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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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MA CHI SONO I FALSI MAESTRI, COME RICONOSCERLI? (qui alcuni esempi) (3)

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2020 13:43
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15/01/2013 22:54
 
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SAN FILIPPO NERI SCOPRE LA SUPERBIA IN UNA SUORA

“Suore” ribelli americane: “la Chiesa del futuro siamo noi”. 2012 odissea all’ospizio. Dalla croce alla “forbice”…

Nella vita di san Filippo Neri si racconta questo fatto che sembra proprio condurci alla superbia di questa monaca: a Roma girava voce di una monaca che faceva miracoli, che era buona, brava, e che guariva i poveri pellegrini che andavano da lei a mendicare una grazia. La voce giunse al Papa il quale volle vederci chiaro e per questo affidò l’incarico a Filippo, di recarsi dalla monaca e verificare se ciò che si raccontava corrispondesse al vero. San Filippo vestiva in modo assai poveramente e giunse dalla monaca non certo in abiti di lusso: in più gli facevano male i piedi e, trovandosi davanti alla presunta miracolante, dopo essersi presentato come prete, le chiese umilmente di aiutarlo a togliersi le bende dai piedi e se poteva, così, dargli un qualche sollievo. La monaca appena vide i piedi del povero santo, sporchi e piagati, con tono superbo gli disse: “ma cosa pretende da me, io sono la serva del Signore, non sono monaca per pulire i suoi piedi, come si permette?”

San Filippo Neri sorrise mentre vedeva la monaca ritirarsi: l’aveva smascherata. Non era affatto una serva del Signore, ma di Satana, e i miracoli che compiva erano patacche.

Questo episodio ci porta a dire con tutta onestà, quanta libertà ci sia, invece, nel consacrarsi e nel servire il Signore in tanti modi. Nel nostro caso le suore, le monache, sono per loro carisma, votate ad una autentica libertà che non è altro che un assaggio, ma anche una prova in questo mondo, di quella pienezza promessa da Nostro Signore a chi, lasciando tutto, ma proprio tutto, si fa servo dei servi di Cristo.

Vi ricordate chi usava molto questa frase? Santa Caterina da Siena. La patrona d’Italia scriveva: “io Catharina, serva dei servi (i Presbiteri, i Vescovi, il Papa) di Cristo, nel Suo preziosissimo Sangue, voglio!…”. Come fa una monaca, una suora oggi, a rigettare tale grande chiamata, rifiutare quel “fiat” con il quale la Beatissima Vergine Maria fu la prima serva, correndo dalla cugina Elisabetta per portarle il suo aiuto, per servirla?

E’ COLPA DEL CONCILIO? NO. ERA GIA’ IN ATTO UNA TRASFORMAZIONE…

Non diciamo che è sempre colpa del Concilio…

Vi prego, non continuate con la solfa “è colpa del Concilio”. Qui il Concilio non c’entra nulla.

Paolo VI, nell’omelia del 30 giugno 1967, per la chiusura dell’Anno della Fede e prima di pronunciare il solenne Atto di Fede della Chiesa, disse:

“Nel far questo, Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire – come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli.”

Scriveva Giovanni Paolo II: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E’ per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere. (..)  il mio Predecessore Paolo VI  ha esplicitato il significato di questo «segno dei tempi», attribuendo il titolo di Dottore della Chiesa a santa Teresa di Gesù e a santa Caterina da Siena, ed istituendo, altresì, su richiesta dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi nel 1971, un’apposita Commissione, il cui scopo era lo studio dei problemi contemporanei riguardanti la «promozione effettiva della dignità e della responsabilità delle donne». In uno dei suoi discorsi Paolo VI disse tra l’altro: “Nel cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti (…); appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità..” (discorso citato nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II,  n.1)

Nella Lettera ai Vescovi dell’allora cardinale Ratzinger, Prefetto della CdF, sulla collaborazione fra l’uomo e la donna, così esordisce: ” Esperta in umanità, la Chiesa è sempre interessata a ciò che riguarda l’uomo e la donna. In questi ultimi tempi si è riflettuto molto sulla dignità della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunità civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all’approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l’insegnamento di Giovanni Paolo II,  la Chiesa è oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalità genuine della promozione della donna“.

