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IL “NEO-DONATISMO”UN PERICOLO SEMPRE ATTUALE di Don Curzio Nitoglia

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2012 19:44
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Il “NEO-DONATISMO”, UN PERICOLO SEMPRE ATTUALE

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IL “NEO-DONATISMO”UN PERICOLO SEMPRE ATTUALE

Il Donatismo classico

Il “DONATISMO CLASSICO”[1] è un’Eresia (seguita da uno Scisma) nata da DONATO IL GRANDE († 330 circa) del quale purtroppo sono andati persi gli scritti, ma dei quali ci parlano S. GIROLAMO (De viribus illustris, 93) e SANT’AGOSTINO (De haer, 69; Epist., 185; De corrept. Donatist., I, 1). Secondo i due Dottori della Chiesa, Donato avrebbe scritto un libro arianeggiante intitolato “De Spiritu Sancto, in cui sosteneva che lo Spirito Santo è inferiore al Figlio e Questi al Padre.

Dottrinalmente, il Donatismo si ricollega all’errore dei “Ribattezzanti” di TERTULLIANO († 240 circa), che sosteneva essere invalido il Battesimo conferito dai Vescovi e Sacerdoti eretici, i quali – essendo privi di Grazia santificante – non potevano trasmetterla ai fedeli.

TERTULLIANO[2] (nato verso il 160) era un avvocato di grido, che si era convertito al Cristianesimo verso il 195. Tuttavia nel 213 divenne Montanista e preparò, così, il Donatismo. Egli,  “come accade spesso ai neoconvertiti, era fornito di un carattere fortemente rigorista e questa tendenza lo portò ad aderire al Montanismo. Di carattere tenace, intransigente e fiero, proteso sempre verso la verità assoluta e senza sfumature, sia teoretica sia morale. […]. Gran polemista, ma nel desiderio di polemizzare si faceva trascinare dalla voglia di stravincere e da un ardore polemico fine a se stesso e ciò lo spingeva verso posizioni dottrinali singolari e pericolose.”[3] Infatti divenne Montanista, morì tale e precorse il Donatismo.

Il MONTANISMO era un’Eresia d’indole etica ed ascetica sorta verso il 170 nella Frigia (Asia Minore). Infatti più che una pura dottrina dogmatica esso era una Prassi moralistica e spiritualmente rigoristica con una forte tendenza millenaristica. MONTANO IL GRANDE († 190-200 circa) asseriva di essere ispirato dallo Spirito Santo per dar via ad un nuovo Cristianesimo moralmente più rigido ed asceticamente più spirituale di quello petrino o romano.

Il Montanismo fu chiamato, perciò, anche “Nuova Profezia” come il Gioachimismo (XIII sec.) venne poi definito “Nuovissima Alleanza”. Montano – dal punto di vista della Morale – era assai rigorista e proibiva, sotto pena di peccato grave, ai vedovi di risposarsi, spingeva a digiuni prolungati come fossero di Precetto e non di Consiglio, obbligava a dure penitenze e mortificazioni. Dall’Asia il Montanismo giunse sino a Roma e, come abbiamo visto,  guadagnò Tertulliano, che morì Montanista e quindi fuori della Chiesa cattolica romana (spesso “l’ottimo è nemico del buono” e “chi vuol far l’Angelo finisce per diventare una bestia”).

Papa ZEFIRINO († 217) condannò definitivamente il Montanismo, che non dette ulteriori gravi fastidi alla Chiesa[4]. Il Montanismo – dogmaticamente ed asceticamente – precorreva l’eresia millenarista di GIOACCHINO DA FIORE († 1202 circa) poiché Montano proclamava di essere lo strumento privilegiato del Paraclito, che si sarebbe manifestato pienamente su di lui, in maniera ancora più copiosa che nel giorno della prima Pentecoste quando discese sui Dodici Apostoli riuniti nel Cenacolo assieme alla Madonna. Solo la seconda discesa dello Spirito Santo o “la Nuova Pentecoste” su Montano avrebbe introdotto la Chiesa in tutta la Verità, che nella Nuova Alleanza era ancora manchevole ed imperfetta.Essa avrebbe conosciuto una specie di trasformazione in meglio rispetto alla Chiesa della Nuova Alleanza fondata su Pietro. Infatti nella nuova Chiesa non più gli Apostoli ed i loro successori (Papa e Vescovi), ma i “Nuovi Profeti” e i “veri spirituali” avrebbero governato i fedeli, non gerarchicamente e giuridicamente, ma spiritualmente o “pneumaticamente” (v. TERTULLIANO, De pudicitia, 21; PL 2, 1080). Un errore simile è riscontrabile anche nel neo-modernismo di Helder Camara e Leo Suenens, i due prelati che durante il Concilio Vaticano II parlavano frequentemente di Carismatismo, Pentecostalismo e Nuova Pentecoste.

