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ANNUS FIDEI- NOVA ET VETERA testo prezioso di mons. Carli del 1969

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2012 22:28
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11/10/2012 11:37
 
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Capitolo terzo
USO E ABUSO DEL CONCILIO


Della crisi di cui soffre oggi la Chiesa cattolica molti vorrebbero responsabile nientemeno che il Concilio Vaticano II.
È facile però rispondere che, in buona logica, è un sofisma argomentare col “post hoc, ergo propter hoc”, e che, in buona teologia, né Dio né un’opera di Dio, quale un Concilio Ecumenico, possono ritenersi veri responsabili del male gravissimo di una fondamentale crisi di fede.
Tuttavia, nulla vieta di vedere nel Vaticano II l’occasione propizia in presenza della quale ciò che di aberrante, da qualche tempo, ribolliva sotto la superficie di una calma apparente nella vita della Chiesa, è esploso virulento alla luce del sole. Il Concilio ha fatto da catalizzatore di reazioni di vario tipo già esistenti, allo stato sparso, in seno alla cattolicità. Il “simius Dei”, Satana, sommamente interessato, ci soffia sopra. Lui che ha lavorato prima e durante il Concilio per impedire o almeno adulterare l’opera di Dio, non s’è messo in pensione a Concilio ultimato. Ne va del suo principato (cfr. Giov. 13, 21) che quel movimento salutare, iniziatosi suo malgrado, prenda almeno una falsa direzione.

Bisogna onestamente riconoscere che l’esplosione della crisi, non causata dal Concilio, può essere stata indirettamente facilitata non solo da situazioni esteriori alla Chiesa, ma anche da taluni aspetti caratteristici dello stesso Vaticano II. [SM=g1740733]

A differenza dei precedenti Concili aventi obiettivi molto delimitati e soprattutto specifici errori da contrastare, l’ultimo Concilio si diede espressamente un carattere pastorale. Di qui la vastità e la genericità delle tematiche da affrontare, con la inevitabile conseguenza di non poter sviscerare a fondo ogni argomento, né soppesare con la bilancia della rigorosa alchimia teologica tutt’e singole le espressioni adoperate.
Non venendo in questione l’infallibilità dei pronunciamenti, è ovvio che si sia badato più alla formulazione pratica che non a quella dottrinale delle singole frasi, e si sia così ottenuta la quasi unanimità dei suffragi su testi dei quali si attendeva più alla sicurezza generica del pensiero che non alla precisione del singolo dettaglio.
Era poi nella tradizione plurisecolare, a cominciare da Nicea, che un testo conciliare attinente alla Fede o alla Morale avesse valore definitorio, e quindi ultimativo, delle questioni affrontate. Invece il Vaticano II espressamente escluse la volontà di nuove definizioni dogmatiche, pur presentando il proprio insegnamento come dottrina cattolica; e così, piuttosto che chiudere vecchie controversie ne aprì di nuove.

Va inoltre rilevato, con tutto il rispetto, che la preparazione del Concilio forse fu un po’ troppo affrettata. Lo storico imparziale dovrà ammettere che vennero portate in Aula materie non ancora sufficientemente maturate dal lavorio delle varie scuole teologiche.

Dovrà pure ammettere che i testi del Vaticano II, le citazioni bibliche in essi contenute, la concatenazione delle parti, l’uso dei vocaboli non sono sempre lo specchio dell’assoluta pertinenza, della precisione, della coerenza, della limpidezza inequivocabile. [SM=g1740733]

La pubblicazione degli atti, che si auspica sollecita e integrale, smentirà tante inesatte interpretazioni; ha già cominciato a farlo, per suo conto, la Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica dei documenti conciliari. Ma resta il fatto che talvolta il testo, non già l’intenzione dei Padri, offre l’appiglio ad aberranti interpretazioni. La mole delle materie, il poco tempo a disposizione, e forse anche... lo zampino di qualcuno addetto ai lavori, non consentì di esaminare a fondo tutti gli emendamenti, con le relative argomentazioni, che una minoranza di Padri, spesso derisi dalla stampa e da faziosi pubblicisti di cose conciliari come pignoli o addirittura come sabotatori del Concilio, chiedevano per la chiarezza del dettato. Nessuna meraviglia, pertanto, che a Concilio finito — come ha scritto il Card. Heenan di Westmister — ci si serva del Concilio per giustificare ogni nuovo esautoramento del Magistero” (13)!


Di qui ha origine una peculiarità dell’attuale crisi nella Chiesa.

Anche dopo gli altri Concili si sono avute delle crisi, ma esse riguardavano cattolici i quali espressamente rifiutavano i testi conciliari (p.e. i Protestanti dopo Trento, o i Vecchi-Cattolici dopo il Vaticano I), e perciò si separavano dalla Chiesa. Viceversa, dopo il Vaticano II la crisi è costituita in gran parte proprio dall’abusivo ricorso che si fa ai suoi documenti.