Trasformazione?

Quali sono queste “correnti di pensiero” che non coincidono con l’autentica promozione della donna? Riportiamo i passi salienti dal documento citato:

- ” Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Agli abusi di potere, essa risponde con una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i sessi, in cui l’identità ed il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la conseguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo risvolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia.

- Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale, e cioè composta di padre e di madre, l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa”.

Appare evidente che la crisi d’identità della donna e del suo ruolo, contribuisce inevitabilmente anche all’espandersi dell’omosessualità, alla crisi d’identità dell’uomo, ripercuotendosi inevitabilmente sulla Famiglia e sulla società.

La chiave di comprensione per affrontare e tentare di risolvere il problema non può non tenere conto del fatto che i ruoli dell’Uomo e della Donna non sono assolutamente concorrenziali o competitivi, ma di collaborazione e completamento delle risorse intellettive ed affettive. La radice di questi problemi va ricercata in quel malsano tentativo della persona umana di “liberarsi” dai propri “condizionamenti biologici” , spiega infatti l’allora cardinale Ratzinger: “Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale. Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile”.

L’utero è mio e lo gestisco io” di infelice memoria, nel cuore della protesta femminista degli anni ’60, non ha fatto altro che offuscare il ruolo della donna facendola precipitare in una pietosa solitudine sfociata in una ribellione contro l’uomo. La prima vittima di questa assurda ed incomprensibile rivendicazione è stata proprio la donna stessa, il suo ruolo, la famiglia, la vita umana, i figli concepiti che vengono uccisi (per legge) per rivendicare una libertà che è diventata una autentica schiavitù del nostro tempo. Vittima di se stessa anche la società che ha permesso la deriva dell’irragionevolezza, dell’irrazionalità sull’identità dell’essere maschio e dell’essere femmina. Se è vero che la donna ha dovuto combattere contro una certa misoginia dura a morire, è anche vero che nessuna suora o monaca (ma neppure laica) può accusare la Chiesa di essere misogina, rispondendo ad una sua inquietudine, sollevando la bandiera del femminismo più sfrenato dalla presunzione di azzerare o equiparare, al fine annullandole, l’identità delle persone e dei ruoli.

MA NON C’E’ SOLO KUNIGONDE: SUOR RITA GIARETTA, LA FEMMINISTA

Niente più sorriso sul loro volto: ma un ghigno inquietante e livoroso. Suor Rita Giaretta. Suora “impegnata”, ma è un’altra di quelle suore che parlano di maschilismo nella Chiesa… Perché si devono mettere in competizione con gli uomini: se si guardasse allo specchio dovrebbe solo mettersi in competizione con se stessa. Per sembrare non solo una suora, ma una donna.

A questo punto vorrei unire una breve riflessione che traggo da un articolo segnalatomi da Claudia Cirami.

Si tratta di una “suora orsolina” (tra virgolette perché le orsoline furono tra le prime a togliersi l’abito negli anni ’70): suor Rita Giaretta e la sua (encomiabile per molti aspetti) battaglia in difesa delle donne sfruttate attraverso “Casa Rut”, centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze.

In un recente articolo , la suora rimprovera a don Piero Corsi di aver affisso alla bacheca della Chiesa un volantino, tratto dal sito Pontifex, che sostanzialmente dice: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano!”

E’ vero che la questione non può essere affrontata in un modo simile, rischiando di diventare una nota stonata dal momento che la maggior parte delle donne vittime della violenza maschile non sono quelle che provocano o vanno in giro “svestite”. E’ vero, tuttavia, che suor Rita reagisce da femminista oscurando il fatto che questa frase, seppur infelice in un contesto in cui le donne subiscono e vengono uccise, porta con se un fondamento di verità.

