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Da L’infanzia di Gesù, di J. Ratzinger-Benedetto XVI- terza serie Gesù di Nazareth

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2014 00:54
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RICORDANDO LE PUNTATE AI LIBRI PRECEDENTI DEL PAPA, Gesù di Nazareth primo e secondo, CLICCATE QUI,

Esaurite le prime 300.000 copie
del secondo libro di Ratzinzer/Benedetto XVI





Io, protestante convinto
dal Gesù del Papa

Rainer Riesner

Il secondo libro del Papa "Gesù di Nazaret" non è un dono solo per i credenti. È un dono per tutte le persone in cerca della verità. Papa Benedetto è la voce cristiana più ascoltata in tutto il mondo. In questo libro non parla di un tema qualsiasi, bensì del centro della fede cristiana. Si tratta della figura di Gesù di Nazaret. E precisamente di due episodi nella sua vita in cui si decide se Gesù Cristo abbia un significato irrinunciabile anche per il XXI secolo. Al centro di questo secondo volume di Papa Benedetto sulla raffigurazione di Gesù vi sono la Croce e la Risurrezione. Nel libro del Papa su Gesù non si tratta, come lui stesso sottolinea, di una pubblicazione teologica. Questo libro non è stato preparato insieme a commissioni teologiche, il Papa qui presenta la sua personale descrizione di Gesù. In questo modo si è imbarcato senz’altro in un’impresa rischiosa.

  Uno dei punti di forza del libro del Papa è la dimostrazione che proprio le affermazioni del Nuovo Testamento sulla morte di Gesù come espiazione del peccato dell’uomo diventano comprensibili solo con l’aiuto dell’Antico Testamento e della sua traduzione in ebraico antico. Anche qui si esprime una grande stima per l’ebraismo da parte del Papa, che a diritto ha trovato un’eco molto positiva nella stampa internazionale.

Fa parte di quei fenomeni difficili da comprendere il fatto che certi esegeti rilevino in modo particolare la devozione ebraica di Gesù, ma che al tempo stesso gli vogliano togliere quasi tutti i riferimenti alla Sacra Scrittura d’Israele. Ma questi riferimenti non si limitano a citazioni dirette. Le parole di Gesù sono intessute di allusioni all’Antico Testamento. Se le si volesse eliminare tutte, non rimarrebbe molto. Gesù ha vissuto nella Sacra Scrittura d’Israele, come tra l’altro anche il Papa. Non tutte le scoperte sui riferimenti all’Antico Testamento ha potuto desumerle dalla letteratura esegetica. Alcune cose derivano evidentemente da una meditazione sulle Sacre Scritture condotta durante tutta la vita.

Con il racconto evangelico della tentazione e della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani, Papa Benedetto chiarisce perché molte visioni non sono all’altezza di Gesù. Il Getsemani mostra Gesù, soprattutto nella raffigurazione del Vangelo di Luca (22,44) e della Lettera agli Ebrei (5,7-8), in tutta la sua vulnerabile e impaurita umanità. Tuttavia, il Padre celeste si aspetta da lui che beva «il calice» (Mc 14,36), che qui significa nel linguaggio dell’Antico Testamento l’ira distruttiva di Dio (Is 51,17). Ciò indica che Gesù deve essere più di un semplice uomo. Assolutamente di proposito l’evangelista Marco ha trasmesso proprio qui l’intima invocazione «Abbà, padre» nella sua forma semitica, così come si udì dalla bocca di Gesù. «Solo se Gesù è risorto, è accaduto veramente qualcosa di nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo. Allora lui diventa il criterio su cui noi possiamo fare affidamento. Perché Dio si è mostrato davvero. Per questo nella nostra ricerca della figura di Gesù la Risurrezione è il punto decisivo. La risposta alla domanda se Gesù 'era' solamente oppure 'è' dipende dalla Risurrezione. Nel rispondere sì o no non si tratta di un singolo evento di fianco ad altri, bensì della figura di Gesù in quanto tale» (p. 202; pp. 212-3).

In questo ineludibile «aut aut» il Papa ha l’apostolo Paolo al suo fianco, che nella prima Lettera alla comunità di cristiani di Corinto scriveva: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo». (1Cor 15,14-15). «Solo un avvenimento vero di qualità radicalmente nuova poteva rendere possibile la predica apostolica, non spiegabile con speculazioni o esperienze interiori mistiche. Essa vive nella sua audacia e novità dell’impeto di un accadimento che nessuno aveva inventato e che faceva saltare ogni immaginazione»

(traduzione di Maurizio Boni)

[SM=g1740771]


....... ora apriamo questo thread per accogliere l'ultimo lavoro di Papa Benedetto in arrivo nelle librerie... [SM=g1740721]



"GESU' DI NAZARET, VOLUME TERZO. LA PREMESSA DEL SANTO PADRE


"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (TERZO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

PREMESSA


Finalmente posso consegnare nelle mani del lettore il piccolo libro da lungo tempo promesso sui racconti dell’infanzia di Gesù.

Non si tratta di un terzo volume, ma di una specie di piccola “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret. Qui ho ora cercato di interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù.

Un’interpretazione giusta, secondo la mia convinzione, richiede due passi.

Da una parte, bisogna domandarsi che cosa intendevano dire con il loro testo i rispettivi autori, nel loro momento storico – è la componente storica dell’esegesi. Ma non basta lasciare il testo nel passato, archiviandolo così tra le cose accadute tempo fa.
La seconda domanda del giusto esegeta deve essere: È vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo lo fa?
Di fronte a un testo come quello biblico, il cui ultimo e più profondo autore, secondo la nostra fede, è Dio stesso, la domanda circa il rapporto del passato col presente fa immancabilmente parte della nostra interpretazione.
Con ciò la serietà della ricerca storica non viene diminuita, ma aumentata.

Mi sono dato premura di entrare in questo senso in dialogo con i testi.

Con ciò sono ben consapevole che questo colloquio nell’intreccio tra passato, presente e futuro non potrà mai essere compiuto e che ogni interpretazione resta indietro rispetto alla grandezza del testo biblico. Spero che il piccolo libro, nonostante i suoi limiti, possa aiutare molte persone nel loro cammino verso e con Gesù.

Castel Gandolfo, nella solennità dell’Assunzione di Maria in Cielo


15 agosto 2012


Joseph Ratzinger – BENEDETTO XVI



Da L’infanzia di Gesù, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rizzoli – LEV, 2012

*******************

[SM=g1740758] Le anticipazioni sul terzo libro del Papa dedicato a Gesù di Nazareth

E’ vero ciò che è stato detto? Riguarda proprio me? E se mi riguarda in che modo?: sono le domande con le quali Benedetto XVI invita il lettore a leggere il suo nuovo libro “L’infanzia di Gesù”, terzo volume della Trilogia su Gesù di Nazareth, un’analisi dei testi dei Vangeli che in Italia uscirà prima di Natale, in coedizione con la Libreria Editrice Vaticana. L’editore, Rizzoli, ne dà dei brevi cenni in occasione della presentazione del libro del Papa alla Buchmesse di Francoforte, mentre sono in corso le trattative con editori di 32 Paesi per le traduzioni dall’originale tedesco in 20 lingue. Il servizio di Francesca Sabatinelli:


Una “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù. Così il Papa definisce nella premessa il suo libro.
Benedetto XVI spiega di aver voluto interpretare ciò che Matteo e Luca raccontano sull’infanzia di Gesù all’inizio dei loro Vangeli. Un’interpretazione che parte da due domande: la prima sul significato del messaggio dei due autori nel loro momento storico, la componente storica dell’esegesi. Poi, precisa il Papa, la seconda domanda, del “giusto esegeta”: “E’ vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda in che modo lo fa?”.
Di fronte al testo biblico, il cui ultimo e profondo autore è Dio stesso, spiega Benedetto XVI, la domanda sul rapporto del passato con il presente fa parte della nostra interpretazione. Nelle pagine fornite in anteprima, il Papa scrive che “Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione”, “non è nato e comparso in pubblico nell'imprecisato 'una volta' del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda”.


Successivamente, si legge che “Maria avvolse il bimbo in fasce”: questa immagine, afferma Benedetto XVI, è “un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato”.

Il Papa, partendo poi dall’interpretazione di Sant’Agostino della mangiatoia, scrive che essa “è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento”, ma è laddove giace “Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo, il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana”. Ecco allora che “la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.


