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ESORTAZIONE APOSTOLICA sulla Chiesa in Medio Oriente

Ultimo Aggiornamento: 15/10/2012 11:12
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La grande esortazione apostolica del Papa "Ecclesia in Medio Oriente". Commento di Massimo Introvigne
pubblicata da Massimo Introvigne il giorno Sabato 15 settembre 2012 alle ore 9.00 ·

Libertà religiosa contro il laicismo e il fondamentalismo. L’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente

ATTENZIONE ricordiamo tutti i precedenti appuntamenti che hanno preparato poi questa Esortazione portandola alla conclusione, CLICCATE QUI

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Ecclesia in Medio Oriente: Esortazione Apostolica Postsinodale sulla Chiesa in Medio Oriente, comunione e testimonianza (14 settembre 2012)
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

Massimo Introvigne

 

Lo scopo principale del viaggio di Benedetto XVI in Libano – uno scopo che purtroppo va perduto in molte cronache giornalistiche - è la presentazione della sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, che fa seguito all’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, celebrata in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010. Si tratta, ha detto il Pontefice nel momento della solenne firma nella basilica di San Paolo ad Harissa, diun documento «destinato certamente alla Chiesa universale»[1], ma che «riveste un’importanza particolare per l’intero Medio Oriente»[2].

Il Papa ha voluto firmarla il 14 settembre 2012, nel giorno della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione della basilica della Resurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di Nostro Signore dall’imperatore Costantino I (274-337), «che voi – ha detto Benedetto XVI ai cristiani libanesi – venerate come santo»[3], e nei cui confronti ha usato toni in equivocamente positivi, quasi a fare giustizia di tante inutili polemiche. A proposito di Costantino, il Pontefice ha ricordato il 14 settembre che «fra un mese si celebrerà il 1700° anniversario dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva: “In questo segno, vincerai!”. Più tardi, Costantino firmò l’editto di Milano, e diede il proprio nome a Costantinopoli»[4]. L’esortazione apostolica Ecclesia in Oriente, secondo Benedetto XVI, può precisamente «essere letta ed interpretata alla luce della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e più particolarmente alla luce del monogramma di Cristo, il X (chi) e il P (ro), le due prime lettere della parola Χριστός»[5]. Non si tratta di una semplice curiosità. «Una tale lettura conduce ad un’autentica riscoperta dell’identità del battezzato e della Chiesa, e costituisce al tempo stesso come un appello alla testimonianza nella e mediante la comunione. La comunione e la testimonianza cristiane non sono infatti fondate sul Mistero pasquale, sulla crocifissione, la morte e la risurrezione di Cristo?»[6].

Il Sinodo del 2010 ha proposto a «tutta la Chiesa»[7] di ascoltare dal Medio Oriente «il grido ansioso e percepire lo sguardo disperato di tanti uomini e donne che si trovano in situazioni umane e materiali ardue, che vivono forti tensioni nella paura e nell’inquietudine, e che vogliono seguire Cristo – Colui che dà senso alla loro esistenza – ma che ne sono spesso impediti»[8]. Per questo, spiega il Papa, «ho desiderato che la Prima Lettera di San Pietro sia la trama del documento»[9]. Perché, afferma Benedetto XVI, quando ci si trova in una condizione di crisi occorre tornare all’essenziale: «la sequela Christi, in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la Croce gloriosa»[10]. E invece occorre esortarsi a vicenda «a non avere paura, a rimanere nella verità e a coltivare la purezza della fede. Questo è il linguaggio della Croce gloriosa! Questa è la follia della Croce: quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi dell’oro»[11].

Non si tratta affatto «di un linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti concreti che configurano sempre più a Cristo»[12]: «atti simili a quelli dell’imperatore Costantino che ha saputo testimoniare e far uscire i cristiani dalla discriminazione per permettere loro di vivere apertamente e liberamente la loro fede»[13]. E chi vive apertamente la fede del Battesimo diventa «un figlio della Luce, un essere illuminato da Dio, una lampada nuova nell’oscurità inquietante del mondo affinché dalle tenebre facciano risplendere la luce»[14]. Il documento, ha detto ancora il Papa, «vuole contribuire a spogliare la fede da ciò che la imbruttisce, da tutto ciò che può offuscare lo splendore della luce di Cristo»[15], e a ripetere alle Chiese in Medio Oriente: «non temete, perché il Signore è veramente con voi fino alla fine del mondo! Non temete,perché la Chiesa universale vi accompagna con la sua vicinanza umana e spirituale!»[16].

L’esortazione si divide in tre parti. La prima presenta il contesto in cui la Chiesa svolge la sua missione in Medio Oriente, in un momento in cui «questa terra benedetta e i popoli che vi abitano, sperimentano in maniera drammatica i travagli umani. Quanti morti, quante vite saccheggiate dall’accecamento umano, quante paure e umiliazioni! Sembrerebbe che non ci sia freno al crimine di Caino […]. Il peccato adamitico, consolidato dalla colpa di Caino, non cessa di produrre spine e cardi (cfr Gen3, 18) ancora oggi. Come è triste vedere questa terra benedetta soffrire nei suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono!»[17]. «Il Successore di Pietro, che io sono, non dimentica le tribolazioni e le sofferenze dei fedeli di Cristo e, soprattutto, di quelli che vivono in Medio Oriente. Il Papa è in modo speciale unito a loro spiritualmente. Ecco perché nel nome di Dio, domando ai responsabili politici e religiosi delle società, non solo di alleviare queste sofferenze, ma di eliminare le cause che le producono»[18].

La Chiesa chiede dunque la pace. Ma è molto facile farsi della pace un’idea sbagliata. In realtà, «la pace non è solamente un patto o un trattato che favorisce una vita tranquilla, e la sua definizione non può essere ridotta alla semplice assenza di guerra. La pace significa secondo la sua etimologia ebraica: essere completo, essere intatto, compiere una cosa per ristabilire l’integrità. È lo stato dell’uomo che vive in armonia con Dio, con se stesso, col suo prossimo e con la natura. Prima di essere esteriore, la pace è interiore»[19]. «Il cristiano sa che la politica terrena della pace non sarà efficace se la giustizia in Dio e tra gli uomini non ne è l’autentica base, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che è all’origine della divisione»[20].

