stato, così come i piedi, alla fine del viaggio, cessano di muoversi e si fermano. Se si dovesse camminare sempre, non si arriverebbe mai, e se tutto si riducesse a un mezzo, dove e quando si godrebbero il fine o la meta del viaggio?

7. Per questo motivo dispiace assai osservare tante persone che turbano la loro anima costringendola a badare a cose esteriori e, senza motivo, cercano di rifare il cammino già percorso abbandonando il fine o la meta in cui riposavano e che avevano raggiunto con i mezzi della meditazione, mentre la loro anima vorrebbe restare nella serenità e nel riposo della quiete interiore per gustare la pace e nutrirsi di Dio. Tutto questo provoca disgusto e ripugnanza nell’anima che avrebbe voluto rimanere in quella pace, che non comprende, come nel posto che le è proprio. La stessa pena sperimenta colui che è arrivato con fatica al luogo del suo riposo ed è costretto a riprendere il lavoro. Purtroppo tali persone non comprendono il mistero di questa novità. Pensando di stare in ozio, senza far nulla, non accettano quel riposo, ma cercano di meditare e di discorrere. In questo modo aumenta la loro aridità e invano si sforzano di ricevere giovamento da dove ormai non possono più averne. Anzi si può dire che più si affannano, meno progrediscono, perché quanto più si ostinano, tanto più si trovano a disagio; non fanno altro che sottrarre l’anima alla pace spirituale, lasciare il più per il meno e ripercorrere il cammino già percorso, siccome vogliono rifare ciò che è già fatto.

8. A costoro occorre dire che imparino a starsene in quella quiete spirituale in un’attenzione e contemplazione piena d’amore per Dio, a non occuparsi dell’immaginazione e della sua attività. In questo stato, ripeto, le potenze dell’anima riposano e non sono attive, bensì passive, accettando quanto Dio opera in esse. Se talvolta agiscono, non lo fanno con sforzo o con l’aiuto di prolungati ragionamenti, ma con la soavità dell’amore, mosse più da Dio che dall’abilità dell’anima, come spiegherò più avanti. Per il momento basti questo per far capire quanto sia conveniente e necessario, a coloro che vogliono progredire, sapersi distaccare, al momento opportuno, da tutti questi modi di agire o da simili rappresentazioni dell’immaginazione, quando lo richiede il progresso dello stato in cui si trovano.

9. Per conoscere quale sia il momento opportuno, nel capitolo seguente indicherò alcuni segni che le persone spirituali devono scoprire in sé per sapere quando possono servirsi liberamente del metodo indicato e abbandonare la via del ragionamento e del lavoro dell’immaginazione.

 

CAPITOLO 13

Ove si descrivono i segni che la persona spirituale deve osservare in se stessa, per conoscere il momento adatto per abbandonare la meditazione e il ragionamento e passare allo stato della contemplazione.

1. Perché questa dottrina non resti nebulosa, converrà in questo capitolo indicare alla persona spirituale il momento adatto per abbandonare la meditazione discorsiva, portata avanti con l’uso delle suddette rappresentazioni, forme e figure, perché non lo faccia né prima né dopo rispetto alle esigenze dello spirito. Se, infatti, è conveniente lasciare la meditazione immaginativa a tempo debito perché non sia di ostacolo per andare a Dio, è parimenti necessario non lasciarla prima del tempo per non tornare indietro. Sebbene le percezioni dell’immaginazione e della fantasia non servano ai proficienti come mezzi prossimi all’unione con Dio, tuttavia possono essere d’aiuto ai principianti come mezzo remoto per disporsi e per abituarsi alle realtà spirituali attraverso i sensi, per poi svuotarli, durante il cammino, da tutte le altre forme e immagini vili, temporali, mondane e naturali. A questo proposito offrirò qui alcuni segni e indizi, che la persona spirituale deve scoprire in sé, per valutare se abbandonare o meno queste immagini, a un dato momento.

2. Il primo segno si presenta quando l’anima si accorge di non poter più meditare né discorrere con l’immaginazione, come pure di non trovare gusto in questo esercizio come le avveniva prima. Al contrario, ora prova aridità nelle cose in cui prima era solita fissare il gusto e trarne giovamento. Ma finché ci trova gusto e può discorrere nella meditazione, non deve lasciarla, a meno che la sua anima abbia raggiunto la pace e la serenità di cui si parla nel terzo segno.