 Radio Vaticana



[SM=g1740738]



[Modificato da Caterina63 23/11/2012 19:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/11/2012 16:19
 
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[SM=g1740758]

Città del Vaticano, 14 novembre 2012 (VIS). La Libreria Editrice Vaticana e la Casa Editrice Rizzoli hanno annunciato oggi che il 20 novembre prossimo si terrà la presentazione alla stampa internazionale del volume "L'infanzia di Gesù", il terzo volume della trilogia Gesù di Nazareth, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.

Il volume sarà presentato nella Sala Pio X (Via dell'Ospedale, 1), alle 11:00 di martedì 20 novembre. Interverranno il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; la Professoressa Maria Clara Bingemer, docente di teologia alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro; Don Giuseppe Costa, S.D.B., Direttore della Libreria Editrice Vaticana; il Dottor Paolo Mieli, Presidente di Rcs Libri ed il Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, che introduce e modera.



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L'INFANZIA DI GESÙ, TERZO LIBRO DELLA TRILOGIA DI JOSEPH RATZINGER

Città del Vaticano, 20 novembre 2012 (VIS).-”L'infanzia di Gesù”, il terzo volume della trilogia di Joseph Ratzinger dedicata a Gesù di Nazareth sarà disponibile nelle librerie italiane da domani, 21 novembre. Il libro, edito in Italia da Rizzoli e da Libreria Editrice Vaticana, uscirà in contemporanea in diverse lingue (italiano, croato, francese, inglese, portoghese, spagnolo, polacco e tedesco) e in 50 Paesi; la tiratura globale della prima edi- zione supera il milione di copie. Nei prossimi mesi, il volume sarà tradotto in 20 lingue per la pubblicazione in 72 Paesi.




Questa mattina, nella Sala Pio X del Vaticano, “L'infanzia di Gesù” è stato presentato alla stampa e sono intervenuti all'atto il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura; Maria Clara Bingemer, docente di teologia alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro; don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana; Paolo Mieli, presidente di Rizzoli (RCS) Libri, e Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

Il libro, definito dal suo Autore come una “sala d’ingresso” all’intera trilogia su Gesù di Nazaret, ha 176 pagine e si compone di quattro capitoli, di un Epilogo e di una breve Premessa. Segue un riassunto dell'opera:

Il primo capitolo è dedicato alla genealogia del Salvatore nei Vangeli di Matteo e di Luca, tra loro molto diverse, ma entrambe con lo stesso significato teologico-simbolico: la collocazione di Gesù nella storia e la sua vera origine come principio, un nuovo inizio nella storia del mondo.

Il tema del secondo capitolo è l’annuncio della nascita di Giovanni Battista e di quella di Gesù. Rileggendo il dialogo tra Maria e l’Arcangelo Gabriele secondo il Vangelo di Luca, Joseph Ratzinger spiega che, attraverso una donna, Dio cerca un “nuovo ingresso nel mondo”. Per liberare l’umanità dal peccato, scrive citando Bernardo di Chiaravalle, Dio ha bisogno dell’ “obbedienza libera” alla sua volontà. “Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al “sì” non forzato di una persona umana”. È così che, solo grazie all’assenso di Maria, può cominciare la storia della salvezza.

Al centro del terzo capitolo troviamo poi l’evento di Betlemme e il contesto storico della nascita di Gesù, l’impero romano che – sotto Augusto – si estende da Oriente a Occidente e, con la sua dimensione universale, consente l’ingresso nel mondo di “un universale portatore di salvezza”; “è, difatti, “la pienezza dei tempi”. I singoli elementi del racconto della nascita sono densi di significato: la povertà in cui “il vero primogenito dell’universo” sceglie di rivelarsi, e dunque lo “splendore cosmico” che avvolge la mangiatoia; l’amore speciale di Dio per i poveri, che si manifesta nell’annun- cio ai pastori; e le parole del Gloria, oggetto di traduzioni controverse.

Ai Magi sapienti, che avevano visto sorgere la stella “del re dei Giudei” ed erano venuti per ado- rarlo, e alla fuga in Egitto, è dedicato il quarto capitolo. Dove le figure dei “mágoi”, ricostruite attraverso una ricca gamma di informazioni storico-linguistiche e scientifiche, sono delineate come emblema affascinante dell’inquietudine, della ricerca e dell’attesa interiore dello spirito umano.

Infine l’Epilogo, con il racconto – secondo il Vangelo di Luca – dell’ultimo episodio dell’infanzia di Gesù, l’ultima notizia che abbiamo prima dell’inizio della sua vita pubblica con il battesimo nel fiume Giordano. È l’episodio dei tre giorni, durante il pellegrinaggio di Pasqua, in cui Gesù dodicenne si allontana da Maria e Giuseppe e rimane nel Tempio di Gerusalemme a discutere con i “dottori”. Egli, che “cresceva in sapienza, età e grazia”, si manifesta qui nel mistero della sua natura di vero Dio e, insieme, di vero uomo, che “ha pensato ed imparato in maniera umana”.


Fraternamente CaterinaLD

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"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (TERZO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

ESTRATTI


Quando è nato Gesù


Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione. All’inizio dell’attività pubblica di Gesù, Luca offre ancora una volta una datazione dettagliata ed accurata di quel momento storico: è il quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare; vengono inoltre menzionati il governatore romano di quell’anno e i tetrarchi della Galilea, dell’Iturea e della Traconìtide, come anche dell’Abilene, e poi i capi dei sacerdoti (cfr. Luca, 3, 1 ss).

Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos eterno si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (Matteo, 28, 7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Matteo, 28, 16ss).

Da pagina 36 del manoscritto


Quel bimbo stretto in fasce


Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare.

Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo — come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini.

Da pagina 38 del manoscritto



Da L’infanzia di Gesù, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rizzoli – LEV, 2012

Il ruolo di una donna, Maria, nella storia del mondo

[La genealogia di Matteo] termina con una donna: Maria che, in realtà, è un nuovo inizio e relativizza l’intera genealogia. Attraverso tutte le generazioni, tale genealogia aveva proceduto secondo lo schema: «Abramo generò Isacco…». Ma alla fine compare una cosa ben diversa. Riguardo a Gesù non si parla più di generazione, ma si dice: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16).
Nel successivo racconto della nascita di Gesù, Matteo ci dice che Giuseppe non era il padre di Gesù e che egli intendeva ripudiare Maria in segreto a causa del presunto adulterio. E allora gli viene detto: «Ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo» (Mt 1,20). Così, l’ultima frase dà una nuova impostazione dell’intera genealogia. Maria è un nuovo inizio. Il suo bambino non proviene da alcun uomo, ma è una nuova creazione, è stato concepito per opera dello Spirito Santo. La genealogia rimane importante: Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui, Egli appartiene secondo la Legge, «legalmente», alla tribù di Davide. E tuttavia viene da altrove, «dall’alto» – da Dio stesso. Il mistero del «di dove», della duplice origine, ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e, tuttavia, è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il «Padre» suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo. E, ciononostante, alla fine è Maria, l’umile vergine di Nazaret, colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana.

Capitolo 1: «Di dove sei tu?» (Gv 19,9), PP. 15-16


Da L’infanzia di Gesù, di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Rizzoli – LEV, 2012

[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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17/10/2013 16:43
 
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[SM=g1740758] della pubblicazione del secondo volume riportiamo la seguente conferenza stampa di quel giorno....


  CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI: "GESÙ DI NAZARET - SECONDA PARTE. DALL’INGRESSO IN GERUSALEMME FINO ALLA RISURREZIONE" (LIBRERIA EDITRICE VATICANA)

 

Alle ore 17.00 di oggi 10.3.2011, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del libro di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI: "Gesù di Nazaret - Seconda Parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione" (Libreria Editrice Vaticana).

Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. Marc Ouellet:

Nonostante sia assai denso, questo libro si legge per intero senza interruzioni. Percorrendone i nove capitoli e le prospettive finali, il lettore è trasportato per sentieri scoscesi verso l’avvincente incontro con Gesù, una figura familiare che si rivela ancor più vicina nella sua umanità come nella sua divinità. Completata la lettura, si vorrebbe proseguire il dialogo, non soltanto con l’autore ma con Colui del quale egli parla. Gesù di Nazareth è più di un libro, è una testimonianza commovente, affascinante, liberatrice. Quanto interesse susciterà tra gli esperti e tra i fedeli!