Altre due circostanze meritano di non essere sottovalutate. La grande pubblicità durante e dopo i lavori, fatta da persone spesso incompetenti e talvolta anche interessate, cadendo in un mondo impreparato e quasi estraneo a quelle tematiche ha influito e influisce tuttora su una distorta esegesi ed accoglienza del Concilio.
Si aggiunga, infine, l’attività del cosiddetto “paraconcilio”, cioè di quell’ambiente di persone e di idee che, dopo aver cercato di influire sul Concilio mentre esso si svolgeva, è rimasto in piedi anche a Concilio finito, ingrandendosi e direi quasi istituzionalizzandosi. Questo paraconcilio, con le sue vittorie e le sue sconfitte, con le sue soddisfazioni e le sue insoddisfazioni, con i suoi propositi e i suoi spropositi è quello che anima la crisi attuale e contrappone la sua opera alla serena fruttificazione delle idee seminate dal Concilio. Il paraconcilio, pretendendo di essere l’autentica vestale dello spirito del Concilio, deve necessariamente abusare dei testi conciliari. Ma di quali mai santissime cose l’uomo non è capace di abusare?


Ritengo opportuno ricordare qualcuno dei più usuali abusi che si compiono a spese dei testi conciliari.

1) Per certi cattolici il Vaticano II è ormai superato! Non hanno nemmeno finito di leggerne gli atti che già si appellano ad un Vaticano III. Credono di giustificarsi con la scusa che il Vaticano II è inficiato da compromessi, da contraddizioni, da ritardi sulla vera situazione, ecc. ecc.; perciò lo considerano come inesistente. Per costoro a che cosa, dunque, sarebbe servito il Vaticano II? Alla stessa guisa di un “modulo di servizio” nei voli spaziali, il Vaticano II ad altro non sarebbe servito che a immetterli nell’orbita dell’avventura verso gli ignoti lidi della Chiesa dell’avvenire! Dopo il “servizio”, il modulo viene naturalmente abbandonato come inutile!
Costoro sono, a dir poco, dei presuntuosi i quali disprezzano la grazia del presente per appellarsi ad una grazia futura, che solo Dio sa se e quando potrà venir concessa.

2) Un altro abuso, si direbbe opposto al precedente, è quello di considerare il Vaticano II come se fosse l’unico Concilio valevole. Degli altri Concili, come di tutto il Magistero ordinario pontificio ed episcopale, ne verbum quidem; o, nella più benigna delle ipotesi, documenti da ridimensionare, da reinterpretare! Questo trattare il Vaticano II come se fosse rottura violenta col passato della Chiesa, suscita per reazione in altri cattolici un non meno riprovevole rifiuto del Concilio stesso, come se fosse tradimento del passato.
I due aberranti atteggiamenti vengono sconfessati da numerosi testi del Vaticano II, i quali esplicitamente si richiamano ai Concili precedenti e al Magistero della Chiesa, specie a quello pontificio. Lo faceva notare il S. Padre Paolo VI, in occasione del I Congresso internazionale di Teologia celebratosi a Roma nel 1966: “Nel valutare ed interpretare la dottrina del Concilio Vaticano II ci si deve ben guardare dal disgiungerla dal resto del sacro patrimonio della dottrina della Chiesa, quasi che fra di loro possa esistere divergenza od opposizione. Al contrario, tutti gli insegnamenti del Vaticano II sono strettamente connessi al Magistero ecclesiastico anteriore, di cui debbono dirsi la continuazione, la esplicazione e lo sviluppo. Nessuno, dunque, osi distorcere la dottrina del Concilio per interpretazioni private, negligendo il Magistero della Chiesa. Chi fa così, per dirla con S. Leone Magno, diventa maestro di errore perché non è stato discepolo della verità”

Le medesime cose, nel discorso di inaugurazione del Concilio, aveva già dette Giovanni XXIII: “Oggi è necessario che tutt’intera la dottrina cristiana, senza alcuna diminuzione, venga accolta da tutti con rinnovato zelo, con animo sereno e tranquillo, espressa con quella precisione di concetti e di forma letteraria che risplende specialmente negli atti del Concilio Tridentino e del Vaticano Primo; è necessario che, come si augurano tutti gli spiriti genuinamente cristiani, cattolici e apostolici, la conoscenza della medesima dottrina venga approfondita e sviluppata, e le coscienze ne siano più pienamente imbevute e formate; è necessario che questa dottrina certa e immutabile, alla quale è dovuto l’ossequio della fede, sia esplorata ed esposta nei modi che il tempo nostro domanda” (15).

