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IL “NEO-DONATISMO”UN PERICOLO SEMPRE ATTUALE di Don Curzio Nitoglia

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2012 19:44
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26/11/2012 19:44
 
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[1] Cfr. A. PINCHERLE, voce Donatismo, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll.1851-1857; G. RICCIOTTI, L’era dei Martiri, Roma, 1955; A. PIOLANTI, voce Donatismo, in “Dizionario di Teologia dommatica”, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 129-130.

[2] Cfr. A. VELLICO, La Rivelazione e le sue fonti nel “De praescriptione haereticorum” di Tertulliano, in “Lateranum” n. 4, Roma, 1935; A. D’ALÈS, La théologie de Tertullien, Parigi, 1905.

[3] B. MONDIN, Storia della Teologia, Bologna, ESD, 1996, I vol., pp. 144-146.

[4] Cfr. A. MAYER, voce Montanismo, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 1343-1347; P. PARENTE, voce Montanismo, in “Dizionario di Teologia dommatica”, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 281.

[5] Cfr. F. SPADAFORA, Pentecostali e Testimoni di Geova, Rovigo, Istituto di Arti Grafiche, V ed., 1980.

[6] Cfr. A. FAGGIOTTO, L’eresia dei Frigi, Roma, 1923.

[7]ROBERTO DE MATTEI nel suo libro Apologia della Tradizione (Torino, Lindau, 2012) scrive: «L’assenza del Magistero dai luoghi teologici. Tra i luoghi teologici enunciati da Melchior Cano manca il “Magistero”, termine che ha iniziato a diffondersi nel linguaggio teologico solo nel secolo XIX» (p. 93). Inoltre: «Non c’è formula più equivoca di quella secondo cui il Magistero interpreta la Tradizione» (Ibidem, p. 111).

È vero che la parola Magistero, nel significato attuale ed in senso stretto, è stata introdotta dai canonisti tedeschi del XIX secolo e che occorre attendere il Concilio Vaticano I (1870) per avere una dottrina definita sul Magistero ecclesiastico (cfr. Y. CONGAR, Pour une histoire sémantique du terme Magisterium, in “Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques”, n. 60, pp. 85-98, 1976). Ma sin dai primi tempi del Cristianesimo si parla del “potere di sottomettere all’insegnamento” conferito da Gesù a Pietro e agli Apostoli (Mt., XVI, 16-19; Lc., X, 16; Gv., XXI, 15 ss.). Quindi la realtà del Magisterium è coeva a Cristo. Lo stesso si può dire quanto al termine “Transustanziazione”, nato soltanto nella controversia contro Berengario di Tours († 1088) e canonizzato dal Conc. Trid. (DB 884), che ha rimpiazzato definitivamente i termini “Transmutatio”e“Transformatio”. La realtà della Transustanziazione la si ritrova nei Vangeli quando Gesù parla dell’Istituzione dell’Eucarestia (Lc., XXII, 19; Mt., XXVI, 28). Quindi anch’essa è coeva a Cristo.

Inoltre il Magistero stesso e i teologi più rinomati insegnano comunemente il contrario di quanto scrive Roberto De Mattei. Vediamoli.

Nella Enciclica Humani generis (12 agosto 1950) papa Pacelli insegna che «il Magistero deve essere per qualsiasi teologo, in materia di Fede e di Costumi, regola prossima di verità (“proxima norma esse debet”), in quanto Cristo ha affidato al Magistero il Deposito della Fede – cioè la Tradizione divina e la S. Scrittura – […] per essere interpretato (“interpretandum”). Per gli insegnamenti del Magistero non solo solenne ma anche ordinario valgono le parole: “Chi ascolta voi, ascolta Me” (Lc. X, 16). […]. È vero che i teologi devono sempre tornare alle fonti della Rivelazione divina […]. Ma Dio assieme a queste due sacre Fonti della Rivelazione ha dato alla sua Chiesa il Magistero (“Deus suae Ecclesiae Magisterium vivum dedit”). […]. Il Redentore ha affidato il Deposito della Rivelazione per la sua retta interpretazione non ai singoli fedeli, né ai teologi, ma solo al Magistero ecclesiastico (“concredidit authentice interpretandum soli Ecclesiae Magisterio”)» (DS 3384, 3386). In breve Pio XII ribadisce che Cristo ha dato alla Chiesa la Tradizione, la Scrittura ed anche il Magistero, che è regola prossima di verità per la retta interpretazione della divina Tradizione e della S. Scrittura.