L’EVENTO

Oltre l’interesse d’un libro su Gesù, è il libro del papa che si presenta in umiltà al foro degli esegeti, per confrontarsi con loro sui metodi e sui risultati delle loro ricerche. Lo scopo del Santo Padre è quello di andare con loro più lontano, in stretto rigore scientifico, certo, ma anche nella fede nello Spirito Santo che scandaglia le profondità di Dio nella Sacra Scrittura. In questo foro, gli scambi fecondi predominano di molto sugli accenti critici, e ciò contribuisce a far meglio conoscere e riconoscere l’essenziale contributo degli esegeti.

Non c’è forse da trarre grande speranza da questo riavvicinamento tra l’esegesi rigorosa dei testi biblici e l’interpretazione teologica della Sacra Scrittura? Io non posso fare a meno di scorgere in questo libro l’aurora d’una nuova era dell’esegesi, una promettente era di esegesi teologica.

Il papa dialoga in primo luogo con l’esegesi tedesca ma non ignora importanti autori che appartengono alle aree linguistiche francofona, anglofona e latina. Eccelle nell’individuare le questioni essenziali e i nodi decisivi, costringendosi ad evitare le discussioni sui dettagli e le dispute di scuola che pregiudicherebbero il suo proposito, che è quello di «trovare il Gesù reale», non il «Gesù storico» proprio del filone dominante dell’esegesi critica, ma il «Gesù dei Vangeli» ascoltato in comunione con i discepoli di Gesù d’ogni tempo, e così «giungere anche alla certezza della figura veramente storica di Gesù» (9).

Questa formulazione del suo obiettivo manifesta l’interesse metodologico del libro. Il papa affronta in modo pratico ed esemplare il complemento teologico auspicato dall’Esortazione Apostolica Verbum Domini per lo sviluppo dell’esegesi. Nulla stimola di più dell’esempio dato e dei risultati ottenuti. Gesù di Nazareth offre una magnifica base per un fruttuoso dialogo non solo tra esegeti, ma anche tra pastori, teologi ed esegeti.

Prima di illustrare con alcuni esempi i risultati di questa esegesi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, aggiungo ancora un’osservazione sul metodo. L’autore si sforza di applicare in maggior profondità i tre criteri d’interpretazione formulati al Concilio Vaticano II dalla Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: tener conto dell’unità della Sacra Scrittura, del complesso della Tradizione della Chiesa e rispettare l’analogia della fede. Come buon pedagogo che ci ha abituati alle sue omelie mistagogiche, degne di san Leone Magno, Benedetto XVI, a partire dalla figura - oh quanto centrale ed unica - di Gesù, mostra la pienezza di senso che promana dalla Sacra Scrittura «interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta » (DV 12).

Anche se l’autore si preclude d’offrire un Insegnamento ufficiale della Chiesa, è facile immaginare che la sua autorità scientifica e la ripresa in profondità di certe questioni disputate saranno di grande aiuto per confermare la fede di molti. Serviranno inoltre a far progredire dei dibattiti rimasti insabbiati a motivo dei pregiudizi razionalisti e positivisti che hanno intaccato il prestigio dell’esegesi moderna e contemporanea.

Tra la comparsa del primo volume nell’aprile 2007 e quella del secondo in questa Quaresima 2011, un gran numero di eventi felici ma anche di penose esperienze ha segnato la vita della Chiesa e del mondo. Ci si chiede come il papa sia riuscito a scrivere quest’opera molto personale e molto impegnativa, di cui l’attualità del tema e l’audacia del progetto balzano agli occhi di chiunque s’interessi al cristianesimo. Come teologo e come pastore, ho la sensazione di vivere un momento storico di grande portata teologica e pastorale. È come se in mezzo alle onde che agitano la barca della Chiesa, Pietro avesse ancora una volta afferrato la mano del Signore che ci viene incontro sulle acque, per salvarci (Mt 14, 22-33).

NODI DA SCIOGLIERE

Detto ciò che riguarda il carattere storico, teologico e pastorale dell’evento, veniamo al contenuto del libro che vorrei riassumere assai a grandi linee attorno ad alcune questioni cruciali. Innanzitutto la questione del fondamento storico del cristianesimo che attraversa i due volumi dell’opera; poi la questione del messianismo di Gesù, seguita da quella dell’espiazione dei peccati da parte del Redentore, che costituisce un problema per molti teologi; allo stesso modo la questione del sacerdozio di Cristo in rapporto alla sua Regalità e al suo Sacrificio che tanta importanza rivestono per la concezione cattolica del sacerdozio e della Santa Eucaristia; da ultimo la questione della risurrezione di Gesù, il suo rapporto alla corporeità ed il suo legame con la fondazione della Chiesa.

Non occorre dire che l’elenco non è esaustivo e molti troveranno altre questioni più interessanti, ad esempio il suo commento del discorso escatologico di Gesù o ancora della preghiera sacerdotale in Giovanni 17. Io identifico le questioni qui esposte come nodi da sciogliere in esegesi come in teologia, allo scopo di ricondurre la fede dei fedeli alla Parola stessa di Dio, compresa in tutta la sua forza e la sua coerenza, nonostante i condizionamenti teologici e culturali che a volte impediscono l’accesso al senso profondo della Scrittura.

La questione del fondamento storico del cristianesimo impegna Joseph Ratzinger fin dagli anni della sua formazione e del suo primo insegnamento, come appare dal suo volume su Introduzione al cristianesimo (Einführung in das Christentum), pubblicato oltre quarant’anni or sono, e che ebbe all’epoca un notevole impatto sugli uditori e i lettori. Dal momento che il cristianesimo è la religione del Verbo incarnato nella storia, per la Chiesa è indispensabile stare ai fatti ed agli avvenimenti reali, proprio in quanto essi contengono dei «misteri» che la teologia deve approfondire utilizzando chiavi d’interpretazione che appartengono al dominio della fede. In questo secondo volume che tratta degli avvenimenti centrali della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, l’autore confessa che il compito è particolarmente delicato. La sua esegesi interpreta i fatti reali in maniera analoga al trattato su «i misteri della vita di Gesù» di san Tommaso d’Aquino, «guidato dall’ermeneutica della fede, ma tenendo conto nello stesso tempo e responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta in questa stessa fede» (9).

Sotto questa luce, si comprende l’interesse del papa per l’esegesi storico-critica ch’egli ben conosce e da cui trae il meglio per approfondire gli avvenimenti dell’Ultima Cena, il significato della preghiera del Getsemani, la cronologia della passione ed in particolare le tracce storiche della risurrezione. Non manca di porre in evidenza di passaggio il difetto d’apertura di un’esegesi esercitata in modo troppo esclusivo secondo la «ragione», ma il suo principale intendimento rimane quello di far luce teologicamente sui fatti del Nuovo Testamento con l’aiuto dell’Antico Testamento e viceversa, in modo analogo ma più rigoroso rispetto all’interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. Il legame del cristianesimo con l’ebraismo appare rafforzato da questa esegesi che si radica nella storia di Israele ripresa nel suo orientamento verso il Cristo. Ecco allora, per esempio, che la preghiera sacerdotale di Gesù, che sembra per eccellenza una meditazione teologica, acquisisce in lui una dimensione del tutto nuova grazie alla sua interpretazione illuminata dalla tradizione ebraica dello Yom Kippur.

Un secondo nodo riguarda il messianismo di Gesù. Certi esegeti moderni hanno fatto di Gesù un rivoluzionario, un maestro di morale, un profeta escatologico, un rabbi idealista, un folle di Dio, un messia in qualche modo a immagine del suo interprete influenzato dalle ideologie dominanti.

L’esposizione di Benedetto XVI su questo punto è diffusa e ben radicata nella tradizione ebraica. Egli s’inserisce nella continuità di questa tradizione che unisce il religioso e il politico, ma sottolineando a qual punto Gesù operi la rottura tra i due domini. Gesù dichiara davanti al Sinedrio d’essere il Messia, ma non senza chiarire la natura esclusivamente religiosa del proprio messianismo. È d’altra parte per questo motivo che è condannato come blasfemo, poiché si è identificato con «il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo». Il papa espone con forza e chiarezza le dimensioni regale e sacerdotale di questo messianismo, il cui senso è quello d’instaurare il culto nuovo, l’adorazione in Spirito e in Verità, che coinvolge l’intera esistenza, personale e comunitaria, come un’offerta d’amore per la glorificazione di Dio nella carne.