TERTULLIANO portò il Montanismo dalla Frigia asiatica all’Africa mediterranea e si oppose alle decisioni di Roma, convinto di possedere solo lui la pienezza del Paraclito e quindi di essere superiore alla Gerarchia istituita da Cristo, ma priva dell’abbondanza dello Spirito Santo. Così attorno al 207-213 ruppe formalmente con la Chiesa romana, designandola come “Chiesa degli psichici” (ossia dei Vescovi e fedeli forniti della semplice ‘anima razionale’ o ‘psiche’); mentre la sua era la “Chiesa dei pneumatici” (cioè delle anime riempite totalmente di ‘Spirito Santo’ o ‘Pneuma’). La Chiesa montanista avrebbe segnato la terza ed ultima fase (una sorta di “Nuovissima Alleanza”) dell’economia della salvezza dopo l’Antica e la Nuova Alleanza (cfr. De virginibus velandis, I; PL 2, 938).

Il suo moralismo rigido ed esagerato portò Tertulliano a bollare come irrimediabilmente caduti i ‘traditori’, ossia i ‘consegnatori’ (dal latino “tràdere” = consegnare) dei Libri Sacri ai persecutori Romani per evitare il Martirio. Il Montanismo precorre non solo il Gioachimismo (XIII sec.), ma il Protestantesimo e persino il Carismatismo odierno[5], in quanto la sua dottrina pullula di soggettivismo, individualismo, rifiuto della Gerarchia, profetismo esasperato, esperienza sentimentalistica religiosa e possesso esclusivo (da parte di pochi esaltati o “eletti”) dei Carismi del Paraclito[6].

MONTANO, che si era convertito al Cattolicesimo, iniziò ad avere degli strani fenomeni “mistici” straordinari, che in realtà erano preternaturali (estasi, ispirazioni, rivelazioni …). Due false mistiche, Massimilla e Priscilla, lo seguirono ed iniziarono ad avere manifestazioni simili. Ben presto si fece di Montano un Profeta e si formò un movimento di sequela del Santone e delle due false mistiche.

Il Vescovo SAN CIPRIANO DA CARTAGINE († 258) fu l’oppositore strenuo del DONATISMO e si appellò al Supremo Magistero di papa STEFANO I († 257), il quale, appoggiandosi alla Tradizione apostolica, ripose con il celebre rescritto: “nihil innovetur, nisi quod traditum est; nessuna innovazione,  solo  Tradizione”. San Cipriano, terminata la persecuzione di Decio (250), si trovò ad affrontare la spinosa questione dei “lapsi” o “caduti” nel peccato di apostasia per evitare di essere martirizzati. Egli condannò fermamente l’apostasia, ma nello stesso tempo insegnò che di fronte all’apostata pentito si doveva usare misericordia e perdonare il peccato pur infliggendo la dovuta penitenza; mentre i Montanisti e i Donatisti volevano escludere l’apostata, anche se pentito e penitente, per sempre dalla Chiesa mediante una scomunica irremissibile.