Il primo contributo che la Chiesa dà alla ricerca della pace in Medio Oriente è costituito dall’ecumenismo e dal dialogo interreligioso. La situazione delle Chiese cristiane in Medio Oriente, particolarmente frammentata, fa certo nascere la nostalgia dell’unità. Ma «l’unità è un dono di Dio che nasce dallo Spirito e che occorre far crescere con una paziente perseveranza (cfr 1 Pt 3, 8-9). Noi sappiamo che è una tentazione, quando delle divisioni ci oppongono, fare appello al solo criterio umano»[21]. L’ecumenismo non nasce dal compromesso umano, ma dallo sguardo rivolto a Gesù Cristo. Se ne leggiamo i documenti secondo i criteri indicati da Magistero, ci accorgiamo che «il Concilio Vaticano II ha incoraggiato questo “ecumenismo spirituale” che è l’anima del vero ecumenismo»[22].

L’ecumenismo promuove una maggiore comunione fra le Chiese e comunità cristiane. Ma «questa comunione non è certo una confusione»[23]. Più difficile in campo teologico ed ecclesiologico, dovrebbe partire da un impegno comune in campo morale. «Nella fedeltà alle origini della Chiesa e alle sue tradizioni viventi, è importante ugualmente pronunciarsi con una sola voce sulle grandi questioni morali a proposito della verità umana, della famiglia, della sessualità, della bioetica, della libertà, della giustizia e della pace»[24]. Quanto alla vita sacramentale comune, alla communicatio in sacris, questa «può essere raccomandabile in alcune circostanze favorevoli»[25], ma solo «in base a norme precise e con l’approvazione delle autorità ecclesiastiche»[26].

Oltre al dialogo ecumenico, che riguarda i cristiani, «la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni. Questo dialogo in Medio Oriente è basato sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è principalmente dettato da considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede. Esse derivano dalle Sacre Scritture e sono chiaramente definite nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium,e nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate»[27]del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il Pontefice non tace la necessità, ma non si nasconde la difficoltà, del dialogo con le altre due grandi religioni presenti in Medio Oriente, l’ebraismo e l’islam. «Se l’ebraicità del “Nazareno” consente ai cristiani di assaporare con gioia il mondo della Promessa, introducendoli in modo decisivo nella fede del popolo eletto e unendoli ad esso, la persona e l’identità profonda dello stesso Gesù li separano, poiché i cristiani riconoscono in Lui il Messia, il Figlio di Dio»[28]. Benedetto XVI ribadisce la condanna dell’antisemitismo: «Inescusabili e altamente condannabili sono le persecuzioni insidiose o violente del passato!»[29]. Nota pure che, «nonostante queste tristi situazioni, gli apporti reciproci nel corso dei secoli sono stati così fecondi che hanno contribuito alla nascita e alla fioritura di una civiltà e di una cultura chiamata comunemente giudeo-cristiana. Come se questi due mondi che si dicono differenti o contrari per diversi motivi, avessero deciso di unirsi per offrire all’umanità un nobile legame. Questo legame che unisce, mentre li separa, giudei e cristiani, deve aprirli a una nuova responsabilità gli uni per gli altri, gli uni con gli altri»[30].

Ancora più delicata è la questione del dialogo interreligioso con l’islam. Da una parte, Benedetto XVI prende le distanze dalle posizioni che considerano il dialogo con i musulmani impossibile e sempre inopportuno. «Fedele all’insegnamento del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica guarda i musulmani con stima, essi che rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che venerano Gesù come profeta senza riconoscerne tuttavia la divinità, e che onorano Maria, la sua madre verginale»[31]. E tuttavia il Papa sa che la storia della regione ha visto troppo spesso «giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione»[32]. La stessa storia, però, offre anche un modello di possibile dialogo. I cristiani della regione, «parte integrante del Medio Oriente, hanno sviluppato nel corso dei secoli una sorta di rapporto con l’ambiente che può servire come insegnamento. Si sono lasciati interpellare dalla religiosità dei musulmani, ed hanno proseguito, secondo i propri mezzi e nella misura del possibile, a vivere e promuovere i valori evangelici nella cultura circostante. Il risultato è una particolare simbiosi»[33], che crea una situazione non priva di ambiguità e pericoli ma per altri versi a suo modo affascinante.

Certamente l’esortazione apostolica riafferma nei termini più decisi il diritto dei cristiani medio-orientali alla piena libertà religiosa e civile. «I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria. Devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori»[34]. La questione della libertà religiosa, che tanto sta a cuore a Benedetto XVI, assume però in Medio Oriente profili particolarmente delicati. Talora i musulmani affermano che quello alla libertà religiosa è un diritto intrinsecamente occidentale o cristiano, che non potrebbe trovare posto in un contesto islamico storicamente e strutturalmente diverso. Il Papa risponde che, certo, «i cristiani riservano particolare attenzione ai diritti fondamentali della persona umana. Affermare tuttavia che questi diritti non sono che diritti cristiani dell’uomo non è giusto. Sono semplicemente diritti connessi alla dignità di ogni persona umana e di ogni cittadino, a prescindere dalle origini, dalle convinzioni religiose e dalle scelte politiche»[35]. La libertà religiosa è un elemento di diritto naturale, che come tale s’impone a tutti gli uomini dotati di retta ragione a prescindere dalla loro affiliazione religiosa.

È anche sbagliato considerare la libertà religiosa solo una libertà fra tante altre. «La libertà religiosa è il culmine di tutte le libertà. È un diritto sacro e inalienabile»[36]. E la libertà religiosa non si riduce solo alla libertà di celebrare il culto chiusi nelle proprie chiese, secondo un equivoco frequente in certi ambienti musulmani del Medio Oriente. «Comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto. Include la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza»[37]. Concretamente, «deve essere possibile professare e manifestare liberamente la propria religione e i suoi simboli, senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà personale»[38]. La costrizione in materia di religione, «che può assumere forme molteplici e insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico, è contraria alla volontà di Dio. Essa è una fonte di strumentalizzazione politico-religiosa, di discriminazione e di violenza che può condurre alla morte»[39]. A chi giustifica il terrorismo Benedetto XVI ricorda che «Dio vuole la vita, non la morte. Egli proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida»[40].