Come possiamo dimostrarlo? Lo abbiamo fatto con quanto è stato detto fin qui, ma possiamo aggiungere (e lo faccio da donna, sposa e madre di due figli, maschio e femmina) il famoso proverbio che “l’occasione fa l’uomo ladro”. Questo non giustifica la violenza e spesso la morte che le donne subiscono, ma nessuno con un po’ di onestà intellettuale può negare che oggi esiste una grave provocazione al femminile che parte dal vestire (o forse meglio dire dallo svestirsi), fino a descrivere comportamenti provocatori da parte delle donne del nostro tempo.

Porto un esempio pratico di cui sono stata testimone in cui due donne sono al tempo stesso una la vittima, l’altra la colpevole quanto l’uomo (Adamo ed Eva peccarono insieme): marito e moglie felicemente sposati, con due figli, il più piccolo ha appena compiuto un anno. La mamma si occupa a tempo pieno dei due figli e il marito va a lavorare. Tutto bene, tutto normale, quando, di punto in bianco, il marito le annuncia di avere una amante e decide di andarsene. In breve la provocante donna (non italiana) fa girare la testa al maschio di turno padre di famiglia, noncurante del suo impegno e delle sue responsabilità familiari e spinge l’uomo a lasciare tutto quello che aveva costruito fino a quel momento.

Certo, la colpa è dell’uomo che non ha saputo tenere le responsabilità assunte, ma come definire questa donna?

E come non citare le affermazioni di una pornostar che dal pulpito di un altare ha osato dire che se i mariti vanno a prostitute o lasciano le mogli è perché queste donne (solitamente italiane) non sarebbero in grado di far “impazzire” i propri mariti? Perché scrive a Don Piero Corsi e non al parroco che ha fatto parlare delle pornostar dall’altare contro le mogli ree di non essere in casa delle prostitute per i propri mariti ed incapaci di numeri da pornostar?

Ci sono persino affermazioni dalle lobby omosessualiste le quali sostengono che l’80% degli uomini sposati in verità sarebbero omosessuali nascosti, vittime delle donne megere e “cattive”…. o che le suore sarebbero lesbiche mancate o incapaci di vivere la propria omosessualità, e qui mi fermo per carità cristiana!

LA CHIESA MASCHILISTA? CRISTO HA SCELTO GLI UOMINI COME CAPI, CARA SUOR RITA…

Quando le suore erano veri uomini. E libere donne di Dio. Oggi, le quattro gatte spelacchiate delle “suore ribelli” devo fingersi femministe per sembrare almeno donne, col risultato finale che sembrano solo lesbiche arrabbiate. E il più delle volte lo sono.

Suor Rita denuncia: “Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione”…

La domanda è pertinente e la condividiamo, ma suor Rita non può chiudersi esclusivamente dal suo punto di vista elencando le donne solo come vittime.

Senza togliere nulla alla sua comunità attraverso la quale ha salvato e salva centinaia di donne vittime però di situazioni ben diverse da quelle descritte nella frase incriminata, resta palese che sbaglia quando scrive: “Parole, queste (lettera sopra citata), che sento oggi con forza di rinnovare e di rivolgere non solo a don Piero Corsi, ma a tutto il mondo maschile, e soprattutto alla mia Chiesa, che purtroppo dal punto di vista istituzionale è ancora fortemente maschilista….”

Ci risiamo: il tarlo femminista colpisce ancora, alla suora “le rode”: la Chiesa – secondo lei – è maschilista dal punto di vista istituzionale!…

No, non ci siamo, cara suor Rita! Se “le rode”, non si scagli sulla Chiesa. La sua fondatrice – con la sua luminosa testimonianza – dovrebbe rammentarle che l’istituzione della Chiesa non è umana ma divina. Non è maschilista l’Istituzione, mentre lei ha assunto liberamente, in questa Chiesa, un atteggiamento femminista, pronta ad attaccare la Chiesa nella sua legittima gerarchia generata al maschile da Cristo in persona.