3. Il secondo segno si verifica quando l’anima non ha nessuna voglia di applicare la sua fantasia o i sensi ad altri oggetti particolari, esteriori o interiori. Non intendo dire che la fantasia non lavori, perché anche nel profondo raccoglimento essa è solita essere libera, ma che non piace alla persona applicarla di proposito ad altri oggetti.

4. Il terzo segno, che è più sicuro, si ha quando l’anima prova piacere a starsene sola con Dio, in uno sguardo d’amore contemplante, senza particolari considerazioni. Sua unica occupazione è godere la pace interiore, la quiete e il riposo divino, escludendo ogni attività ed esercizio delle potenze, della memoria, dell’intelletto e della volontà, o perlomeno gli atti discorsivi, nei quali si passa da un oggetto all’altro. Essa intende godere la presenza di Dio accompagnata solo da uno sguardo e una conoscenza generale amorosa, di cui abbiamo parlato, senza particolari conoscenze, rinunciando persino a comprenderne l’oggetto.

5. La persona spirituale deve riscontrare contemporaneamente in sé questi tre segni prima di decidersi a lasciare lo stato della meditazione e l’uso dei sensi, per passare poi a quello della contemplazione e dello spirito.

6. Non basta che scorga in sé il primo segno senza il secondo, perché potrebbe darsi che non possa più rappresentarsi né meditare le cose di Dio, come prima, per distrazione o poca diligenza. Deve, quindi, scorgere in sé anche il secondo segno, che è quello di non aver voglia né desiderio di pensare a cose estranee. Infatti, quando l’impossibilità di fissare l’immaginazione o i sensi sulle cose di Dio proviene da distrazione o tiepidezza, l’anima avverte subito il desiderio e la voglia di occuparsi di altre cose, cercando un pretesto per abbandonare la meditazione. Non basta nemmeno scorgere in sé il primo e il secondo segno, se non congiunti al terzo. Infatti, anche se l’anima si rende conto che non può meditare né riflettere sulle cose di Dio e che tanto meno le giova pensare a quelle diverse da lui, questo stato potrebbe derivare da malinconia o da qualche altro cattivo umore proveniente dalla testa o dal cuore. Tale umore abitualmente provoca nei sensi un certo torpore e inattività delle facoltà tanto da impedire di pensare a qualcosa, di volerla o aver voglia di pensarvi, per rimanere in quello stato di astrazione saporosa. Per evitare questo, l’anima deve verificare in sé il terzo segno, che consiste nella conoscenza e nello sguardo amoroso e pacifico su Dio, ecc., come ho detto sopra.

7. Ma è vero che, agli inizi di questo stato, non si riesce a percepire del tutto tale conoscenza amorosa. Ciò accade per due motivi: primo, perché agli inizi questa conoscenza amorosa è abitualmente molto sottile e delicata e quasi impercettibile; secondo, perché l’anima, essendo stata abituata all’altro esercizio della meditazione, completamente basato sui sensi, non riesce a vedere e quasi non avverte questa conoscenza nuova che non passa attraverso i sensi, in quanto è puramente spirituale. Ciò le capita soprattutto quando, non comprendendola, non vi si abbandona serenamente, ma continua a cercare l’altro stato più sensibile. E così, sebbene sia investita da una pace interiore, piena d’amore, più abbondante, non riesce a sentirla né a goderla. Ad ogni modo, quanto più si abituerà alla quiete interiore, tanto più crescerà in essa e avvertirà quella conoscenza piena d’amore per Dio. Quest’ultima le piacerà più di ogni altra cosa creata, perché le procurerà pace, riposo, gusto e diletto, senza alcuna fatica.

8. Per chiarire ulteriormente quanto è stato detto, esporrò nel capitolo seguente cause e ragioni che dimostrano la necessità di questi tre segni per passare al piano dello spirito.

 

CAPITOLO 14

Ove si dimostra la convenienza di questi segni, spiegando quanto sia necessario per l’anima saperli riconoscere al fine di progredire.