Con un occhio forse rivolto anche a discussioni europee – tra cui quelle con la Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) –, Benedetto XVI spiega, riaffermando e insieme interpretando la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II, che nel contesto attuale non è più sufficiente parlare di tolleranza religiosa. «La tolleranza religiosa esiste in diversi paesi, ma essa non impegna molto perché rimane limitata nel suo raggio di azione. È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa»[41]. Rispondendo appunto alle critiche secondo cui passare dalla nozione di tolleranza religiosa a quella di libertà religiosa, com’è avvenuto con la dichiarazione Dignitatis Humanae, favorirebbe il relativismo, il Pontefice afferma che «questo passaggio non è una porta aperta al relativismo, come alcuni affermano. Questo passo da compiere non è una crepa aperta nella fede religiosa, ma una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione e con Dio. Non è una violazione delle verità fondanti della fede, perché, nonostante le divergenze umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti gli uomini»[42]. Per comprendere perché sia così è necessario approfondire la riflessione sul rapporto fra la nozione filosofica e quella teologica di verità. «Sappiamo bene che la verità non esiste al di fuori di Dio come una cosa in sé. Sarebbe un idolo. La verità si può sviluppare soltanto nella relazione con l’altro che apre a Dio, il quale vuole esprimere la propria alterità attraverso e nei miei fratelli umani»[43]. E tuttavia «la verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude»[44].

Alla vera nozione di libertà religiosa, e al corretto rapporto fra religione e politica, si oppongono – come già si è accennato – da una parte il laicismo e dall’altra il fondamentalismo. «Come il resto del mondo, il Medio Oriente conosce due realtà opposte: la laicità, con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa»[45]. Il problema è che spesso alcuni ambienti musulmani, rifiutando il laicismo – cioè l’inaccettabile e assoluta separazione fra religione e politica – finiscono per rifiutare anche la laicità, che è invece la corretta e necessaria distinzione fra queste due realtà, che evita la confusione tra loro che è tipica del fondamentalismo. «È con grande sospetto che alcuni responsabili politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la laicità come atea o immorale. È vero che la laicità può talvolta affermare, in maniera riduttiva, che la religione riguarda esclusivamente la sfera privata, come se non fosse che un culto individuale e domestico, situato fuori dalla vita, dall’etica, dalla relazione con l’altro. Nella sua forma estrema e ideologica, questa laicità, diventata secolarismo, nega al cittadino l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa legiferare sulla sua forma pubblica»[46]. In verità, nota il Papa, «queste teorie sono antiche. Esse non sono più soltanto occidentali e non possono essere confuse con il cristianesimo»[47]. I musulmani hanno ragione di rifiutarle, ma questo rifiuto del laicismo non dovrebbe coinvolgere la laicità, che ha anche una sua forma sana e accettabile.

La spiegazione di che cosa si debba intendere per sana laicità, distinta e anzi opposta al laicismo, è particolarmente importante. «La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo – dunque su una sana antropologia – e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe»[48]. Tra religione e politica non dovrebbe esserci né confusione né separazione, ma insieme unità e distinzione nella collaborazione. A causa delle peculiari circostanze del Medio Oriente, riconquistare questa verità non è facile. «La sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata. Occorre richiamare continuamente il posto di Dio nella vita personale, familiare e civile, e il giusto posto dell’uomo nel disegno di Dio. E soprattutto, a tale scopo, occorre pregare di più»[49].

Il rischio, naturalmente, non è costituito solo dal laicismo, C’è anche, all’estremo opposto, il fondamentalismo. «Le incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro, costituiscono la base del fondamentalismo religioso. Quest’ultimo affligge tutte le comunità religiose, e rifiuta il vivere insieme secolare. Esso vuole prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche»[50]. Cristiani, ebrei e musulmani dovrebbero lavorare insieme al fine «di sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni»[51]. «Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore»[52].

Le conseguenze degli errori in tema di rapporto fra religione e politica non si limitano alla sfera teorica. Si manifestano in modo tragico, inducendo i cristiani della regione a emigrare, mentre nei Paesi più ricchi della zona affluiscono lavoratori immigrati, spesso a loro volta cristiani, i cui diritti alla libertà religiosa e alla dignità del lavoro spesso non sono rispettati. I cristiani, «per esperienza, sanno anche di essere vittime designate quando vi sono dei disordini. Dopo aver partecipato attivamente nel corso dei secoli alla costruzione delle rispettive nazioni e contribuito alla formazione della loro identità e alla loro prosperità, i cristiani sono numerosi a scegliere cieli più propizi, luoghi di pace in cui essi e le loro famiglie potranno vivere degnamente e in sicurezza, e spazi di libertà dove la loro fede potrà esprimersi senza che siano sottomessi a diverse costrizioni»[53]. Questa massiccia emigrazione dei cristiani dovrebbe essere ove possibile prevenuta, mentre nei Paesi dove si recano i cristiani medio-orientali dovrebbero essere oggetto di un adeguato accompagnamento pastorale, che ne rispetti le peculiarità.

Nello stesso tempo, il Medio Oriente conosce oggi «la presenza nei paesi ad economia forte della regione di lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano. Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà. Sono stranieri nel paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia»[54]. «Sfruttati senza potersi difendere, con contratti di lavoro più o meno limitati o legali, queste persone sono talvolta vittime di infrazioni delle leggi locali e delle convenzioni internazionali. D’altra parte, subiscono forti pressioni e gravi limitazioni religiose»[55].

Se la prima parte dell’esortazione apostolica descrive il contesto sociale, politico e religioso del Medio Oriente – occasione per riflessioni che interessano tutta la Chiesa universale – la seconda e la terza entrano più direttamente nei problemi delle comunità cattoliche locali. Mi limito in questa sede a segnalarne alcuni. Anzitutto, com’è noto nei riti cattolici orientali vi sono – a differenza che nel rito latino – sacerdoti sposati, che sono a pieno titolo sacerdoti cattolici e coesistono con presbiteri che hanno scelto il celibato. Il Pontefice afferma che «il celibato sacerdotale è un dono inestimabile di Dio alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale. Ricordiamo, inoltre, il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali. Vorrei rivolgere il mio incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili. A tutti ribadisco che la bellezza della vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a voi coltivare»[56].

La ricchissima storia del monachesimo medio-orientale dovrebbe a sua volta spingere tutti i cattolici, anche quelli che monaci non sono, a «meditare lungamente e con cura sui consigli evangelici: l’obbedienza, la castità e la povertà, per riscoprire oggi la loro bellezza, la forza della loro testimonianza e la loro dimensione pastorale. Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi»[57].