I ‘Luoghi Teologici’ sono «la sede di tutti gli argomenti della ‘Scienza Sacra’ a partire dai quali i teologi traggono le loro argomentazioni sia per dimostrare una verità sia per confutare un errore» (M. CANO, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, Lib. 1, cap. 3). Melchior CANO († 1560) ha stabilito 10 “Luoghi teologici” (M. Cano, De Locis tehologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900):

a)Luoghi propri e apodittici”: Tradizione e Scrittura (Fonti della Rivelazione), le Decisioni della Chiesa, dei Concili e dei Papi, che equivalgono al Magistero ecclesiastico pontificio/universale, ordinario/straordinario (Cfr. R. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, Roma, Ferrari, II ed., 1921, I vol., p. 36);

b)Luoghi intrinseci e probabili”: l’insegnamento dei Padri, dei teologi scolastici;

c)Luoghi estrinseci”: la ragione umana, la retta filosofia e la storia. Questi ultimi tre sono “Luoghi alieni” o fonti ausiliarie per il lavoro teologico. I primi due sono “Luoghi fondamentali” o fonte della Rivelazione e quindi della Teologia, che deriva dal Dato Rivelato. Gli altri cinque contribuiscono intrinsecamente alla retta interpretazione della Rivelazione.

Monsignor Antonio Piolanti scrive: «La Teologia è fondata su Verità rivelate, le quali sono contenute nella Scrittura e nella Tradizione, la cui interpretazione è affidata al vivo Magistero della Chiesa, il quale a sua volta si manifesta attraverso le definizioni dei Concili, le decisioni dei Papi, l’insegnamento comune dei Padri e dei Teologi scolastici» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 246).

Il cardinal Pietro Parente scrive che il Magistero è perciò “il potere conferito da Cristo alla sua Chiesa, in virtù del quale la Chiesa docente è costituita unica depositaria e autenticainterprete della Rivelazione divina. […]. Secondo la dottrina cattolica la S. Scrittura e la Tradizione non sono che la fonte e la regola remota della Fede, mentre la regola prossima è il Magistero vivo della Chiesa” (Dizionario di Teologia dommatica, cit., pp. 249-250).

Il teologo tedesco professor ALBERT LANG scrive: «Il Magistero ecclesiastico è proprio quel Luogo teologico, nel quale per disposizione divina i fedeli ed i teologi trovano in primo luogo e nel modo più immediato le Verità di Fede, perché nella Parola o Magistero della Chiesa la Rivelazione continua a vivere, ad agire e perviene immediatamente ai singoli. La Dottrina sacra o della Fede viene annunziata dalla Chiesa poiché è divinamente rivelata e non è rivelata poiché annunziata dal Magistero della Chiesa. Il Magistero non è la causa del carattere della divina Rivelazione annunziata dalla Chiesa, ma è solo uno strumento o un mezzo stabilito da Dio, per il quale il Rivelato viene interpretato e quindi da noi conosciuto con certezza» (A. Lang, Die Loci teologici des Melchior Cano und die dogmatischen  Beweises, Monaco, 1925, p. 82).

Il Procedimento del Lavoro teologico secondo p. REGINALDO Garrigou-Lagrange si fa «raccogliendo le Verità rivelate, contenute nel Depositum Fidei, che sono la Tradizione e la Scrittura, alla luce del Magistero della Chiesa, che definisce e ci propone a credere queste medesime Verità […]». (La Sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 72). La Teologia è la scienza che mediante la ragione illuminata dalla Fede (“sine Fide non remanet Theologia”), fondandosi sulle ‘due fonti della Rivelazione’ (Tradizione e S. Scrittura), sotto la direzione interpretativa del Magistero ecclesiastico, tratta di Dio e delle creature in rapporto a Dio. La ragione filosofica ne sviluppa tutta la fecondità, giungendo a delle “Conclusioni teologiche” (Cfr. S. Tommaso, S. Th., I, q. 1; G. M. Roschini, Introductio in Sacram Theologiam, Roma, 1947; P. Parente,  Teologia, Roma, 1953; A. Gardeil, Le donne revélé et la théologie, Juvisy, 1932; A. Stolz, Introductio in sacram Theologiam, Friburgo, 1941).