Le rammento che la Chiesa ha anche una sua parte femminile, rappresentata benissimo e in primis da Maria, ma la Vergine Santa, Madre di Dio, non ha mai accusato il Figlio di aver dato alla Chiesa una gestione al maschile!

SUOR RITA “RAZZOLA” BENE, MA “PREDICA” MALE…

Suor Rita è una buona suora, intendiamoci, e fa questo “lavoro” da 16 anni a Caserta, in un centro di accoglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997. «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo visto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho potuto tirarmi indietro.

Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza.

Si chiamava Vera, era polacca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta».

Ma suor Rita va ben oltre il suo ruolo di buona samaritana verso le donne vere vittime, e attacca la Chiesa, e questo non possiamo accettarlo:

“O ancora oggi i seminari sono prevalentemente luoghi chiusi, riservati ai soli maschi – docenti e animatori – mentre le figure femminili presenti sono unicamente di contorno, con servizi generici: cucina, lavanderia, pulizie?

Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile?

Mi auguro che la mia chiesa, di cui mi sento parte viva, possa sempre più aprirsi alla luce di Cristo per vivere in novità di vita il Vangelo nel quale, come afferma S. Paolo nella lettera ai Galati “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo”, che significa tutti uguali in dignità…”

Fa bene suor Rita a dire “la mia chiesa” perché di fatto sta descrivendo la sua immagine di Chiesa, come la vorrebbe: ai suoi piedi, ai piedi delle donne, femminista. Temo che questa suora non conosca assolutamente il mondo maschile, o sembra addirittura schifarlo, o assoggettarlo alla mentalità di questo tempo.

Abbiamo già detto sopra che il sacerdote presta un servizio unico ed indispensabile per i monasteri: senza il sacerdote la donna, la suora consacrata, non riceverebbe alcun sacramento. Che male c’è dunque se delle donne prestano il proprio servizio ai futuri sacerdoti?

Pensiamo alla Casa Pontificia, di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI oggi, è gestita dalle donne, religiose consacrate con l’altro Papa e consacrate laiche con Benedetto XVI: non c’è altro da aggiungere.

Infine l’ interpretazione di Suor Rita riguardo alla frase paolina è davvero meschina. Tra uomo e donna, la dignità è uguale, non il ruolo! Non ci vuole una laurea per capire la differenza… Ma suor Rita fa finta di non scorgerla. Anche l’ultimo prete della più sperduta parrocchia ha pari dignità con il Pontefice e il loro sacerdozio è il medesimo: anzi, spesso, sono più santi certi parroci del Papa stesso, ma questo non li pone sullo stesso piano nel ruolo.

Fare la donna delle pulizie è dignitoso quanto fare l’impiegato, ma non sono uguali. Ma questo vuol dire solo che c’è bisogno delle pulizie e c’è bisogno dell’impiegato: non è discriminazione, è costatazione.

UOMINI E DONNE IN TUTTE LE PARTI DEL MONDO SONO VITTIME DELLE TANTE SCHIAVITU’ NATE DAL PECCATO

due “suore” ribelli travestite da preti: basta guardarle in faccia per capire che son adoratrici più che della croce delle forbici

Ricordiamo, inoltre, che esiste anche una schiavitù al maschile: specialmente bambini venduti come schiavi per la prostituzione e la vendita degli organi, o costretti a diventare soldati, imbracciare fucili, armi, e ad uccidere….