Tuttavia anche San Cipriano, nel 255,  insegnò pro tempore la dottrina erronea secondo cui i Sacramenti amministrati dai “lapsi” erano da considerarsi invalidi, come si riteneva allora nella Chiesa dell’Africa mediterranea. La questione venne portata davanti al Supremo Magistero di Roma, donde papa Stefano I (nel 256) ribadì la dottrina fondata sulla Tradizione apostolica sulla validità dei Sacramenti, che traggono la loro efficacia oggettiva (“ex opere operato”) dall’Istituzione divina e non dalle disposizioni soggettive (“ex opere operantis”) dei Ministri. Purtroppo Cipriano in un primo momento rifiutò l’insegnamento della Prima Sede fondato sulla Tradizione apostolica. Papa Stefano I minacciò, allora, di scomunicarlo ed il Vescovo Dionigi di Alessandria riuscì a comporre il dissidio. Nel 258 Cipriano, che aveva oramai accettato il Magistero papale sulla validità dei Sacramenti ex opere operato, venne catturato durante la nuova persecuzione scoppiata sotto l’imperatore Valeriano e venne condannato a morte per decapitazione. Il suo corpo fu seppellito dai Cristiani presso Cartagine.  Egli, nonostante lo sbandamento temporaneo del 256, si è poi mantenuto sempre fedele alla dottrina sulla Tradizione e la S. Scrittura come fonti della Rivelazione divina, che vanno, però, interpretate non soggettivamente, come vorrebbero i Protestanti (quanto alla S. Scrittura), gli scismatici “Ortodossi” ed alcuni “tradizionalisti” odierni (quanto alla Tradizione), ma dal Magistero ecclesiastico (De lapsis, cap. 2; capp. 15-16; cap. 29; Epist. LXIII, 10, 2; Ib., 71, 1, 3; De Catholicae Ecclesiae unitate, cap. 5). Cipriano nell’Epistola LXIII De traditione calicis invita a “non discostarsi da quanto Cristo ha rivelato ed ha fatto” (Ibidem LXIII, 2, 1), a “non allontanarsi dal Magistero divino continuato nella Chiesa” (Ib., 10, 2) e a “custodire la verità della Tradizione” (Ib., 19, 1). In lui sono chiare le nozioni di S. Scrittura e Tradizione  come fonti della Rivelazione e di Decisioni della Chiesa o Magistero (anche se quest’ultima parola non appare ancora, ma il concetto sì) come organo o strumento interpretativo del vero significato delle due fonti del Dato Rivelato. Tale dottrina è stata perfezionata da Sant’Agostino (C. ep. fundamenti 5) che asserisce: “Io non crederei al Vangelo, se non me lo presentasse l’Autorità o l’Insegnamento [Magistero] della Chiesa cattolica”[7].

I DONATISTI continuarono, però, a seguire l’erronea dottrina del loro fondatore Donato ed anzi la portarono alle estreme conseguenze, come spesso accade nei movimenti ereticali e scismatici, in cui l’eretico vuol sorpassare l’eresiarca e il discepolo sorpassa il maestro: “parvus error in principio fit magnus in fine”.

I Donatisti aggravarono l’errore di Donato asserendo che, “se gli eretici battezzano invalidamente, perché privi di Grazia abituale, anche i Ministri sacri, che sono in peccato mortale mentre confezionano tutti gli altri Sacramenti, lo fanno invalidamente”. In tal modo l’efficacia dei Sacramenti, che sono segni visibili, i quali conferiscono la Grazia che significano (per esempio, il Battesimo essendo un lavacro di acqua, simboleggia la pulizia dal peccato e conferisce realmente la Grazia santificante, che cancella realmente la colpa), diventava difficilmente discernibile. Infatti le disposizioni interne o soggettive del Ministro non si vedono, mentre si constata oggettivamente se egli pone il Rito sacramentale come la Chiesa lo ha stabilito, osservando le “rubriche o disposizioni liturgiche”. Quindi i fedeli a partire dal modo oggettivo di porre il Sacramento come Rito sacro, ne concludono la sua validità (materia, forma e intenzione di fare un Rito sacro). Invece lo stato soggettivo di Grazia o di peccato mortale in cui si trova il Ministro sfugge ai fedeli, è noto solo a Dio, e non può invalidare i Sacramenti, che sono stati istituiti da Gesù come segni oggettivi e visibili, proprio per conferire, con certezza visibile a tutti, la vita della Grazia all’umanità affinché i fedeli possano vederli (materia), sentirli (forma) e constatare la loro oggettiva validità (il modo oggettivo in cui vengono confezionati ed amministrati dal Ministro), se conforme al Rito sacro. Invece se il Rito sacro è oggettivamente difforme dalle disposizioni o rubriche liturgiche della Chiesa, allora si può dubitare della sua validità e chiedere la reiterazione sub conditione del Sacramento all’Autorità ecclesiastica, la quale stabilisce se la variazione che ha subìto il Rito sacramentale è stata sostanziale (ed allora esso è invalido) oppure solo accidentale (ed allora è illecito da parte del Ministro, ma valido)[8] .




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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