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ANNUS FIDEI- NOVA ET VETERA testo prezioso di mons. Carli del 1969

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2012 22:28
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11/10/2012 11:15
 
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La storia dei dogmi insegna che qualche verità, in una data epoca, è stata come relegata ai margini dell’insegnamento ufficiale per poi, in altra epoca, riguadagnare una posizione più centrale, o viceversa.
[SM=g1740733] Rimanendo immutata la sostanza della verità in se stessa, si è verificato il fenomeno di un cambiamento di prospettiva da parte dell’occhio che guardava il panorama della presentazione del messaggio evangelico. Qualche volta il Magistero, a causa di particolari situazioni storiche (p. e. eresie, polemiche, necessità pastorali, ecc.), è stato costretto a concentrare la sua preoccupata attenzione su una determinata verità. Ne è risultato che verità collaterali passassero quasi in ombra, e l’occhio dell’osservatore non riuscisse più a percepirne con esattezza i loro rapporti reciproci e la gerarchia della loro importanza, fino a quando situazioni nuove o felicemente ristabilirono l’equilibrio ottico, o invece nuovamente lo ruppero ma in senso opposto
.


Questo doveva venire precisato, allo scopo di dissipare un equivoco abbastanza diffuso: quello, cioè, che l’assistenza dello Spirito Santo, mediante il carisma dell’infallibilità, dispensi il Magistero gerarchico dall’usare i mezzi soprannaturali e naturali a sua disposizione per una sempre più perfetta esplorazione ed espressione delle ricchezze ricevute in custodia.
Attorno e a servizio dell’intangibile Deposito rivelato si è venuto formando attraverso i secoli una specie di involucro, o sovrastruttura, che è tutta opera della Chiesa. Intendo dire quel complesso di riti liturgici, di usanze devozionali, di leggi disciplinari, di metodi di insegnamento della Parola di Dio, di sistemi teologici mediante cui indagare il come del dato rivelato, di istituzioni canoniche, ecc. ecc., che l’Autorità, lasciata da Gesù Cristo a guida del suo Popolo, ha essa stessa “inventato” o sanzionato, allo scopo di rendere più “viabili”, cioè meglio accette, quelle ricchezze divine le quali hanno origine da Gesù stesso.
Siamo, come ognun vede, in un campo dove la opinabilità, teoricamente parlando, è vastissima ma dove, ad un dato momento, per le necessità dell’ordinato vivere sociale, l’Autorità può, anzi talora deve, fare delle scelte ben precise. Sarebbe ingiusto ritenere quell’involucro come frutto del capriccio o dell’autoritarismo. Lo esige, invece, da una parte la natura sociale della Chiesa quale l’ha voluta il suo Fondatore, dall’altra la natura dell’uomo il quale, in via ordinaria, riceve i doni di Dio tramite veicoli proporzionati alla sua indole di anima incarnata.

Deve presumersi che la Chiesa, nel crearsi quell’involucro, si ispiri alle due leggi fondamentali del suo esistere e del suo operare: la fedeltà alla Parola di Dio e il servizio delle anime. La fedeltà a Dio la obbliga a custodire gelosamente intatto, nella sua sostanza, il Deposito rivelato, senza possibilità alcuna di mutamento o di mutilazione. Il servizio delle anime — che entra in pieno, benché non lo esaurisca, nello scopo per il quale il Figlio di Dio si è incarnato: “io sono venuto, affinché gli uomini abbiano la vita, e l’abbiano abbondantemente” (Gv. 10, 10) — la obbliga a commisurare l’involucro alle reali e giuste esigenze dei tempi e dei luoghi, tenendo presenti le cangianti situazioni culturali e sociologiche. Naturalmente la Chiesa, come sentinella in ascolto, dev’essere sempre attenta a captare i sintomi delle nuove situazioni ed esigenze, vagliarli e poi decidere i cambiamenti giudicati necessari.