Ricordiamo anche la schiavitù dei cristiani, quando le donne vengono violentate e gli uomini mutilati e torturati prima di essere uccisi… Un  caso  emblematico è  quello  di  Giuseppe,  cristiano  sudanese  la  cui  triste  storia  è  stata  denunciata due anni fa dalla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Catturato dai predoni musulmani del Nord nel suo villaggio a sette anni, fu venduto come schiavo (come migliaia di donne e bambini  cristiani)  a  un  padrone  musulmano,  il  quale  un  giorno,  irritato,  l’ha  torturato  e  crocifisso  a  un  tavolaccio  di  legno. Storie terribili come quelle di catechisti mutilati e sacerdoti ai quali vengono tagliate le mani perché non possano più celebrare l’Eucaristia. In questi casi è la schiavitù del mondo che li uccide nella loro scelta alla vera libertà, mentre i casi qui trattati nell’argomento, riguardano le donne schiave o del femminismo, e quindi di una ideologia, o rese schiave dall’erotismo del mondo…

GESU’ RISORTO APPARVE ALLE DONNE, MA NON NE FACCIAMO UNA BANDIERA PER RIVENDICARE 

Gesù si mostra alle donne appena risorto. Ma non vuol dire che le mette a capo della Chiesa.

Quindi alla domanda di suor Rita: “Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile?” basta rispondere: e quale idea di donna dovrebbe elaborare e coltivare un figlio maschio o una figlia femmina che vengono cresciuti in una casa dove la madre fa la casalinga e il padre magari è un militare? Ma che domande sono? Il “privilegio sacro” esiste e lo ha istituito Nostro Signore, per questo i sacerdoti rei di gravi peccati rischiano direttamente l’Inferno e sono giudicati con maggiore severità, proprio perché “hanno ricevuto di più“…. ma suor Rita lo legge tutto il Vangelo o solo quello che le fa comodo? Marta e Maria le dicono nulla?

Infine, conclude suor Rita: “anche oggi risuona il grande annuncio di vita e di speranza consegnato da Gesù alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ed esse, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” (Lc 24,5-6)”.

Si, è vero il messaggio fu consegnato alle donne, ma le chiavi per la gestione di questo annuncio che le donne dovevano portare agli Apostoli infatti, sono state consegnate a Pietro e al Collegio degli Apostoli, non alle donne!

Perciò, cara suor Rita, si metta l’anima in pace: continui ad occuparsi delle donne bisognose – “i poveri li avrete sempre fra voi” – e lasci la gestione dottrinale a quel Collegio al maschile istituito da Nostro Signore Gesù Cristo, e prenda a modello la Madre di Dio!

Come siamo ben lontani dall’insegnamento di santa Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa, quando insegnava: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore“, che non significa altro che mettersi a servizio dell’uomo, della Chiesa e della stessa società con quel ruolo materno che Dio ci ha dato.

«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno» diceva la beata Madre Teresa di Calcutta.

Ma vogliamo riportare almeno il nome di suor Miriam Stimson, domenicana, la biologa che individuò i meccanismi del Dna, sopranominata la suora della doppia elica. Una donna che ha speso la sua vita tra la clausura e il suo laboratorio di chimica, che, conciliando la creazione e le teorie sull’evoluzione di Darwin (non le strumentalizzazioni e speculazioni interpretative), ha saputo coniugare il difficile rapporto tra fede e scienza e soprattutto ha contributo alla scoperta del XX secolo: la doppia elica del Dna. E con essa ha individuato l’origine genetica del cancro, imponendosi magistralmente sull’ambiente scientifico maschile degli anni ’50.

DONNE MAI PROTAGONISTE DELLA VITA DELLA CHIESA. NO, CARE RIBELLI: NON E’ COSI’.DA ILDEGARDA…

Ildegarda di Bingen

Dal settembre 2010 al febbraio 2011 il santo Padre Benedetto XVI ha tenuto una serie di catechesi dedicate alle donne nel Medioevo, donne che hanno fatto grande la Chiesa e che hanno avuto un ruolo, a volte anche determinante, nella società del proprio tempo. Certo, il Papa parla di donne impegnate nella Chiesa, diventate sante, donne di preghiera e consacrate, ma non è da sottovalutare la loro biografia nel sociale. Nel presentare la figura di santa Ildegarda, che è diventata di recente Dottore della Chiesa, ebbe a dire: “su questa grande donna profetessa, che parla con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita, il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo (…) Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi. Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità, queste donne parlano anche a noi oggi“.

