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Dedichiamo una pagina a Don Luigi Villa non per canonizzarlo noi, ma per conoscerlo e pregare per lui e con lui

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2012 19:09
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26/11/2012 19:02
 
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Don Villa a Brescia

Fu la situazione grave in cui si trovavano i Genitori, che spinse don Villa ad accettare dall’arcivescovo di Chieti, mons. Giambattista Bosio, l’incardinazione nella sua diocesi, come era stato suggerito dal Segretario di Stato, cardinale Tardini. Ma fu una incardinazione segretissima, fatta nello studio del Vescovo, e, come testimone, solo il suo Segretario, mons. Antonio Stoppani. Ma mons. Bosio, per consentire a don Villa di aiutare i Genitori, avuto il beneplacito da Roma, trasferì don Villa nella diocesi di Brescia, con l’approvazione del Vescovo locale.

Il 15 settembre 1962, don Villa aprì una “Casa di formazione”, a Codolazza di Concesio – Brescia, intitolata “Villa Immacolata”, per erigere l’Istituto “Operaie di Maria Immacolata” nato con la paternità di Mons. Bosio.

Nel 1964, l’anziano Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici, morì e fu sostituito dal montiniano mons. Luigi Morstabilini.
Il 12 dicembre 1964, mons. Morstabilini promise a mons. Bosio di concedere, in breve tempo, il Decreto di approvazione dell’Istituto; la stessa promessa la fece a don Villa, tre giorni dopo; in gennaio 1965 vi fu il trasferimento dei documenti; il 2 febbraio furono accettate da don Villa alcune condizioni restrittive sulle vocazioni estere; il 4 febbraio, mons. Morstabilini assicurò mons. Bosio che il documento di approvazione era “sicuro”; il 7 febbraio mons. Morstabilini, in visita alla parrocchia in cui risiedeva l’Istituto di don Villa gli evitò l’onore di una sua visita; il 18 maggio, mons. Bosio, dopo un colloquio con mons. Morstabilini assicurò don Villa che il Decreto di approvazione era ormai prossimo al rilascio.
Ma il 1° luglio 1965, don Villa ricevette dalla Curia di Brescia una lettera del delegato vescovile che lo informava del parere sfavorevole della Commissione a riguardo dell’approvazione dell’Istituto.
Di fronte a tanta ostilità e doppiezza, don Villa comunicò a mons. Bosio la sua intenzione di incardinarsi in un’altra diocesi. Il suo Vescovo dispiaciuto, gli rispose: «No, non farlo, per me!».
Ma questa doppiezza nel modo di agire, obbligò il così paziente e buono mons. Bosio ad AGIRE!
«Adesso basta – disse a don Villa – in fin dei conti il tuo Vescovo sono Io. Se non comprendono la mia delicatezza e carità, andrò a Roma, e ti scriverò».

Il 4 dicembre 1965, mons. Bosio scriveva a don Villa: «Carissimo Padre Villa, puoi dire alle tue figlie che l’Immacolata ha esaudito le nostre e le loro preghiere. Visto che a Brescia non si viene a capo di nulla, ho fatto visita al card. Pietro Palazzini…». La lettera terminava così: «.. non avendo qui, a Roma, i timbri della Curia, potrete ugualmente celebrare la “fondazione” il giorno dell’Immacolata. Il “Documento” ve lo manderò quanto prima».

L’8 dicembre 1965, Mons. Bosio inviò a don Villa il “Decreto” con cui si erigeva canonicamente il suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”.
<>Il 20 maggio 1967, la sede dell’Istituto fu trasferita in città, in via Galileo Galilei, 121, Brescia, dove risiede tuttora.

Mons. Giambattista Bosio, però, morì pochi giorni dopo, il 25 maggio 1967.
Don Villa non era a conoscenza di alcuna malattia o altro problema di salute che potesse far pensare ad una morte imminente del suo Vescovo. Solo poche settimane prima della morte, lo stesso mons. Bosio, gli aveva detto: «Quando andrò in pensione, vorrei venire a vivere con te, nel tuo Istituto». Le stesse Suore dell’Istituto erano elettrizzate al pensiero di avere con loro un personaggio così famoso e importante.
Quando Mons. Bosio morì, don Villa si trovava all’estero e, al suo ritorno, si recò immediatamente a Chieti per pregare sulla sua tomba.