Sia nella Scrittura che nei Padri il concetto di vera Tradizione è sempre collegato:

1°) all’Assistenza di Dio, poiché senza l’aiuto dello Spirito di Verità, la purezza dell’insegnamento orale non potrebbe conservarsi senza mescolanza di errori;

2°)al Magistero che, pur non essendo la Tradizione stessa, è l’organo tramite il quale essa viene tramandata; il senso pieno di Tradizione lo si può avere solo a condizione di tenere uniti i due suoi aspetti (passivo e attivo), di cui il secondo è assai importante di modo che una tradizione del I secolo, ma non attestata dal Magistero della Chiesa, non costituirebbe vera Tradizione divino-apostolica, al massimo avrebbe un valore di documentazione storica, ma non di Fede divina. Tra Magistero e Tradizione vi è una certa distinzione ma non separazione, ossia la Chiesa è come un Maestro (Magistero) che contiene e trasmette la Scrittura (Bibbia) e la Tradizione (Denzinger), ha un Libro di testo ufficiale (Bibbia più Denzinger) e ne spiega il vero significato ai discenti; se un allievo non capisce bene il significato del Libro, può chiedere spiegazione al Maestro ed egli lo illuminerà. Da tutto ciò risulta la parte essenziale e non minima o addirittura contingente, che svolge il Magistero per sua natura nel dare, “tutti i giorni sino alla fine del mondo”, la retta interpretazione attiva o soggettivo/formale del contenuto dommatico-morale della Tradizione, avendone garantito ieri la veridicità del contenuto passivo o oggettivo/materiale (Cfr. J. B. Franzelin, De divina traditione et Scriptura., Roma, 1870; L. Billot, De immutabilitate traditionis, Roma, 1904; S. G. Van Noort, Tractatus de fontibus Revelationis necnon de fide divina, 3a ed., Bussum, 1920; S. Cipriani, Le fonti della Rivelazione, Firenze, 1953; A. Michel, voce “Tradition”, in DThC, XV, coll., 1252-1350; G. Filograssi, La Tradizione divino-apostolica e il magistero ecclesiastico, in “La Civiltà Cattolica”, 1951, III, pp. 137-501; G. Proulx, Tradition et Protestantisme, Parigi, 1924; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, a. 2, ad 2; B. Gherardini, Divinitas 1, 2, 3/ 2010, Città del Vaticano, S. Cartechini, Dall’opinione al domma, Roma, Civiltà Cattolica, 1953, M. Schmaus, tr. it., La Chiesa, Casale Monferrato, Marietti, 1973).

La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione (Tradizione passiva e oggettiva). Essa è anche la “trasmissione” (dal latino tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, assistita da Dio sino alla fine del mondo. La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il “canale contenitore (Tradizione passiva) e veicolo trasmettitore (Tradizione attiva)” della Parola divinamente rivelata. Il Magistero ecclesiastico è l’organo della Tradizione, mentre i “documenti” in cui si è conservata sono i Simboli di fede, gli scritti dei Padri, la liturgia, la pratica della Chiesa, gli Atti dei martiri e i monumenti archeologici. Quanto ai rapporti tra Magistero e Tradizione, il Magistero custodisce, spiega e interpreta la Parola di Dio scritta o orale (“Verbum Dei scriptum vel traditum”). Quindi non sono identici: il Magistero non è fonte di Rivelazione, la Scrittura e Tradizione sì. Perciò il Magistero presuppone le due fonti della Rivelazione, le custodisce e le spiega, onde in senso stretto non coincide con la Tradizione. Tuttavia, se si considera il Magistero nei suoi documenti o oggettivamente, allora si può dire che in essi si ritrova la fonte o luogo in cui vi è la Rivelazione (Cfr. J. Salaverri, De Ecclesia Christi, Madrid, BAC, 1958, n. 805 ss.).

Per il Protestantesimo l’unica fonte della Rivelazione è la S. Scrittura, onde la sola nozione di Tradizione orale e di Magistero quale canale trasmettitore di essa è inconcepibile. Invece la Chiesa ha definito infallibilmente nel Concilio di Trento (sessione IV del 6 aprile 1546; DB, 783) e nel Concilio Vaticano I (DB, 1787):

1°) che esistono insegnamenti o Tradizioni divino-apostoliche aventi relazione con la Fede e la Morale;

2°) trasmesse ininterrottamente tramite il Magistero della Chiesa;

3°) assistita da Dio. Se manca una sola di queste tre condizioni la “tradizione” è solo umana e quindi fallibile.

