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ANNUS FIDEI- NOVA ET VETERA testo prezioso di mons. Carli del 1969

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2012 22:28
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11/10/2012 10:02
 
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[SM=g1740771]  Tra il 60 e il 70 d.C. — dicono gli esegeti — quella comunità cristiana, provata da molestie da parte dei vecchi correligionari, quasi vergognosa della propria umile condizione a confronto dello splendore del culto giudaico tuttora imperante, dovette provare la stanchezza del sentirsi cristiana in un mondo aperto a tutt’altri valori che i suoi, refrattario al messaggio di Cristo. Fu allora che l’autore ispirato della Lettera agli Ebrei rincuorò quei cristiani tentati, descrivendo la superiorità del sacerdozio di Cristo, e li esortò a non vergognarsi dell’obbrobrio della Croce del Signore.
E chiuse con un monito che non è irriverente ripetere ai cattolici di oggi, non meno tentati di stanchezza di quelli gerosolimitani, a proposito della rispettosa sottomissione dovuta al loro supremo Pastore: “Ubbidite alle vostre guide e siate sottomessi; giacché esse vegliano per le anime vostre come coloro che hanno da renderne conto; affinché questo compiano con gioia, e non gemendo: ché ciò non sarebbe espediente per voi” (Ebr. 13, 17).


Ma tra i “segni dei tempi” registriamo ancor questo, con stupore e dolore: il nessun conto che fanno molti cattolici, chierici e laici, della parola del Papa, quando non la coprono d’irriverente sarcasmo o non ne fanno segno di contraddizione!

E non è privo di interesse notare come, in questi ultimi tempi, abbiano cambiato di tono anche taluni ottimisti di fama mondiale, unendosi a Paolo VI nel dare l’allarme su quella che non hanno temuto di chiamare “apostasia immanente”. Peccato che quelle brave persone non si siano domandato, con pari lealtà, quanta parte abbiano avuto i loro scritti di prima nella semina del vento, da cui stiamo raccogliendo questo po’ po’ di tempesta!

Lo so bene che, oggi, tanto è di moda adottare l’ottimismo ad oltranza, quanto impopolare accettare il rischio di passare per disfattisti atrabiliari. Non si fa in tempo ad aprire bocca per esprimere timore e dolore che ve la chiudono subito con un rimando alla santa memoria di Papa Giovanni. “A noi sembra — disse egli un giorno — di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. Ma il Servo di Dio parlava così l’11 ottobre 1962, in apertura del Concilio Ecumenico, non già nel 1969! E, quel che più conta benché non lo si voglia affatto precisare, egli si riferiva alla situazione esterna alla Chiesa, mai e poi mai immaginando quale turbine si sarebbe scatenato, all’indomani stesso della chiusura del Concilio, proprio nell’interno della Chiesa.

Un turbine di dottrine ereticali e di fatti aberranti! Il patrimonio della bimillenaria tradizione ecclesiastica ripudiato quasi tutto; contestato da molti il magistero del Romano Pontefice e dei vescovi; violata sfacciatamente la legge del celibato sacerdotale, e chiesta a gran voce la sua abolizione, ma senza la cessazione dei soggetti dal ministero; legittimate, applaudite e favorite le fughe più clamorose (monsignori, superiori religiosi, teologi, ex-periti conciliari, ecc.) dagli impegni giurati del sacerdozio e della vita religiosa, e perfino dal cattolicesimo stesso; le sacre vocazioni in disistima e quindi in notevole calo; i seminari e gli studentati religiosi ridotti di numero e di frequenza; reclamata una teologia con meno dogmi e una morale senza troppi obblighi! Tutto questo, ed altro ancora, esulava certo finanche dall’immaginazione di quell’Anima grande e santa.

Non era questo il “balzo in avanti” che Giovanni XXIII sognava di far compiere alla Chiesa. Non una crisi quale quella che stiamo soffrendo oggi era la ripulitura che egli intendeva apportare al volto, forse un po’ sfiorito ma sempre sostanzialmente fedele, della Sposa di Cristo. Per lui, come per Paolo VI e per quant’altri intendono rimanere fedeli alla Chiesa, la vera riforma non può significare se non crescita della fede, della speranza, della carità; culto dell’umiltà, dell’ubbidienza, della preghiera; più amore alla Ss. Eucaristia, alla Madonna, al Papa; maggiore slancio missionario ed apostolico; pratica della disciplina ascetica. In una parola, il progresso legittimo e vero consiste in una più seria e costante imitazione di Gesù Crocifisso. Se non si cresce qui, è vano cianciare di vitalità o crescenza della Chiesa!

La crisi attuale è gravissima proprio perché all’inizio e al fondo di essa esiste una crisi di fede. Ecco perché tutte quelle verità, tutte quelle scelte, tutti quei valori che poggiano sulla fede vengono contestati. È scossa alle radici la fede negli “invisibilia Dei” perché gli animi si sono lasciati sedurre dai comodi e tangibili “visibilia mundi”, dai portenti della scienza e della tecnica. Anche la crisi protestante fu crisi di fede e rifiuto dell’autorità di Roma. Ma mentre quella respingeva la fede “cattolica” per ritrovare una sua fede “evangelica”, mentre coonestava la propria disubbidienza con la vita poco edificante della gerarchia ecclesiastica, la crisi d’oggi respinge la fede in se stessa, e contesta il fondamento di principio di ogni autorità, anche se esercitata dalle persone più sante.

Oggi non può dirsi in crescita la fede oggettiva, quando non esiste articolo del Credo che non si tenti di “reinterpretare”, “ridimensionare”, “ridurre a misura d’uomo”: in parole povere, svuotare di ogni contenuto e così espungere dall’oggetto della fede cattolica. Non può dirsi in crescita la fede soggettiva, quando questa totale adesione al Dio che si è rivelato, e la certezza intellettuale che ne consegue, vengono scosse nella loro fondamentale motivazione, sottoposte al logorio del dubbio sistematico, turbate o, quanto meno, rese più difficili proprio da coloro che quella adesione e quella certezza avrebbero la missione di difendere, giustificare, rafforzare.

[SM=g1740758]  continua..........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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