Il nuovo Vescovo di Chieti, e quindi il diretto superiore di don Villa, fu mons. Loris Capovilla, ex uomo di fiducia del Vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, uno dei peggiori nemici di Padre Pio, ex segretario personale di Giovanni XXIII ed ex segretario personale di Paolo VI, dal 1963 al 1967.
Don Luigi si recò subito da Lui ed ebbe un colloquio in cui, il Vescovo, più che trattare la questione della sua incardinazione, per più di un’ora, cercò di convincerlo a non scrivere più articoli contro il comunismo, poiché – diceva – il comunismo sovietico vincerà e si dovrà venire a patti con Mosca!
Con la morte di mons. Bosio, don Villa si trovò stretto in una morsa: da una parte, l’ex segretario personale di Paolo VI, mons. Capovilla; dall’altra, il montiniano Vescovo di Brescia, mons. Morstabilini.
Mons. Capovilla chiedeva a don Villa di incardinarsi a Brescia, mentre mons. Morstabilini insisteva che don Villa rimanesse incardinato a Chieti e continuasse la sua opera a Brescia, riconfermandogli la sua fiducia, stima e benevolenza e consigliandogli di “far maturare i tempi”.

Il 4 febbraio 1968, don Villa, in una lettera al Vicario Generale di Brescia, mons. Pietro Gazzoli, lamentandosi della “poca intelligenza e onestà” e del modo doppio di agire di mons. Morstabilini, riportava due documenti che attestavano la sua mala fede:

1. una lettera di mons. Morstabilini a mons. Bosio (scritta dopo il Decreto di approvazione di Roma dell’8 dicembre 1965) in cui si scusava per non averlo dato lui tale “Decreto”, perché questa era la sua intenzione, e dove incolpava la Commissione di Curia di averglielo impedito.

2. un’altra lettera di mons. Morstabilini, ad un parroco bergamasco, in cui, invece, il Vescovo affermava esattamente il contrario; pur riconoscendo che don Villa aveva ricevuto un Decreto di approvazione del suo Istituto, disse, però, che, se fosse dipeso da lui, tale Decreto non gli sarebbe mai stato concesso.

Il 3 settembre 1968, don Villa ricevette un “ultimatum” dal Vicario Generale di Chieti, mons. F. Marinis, il quale gli intimava di farsi incardinare a Brescia, entro fine anno.

Il 15 dicembre 1968, don Villa scrisse una lettera al card. Pietro Palazzini per metterlo al corrente di tutte queste manovre che miravano a “scardinare” l’Istituto che aveva da poco fondato.

Questi sono solo i primi esempi del modo di agire dei “nemici” di don Villa: nemici che non l’hanno mai affrontato lealmente e in campo aperto, ma che hanno sempre agito alle spalle, con doppiezza, colpendolo con ogni mezzo, incluso, come vedremo, il tentativo di assassinio.
Inizio della “Via Crucis”
I tempi di buona accoglienza degli ambienti vaticani, dell’ultimo periodo di Pio XII, erano svaniti; ora, iniziavano quelli dell’isolamento e della persecuzione.
<>Il legame quasi di predilezione con Pio XII, bruscamente, si trasformò in quello iniziale della letale politica: «ignoratelo e fatelo ignorare»!

Ecco due fatti che illustrano questi due diversi atteggiamenti.
Un giorno, don Villa chiese e ottenne subito un’udienza col Santo Padre, l’Angelico Pio XII. Questa avvenne in una grandiosa sala, gremita di persone. Fatto chiamare don Villa, e trovatosi di fronte a lui, dopo un breve scambio di parole, Pio XII gli prese le mani nelle sue e lo abbracciò, davanti a tutti, come a significare la sua predilezione per questo Sacerdote al quale, in segreto, Egli aveva affidato un compito grave che mai fu affidato ad altro Sacerdote.
Come fu diverso, invece, anni dopo, l’incontro tra don Villa e Paolo VI.

Il 14 luglio 1971, una Religiosa del suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”, Suor Natalina Ghirardelli, fu ricevuta in “udienza privata” da Paolo VI, il quale voleva congratularsi con Lei, per il ritratto che la Suora-pittrice gli aveva fatto e che fu offerto al Papa, in occasione del 50° anniversario del Suo Sacerdozio (1970).
Don Villa accompagnò a Roma Suor Natalina come suo Padre Superiore.
All’entrata del salone dei ricevimenti, dove, in mezzo, sedeva il Papa, don Villa notò che Paolo VI guardò subito la sua Suora-pittrice con occhi quasi da innamorato, e continuò poi a rimirarla, stringendole e tenendole le mani per tutto il tempo dell’udienza. Don Villa, a fianco della Suora, non fu mai degnato di uno sguardo da parte di Paolo VI, neppure per un istante. Al gesto di don Villa di voler offrire al Papa alcuni suoi libri, Paolo VI, sempre senza guardarlo, fece un gesto con la mano sinistra al suo segretario mons. Pasquale Macchi, che si avvicinò e prese i libri, senza che il sacerdote potesse dire una sola parola.
Alla fine del colloquio, Paolo VI benedì la Suora e le consegnò una Corona del Rosario, mentre a don Villa diede il borsellino del Rosario, sempre senza guardarlo. E continuò ancora a non guardarlo neppure quando, insieme alla sua Suora, si avviò verso l’uscita.
In quell’occasione, don Luigi comprese che quel gesto inconcepibile di Paolo VI verso di lui, era come un segnale dell’inizio della sua “Via Crucis”. Come infatti avvenne!