Un terzo nodo da sciogliere riguarda il senso della redenzione e il posto che vi deve o meno occupare l’espiazione dei peccati. Il papa affronta le obiezioni moderne a questa dottrina tradizionale. Un Dio che esige una espiazione infinita non è forse un Dio crudele la cui immagine è incompatibile con la nostra concezione d’un Dio misericordioso? Come conciliare le nostre moderne mentalità sensibili all’autonomia delle persone con l’idea di un’espiazione vicaria da parte di Cristo? Questi nodi sono particolarmente difficili da sciogliere.

L’autore riprende queste domande più volte, a diversi livelli, e mostra come la misericordia e la giustizia vadano di pari passo nel quadro dell’Alleanza voluta da Dio. Un Dio che perdonasse tutto senza preoccuparsi della risposta che deve dare la sua creatura avrebbe preso sul serio l’Alleanza e soprattutto l’orribile male che avvelena la storia del mondo? Quando si guardano da vicino i testi del Nuovo Testamento, domanda l’autore, non è Dio a prendere su se stesso, nel suo Figlio crocifisso, l’esigenza d’una riparazione e d’una risposta d’amore autentico? «Dio stesso ‘beve il calice’ di tutto ciò che è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore che, attraverso la sofferenza, trasforma il buio» (258-259).

Tali questioni sono poste e risolte in un senso che invita alla riflessione ed in primo luogo alla conversione. Non si può infatti veder chiaro in tali questioni ultime rimanendo neutrali o a distanza. Occorre investirvi la propria libertà per scoprire il senso profondo dell’Alleanza che giustamente impegna la libertà d’ogni persona. La conclusione del Santo Padre è perentoria: «Il mistero dell’espiazione non dev’essere sacrificato a nessun razionalismo saccente» (267).

Un quarto nodo concerne il Sacerdozio di Cristo. Secondo le categorie ecclesiali del giorno d’oggi, Gesù era un laico investito d’una vocazione profetica. Non apparteneva all’aristocrazia sacerdotale del Tempio e viveva al margine di questa fondamentale istituzione del popolo d’Israele. Questo fatto ha indotto molti interpreti a considerare la figura di Gesù come del tutto estranea e senza alcun rapporto con il sacerdozio. Benedetto XVI corregge quest’interpretazione appoggiandosi saldamente sull’Epistola agli Ebrei che parla diffusamente del Sacerdozio di Cristo, e la cui dottrina ben si armonizza con la teologia di san Giovanni e di san Paolo.

Il Papa risponde ampiamente alle obiezioni storiche e critiche mostrando la coerenza del sacerdozio nuovo di Gesù con il culto nuovo ch’egli è venuto a stabilire sulla terra in obbedienza alla volontà del Padre. Il commento della preghiera sacerdotale di Gesù è d’una grande profondità e conduce il lettore a pascoli che non aveva immaginato. L’istituzione dell’Eucaristia appare in questo contesto d’una bellezza luminosa che si ripercuote sulla vita della Chiesa come suo fondamento e sua sorgente perenne di pace e di gioia. L’autore si attiene strettamente alle più approfondite analisi storiche ma dipana egli stesso delle aporie come solo un’esegesi teologica può farlo. Si giunge al termine del capitolo sull’Ultima Cena non senza emozione e restandone ammirati.

Un ultimo nodo da me considerato riguarda infine la risurrezione, la sua dimensione storica ed escatologica, il suo rapporto alla corporeità e alla Chiesa. Il Santo Padre comincia senza giri di parole: « La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo è risorto dai morti » (269).

Il papa insorge contro le elucubrazioni esegetiche che dichiarano compatibili l’annuncio della risurrezione di Cristo e la permanenza del suo cadavere nel sepolcro. Egli esclude queste assurde teorie osservando che il sepolcro vuoto, anche se non è una prova della risurrezione, di cui nessuno è stato diretto testimone, resta un segno, un presupposto, una traccia lasciata nella storia da un evento trascendente. «Solo un avvenimento reale d’una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche» (305).

Secondo lui, la risurrezione di Gesù introduce una sorta di «mutazione decisiva», un «salto di qualità» che inaugura «una nuova possibilità d’essere uomo». La paradossale esperienza delle apparizioni rivela che in questa nuova dimensione dell’essere «egli non è legato alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo». Gesù vive in pienezza, in un nuovo rapporto con la corporeità reale, ma è libero nei confronti dei vincoli corporei quali noi li conosciamo.

L’importanza storica della risurrezione si manifesta nella testimonianza delle prime comunità che hanno dato vita alla tradizione della domenica come segno identificativo d’appartenenza al Signore. «Per me,  dice il Santo Padre  la celebrazione del Giorno del Signore, che fin dall’inizio distingue la comunità cristiana, è una delle prove più forti del fatto che in quel giorno è successa una cosa straordinaria – la scoperta del sepolcro vuoto e l’incontro con il Signore risorto» (288).

Nel capitolo sull’Ultima Cena, il papa affermava: «Con l’Eucaristia, la Chiesa stessa è stata istituita». Qui aggiunge un’osservazione di grande portata teologica e pastorale: «Il racconto della risurrezione diviene per se stesso ecclesiologia: l’incontro con il Signore risorto è missione e dà alla Chiesa nascente la sua forma» (289). Ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia domenicale andiamo all’incontro con il Risorto che torna verso di noi, nella speranza che noi rendiamo così testimonianza ch’Egli è vivente e ch’Egli ci fa vivere. Non c’è in tutto questo di che rifondare il senso della messa domenicale e della missione?

INVITO AL DIALOGO

Dopo aver citato questi nodi senza che mi sia possibile estendermi in modo adeguato sulla loro soluzione, mi preme concludere questa sommaria presentazione facendo un poco più spazio al significato di questa grande opera su Gesù di Nazareth.

È evidente come mediante quest’opera il successore di Pietro si dedichi al suo ministero specifico che è di confermare i suoi fratelli nella fede. Ciò che qui colpisce in sommo grado, è il modo con cui lo fa, in dialogo con gli esperti in campo esegetico, ed in vista di alimentare e fortificare la relazione personale dei discepoli con il loro Maestro e Amico, oggi. Una tal esegesi, teologica quanto al metodo, ma che include la dimensione storica, si riallaccia effettivamente al modo di interpretare dei Padri della Chiesa, senza tuttavia che l’interpretazione s’allontani dal senso letterale e dalla storia concreta per evadere in artificiose allegorie.

Grazie all’esempio che dà ed ai risultati che ottiene, questo libro eserciterà una mediazione tra l’esegesi contemporanea e l’esegesi patristica, da un lato, come anche nel necessario dialogo tra esegeti, teologi e pastori, da un altro. In quest’opera vedo un grande invito al dialogo su ciò che è essenziale del cristianesimo, in un mondo in cerca di punti di riferimento, in cui le differenti tradizioni religiose faticano a trasmettere alle nuove generazioni l’eredità della saggezza religiosa dell’umanità.

Dialogo dunque all’interno della Chiesa, dialogo con le altre confessioni cristiane, dialogo con gli Ebrei il cui coinvolgimento storico in quanto popolo nella condanna a morte di Gesù viene una volta di più escluso. Dialogo infine con altre tradizioni religiose sul senso di Dio e dell’uomo che emana dalla figura di Gesù, così propizia alla pace e all’unità del genere umano.

Al termine d’una prima lettura, avendo maggiormente gustato la Verità di cui con umiltà e passione è testimone l’autore, sento il bisogno di dar seguito a questo incontro di Gesù di Nazareth sia con l’invitare altri a leggerlo che riprendendone la lettura una seconda volta come meditazione del tempo liturgico di Quaresima e di Pasqua. Credo che la Chiesa debba rendere grazie a Dio per questo libro storico, per quest’opera cerniera tra due epoche, che inaugura una nuova era dell’esegesi teologica. Questo libro avrà un effetto liberatorio per stimolare l’amore della Sacra Scrittura, per incoraggiare la lectio divina e per aiutare i preti a predicare la Parola di Dio.

Alla fine di questo rapido volo su un’opera che avvicina il lettore al vero volto di Dio in Gesù Cristo, non mi rimane che dire: Grazie, Santo Padre! Consentitemi tuttavia di aggiungere ancora un’ultima parola, una domanda, poiché un simile servizio reso alla Chiesa e al mondo nelle circostanze che si conoscono e con i condizionamenti che si possono intuire, merita più d’una parola o d’un gesto di gratitudine. Il Santo Padre tiene la mano di Gesù sulle onde burrascose e ci tende l’altra mano perché insieme noi non facciamo che una cosa sola con Lui. Chi afferrerà questa mano tesa che ci trasmette le parole della Vita eterna?