Affrettiamoci, tuttavia, a soggiungere che per la Chiesa, come non è sempre facile mantenere l’armonia nella simultanea ubbidienza alle sue due leggi fondamentali, così non è sempre facile discernere dove finisca la zona dell’intangibilità del Deposito rivelato e dove cominci la zona della mutabilità dell’involucro. Decidere questa importantissima questione in ultima istanza non può spettare se non a quella Autorità alla quale è stato assicurato da Cristo il carisma dell’infallibilità: il Romano Pontefice o il Collegio Episcopale con lui e sotto di lui. Se tale questione fosse stata lasciata al libero esame, ancorché vasto numericamente, dei fedeli sarebbe sempre possibile contestare l’appartenenza di questa o quella verità al Deposito rivelato, e così il Deposito ne risulterebbe in pratica svuotato di contenuto e di certezza.

Nel campo aperto alle possibilità di mutamenti, trattandosi soltanto di maggiore o minore convenienza, di utilità più o meno certa rispetto al bene delle anime, all’Autorità ecclesiastica non è stato assicurato il carisma dell’infallibilità. Ma ciò non significa che essa non meriti fiducia, oltre che per la sua esperienza e prudenza, anche e soprattutto per l’assistenza ordinaria dello Spirito Santo. Sarà la virtù stessa della a suggerire all’autorità i modi migliori onde utilizzare, a questo riguardo, i carismi particolari dei membri della Chiesa per il bene di tutti. Ma nemmeno in questo campo si potrà, in ultima istanza, fare a meno dell’Autorità.

Ad opera del Concilio oggi la Chiesa ha avvertito, a livello universale, l’esigenza di riforme molteplici e vaste nel campo del suo involucro mutabile, e al tempo stesso ha avvertito una accresciuta necessità di difesa nel campo dell’immutabilità del Deposito. “Vi sono molte cose — ha detto Paolo VI — che possono essere corrette e modificate nella vita cattolica, molte dottrine che possono essere approfondite, integrate ed esposte in termini meglio comprensibili, molte norme che possono essere semplificate e meglio adattate ai bisogni del nostro tempo. Ma due cose non possono essere messe in discussione: le verità della fede, autorevolmente sancite dalla tradizione e dal Magistero ecclesiastico, e le leggi costituzionali della Chiesa, con la conseguente conseguenza dell’ubbidienza al ministero di governo pastorale, che Cristo ha sviluppato ed esteso alle varie membra del Corpo mistico e visibile della Chiesa medesima, a guida ed a conforto della multiforme compagine del Popolo di Dio. Perciò: rinnovamento sì, cambiamento arbitrario no”.

Ancora una non superflua precisazione. Se fedeltà a Dio e servizio delle anime sono le due leggi fondamentali della Chiesa, le vere esigenze dell’una e dell’altra non potranno mai risultare in effettivo contrasto. Ne consegue che non si potrà realizzare il vero bene delle anime nell’infedeltà anche minima al Deposito rivelato; e la genuina fedeltà al Deposito rivelato non potrà mai risultare di detrimento alle anime!

Sintetizzando, diciamo così: nella Chiesa coesistono in armonia due distinti, sebbene inseparabili, elementi: immutabile l’uno, mutabile l’altro; statico il primo, dinamico il secondo. Ricevono ordinariamente due distinti nomi, che possiamo qui usare anche noi per comodità: TRADIZIONE e PROGRESSO. La Chiesa che è come il prolungamento e l’ombra misteriosa del Verbo Incarnato, imita, anche in questo il suo divin Fondatore.
In Gesù, infatti, coesistono l’elemento immutabile e statico della divinità, e l’elemento mutabile e dinamico dell’umanità assunta, la quale, come annota S. Luca, “cresceva in sapienza ed in statura e in grazia presso Dio e presso gli uomini” (Lc. 2, 52). La Chiesa che, secondo S. Cipriano, è “un popolo fatto uno per l’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (9), riflette nella sua stessa struttura un remoto vestigio del Dio che noi adoriamo statico, per così dire, nell’immutabilità dell’unica natura, ed insieme dinamico nella vitalità interiore delle tre Persone.