La Rivista “Chiesa viva”

Per combattere la battaglia che Padre Pio gli aveva affidato, a don Villa serviva una Rivista, che però fosse libera da pressioni o soppressioni ecclesiastiche.
Mons. Bosio gli suggerì di iscriversi all’Ordine dei giornalisti e fondare una rivista sua personale, in modo che le Autorità ecclesiastiche non potessero, in qualche modo, farla fallire. Don Villa, allora, si iscrisse all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, prendendo la tessera numero 0055992. A quel tempo, al suo attivo, aveva già una trentina di pubblicazioni (teologiche, ascetiche, letterarie, politiche) e oltre un migliaio di “articoli” già pubblicati su riviste e quotidiani.

Nel 1971, don Villa fondò la sua Rivista “Chiesa viva”, con corrispondenti e collaboratori in tutti i continenti. Il primo Numero uscì con la data “Settembre 1971”.
Pochi mesi dopo, il 14 dicembre 1971, a Vienna, don Luigi ebbe un incontro personale col card. Joseph Mindszenty, il quale dopo essere stato umiliato e degradato da Paolo VI, per non avere voluto tendere la mano al comunismo, aveva lasciato Roma.
Il Cardinale lesse interamente il primo numero di “Chiesa viva” e ne fu tanto entusiasta che pose la sua firma sulla copia che aveva letto e, al termine dell’incontro, dopo due ore e mezzo di un suo appassionato e illuminante colloquio, disse a don Villa: «Mi creda: Paolo VI ha consegnato interi Paesi cristiani in mano al comunismo!»…

Il 24 settembre 1971, “il Messaggero Abruzzo” riporta un articolo dal titolo: “L’Arcivescovo (Capovilla) va in pensione”. Dalle casse della diocesi erano spariti circa cento milioni di lire, e mons. Capovilla aveva pubblicamente insinuato che la colpa era da attribuire al Vescovo precedente, mons. Giambattista Bosio. Allora, il Prefetto e il Capo dei Carabinieri comunicarono a Paolo VI che, se entro tre giorni, mons. Capovilla non fosse stato rimosso dalla diocesi di Chieti, loro lo avrebbero incriminato e messo in galera. Così, mons. Capovilla fu trasferito a Loreto.

Ma la guerra a don Villa continuava.
Fu il Pro-segretario di Stato di Paolo VI, il massone mons. Giovanni Benelli, che coniò ufficialmente la nuova strategia di guerra contro don Villa.
Nelle riunioni coi suoi collaboratori, parlando di don Luigi, Benelli era solito dire: «Bisogna far tacere quel don Villa»! Ma quando qualcuno obiettava: «Eminenza! bisogna però dimostrare che sbaglia!», il Cardinale, irritato, rispondeva: «E allora, ignoratelo e fatelo ignorare!».
Ma questo non bastava, la voce di don Villa era la sua Rivista “Chiesa viva”, e questa “voce” doveva essere messa a tacere.
Se la Rivista non fu attaccata subito frontalmente, lo si dovette al fatto che il Vice Direttore di “Chiesa viva” era il famoso filosofo tedesco ed ebreo convertito, prof. Dietrich von Hildebrand, che Paolo VI conosceva bene, ma altrettanto temeva.
Allora, si cominciò con i collaboratori-teologi, che don Villa aveva già in attivo per “Chiesa viva”. Mons. Benelli scrisse una lettera a ciascuno di essi, perché cessassero la collaborazione con don Luigi, il quale seppe di questo intervento della Santa Sede, solo perché uno dei suoi collaboratori lo informò subito di quest’ordine ricevuto dall’alto.

Così, si fece la terra bruciata intorno a “Chiesa viva”!
I nemici di don Villa, con la complicità di quel clero che preferisce il quieto vivere ai fastidi di non adeguarsi subito alla “linea di pensiero” che viene “suggerita” o “imposta” dall’alto, iniziarono un’altra strategia: la calunnia.
Così, don Villa divenne “lazzarone”, “matto”, “fascista”, “anti-semita”, “fuori della Chiesa”, “eretico”, “sacerdote di esasperate tendenze conservatrici e preconciliari”, “un laceratore della Carità che apre la strada alla diffamazione”, “un rigurgito di orgogliosa supponenza nel sentirsi detentore della verità”… e più recentemente, “autore di scritti infamanti”, e “degno di provvedimenti punitivi”; provvedimenti che però “non vengono presi solo per non umiliare un prete più che novantaduenne”.
“Chiesa viva”, però, continuava a vivere! Allora, per demoralizzarlo, furono inventate le “telefonate a notte inoltrata” fatte di insulti, calunnie, bestemmie, minacce! E questo per molto tempo!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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