3) Il Concilio è stata la risposta concreta ai propositi, or ora riferiti, e alle aspirazioni della s. m. di Papa Giovanni. Non volerne riconoscere e accettare lealmente le sante novità — che altro poi non sono se non il naturale sviluppo e la sintesi aggiornata del Deposito tradizionale — sarebbe un rifiuto non meno pretestuoso e presuntuoso di quello di chi vede rottura assoluta col passato. Ma su questo argomento ritorneremo più diffusamente nel capitolo seguente.

4) Si abusa del Concilio quando si opera una selezione tra i diversi suoi documenti, e talora perfino tra le varie parti di uno stesso documento, per accettare ciò che piace e respingere ciò che non piace, oppure per sottolineare fortemente ciò che riesce comodo e tacere ciò che riesce scomodo. Abuso non minore è quello di isolare un testo del Concilio dal suo contesto immediato e remoto, dall’insieme dei documenti conciliari, nonché — lo abbiamo sentito deprecare da Paolo VI — da tutto il Magistero precedente della Chiesa.
Il Concilio ha inteso, sì, trattare più diffusamente di certi aspetti che la teologia anteriore aveva un po’ tenuti in penombra. Ma se questi aspetti venissero avulsi dal contesto del Magistero precedente, il Vaticano II non sfuggirebbe, come si rimprovera alla precedente teologia, alla taccia di unilateralità. Citerò un solo esempio. L’immagine di Chiesa come Popolo di Dio, in un clima di democrazia e di populismo, ha fatto la parte del leone. Ma guai se la si separasse dalle altre immagini, non meno bibliche e certamente più ricche di contenuto teologico, di Corpo mistico di Cristo o di famiglia di Dio!
L’interessata selezione dei testi conciliari, a parte la sua illiceità scientifica e morale, produrrebbe una violenta rottura della sintesi operata dal Concilio, talvolta laboriosamente, tra i vari aspetti di verità e di bontà sottolineati dalle varie tendenze teologiche. Ripeto: un Concilio bisogna avere la lealtà di accettarlo tutto o di respingerlo tutto! Questa è la ragione di fondo per cui è riprovevole il vezzo di rimettere in discussione quei particolari aspetti dei problemi (p. e. la somma convenienza del celibato sacerdotale) sui quali il Concilio si è espresso in termini chiarissimi.

5) Ci si appella spesso e volentieri a ciò che fu detto in Concilio, piuttosto che a ciò che fu promulgato dal Concilio. Questo modo di agire è abusivo per due ragioni: di cui la prima è che non tutto quanto fu detto in Aula dai Padri conciliari, e tanto meno quanto fu detto o scritto dal “paraconcilio”, può prendersi come oro colato. I singoli vescovi non sono infallibili, né ci si deve scandalizzare della possibilità che taluni di loro più che di idee personali si siano fatti in Aula portavoce delle idee di qualche perito conciliare. Non è poi un mistero per nessuno che del pletorico complesso dei periti qualcuno abbia potuto approfittare delle circostanze per tentare di introdurre nei testi in elaborazione le sue personali vedute, sotto la copertura di espressioni oscure, polivalenti, o “aperte” come si diceva in gergo. Umanità deteriore, non necessariamente estranea alle cose di Dio!
Ma tutto ciò non può avere alcun peso nella esegesi autentica e vincolante dei testi promulgati dal Concilio, cioè dall’insieme dei Vescovi con a capo il Romano Pontefice. Nel dubbio, a Concilio finito, stabilire tale esegesi spetta al Romano Pontefice, tramite gli organi da lui stesso costituiti, non già agli storiografi più o meno attendibili del Concilio stesso.
La seconda ragione è che la qualifica di magistero autentico e solenne della Chiesa, con annesso carisma dell’assistenza dello Spirito Santo, spetta soltanto ai testi promulgati, e non agli schemi preparatori o alle discussioni preliminari. [SM=g1740721]
E dei testi promulgati, come s’è detto, l’unico senso legittimo è quello inteso e voluto dal Papa e dai Vescovi collegialmente a lui uniti, non già quello inteso o sperato dai periti conciliari, nemmeno nell’ipotesi che qualcuno di loro sia riuscito a far penetrare nel testo promulgato espressioni verbali del proprio vocabolario teologico.

È da escludere che dei testi conciliari possa esistere un “sensus plenior”, come invece può esistere dei testi della S. Scrittura. La ragione sta nel fatto che il pensiero di Dio non può venir costretto tutt’intero entro i limiti del linguaggio umano adoperato. Così si spiega perché mai la ricchezza intrinseca di quella che è diventata la Parola di Dio possa superare, pur non contraddicendolo, il significato letterale dell’espressione adoperata dalla Bibbia, e quindi perché mai sia possibile, anzi doveroso, il continuo approfondimento della Parola di Dio. Invece, un testo conciliare è soltanto la parola di uomini, anche se questi uomini vengono assistiti dallo Spirito Santo affinché non insegnino l’errore in materia di Fede o di Morale. Perciò quella parola non può non avere — anzi, per l’onestà, deve avere — un solo significato ben preciso e delimitato: quello inteso e voluto dagli uomini che quella parola hanno pronunziato.