Due delle tante immagini con cui nella Bibbia viene presentata la Chiesa traducono al vivo i due aspetti di cui stiamo trattando: la roccia, che immobile sfida l’usura del tempo; la barca, che si muove sulle onde adattando le vele al vario soffiare dei venti durante la navigazione.
Non si insisterà mai troppo, oggi specialmente, per le ragioni che si illustreranno nel seguito del presente studio, sulla necessaria coesistenza di tradizione e progresso nella Chiesa. Sono due dimensioni essenziali, inseparabili, complementari: solo nella loro sintesi si realizza la volontà di Dio, e consegue il proprio scopo la missione della Chiesa.

Il progresso è, per così dire, il presente e l’avvenire della Chiesa. Però, esso non avrebbe alcun valore se non fosse innestato nel passato della Chiesa. Osserviamo la croce di Cristo: l’asse orizzontale non si reggerebbe se non fosse inchiodato all’asse verticale, e senza la loro così intima unione non si avrebbe lo strumento e il simbolo della nostra Redenzione. Ricordo, a commento, un bel pensiero di Jean Guitton, accademico di Francia, primo osservatore laico al Concilio. Scriveva egli subito dopo la chiusura della I sessione conciliare, ma sono cose valide anche per dopo il Concilio: “Nel Concilio ascolto due voci: la voce dei Padri che hanno profondamente e prima di tutto la preoccupazione di conservare il deposito della fede in tutta la sua integrità, e la voce dei Padri i quali, pur avendo ugualmente profonda la medesima preoccupazione, hanno la volontà pastorale di annunziare quella verità in tutta la sua purezza, ma in un linguaggio che sia assimilabile e desiderabile per gli uomini d’oggi. La prima tendenza rappresenta per me l’asse verticale della Croce di Gesù Cristo, l’asse dell’unità, dell’integrità, della verità. La seconda tendenza rappresenta l’asse orizzontale della Croce, l’asse dell’apertura, dell’universalità, del dinamismo. Bisogna essere simultaneamente fedeli alle due dimensioni che si intersecano all’altezza del cuore” (10).

L’armonia fra tradizione e progresso assicura, da una parte, la intangibilità del Deposito rivelato senza immobilismi dannosi per le anime; dall’altra, assicura il servizio delle anime senza avventure sovvertitrici del dogma.
In una parola: la continuità nello sviluppo, che è il segno inequivocabile della vitalità di un organismo. La tradizione, mediante l’immutabilità sostanziale del tesoro di verità e di grazia donatoci da Dio, garantisce per tutti e per sempre la permanenza di quelle realtà soprannaturali che costituiscono l’elemento divino del cristianesimo: garantisce l’identità stessa della Chiesa che ne è la custode, l’interprete e la dispensatrice. In ultima analisi, garantisce l’identità e la validità perenne del disegno salvifico di Dio. A sua volta il progresso, attraverso lo sviluppo omogeneo del Deposito e l’adattamento della sua formulazione ai bisogni dei tempi e dei luoghi, garantisce la perenne efficienza della Chiesa in ogni “hic et nunc”, e quindi il contatto personale di ogni anima col mistero della salvezza. Alterare l’equilibrio armonico dei due elementi o, peggio, separarli sarebbe un delitto paragonabile, in qualche modo, a quello di cui l’apostolo S. Giovanni scriveva: “ogni spirito che dissolve Gesù, non è da Dio” (1 Giov. 4, 3).