Quindi le due frasi citate del libro di R. DE MATTEI: «L’assenza del Magistero dai luoghi teologici. Tra i luoghi teologici enunciati da Melchior Cano manca il “Magistero”, termine che ha iniziato a diffondersi nel linguaggio teologico solo nel secolo XIX» (p. 93); «Non c’è formula più equivoca di quella secondo cui il Magistero interpreta la Tradizione» (p. 111),sono – oggettivamente – contrarie all’insegnamento del Magistero, a quello comune dei teologi e perciò – almeno materialmente – gravemente erronee.

Inoltre questa è – oggettivamente – la dottrina neomodernista di p. YVES CONGAR, che è stato uno dei campioni della nouvelle théologie, il quale ha cercato, nel periodo “conciliare” e “postconciliare”, di distruggere la nozione e la funzione del Magistero dal quale era stato condannato il 12 agosto del 1950 con l’Enciclica Humani generis di Pio XII.

[8] La mutazione è sostanziale se si tratta di un Rito essenzialmente diverso quanto alla materia o alla forma (per esempio se il Sacerdote battezza con il vino, impiega una materia sostanzialmente diversa da quella istituita da Gesù, che è l’acqua; oppure impiega una forma diversa: “io ti battezzo nel nome mio”). Invece la mutazione è accidentale se il Rito ha subìto solo un’alterazione (per esempio il Sacerdote ha aggiunto alla forma del Battesimo: “Io ti battezzo nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” le parole: “e di Maria Vergine”; oppure l’acqua è stata scaldata, ma è sempre acqua, cioè è la stessa sostanza che ha avuto soltanto l’aggiunta di una qualità accidentale, il calore). In questo caso il Sacerdote ha lasciato intatta la sostanza della forma e vi ha aggiunto qualcosa che la modifica soltanto accidentalmente o l’altera non invalidandola, pur compiendo personalmente un peccato grave.  L’intenzione del Ministro nella confezione del Sacramento è oggettiva (voler fare un Rito sacro) e la si constata se egli segue oggettivamente e realmente le Rubriche della Chiesa; se invece inventa un Rito nuovo, allora l’intenzione oggettivamente constatabile è diversa da quella della Chiesa e si arguisce l’invalidità probabile del Sacramento. L’intenzione soggettiva (se il Ministro crede o meno alla Presenza reale) non è constatabile, è sconosciuta ai fedeli e non è essa che rende valido o meno il Sacramento (infatti, molti miracoli eucaristici sono avvenuti proprio a dei Sacerdoti che non credevano alla Presenza reale). Gesù, perciò, ha voluto escludere dalla validità dei sacramenti, che sono i canali principali della Grazia, ogni elemento soggettivistico. Quindi il Montanismo, il Donatismo come il Luteranesimo sono radicalmente fuori dall’ottica di Gesù e della Chiesa, che tolgono i fedeli da quello stato patologico che è il “dubbio metodico”, il quale nasce in maniera scientifica con il Soggettivismo religioso (di Lutero), filosofico (di Cartesio) e porta allo “scrupolo abituale”, che toglie la pace dell’anima, la quale è essenziale alla sana vita religiosa. Il Montanismo e il Donatismo hanno precorso – senza sfondare la resistenza della Cristianità – il Luteranesimo e il Cartesianismo, con che si vede come “ogni errore nuovo è vecchio quanto il diavolo” (p. MATTEO LIBERATORE), l’unica differenza è quantitativa (con Lutero e Cartesio l’errore è diventato quasi universale, mentre prima di loro era rifiutato dalla maggior parte della Società civile con l’aiuto della Chiesa gerarchica) e non qualitativa (tra Montanismo/Donatismo e Luteranesimo/Cartesianismo, non vi sono distinzioni sostanziali, ma solo accidentali).

[9] L’Eresia è una dottrina che contraddice direttamente una Verità rivelata da Dio e proposta a credere come tale dalla Chiesa ai fedeli. Perché vi sia Eresia occorrono, quindi, due elementi essenziali: 1°) l’opposizione ad una Verità divinamente rivelata; 2°) l’opposizione alla definizione del Magistero ecclesiastico con obbligo di adesione ad essa. Ora una Verità che è solamente rivelata si chiama di Fede divina, mentre se è anche definita come tale e proposta a credere dal Magistero si chiama Verità di Fede divino-cattolica. L’Eresia perfetta si oppone alla Verità di Fede divino-cattolica, ossia rivelata da Dio e definita dalla Chiesa con obbligo di credervi sotto pena di dannazione. Chi nega una Verità solamente Rivelata è prossimo all’eresia, ma non è eretico, strettamente parlando (cfr. S. Th., II-II, q. 11; G. VAN NOORT, De fonti bus Revelationis, Amsterdam, 1911, n. 259 ss.; A. PIOLANTI, voce Eresia, in “Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 139).