[SM=g1740771]





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Premio Ratzinger. Il Papa: Benedetto XVI ha fatto teologia "in ginocchio", i suoi libri risvegliano la fede 


I libri su Gesù scritti da Benedetto XVI hanno permesso di scoprire o di rafforzare la fede in molte persone e hanno aperto una nuova stagione di studi sui Vangeli. È la considerazione centrale espressa stamattina 26 ottobre 2013 da Papa Francesco, che ha insignito due teologi – un britannico e un tedesco – del “Premio Ratzinger”, giunto alla terza edizione e promosso dalla Fondazione vaticana "Joseph Ratzinger-Benedetto XVI". 
Il servizio di Alessandro De Carolis:Radio Vaticana


Hanno fatto del bene a tanti, questo è indubbio, che fossero studiosi o gente semplice, vicini o lontani da Cristo. Questo è il risultato prodotto dai tre libri su Gesù di Nazaret, scritti da Benedetto XVI tra il 2007 e il 2012, e in generale il bene operato dalla sua sapienza teologica, frutto di preghiera prima che di impegno intellettuale. Papa Francesco lo ha riconosciuto e celebrato pubblicamente nel giorno e nel contesto più appropriati, al cospetto dei due teologi – il britannico Richard Burridge e il tedesco Christian Schaller – che hanno ricevuto dalle mani di Papa Francesco il Premio intitolato al Papa emerito. Ma la consegna del cosiddetto “Nobel della teologia – come viene considerato il Premio Ratzinger dalla sua istituzione, nel 2010 – ha fornito a Papa Francesco soprattutto l’occasione per una riflessione personale sul valore della trilogia scritta da Benedetto XVI-Joseph Ratzinger. Ricordando lo stupore di alcuni di fronte a testi che non erano propri del magistero ordinario, Papa Francesco ha osservato:

"Certamente Papa Benedetto si era posto questo problema, ma anche in quel caso, come sempre, lui ha seguito la voce del Signore nella sua coscienza illuminata. Con quei libri lui non ha fatto magistero in senso proprio, e non ha fatto uno studio accademico. Lui ha fatto dono alla Chiesa e a tutti gli uomini di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù, frutto di anni e anni di studio, di confronto teologico e di preghiera – perché Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio, e tutti lo sappiamo – e questa l’ha messa a disposizione nella forma più accessibile”.

“Nessuno può misurare quanto bene ha fatto con questo dono; solo il Signore lo sa”. E tuttavia, ha soggiunto Papa Francesco:

“Tutti noi ne abbiamo una certa percezione, per aver sentito tante persone che grazie ai libri su Gesù di Nazaret hanno nutrito la loro fede, l’hanno approfondita, o addirittura si sono accostati per la prima volta a Cristo in modo adulto, coniugando le esigenze della ragione con la ricerca del volto di Dio”.

E non solo il cuore alla ricerca o alla riscoperta di Gesù è stato toccato dalle parole del Papa emerito. Anche la mente di tanti studiosi – ha riconosciuto Papa Francesco – ha ricevuto nuova linfa:

“L’opera di Benedetto XVI ha stimolato una nuova stagione di studi sui Vangeli tra storia e cristologia, e in questo ambito si pone anche il vostro Simposio, di cui mi congratulo con gli organizzatori e i relatori”.

Con i vincitori del Premio Ratzinger 2013, Papa Francesco si è congratulato anche a nome di Benedetto XVI – con il quale ha detto di essersi incontrato "quattro giorni fa" – e li ha salutati con questo augurio: “Il Signore benedica sempre voi e il vostro lavoro al servizio del suo Regno”.




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Gesù di Nazaret nella trilogia di Joseph Ratzinger e Benedetto XVI (Müller)

 
Figura e messaggio

Anticipiamo brani della prolusione che l’arcivescovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede tiene martedì 10 dicembre alla Pontificia Università Lateranense per la presentazione del volume VI,1 dell’opera omnia di Joseph Ratzinger e Benedetto XVI Gesù di Nazaret. La figura e il messaggio nelle edizioni in lingua italiana (Libreria Editrice Vaticana) e tedesca (Herder), che presenta riuniti i tre volumi su Gesù apparsi nel 2007, nel 2011 e nel 2012.


(©L'Osservatore Romano 11 dicembre 2013)


Gesù di Nazaret nella trilogia di Joseph Ratzinger e Benedetto XVI 


Incontro personale 


di GERHARD LUDWIG MÜLLER


L’unità di Gesù con Dio è il contenuto della confessione di fede originaria, riconosciuta sia nella forma predicata e vissuta dal Gesù pre-pasquale, sia nella relazione intradivina del Figlio eterno col Padre, cui si accede mediante l’evento pasquale. Tale percezione, tuttavia, rimane inaccessibile a una conoscenza puramente naturale dei discepoli, perciò dipende dall’azione dello Spirito Santo, dono del Crocifisso-Risorto tornato al Padre. Sullo sfondo di questa ermeneutica cristologica fondamentale, tra storicità e trascendenza, prende forma lo studio storico-teologico di Benedetto XVI. Come la confessione di fede primitiva scaturisce dall’incontro personale dei discepoli con Gesù Crocifisso — risuscitato dal Padre — nello Spirito, così Benedetto XVI offre la propria testimonianza di quello stesso incontro, con il linguaggio di oggi, mediato dalla sua esperienza ecclesiale. 

In quanto studio critico e insieme meditazione teologica, la trilogia su Gesù di Nazaret si propone di illustrare il cammino messianico di Gesù in mezzo al suo popolo, fino al suo esito pasquale, cui si aggiungono i racconti dell’infanzia. Lo stile adottato dell’autore si avvicina a quello dei Padri della Chiesa, che amavano collegare alcuni riferimenti dell’Antico Testamento alle scene evangeliche, per mostrare la novità di Gesù, in una sorta di continuità con l’antica alleanza. Ciò che la comunità cristiana crede viene così custodito nella fedeltà alle radici ebraiche, sulle quali fiorisce il compimento delle promesse fatte da Dio al suo popolo Israele, per dilatarsi in un orizzonte universale. Al lettore si domanda di lasciarsi avvolgere da quel clima di fiducia che dispone a entrare nella sequela.

Nel primo volume — Dal battesimo alla trasfigurazione — Benedetto XVI mette in risalto la singolare immediatezza del rapporto di Gesù con Dio, al quale si riferisce in quanto Figlio: «Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio: vive in profonda unità col Padre» (Gesù I, p. 26). In tal modo, quella che potrebbe sembrare una prospettiva “dall’alto”, in verità, appartiene a ciò che i Vangeli trasmettono nel modo più naturale e continuo — potremmo dire “dal basso” del Figlio che si rivolge “all’alto” del Padre. Infatti, mai si dubita che Egli si sia percepito in questa relazione filiale di ascolto e obbedienza: «L’Io di Gesù impersona la comunione di volontà del Figlio col Padre. È un io che ascolta e obbedisce» (Gesù I, p. 145). La viva umanità di Gesù è sempre riferita e orientata al Padre, come alla sua origine e al suo destino. Il Padre sta dietro di Lui, in quanto lo ha inviato; gli sta dinanzi, come Colui che lo sostiene e lo attende. Vengono così in luce i tratti essenziali della figura di Gesù, lungi dalla preoccupazione di entrare nell’intimo della sua coscienza, peraltro di difficile accesso attraverso testi non da Lui scritti. 

Il volto del Signore, com’è percepito dal senso della fede che ogni credente sa riconoscere, viene qui rappresentato lungo la strada che va dal fiume Giordano al monte Tabor.