1. Circa il primo segno che ho presentato, occorre ricordare che la persona spirituale – per entrare nella via dello spirito, cioè nella contemplazione – deve abbandonare la via delle immagini e della meditazione sensibile quando non vi provi più gusto e non riesca più a discorrere. E questo per due motivi, che si fondono in uno. Il primo è che l’anima ha già ricevuto, in certo modo, tutto il bene spirituale che poteva trovare nelle cose di Dio attraverso la meditazione e il ragionamento. L’indizio consiste nel fatto che non può più, come prima, né meditare né discorrere né trovare in tali esercizi gusto o piacere, perché fino a quel momento non era ancora arrivata al bene spirituale ad essa riservato in questo stato. Difatti, ordinariamente, tutte le volte che l’anima riceve qualche bene spirituale, lo gusta, perlomeno spiritualmente, proprio in quel mezzo attraverso cui lo riceve e che le è utile; altrimenti sarà un caso se ne trae giovamento o se nella causa di tale bene trova quel sostegno e quel gusto che prova quando lo riceve. Avviene proprio come dicono i filosofi: Quod sapit, nutrit: Ciò che dà sapore, nutre e ingrassa. A tale proposito Giobbe afferma: Numquid poterit comedi insulsum, quod non est sale conditum?: Si mangia forse un cibo insipido, senza sale? (Gb 6,6). Il motivo, dunque, per cui l’anima non può più meditare né discorrere come prima è questo: il poco sapore e lo scarso profitto che lo spirito trova in tale esercizio.

2. Il secondo motivo sta nel fatto che a questo punto l’anima possiede lo spirito di meditazione sostanzialmente e abitualmente. Occorre ricordare, infatti, che scopo della meditazione e del discorrere nelle cose di Dio è quello di ottenere un po’ di conoscenza e di amore di Dio. Ogni volta che l’anima, tramite la meditazione, ricava tale frutto, compie un atto. Come molti atti, in qualsiasi altro campo, finiscono per generare nell’anima un’abitudine, così molti atti di queste conoscenze piene d’amore, che l’anima ha di volta in volta emesso in particolare, con il loro ripetersi finiscono per diventare in essa un abito. Dio è solito concedere tale abito a molte anime anche senza la mediazione di tali atti, o almeno d’un buon numero di essi, collocandole subito nello stato di contemplazione. Così, ciò che prima l’anima otteneva periodicamente meditando con fatica su conoscenze particolari, ora, come ho detto, attraverso la ripetizione si è tramutato in abito e sostanza di una conoscenza amorosa generale, non distinta né particolare come prima. Perciò, quando l’anima si mette a pregare, beve con piacere senza fatica alcuna, come chi ha l’acqua a portata di mano, senza doverla far arrivare attraverso i faticosi mezzi precedenti, quali i ragionamenti, le rappresentazioni e le figure. Così, appena si mette alla presenza di Dio, possiede una conoscenza di Dio confusa, amorosa, piena di pace e di quiete, in cui beve i fiotti della sapienza, dell’amore e della dolcezza.

3. Questo è il motivo per cui l’anima prova molta pena e disgusto quando si trova in questa quiete e si vuole farla applicare faticosamente alla meditazione e a conoscenze particolari. Accade ad essa come al bambino che viene strappato dal petto materno mentre, tutto raccolto, sta succhiando il latte, per obbligarlo a spremere e comprimere con fatica la mammella onde procurarselo di nuovo. Somiglia, altresì, a colui che ha già tolto la buccia e sta gustando la polpa, quando venisse costretto a lasciare questa e a tornare di nuovo alla buccia che non c’è più: così non troverebbe più la buccia e cesserebbe di gustare la polpa che aveva già tra le mani; in questo è simile a uno che lascia ciò che ha per correre dietro a ciò che non ha.

4. Così agiscono molte di quelle anime che cominciano a entrare in questo stato. Pensano che tutta la loro occupazione consista nel ragionare e comprendere cose particolari di Dio attraverso immagini e forme, che sono la corteccia della vita spirituale. Poiché non trovano tali immagini e forme nella quiete amorosa e sostanziale in cui desiderano restare, e non comprendono che cosa stia accadendo, pensano di smarrirsi o di perdere tempo. Tornano a cercare la scorza delle loro immagini e del loro ragionamento, ma non la trovano più perché è sparita; e così non gustano né il frutto, che è la contemplazione, né la scorza, che è la meditazione. Allora esse si turbano, credendo di tornare indietro e di perdersi. E in realtà si perdono, ma non come pensano loro, perché si perdono ai loro sensi e al primitivo modo di comprendere le cose; ora tutto questo significa che stanno raggiungendo il puro spirito, concesso loro a poco a poco. Quanto meno capiscono ciò che sta accadendo, tanto più entrano nella notte dello spirito – di cui si parla in questo libro – che esse devono attraversare per unirsi a Dio al di là di ogni conoscenza.