[10] Lo Scisma è il delitto di chi si separa dalla Chiesa Cattolica per formare una chiesa particolare. Mentre l’Eresia erra contro la Fede o il Dogma rivelato e definito, lo Scisma rompe il vincolo sociale con la Chiesa docente e discente, ricusando di far parte della Società divina istituita da Cristo, che è la Chiesa romana e separandosi da Essa. Gli Scismatici, se sono in cattiva fede, non si possono salvare, poiché scriveva SANT’AGOSTINO (Epist. 173 ad Donatum): “Sarai punito con il supplizio eterno, anche se fossi bruciato vivo per il nome di Cristo, se ti poni fuori della Chiesa e ti separi dalla compagine dell’Unità e dal vincolo della Carità” (cfr. S. Th., II-II, q. 39; M. JUGIE, Theologia dogmatica Christianorum orientalium, Parigi, 1927, t. I; ID., Le Scisme Byzantin, Parigi, 1942).

[11] Le sue opere più famose sono: De schismate donatistarum seu contra Parmenianum, tr. it., La vera Chiesa, Roma, Città Nuova, 1988.

[12]Ex opere operato” è un termine teologico usato per la prima volta da PIETRO DI POITIERS († 1205) e significa esattamente “l’atto oggettivo considerato in se stesso (‘opus in se operatum’), indipendentemente dalle qualità o  meriti di colui che agisce”. Mentre “ex opere operantis” significa “l’atto soggettivamente considerato (‘opus personae operantis’), in quanto ha un valore morale e meritorio, che gli proviene dai meriti o dalle qualità del soggetto operante”. Ora questi termini applicati ai Sacramenti stanno a significare che “l’opus operatum è il segno sensibile in sé validamente posto, ossia il Rito sacro costituito di materia e forma, amministrato come Rito sacro”, mentre l’opus operantis è “l’atto del ministro dipendentemente dai suoi meriti, cioè in quanto ha un valore morale o meritorio”. Ma la causalità oggettiva dei Sacramenti (“ex opere operato”) è opposta a quella soggettiva (“ex opere operantis”). Quindi affermare la prima, significa negare la seconda. Perciò quando s’insegna che i Sacramenti producono il loro effetto (la Grazia) ‘ex opere operato’ o oggettivamente, significa che il Rito validamente posto produce in sé la Grazia, indipendentemente dai meriti del Ministro o persona operante  (‘ex opere operantis’).  Queste due formule hanno permesso al Concilio di Trento di confutare il falso principio luterano e prima ancora donatista, il quale asseriva che la fede fiduciale (Lutero) o i meriti (Donato) causano soggettivamente la Grazia ‘ex opere operantis’ e non è oggettivamente il Sacramento in sé o ‘ex opere operato’ a produrla. Cfr.  J. B. FRANZELIN, Tractatus de Sacramentis, Roma, 1911, thesis 7.

[13] “Il Battesimo non vale per i meriti di chi lo amministra, ma per la propria intrinseca efficacia e santità, comunicatagli da Dio che lo ha istituito” (Contra Cresconium, I, IV, cap. 19).

[14] G. MATTIUSSI, De Sacramentis, Roma, 1925; E. HUGON, La causalité in strumentale dans l’ordre surnaturel, Parigi, 1924; D. ITUORRIOZ, La definiciòn del Concilio de Trento sobre la causalidad de los Sacramentos, Madrid, 1951.

[15] Cfr. S. Th., III, qq. 60-65; R. BELLARMINO, De Sacramentis, Venezia, 1599; J. B. FRANZELIN, De Sacramentis in genere, Roma, 1911; A. PIOLANTI, De Sacramentis, Roma, 1947;ID., I Sacramenti, Firenze, 1956.

[16] L’analogia dice “somiglianza dissomigliante”, ove la dissomiglianza è superiore alla somiglianza. Per esempio tra l’Essere di Dio, dell’angelo, dell’uomo, dell’animale, della pianta e del sasso vi è una certa lieve somiglianza (quanto al fatto di esistere), ma anche una maggiore dissomiglianza poiché l’Essere di Dio è infinitamente superiore  a quello delle creature e quello dell’angelo è diverso essenzialmente da quello dell’uomo, dell’animale, della piante e del minerale e così scalando.