Altre indicazioni ribadiscono temi spesso affrontati da Benedetto XVI anche in contesti diversi da quello medio-orientale. Così, i laici sono invitati a «superare le divisioni e ogni interpretazione soggettivistica della vita cristiana. Fate attenzione a non separare questa – con i suoi valori e le sue esigenze – dalla vita in famiglia o nella società, nel lavoro, nella politica e nella cultura, perché tutti i vari campi della vita del laico rientrano nel disegno di Dio»[58]. Tra i campi d’impegno sociale e politico il Papa segnala la difesa della famiglia, in un contesto internazionale in cui «le proprietà essenziali del matrimonio sacramentale – unità e indissolubilità (cfr Mt19, 6) – ed il modello cristiano della famiglia, della sessualità e dell’amore sono ai nostri giorni, se non contestati, almeno incompresi da certi fedeli. Vi è la tentazione di appropriarsi dei modelli contrari al Vangelo, veicolati da una certa cultura contemporanea, diffusa dappertutto nel mondo»[59].

Speciale attenzione ha destato la parte dell’esortazione apostolica che, in un contesto segnato da discussioni sul tema specie all’interno del mondo musulmano, ribadisce la nozione cristiana dell’uguale dignità fra l’uomo e la donna. «Il primo racconto della creazione mostra l’uguaglianza ontologica tra l’uomo e la donna (cfr Gen 1, 27-29). Questa uguaglianza è ferita dalle conseguenze del peccato (cfr Gen3, 16; Mt19, 4). Superare questa eredità, frutto del peccato, è un dovere per ogni essere umano, uomo o donna»[60]. «Vorrei assicurare a tutte le donne – prosegue Benedetto XVI – che la Chiesa cattolica, collocandosi nella fedeltà al disegno divino, promuove la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con l’uomo, di fronte alle forme più varie di discriminazione alle quali è sottomessa per il semplice fatto di essere donna. Tali pratiche feriscono la vita di comunione e di testimonianza. Esse offendono gravemente non solo la donna, ma anche e soprattutto Dio, il Creatore»[61].

Il Papa afferma che «i cristiani dei paesi della regione devono avere la possibilità di applicare nel campo matrimoniale e negli altri campi il loro diritto proprio, senza restrizione»[62], cioè non devono essere sottoposti al diritto di famiglia islamico nei Paesi dove questo si confonde con la legge civile. È possibile tuttavia che anche nell’applicazione del diritto canonico cattolico ci siano talora problemi che derivano dal contesto culturale. Ecco allora la raccomandazione secondo cui «nelle vertenze giuridiche che, purtroppo, possono opporre l’uomo e la donna soprattutto in questioni di ordine matrimoniale, la voce della donna deve essere ascoltata e presa in considerazione con rispetto, al pari di quella dell’uomo, per far cessare certe ingiustizie»[63]. «La giustizia della Chiesa deve essere esemplare a tutti i suoi livelli e in tutti i campi che essa tocca. Bisogna assolutamente aver cura che le vertenze giuridiche relative a questioni matrimoniali non conducano all’apostasia»[64].

La terza parte dell’esortazione fornisce indicazioni pastorali, catechistiche e liturgiche, che partono dall’accostamento alla Sacra Scrittura, raccomandando lo studio di un importante documento del Magistero dello stesso Benedetto XVI: «Nella prospettiva di un approccio ecclesiale alla Bibbia, una lettura, individuale e in gruppo, dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Dominisarà di grande utilità»[65]. Dal contesto storico medio-orientale, il Papa trae un richiamo ai principi fondamentali illustrati nella stessa Verbum Domini. «Le scuole esegetiche di Alessandria, di Antiochia, di Edessa o di Nisibi hanno contribuito potentemente all’intelligenza e alla formulazione dogmatica del mistero cristiano nel IV e nel V secolo. La Chiesa intera ne è loro riconoscente. I sostenitori delle diverse correnti di interpretazione dei testi concordavano su alcuni principi tradizionali di esegesi, comunemente ammessi dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il più importante è credere che Gesù Cristo incarna l’unità intrinseca dei due Testamenti e di conseguenza l’unità del disegno salvifico di Dio nella storia (cfr Mt 5, 17)»[66]. «Viene poi la fedeltà ad una lettura tipologica della Bibbia, secondo la quale certi fatti dell’Antico Testamento sono una prefigurazione (tipo e figura) delle realtà della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, chiave di lettura di tutta la Bibbia»[67].

Sul piano pastorale, le Chiese del Medio Oriente aggiungono ai loro impegni quello di accogliere i milioni di pellegrini che vengono in Terrasanta. Si tratta di un pellegrinaggio cui la Chiesa non può rinunciare. «Improntato alla penitenza per la conversione e alla ricerca di Dio, ripercorrendo i passi storici di Cristo e degli Apostoli, il pellegrinaggio ai luoghi santi e apostolici può essere, se vissuto con fede e profondità, un’autentica sequela Christi. In un secondo tempo, dà anche ai fedeli la possibilità di impregnarsi maggiormente della ricchezza visiva della storia biblica che delinea davanti a loro i grandi momenti dell’economia della salvezza»[68]. A chi organizza pellegrinaggi Benedetto XVI fornisce anche un’ulteriore indicazione specifica: «Al pellegrinaggio biblico è opportuno anche associare il pellegrinaggio ai santuari dei martiri e dei santi, nei quali la Chiesa venera Cristo, fonte del loro martirio e della loro santità»[69].

L’esortazione si chiude con due raccomandazioni consuete nel Magistero recente, relative all’Anno della fede e al Catechismo della Chiesa Cattolica. «L’Anno della fedeche si situa nel contesto della nuova evangelizzazione sarà, se vissuto con intensa convinzione, un forte stimolo per promuovere una evangelizzazione delle Chiese della regione, e per consolidare la testimonianza cristiana»[70]. «Il Catechismo della Chiesa Cattolicaè una base necessaria. Come ho già indicato, la sua lettura e il suo insegnamento devono essere incoraggiati, come anche un’iniziazione concreta alla Dottrina sociale della Chiesa»[71].

 

 

 

[1] Benedetto XVI, Visita alla Basilica di St. Paul ad Harissa e firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale, del 14-9-2012.

 

[2] Ibid.

 

[3] Ibid.

 

[4] Ibid.

 

[5] Ibid.

 

[6] Ibid.

 

[7] Ibid.

 

[8] Ibid.

 

[9] Ibid.

 

[10] Ibid.

 

[11] Ibid.

 

[12] Ibid.

 

[13] Ibid.

 

[14] Ibid.

 

[15] Ibid.

 

[16] Ibid.

 

[17] Idem. Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Oriente, del 14-9-2012, n. 8.

 

[18] Ibid., n. 96.

 

[19] Ibid., n. 9.