5. Per quanto riguarda il secondo segno c’è poco da dire, perché è chiaro che l’anima, a questo punto, non prova assolutamente più gusto nelle immagini estranee, cioè mondane, dal momento che essa non si diletta nemmeno più delle immagini relative alle cose di Dio per i motivi già detti. Ma, ripeto, durante questo raccoglimento l’immaginazione è solita spaziare liberamente, senza che l’anima si compiaccia o vi acconsenta; anzi ne è infastidita, perché ciò disturba la sua pace e il suo diletto.

6. Credo non sia opportuno parlare ora della convenienza e necessità del terzo segno, cioè della conoscenza o attenzione generale, piena d’amore, per Dio, al fine di abbandonare la meditazione, perché è stato detto qualcosa trattando del primo segno. Se ne parlerà espressamente a suo luogo, quando si esaminerà questa conoscenza generale e confusa, cioè dopo aver analizzato i modi particolari di apprendere dell’intelletto. Qui mi limiterò ad addurre un solo motivo che permette di vedere chiaramente come, al momento di lasciare la via della meditazione e del ragionamento, il contemplativo abbia bisogno di questa conoscenza o attenzione piena di amore per Dio, in maniera generale. Questo perché, se l’anima in quel momento non avesse questa conoscenza o sentimento della presenza di Dio, resterebbe inoperosa e non avrebbe nulla. In realtà, dopo aver lasciato la meditazione, che aiuta a discorrere attraverso le potenze sensitive, se all’anima viene a mancare anche la contemplazione, cioè, ripeto, la conoscenza generale nella quale essa tiene impegnate le potenze spirituali, la memoria, l’intelletto e la volontà, unite ormai in questa conoscenza già prodotta in esse, detta anima rimarrebbe necessariamente priva di ogni esercizio nei confronti di Dio. Essa, infatti, non può operare né ricevere ciò che viene compiuto se non per mezzo delle potenze sensitive e spirituali. Mediante le prime, come ho detto, l’anima può discorrere, cercare ed elaborare le conoscenze degli oggetti; mediante le seconde può godere delle conoscenze ricevute attraverso le potenze precedenti, senza che queste operino più.

7. La differenza, dunque, che esiste nell’uso che l’anima fa delle potenze nell’uno e nell’altro stato, è la stessa che vige tra il lavorare a un’opera e il godere dell’opera fatta, oppure tra la fatica del cammino e la riposante quiete al termine del cammino. È come la differenza che intercorre tra la preparazione di un cibo e il mangiarlo o gustarlo già cotto e triturato, senza alcuna fatica; o ancora tra il ricevere e l’approfittare di ciò che si è ricevuto. Ugualmente, se l’anima non fosse occupata nell’operare  con le potenze sensitive nella meditazione e nel ragionamento, o con l’aiuto delle potenze spirituali nella contemplazione e nella conoscenza, di cui ho parlato, nella quale essa gode di un bene ricevuto e acquisito; in breve, se essa non si serve di entrambe queste potenze, non potremmo assolutamente dire né come né in che cosa sia occupata. È, quindi, indispensabile all’anima avere questa conoscenza generale per poter lasciare la via della meditazione e del ragionamento.

8. Ma a questo proposito si deve sapere che questa conoscenza generale di cui sto parlando, a volte è molto sottile e delicata, soprattutto quando è più pura, semplice, perfetta, più spirituale e interiore, tanto che l’anima, pur essendo occupata in essa, non riesce a vederla né a sentirla. Questo accade quando tale conoscenza, ripeto, è in sé più limpida, perfetta e semplice. E lo è quando essa investe un’anima più spoglia e distaccata da altre conoscenze e nozioni particolari alle quali l’intelletto e i sensi potrebbero essere attaccati. Così, essendo l’anima priva di queste conoscenze particolari, offerte dall’intelletto e dai sensi secondo la loro abituale capacità, non le sente più, perché le mancano le forme sensibili. Questo è il motivo per cui, quanto più pura, perfetta e semplice è tale conoscenza, tanto meno l’intelletto la comprende e tanto più la sente oscura. Al contrario, quanto meno essa è in sé pura e semplice nell’intelletto, tanto più chiara e preziosa apparirà all’intelletto stesso, essendo vestita o mescolata o avvolta in alcune forme sensibili su cui l’intelletto o i sensi possono fermarsi.