L’autore presenta i quadri del ministero pubblico di Gesù nella loro successione cronologica e tematica (il battesimo; le tentazioni; l’annuncio del Regno; il discorso della montagna; l’insegnamento del Padre nostro; i discepoli; le parabole; le immagini giovannee; la professione di fede di Pietro e la trasfigurazione; una conclusione sulle affermazioni di Gesù su se stesso). Egli parte da un testo o da un episodio, ne ricostruisce la base anticotestamentaria, illumina il senso della scena o dell’insegnamento in rapporto ad altri passi evangelici, attinge a qualche interpretazione patristica, per concludere mostrando il significato che questo avvenimento può acquisire per il nostro presente. Senza alcun timore nei confronti del metodo storico-critico, lungi dalla vivisezione di un cadavere che dovrebbe essere rianimato dalla strumentazione esegetica e filologica, l’esposizione dell’autore si muove tra storia e trascendenza. La persona di Gesù è colta nella prospettiva di fede, secondo una profonda ragionevolezza, che si rivolge umilmente alla libertà di chi legge. La scelta di questa ermeneutica fondamentale si basa sul fatto che i Vangeli ci mostrano un Gesù sostanzialmente armonico, pur sotto diverse angolature. Quella che potrebbe apparire come riduzione della pluralità neotestamentaria all’unità del soggetto Gesù Cristo, che parla e agisce coerentemente, in realtà, è ciò da cui trae origine la varietà delle testimonianze evangeliche. Attraverso questa feconda tensione tra unità e pluralità si dischiude l’accesso alla continuità sostanziale tra il Gesù storico dei Vangeli e quello predicato dalla Chiesa.

Il quadro centrale della trilogia — Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione — è composto da dieci scene (ingresso in Gerusalemme e purificazione del Tempio; il discorso escatologico di Gesù; la lavanda dei piedi; la preghiera sacerdotale di Gesù; l’ultima cena; Getsèmani; il processo a Gesù; la crocifissione e la deposizione di Gesù nel sepolcro; la risurrezione di Gesù dalla morte; è salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre e di nuovo verrà nella gloria). Proseguendo con il medesimo stile, l’autore si confronta con la letteratura esegetica e teologica, alla ricerca delle scelte che sostengono la maggiore plausibilità storica degli avvenimenti considerati. Alcuni riferimenti al tempo presente sono rivolti all’attualizzazione del messaggio di Gesù. L’inseparabile legame tra l’identità filiale divina di Gesù, pienamente rivelata nell’evento pasquale, e la professione della fede ecclesiale costituisce la base fondamentale della meditazione teologica. Potremmo dire che in quest’opera, Benedetto XVI espone in forma narrativa e meditativa il contenuto della sua prospettiva cristologica fondamentale, presentata in modo sistematico nel volume Introduzione al cristianesimo (1968).

L’essere di Gesù totalmente relativo al Padre, in relazione intima e incomparabile con Lui, è l’assunto centrale su cui si fonda l’inscindibile unità tra il suo essere e agire, dando luogo a una sorta di “concretizzazione ontologica”: «Egli è tutto insieme Figlio, Verbo, missione; il suo agire penetra sino alla estrema radice del suo essere, formando un tutto unico con esso. 
Ed è precisamente in questa inscindibile unità fra essere e agire, che sta la sua peculiarità» (Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, Queriniana, 1969, p. 178). La persona di Gesù, Verbo eterno di Dio, vive i giorni della sua carne alla presenza del Padre da cui viene e a cui torna, attraverso il suo ministero di mediatore escatologico del Regno di Dio. Conseguentemente, non è possibile interpretare le affermazioni cristologiche dei Concili antichi in discontinuità con le testimonianze neotestamentarie, nel momento in cui formularono con la concettualità greca quanto proveniente dall’ambiente semitico dei Vangeli. Per introdurre il lettore al mistero dell’origine di Gesù, l’autore ci ha offerto il terzo quadro, sui racconti dell’infanzia («Di dove sei tu?»; l’annuncio della nascita di Giovanni Battista e della nascita di Gesù; la nascita di Gesù a Betlemme: i magi d’oriente e la fuga in Egitto; Gesù dodicenne nel Tempio) — coerentemente con l’evoluzione storica, letteraria e teologica dei Vangeli. La domanda che Pilato rivolge a Gesù — «Di dove sei tu?» (Giovanni, 19, 9) — va ben oltre una richiesta d’informazione; è la domanda sulla sua intima origine e sulla sua vera natura, che sta sotto uno strano paradosso: «L’origine di Gesù è insieme nota e ignota, è apparentemente facile da spiegare e, tuttavia, con ciò non è trattata in modo esauriente» (Infanzia, p. 12). Ora, i Vangeli di Matteo e Luca, per rispondere a questa domanda, premettono ai racconti le loro genealogie. Invece, Giovanni apre il suo Vangelo con un Prologo (1, 1-18), rispondendo in modo differente alla domanda sul “di dove” riguardo a Gesù, che ha come conseguenza la nostra genealogia di credenti. 
Egli viene da Dio, in principio è con Lui, e la sua carne è la tenda dell’incontro, ove s’inaugura un nuovo modo di essere uomini. Perciò, «chi crede in Gesù, entra, mediante la fede, nell’origine personale e nuova di Gesù, riceve questa origine come origine propria. (...) la nostra vera “genealogia” è la fede in Gesù, che ci dona una nuova provenienza, ci fa nascere “da Dio”» (Infanzia, p. 21).

Da questo tipo di accostamento tra le diverse prospettive evangeliche, emerge una profonda coerenza circa l’origine di Gesù: Colui che nasce nel tempo da Maria è il medesimo che era “in principio” presso Dio. Su questa base, sarà possibile formulare il dogma dell’unione ipostatica, senza con ciò inventare quanto nei Vangeli non avrebbe fondamento. In conclusione, con la trilogia di Joseph Ratzinger Benedetto XVI, abbiamo di fronte la vivida rappresentazione del «protagonista finalmente apparso» (Infanzia, p. 27), che non corrisponde al cadavere vivisezionato dell’esegesi scientifica, quanto piuttosto alla presenza attuale di Gesù nella vita della Chiesa, trasmesso dalla tradizione dei testimoni, nella ininterrotta catena che va da Pietro ai suoi successori. Tale opera vale dunque a mostrare che il Verbo di Dio veduto, udito, toccato e contemplato dai discepoli (cfr. 1 Giovanni, 1, 1-4), la cui memoria viva è trasmessa dalla Chiesa, è la misura per tutti coloro che nutrono speranza che Dio possa incontrarli nella storia, nella loro storia.


(L'Osservatore Romano 11 dicembre 2013)







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10/03/2014 22:39
 
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Benedetto XVI al Simposio di Morogoro: nei miei libri ho cercato di rendere Gesù di nuovo visibile




“Il fatto che nel nostro tempo” la figura di Gesù “venga sempre più respinta e diventi inaccessibile a causa di molteplici discussioni e opinioni, per la Chiesa è una preoccupazione che non ci deve dare pace”.

Così il Papa emerito nell’indirizzo di saluto ai 400 partecipanti al Seminario di studi in lingua inglese sul tema “Di dove sei?”. La figura e il messaggio di Gesù nella trilogia “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger. È il secondo appuntamento in Africa, dopo l’analogo Simposio in lingua francese che ha avuto luogo in Benin lo scorso settembre.

Benedetto XVI confida nel messaggio che, spinto da preoccupazione, ha scritto i suoi libri “nel tentativo di rendere” la figura di Gesù “di nuovo visibile”, cercando “di cogliere tutte le possibilità di una vicinanza più profonda a Gesù offerte dall’attuale teologia”, sforzandosi “di superare i motivi che si oppongono al nostro avvicinarsi a Lui”.
Quindi l’auspicio che le giornate di studio di Morogoro “contribuiscano ad annunciare con nuova forza il Vangelo e a guidare gli uomini alla acque della Vita che egli ci apre”.

(A cura di Roberta Gisotti)




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/03/10/benedetto_xvi_al_simposio_di_morogoro:_nei_miei_libri_ho_cercato_di/it1-780107 
del sito Radio Vaticana 







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11/06/2014 00:54
 
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2. La nascita di Gesù

 

«Mentre si trovavano in quel luogo [Betlemme], si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,6s).

 

Cominciamo il nostro commento dalle ultime parole di questo passo: per loro non c’era posto nell’alloggio. La meditazione, nella fede, di tali parole ha trovato in quest’affermazione un parallelismo interiore con la parola, ricca di contenuto profondo, del Prologo di san Giovanni: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11).

Per il Salvatore del mondo, per Colui, in vista del quale tutte le cose sono state create (cfr. Col 1,16), non c’è posto. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20).

Colui che è stato crocifisso fuori della porta della città (cfr. Eb 13,12) è anche nato fuori della porta della città.