 

[20] Ibid., n. 10.

 

[21] Ibid., n. 11.

 

[22] Ibid.

 

[23] Ibid., n. 12.

 

[24] Ibid., n. 13.

 

[25] Ibid., n. 16.

 

[26] Ibid.

 

[27] Ibid., n. 19.

 

[28] Ibid., n. 20.

 

[29] Ibid., n. 22.

 

[30] Ibid.

 

[31] Ibid., n. 23.

 

[32] Ibid.

 

[33] Ibid., n. 24.

 

[34] Ibid., n. 25.

 

[35] Ibid.

 

[36] Ibid., n. 26.

 

[37] Ibid.

 

[38] Ibid.

 

[39] Ibid.

 

[40] Ibid.

 

[41] Ibid., n. 27.

 

[42] Ibid.

 

[43] Ibid.

 

[44] Ibid.

 

[45] Ibid., n. 29.

 

[46] Ibid.

 

[47] Ibid.

 

[48] Ibid.

 

[49] Ibid.

 

[50] Ibid., n. 30.

 

[51] Ibid.

 

[52] Ibid.

 

[53] Ibid., n. 31.

 

[54] Ibid., n. 33.

 

[55] Ibid., n. 34.

 

[56] Ibid., n. 48.

 

[57] Ibid., n. 54.

 

[58] Ibid., n. 56.

 

[59] Ibid., n. 58.

 

[60] Ibid., n. 60.

 

[61] Ibid.

 

[62] Ibid., n. 61.

 

[63] Ibid.

 

[64] Ibid.

 

[65] Ibid., n. 70. Cfr. sul punto M. Introvigne - Pietro Cantoni, Esegesi biblica e Concilio Ecumenico Vaticano II. Una riflessione sull'esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Papa Benedetto XVI, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 358, ottobre-dicembre 2010, pp. 19-33.

 

[66] Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Oriente, cit., n. 70.

 

[67] Ibid.

 

[68] Ibid., n. 83.

 

[69] Ibid.

 

[70] Ibid., n. 88.

 

[71] Ibid., n. 93.

Benedetto XVI, Visita alla Basilica di St. Paul ad Harissa e firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale, del 14-9-2012.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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SINTESI ESORTAZIONE APOSTOLICA "ECCLESIA IN MEDIO ORIENTE"

Città del Vaticano, 15 settembre 2012 (VIS). Riportiamo la sintesi dell'Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente", resa pubblica nel pomeriggio di ieri a Beirut (Libano).

PREMESSA

L'Esortazione Apostolica post-sinodale "Ecclesia in Medio Oriente" è il documento elaborato dal Santo Padre Benedetto XVI sulla base delle 44 proposizioni finali dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente tenutasi in Vaticano dal 10 al 26 ottobre 2010, sul tema: "La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un'anima sola' (At 4, 32)". Il testo si compone di tre parti con una introduzione e una conclusione.

INTRODUZIONE

L’Esortazione invita la Chiesa cattolica in Medio Oriente a ravvivare la comunione al suo interno, guardando ai “fedeli nativi” che appartengono alle Chiese orientali cattoliche sui iuris, ed aprendosi al dialogo con ebrei e musulmani. Si tratta di una comunione, di un’unità da raggiungere nella diversità dei contesti geografici, religiosi, culturali e sociopolitici nel Medio Oriente. Benedetto XVI rinnova l’appello a conservare ed a promuovere i riti delle Chiese Orientali, patrimonio di tutta la Chiesa di Cristo.

PRIMA PARTE

Il Papa invita a non dimenticare i cristiani che vivono in Medio Oriente e che portano un contributo “nobile e autentico” alla costruzione del Corpo di Cristo. Nel descrivere la situazione della regione e dei popoli che vi abitano, Benedetto XVI sottolinea drammaticamente i morti, le vittime “della cecità umana”, la paura e le umiliazioni. L'Esortazione ricorda che le posizioni della Santa Sede sui diversi conflitti nella regione e sullo status di Gerusalemme e dei Luoghi Santi sono largamente conosciute. Viene lanciato un appello alla conversione, alla pace, al superamento di tutte le distinzioni di razza, sesso e ceto, a vivere il perdono nell’ambito privato e comunitario.

Vita cristiana ed ecumenismo. Tutto questo capitolo è un appello in favore dell’unità ecumenica “che non è l’uniformità delle tradizioni e delle celebrazioni”: in un contesto politico difficile, instabile ed attualmente incline alla violenza come quello del Medio Oriente, la Chiesa si è sviluppata in modo davvero multiforme, presentando Chiese di antica tradizione e comunità ecclesiali più recenti. Si tratta di un mosaico che richiede uno sforzo notevole per rafforzare la testimonianza cristiana. L'Esortazione ribadisce l’importanza del lavoro teologico e delle diverse Commissioni ecumeniche e comunità ecclesiali, affinché – in linea con la dottrina della Chiesa – parlino con una sola voce sulle grandi questioni morali (famiglia, sessualità, bioetica, libertà, giustizia e pace). Importante anche l’ecumenismo diaconale, in ambito caritativo ed educativo. Vengono poi elencate alcune proposte concrete per una pastorale ecumenica di insieme: una certa ‘communicatio in sacris’ (ovvero la possibilità per i cristiani di accedere ai sacramenti in una Chiesa diversa dalla propria) per i sacramenti della penitenza, dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi, e trovare un accordo una traduzione comune del Padre Nostro nelle lingue locali della regione.

Il dialogo interreligioso. Ricordando i legami storici e spirituali che i cristiani hanno con ebrei e musulmani, ribadisce che il dialogo interreligioso non è tanto quello dettato da considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, ma si basa innanzitutto sui fondamenti teologici della fede: ebrei, cristiani e musulmani credono in un unico Dio e pertanto l’auspicio è che possano riconoscere “nell’altro credente” un fratello da amare e da rispettare, evitando di strumentalizzare la religione per conflitti “ingiustificabili per un credente autentico”. Riguardo al dialogo cristiano-ebraico, il Papa ricorda il patrimonio spirituale comune, basato sulla Bibbia, che riporta alle “radici giudaiche del cristianesimo”; invita i cristiani a prendere consapevolezza del mistero dell’Incarnazione di Dio e condanna le ingiustificabili persecuzioni del passato.