9. Il seguente paragone ci permetterà di comprendere meglio questo pensiero: quando un raggio di sole entra per la finestra, più esso è pieno di corpuscoli e di polvere, più appare visibile, percettibile e chiaro al senso della vista. Ma naturalmente il raggio è meno puro e meno chiaro e in sé meno semplice e perfetto, perché pieno di tanta polvere e corpuscoli estranei; quanto invece è più puro e privo di quei corpuscoli e di pulviscolo, tanto meno sensibile e percettibile appare all’occhio materiale; quanto più è puro, tanto più oscuro e inafferrabile appare. Se questo raggio fosse completamente privo di particelle di polvere, anche delle più minuscole, sarebbe del tutto invisibile e impercettibile all’occhio, perché privo di quegli elementi visibili che formano l’oggetto proprio della vista. Quest’ultima, infatti, non troverebbe elementi su cui posarsi, perché la luce non è l’oggetto proprio della vista, ma il mezzo con cui scorge ciò che è visibile. Così, mancando gli elementi visibili sui quali il raggio o la luce possono riflettersi, non si vede nulla. Per cui, se il raggio entrasse da una finestra e uscisse da un’altra senza imbattersi in nessun oggetto che faccia da schermo, non si vedrebbe nulla. Eppure il raggio sarebbe in sé più puro e più limpido di quando, carico di particelle visibili, si vede e si percepisce come più luminoso.

10. Lo stesso accade per la luce spirituale nei confronti della vista dell’anima, cioè l’intelletto. Questa conoscenza generale, questa luce soprannaturale, di cui sto parlando, lo investe con tanta limpidezza e semplicità ed è tanto spoglia e aliena da tutte le forme sensibili, le quali sono l’oggetto proprio dell’intelletto, che questo non l’avverte e non la vede. Anzi, a volte, quanto tale conoscenza è più pura, crea oscurità nell’intelletto, perché lo priva delle sue luci abituali, delle forme e dei fantasmi, e allora esso si rende conto dell’oscurità in cui si trova. Ma quando l’anima non è investita da questa luce divina con tanta forza, non scorge le tenebre, né vede la luce, né percepisce avvertitamene conoscenza alcuna di quaggiù o di lassù. Così, a volte, essa viene a trovarsi come in un profondo oblio, non sapendo dove si trova, né cosa abbia fatto, né se sia passato del tempo. Può dunque accadere, e accade, che l’anima trascorra molte ore in questo oblio e, quando ritorna in sé, le sembra che tale oblio sia durato un attimo e che non sia accaduto nulla.

11. La causa di tale oblio è da ricercarsi nella purezza e nella semplicità di questa conoscenza che, occupando l’anima, la rende semplice, pura e distaccata da tutte le percezioni e le immagini dei sensi e della memoria con cui essa operava nel tempo, lasciandola così nell’oblio e senza tempo. Quest’orazione, sebbene duri molto, all’anima – ripeto – sembra brevissima, perché è stata unita a Dio per mezzo della sua intelligenza pura, cioè libera da ogni mediazione, quindi fuori del tempo. Tale è l’orazione breve, di cui si dice che penetra i cieli: breve perché non è nel tempo; penetra i cieli perché l’anima è unita a Dio attraverso la sua intelligenza ormai celestiale. Perciò tale conoscenza lascia nell’anima, quando questa ritorna in sé, gli effetti in essa prodotti, senza che se ne accorga. Questi sono l’elevazione dello spirito all’intelligenza celestiale, il distacco e l’allontanamento da tutte le cose, forme e figure e dal loro ricordo. Davide afferma che gli accadde così quando tornò in sé da un oblio simile: Vigilavi, et factus sum sicut passer solitarius in tecto, che vuol dire: Nel continuo vegliare sono diventato come un passero solitario sopra un tetto (Sal 101,8). Dice di essere solitario, cioè staccato ed estraniato da tutte le cose. Abita sopra un tetto, perché il suo spirito è molto elevato. Così è l’anima, completamente ignorante delle cose della terra, perché conosce solo Dio. Per questo la sposa del Cantico afferma che, tra gli effetti prodotti in lei da questo suo sogno e oblio, c’era questo non sapere, quando, al momento in cui riceveva questa grazia, esclamò: Nescivi, cioè non seppi (Ct 6,12) da dove mi veniva tale grazia. Sebbene all’anima favorita di tale conoscenza sembri di non fare nulla né di essere occupata in cosa alcuna, perché non agisce con i sensi e le potenze, tuttavia non creda che stia perdendo tempo. Difatti, anche se l’armonia delle potenze dell’anima è sospesa, la sua intelligenza è nello stato di cui ho parlato sopra. Per questo motivo la sposa, che era saggia, sempre nel Cantico risponde a se stessa su questo dubbio, affermando: Ego dormio et cor meum vigilat (Ct 5,2), come a dire: sebbene io dorma, secondo la mia natura, cessando di agire naturalmente, il mio cuore vigila, elevato soprannaturalmente in una conoscenza soprannaturale.

