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IL GRANDE ASSENTE AL FUNERALE: IL DEFUNTO... articolo by Antonio

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2012 22:57
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26/11/2012 22:57
 
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Io confesso: parlo coi morti. Reportage di un viaggio nella morte:
1-La morte invisibile fa più paura

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IO CONFESSO: PARLO COI MORTI 1

REPORTAGE LUNGO UNA VITA DEL MIO VIAGGIO TRA I MORTI

Una testimonianza sulla necessità di rispolverare la comunione dei santi. Ossia, il mutuo soccorso che lega i vivi e i “diversamente vivi”, quella collaborazione silenziosa tra noi e loro, i morti, che congiunge misteriosamente il cielo e la terra. Quei morti ai quali noi possiamo ridurre le pene ultraterrene; mentre loro possono ridurre le nostre pene terrene.

PARTE 1: La morte invisibile fa più paura

di prossima pubblicazione:

PARTE 2:  I morti che ho visto

PARTE 3: Io, confesso: parlo con i morti. 

 

Che cos’è, dunque, questa morte divenuta invisibile? Non sarà mica un ritorno di paganesimo, già iniziato da almeno due secoli?

Non fu proprio con la rivoluzione francese che un pretesto “igienico”, si compì il primo plateale atto di rottura, separazione totale, diffidenza e inimicizia fra i vivi e i morti?

Non fu allora che coi famigerati codici napoleonici si stabilì per la prima volta i morti dovevano materialmente essere allontanati dai noi, dai centri abitati, diventando “invisibili”, estranei e stranieri?

Non fu allora che i morti smisero di essere in nostri numi tutelari, la nostra benedizione e i nostri alleati ultraterreni, e divennero improvvisamente “contaminati” e “contaminatori”, nefasti per i viventi?

Non fu allora che furono strappati dal sacro ventre materno delle chiese i corpi dei suoi battezzati, e ostracizzati lontano dalla comunità dei viventi, fuori dalle stesse mura cittadine, isolati con ignominia nelle periferie desolate perché “non contaminassero” chi restava?  Fu allora che nacquero le necropoli moderne, le citta dei morti: i cimiteri. Una cosa nuova si disse. Mica tanto: era qualcosa di già visto e già sentito, in determinati tempi e luoghi: quelli precristiani e pagani! Era il grande ritorno, in un sinistro e schizzinoso revival, alle antiche necropoli pagane, questo era!

Antonio Margheriti Mastino da papalepapale.com

 

LA PREDICA DI DON MARCO: QUEI BAMBINI AI QUALI NASCONDIAMO I MORTI

Mastino

Quanti morti nella mia vita! Quanti cadaveri sono passati sotto i miei occhi, forse migliaia. Alcuni mi sono rimasti impressi, altri li ho dimenticati. Ricordo però quelli (ma solo alcuni) che hanno inaugurato un capitolo nuovo della mia esistenza.

Pensavo tutto questo mentre ascoltavo la predica di don Marco Cuneo, nel giorno di Ognissanti, alla Trinità di Roma, dove si celebra la divina liturgia in solo rito antico. Parlava dei morti e su come “lucrare indulgenze” per essi, e parlava anche dei bambini. E con amarezza costatava che oggi manca la preparazione alla morte, sia nostra che degli altri. La morte è resa invisibile, tanto invisibile che riteniamo intollerabile che un bambino possa vedere un morto, fosse anche la salma del nonno: per carità!, “potrebbe restarne traumatizzato”. Non rimane “traumatizzato” invece lasciandolo solo davanti la tv a vedere squartamenti, ammazzamenti, violenza bruta.

Bah… eppure tutti siamo destinati a morire, e sarebbe bene cominciassero a impararlo anche i bambini. Del resto, non si è mai saputo di bambini rimasti traumatizzati a vita o morti di spavento solo per aver intravisto la salma del nonno: semmai abbiamo futuri adulti che poi, proprio per non avere a fondo e cristianamente compreso cosa la morte è e visto come essa si presenta, faticano a rielaborare un lutto: questi sì che resteranno traumatizzati.