Ora tra il problema della Messa celebrata da un Ministro in peccato grave o in Grazia di Dio e il problema della Messa celebrata da un Ministro che possiede la dottrina cattolica integralmente o manchevolmente, vi è una “somiglianza dissomigliante”.

Infatti per il Montanismo/Donatismo si trattava di una questione morale (stato di peccato o di Grazia), che avrebbe invalidato l’efficacia del Sacramento; mentre per il “Tradizionalismo” odierno si tratta di una questione di dottrina (integra o deficiente) del Ministro o del suo Istituto, che renderebbe lecito o illecito frequentare la sua Messa o quella del suo Istituto.

In questa disputa la diversità (questione dottrinale oggettiva) è maggiore della somiglianza (questione morale soggettiva), tuttavia vi è una certa somiglianza quando si giudica come aventi Autorità chi ha la pienezza della dottrina cattolica e chi no e si decide quale Rito debba essere seguito e quale no.

Ciò desta stupore soprattutto in questi ultimi giorni, quando, anche i “vetero Tradizionalisti” – oggettivamente – sbandano dottrinalmente. Kyrie, eleison!

[17] Cfr. SANT’IGNAZIO D’ANTIOCHIA MARTIRE, Eph., II, 2; V, 3; VI, 1; Rom., 9; Philadelphi, III, 2; IV, 1; Magn., IV, 1; VI, 1; Trall., II, 1; II, 2; VII, 2; XII, 2; Smyrn. VII, 1; VIII, 1; IX, 1; Polyc., IV, 1; S. IRENEO DA LIONE, Adv. Haeres., III, 142; S. CORNELIO PAPA, Ep., XLIX, 2; S. CIPRIANO, De unitate Ecclesiae, VIII; cfr. E. RUFFINI, La Gerarchia della Chiesa Cattolica negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di San Paolo, Roma, 1921.

[18] Si pensi alla disputa sulla Predestinazione e la Grazia efficace sorta nel Cinquecento tra Domenicani con DOMINGO BAÑEZ (Commentarium in Iam partem Summae Theologiae Sancti Thoamae, Salamanca, 1584)  e Gesuiti con LUIS DE MOLINA (De Concordia, Lisbona, 1588), con reciproche accuse di Eresia. Infatti i Domenicani accusavano i Gesuiti di essere Pelagiani ed i Gesuiti accusavano i Domenicani di essere Calvinisti. La Chiesa – sotto i pontificati di Clemente VIII e Paolo V – istituì la Congregatio de Auxiliis o Congregazione sugli aiuti della Grazia (1597-1607), che dopo oltre 120 riunioni non arrivò ad una conciliazione delle due sentenze, né emise un’approvazione o una condanna, ma il 5 settembre 1607 sotto Paolo V proibì agli uni e agli altri di emettere giudizi di Eresia (DS, 1997). Inoltre papa Urbano VIII nei ‘Decreti del S. Uffizio del 22 maggio 1625 e del 1° agosto 1641’ confermò il Decreto di Paolo V del 1607 e minacciò la scomunica riservata al Papa a chi avesse accusato l’altra parte di Eresia. La questione è rimasta aperta ed è ancora vivamente disputata (famosa è quella tra p. REGINALDO GARRIGOU-LAGRANGE o. p.  †1964 ed il card. LOUIS BILLOT s. j. †1931 e più recentemente tra J. H. NICOLAS e J. MARITAIN nel  1960-1963), ma si può seguire la dottrina tomista o quella molinista sulla Grazia ed andare a Messa dai Domenicani o dai Gesuiti, senza essere giudicati come eretici.  Anzi chi emettesse questo giudizio incorrerebbe, lui e non altri, nella censura ecclesiastica di Scomunica riservata alla S. Sede.

[19] Cfr. i migliori Commentatori della Summa Theologiae (III, qq. 73-83) di SAN TOMMASO D’AQUINO: CAJETANUS; GIOVANNI DA SAN TOMMASO; BILLUART; inoltre J. B. FRANZELIN, De SS. Eucharestiae Sacramento, Roma, 1868; G. MATTIUSSI, De SS. Eucherestia, Roma, 1925; L. BILLOT, De Ecclesiae Sacramentis, Roma, VII ed., 1931; R. GARRIGOU-LAGRANGE, De Eucharestia, Torino-Roma, 1943;  A. PIOLANTI, De Sacramentis, Torino-Roma, II ed., 1947; A. PIOLANTI, voce Eucarestia, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 772.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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