12. Non si deve, però, credere che questa conoscenza, così come l’ho descritta, causi necessariamente oblio. Tale fenomeno avviene solo quando Dio priva l’anima dell’esercizio di tutte le sue potenze naturali e spirituali. Ciò accade rare volte, perché non sempre tale conoscenza occupa l’anima interamente. Affinché essa produca l’effetto di cui sto parlando, basta che l’intelletto sia libero da qualsiasi conoscenza particolare, nell’ordine temporale e spirituale, e che la volontà non abbia alcun desiderio di pensare agli oggetti d’entrambi gli ordini, come ho detto, perché allora è segno che l’anima è occupata. Questo, dunque, è l’indizio per sapere se l’anima si trova in tale stato, cioè quando tale conoscenza si applica e si comunica solo all’intelletto. Ciò accade, a volte, quando l’anima non se ne accorge. Quando, infatti, si comunica allo stesso tempo anche alla volontà, cioè quasi sempre, l’anima non manca di comprendere, press’a poco, se vuole prestarvi attenzione, di essere applicata e occupata in questa conoscenza. La riconosce perché sente di provare una soavità piena di amore, senza però sapere e comprendere in particolare ciò che ama. Per questo motivo definisce generale tale conoscenza piena d’amore, perché questa si comunica all’intelletto in modo oscuro e nella volontà veicola soavità e amore in modo confuso, senza cioè che questa sappia esattamente ciò che ama.

13. Per ora questo può bastare per far capire quanto convenga all’anima essere occupata in simile conoscenza prima di abbandonare la via della meditazione discorsiva e per essere sicura, sebbene ad essa sembri il contrario, che è ben occupata, dal momento che scorge in sé i suddetti segni. Dal paragone sopra riportato, inoltre, credo che si capisca come l’anima non debba ritenere questa luce più pura, elevata e chiara perché si presenta all’intelletto più comprensibile e percettibile. È simile al raggio di sole che è più visibile all’occhio quando è pieno di impurità. È dunque evidente, come dice Aristotele e ripetono i teologi, che quanto più alta ed eccelsa è la luce divina, tanto più oscura essa è per il nostro intelletto.

14. C’è molto da dire su questa conoscenza divina, considerata in se stessa e negli effetti che produce nei contemplativi. Rimando tutto al momento opportuno, perché anche su quello che ho detto in questo capitolo non mi sarei dilungato tanto se non per il timore di lasciare questa dottrina un po’ più confusa di quanto non sia ora. Di fatto lo è, e molto anche, lo ammetto, perché si tratta di un argomento di cui si parla poco sia a voce che per iscritto, essendo di per sé straordinario e oscuro. A tale difficoltà si aggiungono il mio povero modo di presentare tale dottrina e la mia poca scienza. Per questo, dubitando di non saperla spiegare, mi accorgo che spesso mi dilungo troppo e oltrepasso i limiti consentiti al luogo e alla dottrina in questione. Confesso, d’altronde, che a volte lo faccio di proposito, perché ciò che non si riesce a far capire con alcune ragioni, forse riuscirà comprensibile con altri argomenti e anche perché così si fa più luce su quanto si dirà più avanti. Per concludere questa parte, credo quindi opportuno rispondere a un dubbio che può sorgere circa la durata di questa conoscenza. È ciò che farò nel capitolo seguente.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:49. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com