Nella figura di queste e tante altre donne impegnate nella Chiesa, vediamo come la fede e l’amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell’uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e aumentino l’amore e la vera carità.

…PASSANDO PER BRIGIDA DI SVEZIA…

Brigida di Svezia: apostolato e orazione ma… con determinazione.

Nel presentare l’opera di un’altra santa, Brigida di Svezia, il Papa scrive: “A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”. Durante quegli anni, i pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna…”

 

… A CATERINA DA SIENA, SOLO PER CITARNE ALCUNE.

S. Caterina da Siena: senza rivendicazioni femministe, era una donna molto influente. E riportò i papi a da Avignone a Roma. Era la forza della fede non dell’ideologia a scoppio ritardato

Supplica che, come sappiamo, si realizzò con l’operato di un’altra donna, santa Caterina da Siena, della quale scrive il Papa:

“La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII. (..) Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito. Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. (..)

Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia. “

La lista delle donne che resero grande la Chiesa e la società stessa, è lunga e vi invitiamo a scoprirla. Certo è che Sr. Furst e l’associazione delle religiose americane contestatrici, non faranno mai grande la Chiesa e neppure la società.

Régine Pernoud, la storica francese già direttrice degli archivi nazionali di Parigi i cui libri hanno tirature da bestseller, sfata una leggenda, un mito sulle donne: altro che “secoli bui”, nel medioevo, ci sono donne a capo di conventi, maggior età a 14 anni, predicatrici di crociate che leggono il Corano, educatrici, severi moniti per la corruzione del proprio tempo, contro la corruzione del clero, contro la disobbedienza di preti e vescovi, richiami per il ruolo del Pontefice, amministratici sagge e prudenti…

Quando parla del Medioevo si infervora e come darle torto!?

NON VOLETE QUESTO SERVIZIO? CERCATEVI UN ALTRO IMPIEGO

Una badessa ai nostri giorni: signora e serva delle sue consorelle. Libera e sovrana donna di Dio.

Queste monache di oggi, queste suore, dovrebbero forse riscoprire non soltanto la vita dei propri fondatori, ma soprattutto il valore del silenzio, quello della preghiera, del senso del sacrificio, della virtù del pudore, della prudenza, dell’obbedienza… insomma riscoprire la propria vocazione. Se non vogliono questa vita, c’è sempre la zappa, ci sono tante imprese di pulizia… con tutto il rispetto per le donne delle pulizie delle quali ben conosco il duro lavoro e sacrificio!

La vita monacale o religiosa, seppur pregna di sacrifici, austerità, disciplina, in fondo, è davvero una pacchia rispetto alla vita di tante donne costrette con la violenza alla strada, o costrette dalla sorte a dover faticare, a causa delle persecuzioni, persino per pregare… Certo la vocazione è una chiamata – “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù -  ma a noi resta se accogliere questa chiamata o voltarle le spalle, se accettarla e poi tradirla oppure usarla per santificarci. Vero è che quando si smette di pregare e di predicare Cristo Crocefisso, ogni vocazione finisce nello slogan dell’ “utero è mio e lo gestisco io”! C’è solo un modo per raffreddare certi calori: pregare e tacere, faticare e accontentarsi, essere felici del ruolo che Dio ci ha dato. Chi accetta questa “chiamata” non ha alcun diritto di modificarla, e questo vale per la vita consacrata quanto per la vita coniugale.

Mi piace concludere con quanto segue e che vuole essere un modesto consiglio per queste suore e per queste monache, e per quanti nella Chiesa, inconsciamente o spudoratamente le sostengono:

“Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e Uomo (…) – conclude Benedetto XVI usando le parole di Santa Caterina da Siena – ponetevi per obietto Cristo Crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace).”

[SM=g1740758]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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