Per i musulmani, Benedetto XVI usa la parola “stima” ed aggiunge “nella fedeltà all’insegnamento del Concilio Vaticano II”; si rammarica, tuttavia, del fatto che le differenze dottrinali siano servite da pretesto agli uni e agli altri per giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e di persecuzione. L’Esortazione poi evidenzia come la presenza dei cristiani in Medio Oriente non sia né nuova, né casuale, ma storica: parte integrante della regione, essi hanno avviato “una simbiosi particolare” con la cultura circostante e – insieme ad ebrei e musulmani – hanno contribuito alla formazione di una ricca cultura, propria del Medio Oriente.

Riguardo ai cattolici della regione, il testo evidenzia che essi, cittadini nativi del Medio Oriente, hanno il diritto ed il dovere di partecipare pienamente alla vita civile, e non devono essere considerati cittadini di serie B. Il Papa afferma che la libertà religiosa - somma di tutte le libertà, sacra e inalienabile – include la libertà di scegliere la religione che si ritiene vera e di manifestare pubblicamente il proprio credo e i suoi simboli, senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà personale. La forza e le costrizioni, in materia religiosa, non sono ammissibili. Di qui, l’invito a passare dalla tolleranza alla libertà religiosa, il che non implica una porta aperta al sincretismo, ma “una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione e con Dio”.

Due nuove realtà: la laicità, con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa. La sana laicità implica distinzione e collaborazione tra politica e religione, nel reciproco rispetto, e garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione e alla religione di vivere senza gli appesantimenti degli interessi politici. Il fondamentalismo religioso – che cresce nel clima d’incertezza socio-politica, grazie alle manipolazioni di alcuni e ad una comprensione insufficiente della religione da parte di altri – vuole prendere il potere, talvolta con violenza, sulla coscienza delle persone e sulla religione, per ragioni politiche. Per questo, il Papa lancia un accorato appello a tutti i responsabili religiosi del Medio Oriente affinché cerchino, con il loro esempio ed il loro insegnamento, di fare il possibile per sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni.

I migranti: Il Papa affronta una questione cruciale, ovvero quella dell’esodo dei cristiani (una vera Esortazionerragia), i quali si trovano in una posizione delicata, talvolta senza speranza, e risentono delle conseguenze negative dei conflitti, sentendosi spesso umiliati, nonostante abbiano partecipato, lungo i secoli, alla costruzione dei rispettivi Paesi. Un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più Medio Oriente. Per questo, il Papa chiede ai dirigenti politici e ai responsabili religiosi di evitare politiche e strategie che tendano verso un Medio Oriente monocromo che non rifletta la sua realtà umana e storica. Benedetto XVI invita poi i pastori delle Chiese Orientali cattoliche ad aiutare i loro sacerdoti ed i loro fedeli in diaspora a restare in contatto con le loro famiglie e le loro Chiese ed esorta i Pastori delle circoscrizioni ecclesiastiche che accolgono i cattolici orientali a dare loro la possibilità di celebrare secondo le proprie tradizioni. Il capitolo affronta anche la questione dei lavorati immigrati - spesso cattolici di rito latino – provenienti dall’Africa, dall’EstrEsortazione Oriente e dal sub-Continente indiano, che sperimentano troppo spesso situazioni di discriminazione e di ingiustizia.

SECONDA PARTE

La seconda parte si rivolge ad alcune delle principali categorie che costituiscono la Chiesa cattolica:

-Patriarchi: responsabili delle Chiese sui iuris, in unione perfetta con il Vescovo di Roma, rendono tangibile l’universalità e l’unità della Chiesa e, in segno di comunione, sapranno rafforzare l’unione e la solidarietà nel quadro del Consiglio dei Patriarchi cattolici d’Oriente e dei Sinodi patriarcali, privilegiando sempre la concertazione sulle questioni fondamentali per la Chiesa.

-Vescovi: segno visibile dell’unità nella diversità della Chiesa intesa come Corpo, di cui Cristo è il capo, sono i primi ad essere inviati in tutte le nazioni per fare discepoli. Essi devono annunciare con coraggio e difendere con fermezza l’integrità e l’unità della fede, in quelle situazioni difficili che purtroppo non mancano in Medio Oriente. I vescovi sono anche invitati ad una gestione sana, onesta e trasparente dei beni temporali della Chiesa e a questo proposito il Papa ricorda che i Padri Sinodali hanno chiesto una seria revisione delle finanze e dei beni, per evitare la confusione tra i beni personali e quelli della Chiesa. I vescovi, inoltre, dovranno vigilare per assicurare ai sacerdoti il giusto sostentamento, affinché non si perdano in questioni materiali. L’alienazione dei beni della Chiesa deve rispondere strettamente alle norme canoniche e alle disposizioni pontificie vigenti. Infine, il Papa esorta i vescovi ad avere cura, in senso pastorale, di tutti i fedeli cristiani, a prescindere dalla loro nazionalità o provenienza ecclesiale.

-Sacerdoti e seminaristi: l’Esortazione sottolinea che i sacerdoti devono educare il Popolo di Dio alla costruzione di una civiltà di amore evangelico e di unità e ciò esige una trasmissione approfondita della Parola di Dio, della tradizione e della Dottrina della Chiesa, insieme al rinnovamento intellettuale e spirituale degli stessi sacerdoti. In quest’ottica, è importante il celibato – dono inestimabile di Dio alla Chiesa – ma anche il ministero dei preti sposati, antica componente della tradizione orientale. In quanto servitori della comunione, preti e seminaristi devono offrire una testimonianza coraggiosa e priva di ombre, devono avere una condotta irreprensibile, e devono aprirsi alla diversità culturale delle loro Chiese (apprendendone, ad esempio, le lingue e le culture), così come alla diversità ecclesiale ed al dialogo ecumenico ed interreligioso.

-Vita consacrata: il monachesimo, nelle sue diverse forme, è nato in Medio Oriente ed ha dato inizio ad alcune Chiese sui iuris, i consacrati dovranno collaborare con il vescovo nell’attività pastorale e missionaria. Essi vengono invitati a meditare a lungo e ad osservare i consigli evangelici (castità, povertà ed obbedienza), perché non può esserci rigenerazione spirituale – dei fedeli, delle comunità e della Chiesa intera – senza un ritorno chiaro e netto alla ricerca di Dio.

-Laici: Membri del Corpo di Cristo grazie al battesimo, e quindi pienamente associati alla missione della Chiesa universale, ai laici il Papa affida il compito di promuovere - nell’ambito temporale, loro proprio – la sana gestione dei beni pubblici, la libertà religiosa ed il rispetto della dignità di ciascuno. Essi sono invitati anche ad essere audaci nella causa di Cristo. Perché la loro testimonianza dia davvero frutti, tuttavia, i laici dovranno superare le divisioni e tutte le interpretazioni soggettive della vita cristiana.