Tradizione e progresso non solo sono intimamente connessi come due pezzi di uno stesso intarsio, ma il concetto dell’uno richiama quello dell’altro, a mutua garanzia. Tradizione (in greco: paràdosis) indica passaggio da mano a mano di un oggetto che, rimanendo identico a se stesso, diventa possesso di diversi soggetti.
La tradizione, dunque, esclude per se stessa l’idea di immobilismo; anzi, se genuina, essa stessa genera l’impulso al progresso. Tanto più ciò è vero della tradizione ecclesiastica la quale, non lo si dimentichi, è viva: tramanda cioè realtà vive, non oggetti inerti, e le tramanda per mezzo di strutture vive. Non per niente il Regno di Dio in molte parabole è stato assimilato a realtà del mondo agricolo: realtà vive, che attingono il loro sviluppo dalla continuità con la loro originaria radice. È stato scritto che “la tradizione è nella Chiesa come l’onda della predicazione apostolica che avanza e si propaga nei secoli” (H. Holstein): è essa, dunque, che assicura ad ogni “hic et nunc” l’aggancio con Cristo attraverso gli Apostoli.


D’altra parte, il progresso non è intelligibile se, come postula il suo stesso vocabolo (latino: pro-gressus), chi muove il passo in avanti non è il medesimo di prima. Il progresso deve innestarsi sulla tradizione, come sul suo naturale fondamento. L’albero, crescendo in rami e foglie, non distrugge né si separa dalla propria radice perché, se cosi facesse, sarebbe votato alla morte. Un organismo che cresce e si muove non rinnega il principio vitale da cui ha avuto origine; anzi, lo custodisce gelosamente, sempre più l’assimila e utilizza, lo porta sempre con sé, dovunque vada e comunque si sviluppi. È stato detto bene: “il progresso è la sintesi della tradizione e della ricerca che prende lo spunto dalle certezze anteriori per tentare di andare più lontano” (J. Daniélou).

La fedeltà alla tradizione, nonché opporsi al vero progresso, lo postula e ne è, al tempo stesso, la più sicura garanzia di autenticità e fecondità. Difatti, una volta messa al sicuro la sostanza di ciò che non può cambiare, sarà molto più agevole progredire riformando ciò che può e deve adeguarsi ai tempi e ai luoghi. E la riforma risulterà tanto più intelligente e proficua quanto più rigorosa, quanto più immune da cedimenti, sarà stata la tenuta del fondamento su cui deve operarsi lo sviluppo. In altre parole, “sapiente si dirà quella riforma la quale sappia armonizzare in maniera idonea il nuovo e il vecchio” (11).

La coesistenza di tradizione e progresso, necessaria ma non sempre facile, è inevitabile che produca nella Chiesa una certa tensione. Potremmo, anzi, dire che questa è una sua caratteristica, una naturale condizione del suo essere: fino alla Parusia ci sarà tensione fra “il già” e “il non ancora”. Quello che la Chiesa è, e non può non essere, quello che la Chiesa già ha, le dà certezza, sicurezza, staticità di roccia. Quello invece che deve ancora diventare, quello che ancora le manca, le dà inquietudine, speranza, dinamicità di barca.

Tensione, però, non significa tragedia. Tradizione e progresso sono all’origine di due tendenze sempre esistite nella Chiesa, anche se con differenti accentuazioni secondo le varie epoche e i vari luoghi. L’ideale sarebbe se ogni cattolico armonizzasse in sé le esigenze e le preoccupazioni legittime delle due tendenze. In pratica, però, l’auspicabile equilibrio difficilmente esiste nel singolo individuo.

E cosi nella Chiesa c’è sempre stato e sempre ci sarà chi è più portato a considerare, studiare e, occorrendo, difendere l’integrità del Deposito rivelato — schematicamente noi diciamo “fedeltà alla tradizione” —, e chi invece è più portato a considerare, promuovere e, occorrendo, difendere la adattabilità della Chiesa alle mutevoli esigenze delle anime — schematicamente noi diciamo “fedeltà al progresso”. Ma quell’equilibrio che è troppo raro trovare realizzato a livello individuale, deve realizzarsi a livello universale. Solo così le due tendenze potranno risultare una ricchezza per la Chiesa.

La Chiesa, finché vive nella sua fase terrestre, deve rassomigliare a quei quattro Viventi che, secondo l’Apocalisse, circondano il trono di Dio e sono pieni di occhi davanti e di dietro (cfr. Apoc. 4, 6).

[SM=g1740758]  continua..........
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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