Questo deve farci pensare, deve rimandarci al rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell’ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest’uomo irrilevante e senza potere si rivela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto. Fa quindi parte del diventare cristiani l’uscire dall’ambito di ciò che tutti pensano e vogliono, dai criteri dominanti, per entrare nella luce della verità sul nostro essere e, con questa luce, raggiungere la via giusta.

 

Maria pose il suo bimbo neonato in una mangiatoia (cfr. Lc 2,7). Da ciò si è dedotto con ragione che Gesù è nato in una stalla, in un ambiente poco accogliente - si sarebbe tentati di dire: indegno - che comunque offriva la necessaria riservatezza per l’evento santo.

Nella regione intorno a Betlemme, si usano da sempre grotte come stalla (cfr. Stuhlmacher, Die Geburt des Immanuel, p. 51).

Già in Giustino martire († ca. 165) ed in Origene († ca. 254) troviamo la tradizione secondo cui il luogo della nascita di Gesù sarebbe stata una grotta, che i cristiani in Palestina indicavano. Il fatto che Roma, dopo l’espulsione dei Giudei dalla Terra Santa nel II secolo, abbia trasformato la grotta in un luogo di culto a Tammuz-Adone, intendendo evidentemente sopprimere la memoria cultuale dei cristiani, conferma l’antichità di tale luogo di culto e mostra anche la sua importanza nella valutazione romana. Spesso le tradizioni locali sono una fonte più attendibile che le notizie scritte.

Si può quindi riconoscere una misura notevole di credibilità alla tradizione locale betlemmita, alla quale si riallaccia anche la Basilica della Natività. Maria avvolse il bimbo in fasce.

Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio.

 

La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato in modo più attento, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana.

 È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini. La mangiatoia rimanda - come si è detto - ad animali, per i quali essa è il luogo del nutrimento. Nel Vangelo non si parla qui di animali. Ma la meditazione guidata dalla fede, leggendo l’Antico e il Nuovo Testamento collegati tra loro, ha ben presto colmato questa lacuna, rinviando ad Isaia 1,3: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende».

Peter Stuhlmacher annota che probabilmente anche la versione greca di Abacuc 3,2 ebbe un certo influsso: «In mezzo ai due esseri viventi [...] tu sarai conosciuto; quando sarà venuto il tempo, tu apparirai» (cfr. Die Geburt des Immanuel, p. 52).

Con i due esseri viventi si intendono evidentemente i due cherubini che, secondo Esodo 25,18-20, sul coperchio dell’arca dell’alleanza indicano e insieme nascondono la misteriosa presenza di Dio. Così la mangiatoia diventerebbe in certo qual modo l’arca dell’alleanza, in cui Dio, misteriosamente custodito, è in mezzo agli uomini, e davanti alla quale per «il bue e l’asino», per l’umanità composta di Giudei e gentili, è giunta l’ora della conoscenza di Dio.

 

Nella singolare connessione tra Isaia 1,3; Abacuc 3,2; Esodo 25,18-20 e la mangiatoia appaiono quindi i due animali come rappresentazione dell’umanità, di per sé priva di comprensione, che, davanti al Bambino, davanti all’umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l’epifania che ora a tutti insegna a vedere. L’iconografia cristiana già ben presto ha colto questo motivo. Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all’asino. 

 

Dopo questa piccola divagazione torniamo al testo del Vangelo.

 

Lì si legge: Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7).

 

Che cosa significa?

 

Il primogenito non è necessariamente il primo di una serie successiva. La parola «primogenito» non rimanda ad una numerazione che procede, ma indica una qualità teologica espressa nelle più antiche raccolte di leggi di Israele. Nelle prescrizioni per la Pasqua si trova la frase: «Il Signore disse a Mosè: “Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me”» (Es 13,1s). «Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi discendenti» (Es 13,13). Così la parola circa il primogenito è già anche un rimando anticipato alla narrazione seguente sulla presentazione di Gesù al Tempio.

Comunque, con questa parola si accenna ad una particolare appartenenza di Gesù a Dio. La teologia paolina, in due tappe, ha ulteriormente sviluppato il pensiero circa Gesù quale primogenito. Nella Lettera ai Romani, Paolo chiama Gesù «il primogenito tra molti fratelli» (8,29): da Risorto, Egli è ora in modo nuovo «primogenito» e al contempo l’inizio di una moltitudine di fratelli. Nella nuova nascita della Risurrezione, Gesù non è più soltanto il primo secondo la dignità, ma è Colui che inaugura una nuova umanità. Dopo l’avvenuto abbattimento della porta ferrea della morte, sono ora in molti a potervi passare insieme con Lui: tutti coloro che nel Battesimo sono morti e risorti con Lui.

 

Nella Lettera ai Colossesi, questo pensiero viene ancora allargato: Cristo viene chiamato il «primogenito di tutta la creazione» (1,15) e il «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (1,18). «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui» (1,16). «Egli è principio» (1,18). Il concetto della primogenitura acquisisce una dimensione cosmica. Cristo, il Figlio incarnato, è, per così dire, la prima idea di Dio e precede ogni creazione, la quale è ordinata in vista di Lui e a partire da Lui. Con ciò è anche principio e termine della nuova creazione, che ha preso inizio con la Risurrezione. In Luca non si parla di tutto ciò, ma per i lettori posteriori del suo Vangelo per noi - sulla povera mangiatoia nella grotta di Betlemme sta già questo splendore cosmico: qui il vero primogenito dell’universo è entrato in mezzo a noi. «C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,8s). I primi testimoni del grande evento sono pastori che vegliano.

 

Si è riflettuto molto su quale significato possa avere il fatto che proprio dei pastori abbiano ricevuto per primi il messaggio. Mi sembra che non sia necessario investire troppo acume in tale questione.

 

Gesù nacque fuori della città in un ambiente in cui tutt’intorno vi erano pascoli in cui i pastori portavano i loro greggi. Era quindi normale che essi, in quanto i più vicini all’evento, venissero chiamati per primi alla mangiatoia. Naturalmente si può subito sviluppare il pensiero: forse non soltanto esteriormente, ma anche interiormente essi vivevano più vicini all’evento che non i cittadini, i quali dormivano tranquillamente. Anche interiormente non erano lontani dal Dio fattosi bambino. Collima con questo il fatto che appartenevano ai poveri, alle anime semplici, che Gesù avrebbe benedetto, perché soprattutto ad essi è riservato l’accesso al mistero di Dio (cfr. Lc 10,21s). Essi rappresentano i poveri di Israele, i poveri in generale: i destinatari privilegiati dell’amore di Dio. Un ulteriore accento fu poi apportato soprattutto dalla tradizione monastica: i monaci erano persone che vegliavano. Essi volevano essere desti in questo mondo, già mediante la loro preghiera notturna, ma poi soprattutto vegliare interiormente, essere aperti alla chiamata di Dio attraverso i segni della sua presenza. Infine, si può ancora pensare al racconto della scelta di Davide come re. Saul, in quanto re, era stato ripudiato da Dio. Samuele viene mandato a Betlemme da Iesse, per ungere re uno dei suoi figli, che il Signore gli avrebbe indicato. Nessuno dei figli che si presentano davanti a lui è quello prescelto.

 

Manca ancora il più giovane, ma questi sta pascolando il gregge, spiega Iesse al profeta. Samuele lo fa richiamare dal pascolo, e secondo l’indicazione di Dio unge il giovane Davide «in mezzo ai suoi fratelli» (cfr. 1 Sam 16,1-13). Davide viene dalle pecore che egli pasce, e viene costituito pastore d’Israele (cfr. 2 Sam 5,2). Il profeta Michea guarda verso un futuro lontano ed annuncia che da Betlemme sarebbe uscito Colui che un giorno avrebbe pasciuto il popolo d’Israele (cfr. Mi 5,1-3; Mt 2,6). Gesù nasce tra i pastori. Egli è il grande Pastore degli uomini (cfr. 1 Pt 2,25; Eb 13,20).

 

Torniamo al testo della narrazione del Natale.

 

L’angelo del Signore si presenta ai pastori e la gloria del Signore li avvolge di luce. «Essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). L’angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento”» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato. Continua attraverso i secoli in sempre nuove forme e nella celebrazione del Natale di Gesù risuona sempre in modo nuovo. Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata.

 

Ma che cosa hanno cantato - secondo la narrazione di san Luca - gli angeli?