-Famiglia: istituzione divina fondata sul sacramento indissolubile del matrimonio tra uomo e donna (“L’amore coniugale è il progetto paziente di tutta una vita”), oggi la famiglia è esposta a molti pericoli. La famiglia cristiana deve essere sostenuta nei suoi problemi e difficoltà e deve guardare alla propria identità profonda, perché sia innanzitutto Chiesa domestica che educa alla preghiera e alla fede, vivaio di vocazioni, scuola naturale di virtù e valori etici, cellula fondante della società. Ampio spazio l’Esortazione lo riserva alla questione della donna in Medio Oriente ed alla necessità della sua uguaglianza con l’uomo, di fronte alle discriminazioni che essa deve subire e che offendono gravemente non solo la donna stessa, ma anche e soprattutto Dio. Il Papa sottolinea che le donne devono impegnarsi ed essere coinvolte nella vita pubblica ed ecclesiale. Riguardo alle vertenze giuridiche nelle questioni matrimoniali, la voce della donna deve essere ascoltata alla pari di quella dell’uomo, senza ingiustizie. Per questo, il Papa incoraggia un’applicazione più sana e più giusta del diritto, in quest’ambito, affinché le differenze giuridiche relative alle questioni matrimoniali non conducano all’apostasia. Infine, i cristiani del Medio Oriente devono poter applicare, sia nel matrimonio che altrove, il proprio diritto, senza restrizioni.

-Giovani e bambini: il Papa li esorta a non avere paura o vergogna di essere cristiani, a rispettare gli altri credenti, ebrei e musulmani, a coltivare sempre – attraverso la preghiera – la vera amicizia con Gesù, amando Cristo e la Chiesa. In questo modo, essi potranno discernere con sapienza i valori della modernità utili alla loro realizzazione, senza lasciarsi sedurre dal materialismo o da certi social network il cui uso indiscriminato può mutilare la vera natura delle relazioni umane. Per i bambini, in particolare, l’Esortazione si appella a genitori, educatori, formatori e istituzioni pubbliche affinché riconoscano i diritti dei minori a partire dal loro concepimento.

TERZA PARTE

La Parola di Dio, anima e fonte di comunione e testimonianza: Dopo aver espresso riconoscenza alle scuole esegetiche (d’Alessandria, di Antiochia) che hanno contribuito alla formulazione dogmatica del mistero cristiano nel IV e V secolo, l’Esortazione raccomanda una vera pastorale biblica, per dissipare pregiudizi o idee errate che causano controversie inutili o umilianti. Di qui, il suggerimento di proclamare un Anno Biblico, a seconda delle condizioni pastorali di ogni Paese della regione, e di farlo seguire, se opportuno, da una Settimana annuale della Bibbia. La presenza cristiana nei Paesi biblici del Medio Oriente – che va ben al di là di un’appartenenza sociologica o di una semplice riuscita economica e culturale – ritrovando la linfa delle origini e nella sequela dei discepoli di Cristo, prenderà un nuovo slancio. Infine, il Papa incoraggia lo sviluppo di nuove strutture della comunicazione e la formazione – non solo tecnica, ma anche dottrinale ed etica – di personale specializzato in questo settore, nevralgico per l’evangelizzazione.

Liturgia e vita sacramentale: Per i fedeli del Medio Oriente, la liturgia è elemento essenziale dell’unità spirituale e della comunione. Il rinnovamento delle celebrazioni e dei testi liturgici - là dove necessario - deve essere fondato sulla Parola di Dio e realizzato in collaborazione con le Chiese co-depositarie delle stesse tradizioni. Centrale l’invito a guardare all’importanza del battesimo, che permette a coloro che lo ricevono di vivere in comunione e di sviluppare una vera solidarietà con gli altri membri della famiglia umana, senza discriminazioni basate sulla razza o sulla religione. In quest’ottica, il Papa auspica un accordo ecumenico sul riconoscimento reciproco del Battesimo tra la Chiesa cattolica e le Chiese con cui essa è in dialogo teologico, per restaurare, così, la piena comunione nella fede apostolica. L’Esortazione auspica anche una pratica più frequente del sacramento del perdono e della riconciliazione ed esorta Pastori e fedeli a promuovere iniziative di pace, anche in mezzo alle persecuzioni.

La preghiera e i pellegrinaggi: il Medio Oriente è un luogo privilegiato di pellegrinaggio per molti cristiani che qui possono consolidare la propria fede e vivere un’esperienza profondamente spirituale. Il Papa chiede che i fedeli possano avere libero accesso, senza restrizioni, ai Luoghi Santi. Essenziale anche che il pellegrinaggio biblico di oggi ritorni alle sue motivazioni iniziali: un cammino penitenziale, alla ricerca di Dio.

Evangelizzazione e carità: missioni della Chiesa. L’Esortazione sottolinea che la trasmissione della fede è una missione essenziale della Chiesa. Di qui, l’invito del Papa alla nuova evangelizzazione che, nel contesto contemporaneo, segnato da cambiamenti, rende il fedele consapevole della sua testimonianza di vita: essa rafforza la sua parola quando parla di Dio coraggiosamente ed apertamente, per annunciare la Buona Novella di salvezza. In particolare, in Medio Oriente, l’approfondimento del senso teologico e pastorale dell’evangelizzazione dovrà guardare a due dimensioni, quella ecumenica e quella interreligiosa. Riguardo ai movimenti e alle comunità ecclesiali, il Papa li incoraggia ad agire in unione con il Vescovo del luogo e secondo le sue direttive pastorali, tenendo conto della storia, della liturgia, della spiritualità e della cultura locale, senza confusione né proselitismo. La Chiesa cattoliche del Medio Oriente è quindi invitata a rinnovare il suo spirito missionario, sfida quanto mai urgente in un contesto multiculturale e pluri-religioso. Un forte stimolo, in questo senso, potrà derivare dall’Anno della Fede. Riguardo alla carità, l’Esortazione ricorda che la Chiese deve seguire l’esempio di Cristo che si è fatto vicino ai più deboli: gli orfani, i poveri, i disabili, i malati?Infine, il Papa saluta ed incoraggia tutte le persone che operano, in modo impressionante, nei centri educativi, nelle scuole, negli istituti superiori e nelle università cattoliche del Medio Oriente. Tali strumenti di cultura – che devono essere sostenuti dai responsabili politici - dimostrano che esiste, in Medio Oriente, la possibilità di vivere nel rispetto e nella collaborazione, attraverso l’educazione alla tolleranza.