6) Altra maniera di abusare del Concilio è attribuirgli cose che né esplicitamente né implicitamente si ritrovano nei testi promulgati. [SM=g1740721]
È di moda oggi, in parecchie parti della cattolicità, appellarsi alla cosiddetta “dinamica” o al cosiddetto “spirito” del Concilio, quando non soccorra la lettera, per avallare i sogni o i desideri della propria fantasia. Sistema molto comodo, ma estremamente disonesto e dannoso, perché il cosiddetto “spirito” del Concilio è “non facilmente circoscrittibile, e perciò si presta magnificamente alle più ardite innovazioni” (Paolo VI). Presso certi cattolici sta oggi accadendo del tomo conciliare quello che già da quattro secoli continua ad accadere della S. Scrittura presso i protestanti, cioè il libero esame. Un libro — anche se di origine divina, come la Bibbia — è sempre un “morto”: un morto che non può reagire alle violenze che l’interpretazione personale interessata degli uomini gli può inferire. Abbiamo qui la spiegazione ultima della provvidenziale esistenza di un Magistero “vivo”, cioè esercitato da persone viventi, sempre presenti, sempre interpellabili, per la fedele custodia e la retta interpretazione dei documenti scritti che sono il patrimonio della Chiesa. Dio non ha voluto che la S. Scrittura esistesse come insegnamento unico e autosufficiente, ma le ha intimamente unito la Tradizione viva e il Magistero della Chiesa (cfr. Costit. dogm. Dei Verbum, n. 10). Parimenti, il Concilio Vaticano II non ha abbandonato il tomo dei suoi documenti al libero esame dei singoli acquirenti né all’esegesi dei teologi, bensì alla custodia e alla interpretazione autentica del Magistero ecclesiastico, particolarmente del Magistero del Romano Pontefice.


7) Anche dei silenzi del Vaticano II si può abusare, e di fatto si abusa. Si sente dire, o si legge tra le righe di qualche pubblicazione: il Concilio non ha detto niente di questa dottrina, o di questa legge? Vuol dire che sono state perente o abrogate! Ma il ragionamento è puerile. [SM=g1740722]
Il Vaticano II non ha inteso dare la “summa” di tutta la dottrina e di tutta la disciplina della Chiesa. Di tante cose, o per brevità o per involontaria preterizione o per espressa deliberazione, non ha trattato. Ma rimane nel suo pieno vigore tutto il patrimonio dottrinale dei Concili precedenti e del Magistero ordinario (contesto imprescindibile del Vaticano II, come hanno ricordato Giovanni XXIII e Paolo VI); e del patrimonio disciplinare continuano ad aver forza di legge tutte quelle norme le quali non siano state espressamente innovate dal Vaticano II.


8) Ma l’abuso più grave in sé, e più gravido di conseguenza, consiste nel travisare ed inflazionare certi temi trattati dal Concilio. È precisamente per reazione a tale abuso che si è giunti da taluni ad accusare il Vaticano II di responsabile della crisi che travaglia oggi la Chiesa! L’accusa — è già stato rilevato — deve respingersi nettamente come infondata e ingiusta. Però essa trova una parvenza di credibilità nel fatto innegabile che, in questi anni del postconcilio, sotto l’etichetta del Concilio, si tenta di colportare nel patrimonio dottrinale e disciplinare della Chiesa, usando i mezzi più impensati, della merce avariata e perfino avvelenata!
Adattando una espressione di Chesterton si potrebbe dire così: la crisi odierna è costituita “da idee conciliari impazzite”!
Il fenomeno non è certamente nuovo nella storia della Chiesa. Da sempre l’errore si trasfigura, adottando le sembianze della verità; da sempre l’arbitrio si impone, ammantandosi del nobile vestimento della giustizia. Erano ancora vivi gli Apostoli, e già il tema evangelico della “libertà dei figli di Dio” stava impazzendo per colpa di qualche ambiente! Si leggano in proposito S. Paolo (l Cor. 6, 12; Fil. 3, 18; Gal. 5, 13), S. Pietro (2 Pt. 2, 19) e S. Giuda (Giud. 1, 4.12). Non è che un esempio, risalente alle origini cristiane.
Ma il florilegio delle idee “impazzite” dopo il Concilio è tanto assortito, che non c’è se non l’imbarazzo della scelta!


[SM=g1740758]  continua..........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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