 

Essi connettono la gloria di Dio «nel più alto dei cieli» con la pace degli uomini «sulla terra». La Chiesa ha ripreso queste parole e ne ha composto un intero inno. Nei particolari, però, la traduzione delle parole dell’angelo è controversa. Il testo latino a noi familiare veniva reso fino a poco tempo fa così: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».

 

Questa traduzione viene respinta dagli esegeti moderni - non senza buone ragioni come unilateralmente moralizzante. La «gloria di Dio» non è una cosa che gli uomini possono produrre («Sia gloria a Dio»). La «gloria» di Dio c’è, Dio è glorioso, e questo è davvero un motivo di gioia: esiste la verità, esiste il bene, esiste la bellezza. Queste realtà ci sono - in Dio - in modo indistruttibile.

Più rilevante è la differenza nella traduzione della seconda parte delle parole dell’angelo. Ciò che fino a poco tempo fa veniva reso con «uomini di buona volontà» è espresso ora, nella traduzione della Conferenza Episcopale Tedesca, con «Menschen seiner Gnade» (uomini della sua grazia).

Nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana si parla di «uomini, che egli ama».

 

 Allora, però, ci si interroga: quali sono gli uomini che Dio ama? Ce ne sono anche alcuni che Egli non ama? Non ama forse tutti come creature sue? Che cosa dice dunque l’aggiunta: «che Dio ama»? Ci si può rivolgere una simile domanda anche di fronte alla traduzione tedesca. Chi sono gli «uomini della sua grazia»? Esistono persone che non sono nella sua grazia? E se sì, per quale ragione?

 

La traduzione letterale del testo originale greco suona: pace agli «uomini del [suo] compiacimento». Anche qui rimane naturalmente la domanda: quali uomini sono nel compiacimento di Dio? E perché? Ebbene, per la comprensione di questo problema troviamo un aiuto nel Nuovo Testamento. Nella narrazione del battesimo di Gesù, Luca ci racconta che, mentre Gesù stava in preghiera, il cielo si aprì e venne una voce dal cielo che diceva: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). L’uomo del compiacimento è Gesù. Lo è, perché vive totalmente rivolto al Padre, vive guardando verso di Lui e in comunione di volontà con Lui.

 

Persone del compiacimento sono dunque persone che hanno l’atteggiamento del Figlio persone conformi a Cristo.

Dietro alla differenza tra le traduzioni sta, in ultima analisi, la questione circa la relazione tra la grazia di Dio e la libertà umana.

 

Sono qui possibili due posizioni estreme: anzitutto l’idea dell’assoluta esclusività dell’azione di Dio, così che tutto dipende dalla sua predestinazione. All’altro estremo, invece, una posizione moralizzante, secondo la quale, in fin dei conti, tutto si decide mediante la buona volontà dell’uomo. La traduzione precedente, che parlava degli uomini «di buona volontà», poteva essere fraintesa in questo senso. La nuova traduzione può essere mal interpretata nel senso opposto, come se tutto dipendesse unicamente dalla predestinazione di Dio. L’intera testimonianza della Sacra Scrittura non lascia alcun dubbio sul fatto che nessuna delle due posizioni estreme è giusta. Grazia e libertà si compenetrano a vicenda, e non possiamo esprimere il loro operare l’una nell’altra mediante formule chiare. Resta vero che non potremmo amare se prima non fossimo amati da Dio.

La grazia di Dio sempre ci precede, ci abbraccia e ci sostiene. Ma resta vero anche che l’uomo è chiamato a partecipare a questo amore, non è un semplice strumento, privo di volontà propria, dell’onnipotenza di Dio; egli può amare in comunione con l’amore di Dio o può anche rifiutare questo amore. Mi sembra che la traduzione letterale - «del compiacimento» (o «del suo compiacimento») - rispetti al meglio questo mistero, senza scioglierlo in senso unilaterale.

 

Per quanto riguarda la gloria nel più alto dei cieli, qui, ovviamente, è determinante il verbo «è»: Dio è glorioso, è la Verità indistruttibile, l’eterna Bellezza. Questa è la certezza fondamentale e confortante della nostra fede. Esiste tuttavia - secondo i tre primi Comandamenti del Decalogo -, in modo subordinato, anche qui un compito per noi: impegnarci affinché la grande gloria di Dio non venga macchiata e travisata nel mondo; affinché alla sua grandezza e alla sua santa volontà venga resa la gloria dovuta.

 

Ora, però, dobbiamo riflettere ancora su un altro aspetto del messaggio dell’angelo. In esso ritornano le categorie di fondo che caratterizzano la percezione di sé e la visione del mondo proprie dell’imperatore Augusto: soter (salvatore), pace, ecumene - qui, certo, allargate al di là del mondo mediterraneo e riferite al cielo e alla terra; e, infine, anche la parola circa la buona novella (euangélion). Questi parallelismi certamente non sono casuali.

Luca vuole dirci: ciò che l’imperatore Augusto ha preteso per sé è realizzato in modo più elevato nel Bambino, che è nato inerme e senza potere nella grotta di Betlemme e i cui ospiti sono stati poveri pastori. Reiser sottolinea con ragione che al centro di ambedue i messaggi sta la pace e che in ciò la pax Christi non è necessariamente in contrasto con la pax Augusti.

Ma la pace di Cristo supera la pace di Augusto come il cielo sovrasta la terra (cfr.Wie wahr ist die Weihnachtsgeschichte?, p. 460). Il confronto tra i due generi di pace non deve quindi essere visto in modo unilateralmente polemico. Augusto, in effetti, ha portato «per duecentocinquanta anni pace, sicurezza giuridica e un benessere, che oggi molti Paesi dell’antico impero romano possono ormai soltanto sognare» (ibid., p. 458).

 

Alla politica sono assolutamente lasciati il proprio spazio e la propria responsabilità. Dove però l’imperatore si divinizza e rivendica qualità divine, la politica oltrepassa i propri limiti e promette ciò che non può compiere. In realtà, anche nel periodo aureo dell’impero romano la sicurezza giuridica, la pace e il benessere non erano mai fuori pericolo, né mai pienamente realizzati. Basta uno sguardo alla Terra Santa per riconoscere i limiti della pax romana. Il regno annunciato da Gesù, il regno di Dio, è di carattere diverso. Esso interessa non soltanto il bacino mediterraneo e non soltanto una determinata epoca. Interessa l’uomo nella profondità del suo essere; lo apre verso il vero Dio.

 

 La pace di Gesù è una pace che il mondo non può dare (cfr. Gv 14,27). In ultima analisi, si tratta qui della questione di che cosa significhino redenzione, liberazione e salvezza. Una cosa è ovvia: Augusto appartiene al passato; Gesù Cristo invece è il presente ed è il futuro: «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8). «Appena gli angeli si furono allontanati da loro [...] i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,15s). I pastori si affrettarono. In maniera analoga l’evangelista aveva raccontato che Maria, dopo l’accenno dell’angelo alla gravidanza della sua parente Elisabetta, andò «in fretta» verso la città di Giuda, in cui vivevano Zaccaria ed Elisabetta (cfr. Lc 1,39). I pastori s’affrettarono certamente anche per curiosità umana, per vedere la cosa grande che era stata loro annunciata.

Ma sicuramente erano anche pieni di slancio a causa della gioia per il fatto che ora era veramente nato il Salvatore, il Messia, il Signore, di cui tutto era in attesa e che essi avevano potuto vedere per primi.

 

 Quali cristiani s’affrettano oggi quando si tratta delle cose di Dio?

 

 Se qualcosa merita fretta - questo forse vuole anche dirci tacitamente l’evangelista - sono proprio le cose di Dio.

 L’angelo aveva indicato come segno ai pastori che avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Questo è un segno di riconoscimento: una descrizione di ciò che si poteva constatare con gli occhi. Non è un «segno» nel senso che la gloria di Dio si fosse resa evidente, così che si potesse dire con chiarezza: questi è il vero Signore del mondo. Niente di ciò. In tal senso, il segno è al contempo anche un non-segno: la povertà di Dio è il suo vero segno. Ma per i pastori, che avevano visto lo splendore di Dio sui loro pascoli, questo segno è sufficiente. Essi vedono dal di dentro. Vedono questo: ciò che l’angelo ha detto è vero. Così i pastori tornano con gioia. Glorificano e lodano Dio per quello che hanno udito e visto (cfr. Lc 2,20).

 

da L’infanzia di Gesù - cap.3 da pag.79 a pag.94 dell'Edizione Rizzoli - LEV

 

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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