Catechesi e formazione cristiana: Il documento pontificio incoraggia la lettura e l’insegnamento del catechismo della Chiesa cattolica e un’iniziazione concreta alla Dottrina sociale della Chiesa. Allo stesso tempo, il Papa invita i Sinodi e gli altri organismi episcopali a facilitare i fedeli nell’accostarsi alla ricchezza spirituale dei Padri della Chiesa e ad attualizzare l’insegnamento patristico, complemento della formazione biblica.

CONCLUSIONI

In modo solenne, Benedetto XVI chiede, in nome di Dio, ai responsabili politici e religiosi non solo di alleviare le sofferenze di tutti coloro che vivono in Medio Oriente, ma anche di eliminarne le cause, facendo tutto il possibile per arrivare alla pace. Allo stesso tempo, i fedeli cattolici sono esortati a consolidare e a vivere la comunione tra loro, dando vita al dinamismo pastorale. “La tiepidezza dispiace a Dio” e quindi i cristiani del Medio Oriente, cattolici ed altri, diano testimonianza di Cristo, uniti e con coraggio. Si tratta di una testimonianza non facile, ma esaltante.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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15/10/2012 11:12
 
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Libertà, libertà di religione e libertà cristiana

 
 
Il Vescovo di Trieste spiega l'Esortazione Apostolica "Ecclesia in Medio Oriente"
di monsignor Giampaolo Crepaldi
 
ROMA, giovedì, 27 settembre 2012 (ZENIT.org) - Il Santo Padre Benedetto XVI è tornato sul tema della libertà di religione nella recente Esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”, dedicandovi soprattutto i paragrafi 25 e 27 a cui bisogna aggiungere i paragrafi 29 e 30 relativi a laicità e fondamentalismi.

Ambedue i blocchi di paragrafi sono disponibili nella sezione Documenti del sito dell’Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuan http://www.vanthuanobservatory.org. Sulla base di questi insegnamenti del Papa e di precedenti altri, vorrei proporre alcune osservazioni per  l’approfondimento e la discussione.

Indubbiamente la libertà di religione è un diritto naturale della persona umana. Il Magistero ha più volte insegnato che, in un certo senso, è il primo e il principale. Affermare che esso è un diritto naturale significa che esso è “precedente” alla scelta per l’una o per l’altra religione.

Ogni uomo ha il diritto di scegliere la sua religione, quella che egli ritiene la “vera religione”. Questo contiene un pericolo. Può indurre a pensare che la scelta per l’una o per l’altra religione sia indifferente rispetto alla libertà di religione e che questa rimanga tale e venga conservata e corroborata indifferentemente dalla scelta per l’una o per l’altra religione.

La libertà di religione ci sarebbe prima ed indipendentemente dalla scelta concreta per l’una o per l’altra che il fedele dovesse fare in seguito, quindi la scelta, che ne so, per il cristianesimo o per il buddismo, non avrebbe ripercussioni sulla libertà di religione, che ne sarebbe ugualmente confermata nei due casi.

Sostenere questo -  ossia l’indifferenza della scelta per l’una o l’altra religione rispetto alla libertà di religione – significa anche rinunciare alla “verità” delle religioni. Se l’uomo rimane libero comunque, indipendentemente dalla religione che sceglie, significa che tutte le religioni sono ugualmente vere. Tutte, infatti, rispettano la sua libertà. Non esistono religioni che, se scelte, comprometterebbero la libertà umana o comunque la inquinerebbero o la ridurrebbero. “La verità vi farà liberi”: ma se la libertà di religione c’è prima dell’incontro con le religioni e della scelta per una di esse, non potrà essere la verità della religione scelta a farci liberi.

La dottrina cristiana ha sempre distinto tra “libero arbitrio” e “libertà”. Il primo è la pura facoltà di scegliere. Il secondo è la concreta scelta per il bene. Chi infatti sceglie il male non è più libero, anche se mantiene il libero arbitrio. Si può dire che diventi schiavo di se stesso. La scelta del bene, ossia la vera libertà, può essere fatta alla luce della ragione.

Appartiene alla Rivelazione l’idea che l’uomo ha questa facoltà: nella sua coscienza razionale egli trova la luce del bene e il male. Però questa luce si appanna spesso e, dopo la caduta dei nostri progenitori, si inganna e devia dalla giusta strada. Senza la fede cristiana essa si perde. In altri termini: la ragione non è capace da sola di dare all’uomo la sua libertà, che pure egli ha per natura. Per farlo c’è bisogno della rivelazione e della fede.

Come si vede non è possibile che le religioni siano equivalenti a confermare e corroborare la vera libertà umana. Nella scelta di una religione piuttosto che di un’altra il libero arbitrio è fatto salvo, ma non la vera libertà. Questo perché non tutte le religioni sono egualmente vere, ma solo una è “vera”. E solo questa permette veramente di essere liberi. Tutte le religioni permettono di essere liberi, ma una sola lo permette veramente. Non si è liberi, infatti, se non secondo verità.

Torniamo allora al problema posto all’inizio. La libertà di religione non vuol dire che qualsiasi scelta religiosa conferma e verifica la libertà di religione. Saremmo in pieno relativismo religioso, che Benedetto XVI chiaramente condanna anche nella “Ecclesia in Medio Oriente”. Vuol dire che la libertà religiosa è un diritto naturale e che quindi non si può imporre con la forza una religione particolare.

Ma quel diritto naturale non è il semplice libero arbitrio, non è indifferente alla verità, ma si nutre di verità e di bene, cui solo la vera religione può dare piena risposta. Solo essa rende veramente liberi. Se da un lato è giusto riconoscere la libertà di religione, dall’altro si deve riconoscere che ci sono religioni che, una volta scelte, la danneggiano.

Se si pensa alla libertà solo come libero arbitrio, allora la libertà può essere esercitata anche senza avere rapporto con la verità. Ma se si pensa alla libertà come un diritto il cui esercizio è legato con il bene, allora la libertà non esiste fuori del rapporto con la verità. Se non esiste fuori del rapporto con la verità vuol dire che essa ha a che fare con essa fin da subito e non dopo, e quindi ha a che fare anche con Dio e quindi con la religione.
Il nesso verità-religione si pone fin da subito e con esso il nesso tra libertà e religione vera.

[SM=g1740733]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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