E proprio per questa rimozione – ammetteva il reverendo –, ci troviamo per la prima volta a contemplare il disastro spirituale di milioni di defunti cristiani rimasti senza più preghiere, suffragi, messe fatte celebrare da chi è rimasto. Ci si limita alle chiacchiere, ai fiori, alle pompe funebri, e sepolto il caro estinto chi s’è visto s’è visto. Ai bambini si dice che il nonno, beato lui, è partito in viaggio senza salutare. Bella educazione cristiana!

EPPURE QUESTA E’ LA RELIGIONE CHE ADORA UN CADAVERE APPESO IN CROCE

Don Marco Cuneo, dei canonici regolari della Fraternità San Pietro, in Roma

Eppure, proprio noi siamo la religione che nella sua sanguinolenta carnalità, si fonda su un nucleo di pubblici eventi tutti luttuosi in veloce susseguirsi: sul martirio atroce e la morte straziante e pubblica di un Uomo, la deposizione fra tessuti e unguenti preziosi del suo cadavere, la resurrezione della sua carne dopo tre giorni. Eppure è dal sangue e dall’acqua sgorgata dal costato di un cadavere, ricaduta sulle nostre teste, invece che come una maledizione, come una benedizione che siamo stati salvati.

Eppure siamo la religione di un Dio che si fa uomo e muore pubblicamente, di questo Dio incarnato e caduco sino a tal punto, che solo morendo vince la morte, per sé e per tutti.

Eppure siamo la religione che ha per simbolo un patibolo, un vessillo di castigo e di morte, che paradossalmente diventa profezia di resurrezione e di gloria: per quella passione del cristianesimo a riconvertire i simboli antichi trasfigurandoli nel loro contrario, di tramutare in gioia ciò che era amaro, in speranza quel che sembrava perduto, in vitale ciò che era mortifero.

Eppure siamo la religione che adora un cadavere appeso su una croce, ma qui pure, questo emblema, redento dal cristianesimo, mutato il significato simbolico e concreto nel suo contrario, è diventato simbolo di vita, senza più morte, immortale.

IL CRISTIANESIMO ODIA LA MORTE, L’HA UCCISA, PER FARNE VITA STESSA. ESCATOLOGIA DELLA GIOIA

Cripta, costellata di ossa. In fondo l’altare

Perché il cristianesimo, al contrario delle altre religioni, è religione della gioia, e cioè della vita, odia la morte, ha voluto fondarsi sin dal primo istante sull’uccisione non del Figlio di Dio, ma della morte medesima. Ha fatto della morte vita stessa, a un livello più alto.

Vita-morte-vita che prosegue e si rinnova nel Sacrificio Supremo dell’altare, dove Cristo rivive davvero la sua passione e morte. E subito dopo, la morte è uccisa e uccisa e ancora uccisa, milioni di volte al giorno, su tutti gli altari del mondo. E quel pezzo di pane, nella transustanziazione, ancora una volta, inverte l’ordine naturale delle cose: prima diventa il corpo di Cristo morto, carne di un cadavere, e un attimo dopo è carne e sangue viventi; e il paradosso, la mutazione dei significati, l’inversione dell’ordine naturale delle cose, così tipico del cristianesimo, si perpetua ancora dopo, quando quella carne vivente, in un sacro cannibalismo, viene mangiata dagli uomini rimanendo viva e vivendo in loro, sacramento d’immortalità. Come vedete, la morte, i cadaveri, non sono affatto estranei al cristianesimo: ne sono simbolicamente e concretamente il fondamento. Ma trasfigurati, ossia disvelati nella loro reale, profonda natura: nell’escatologia della gioia e della vita, seme che muore per moltiplicarsi.

«Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. »

(1 Corinzi 15,20-26): resurrezione e comunione dei santi.

MA SE NOI NON PREGHIAMO PIÙ PER I NOSTRI MORTI, CHI PREGHERÀ UN GIORNO PER NOI?

Esequie nel rito extraordinario di Santa Romana Chiesa

Ma torniamo a quella predica di don Marco. Proprio questo nella morte, funerali e lutti moderni è venuto meno: alla “privatizzazione” tra intimismo e asetticità, all’invisibilità del fenomeno stesso della morte, spesso relegato in ospedale pur di non avere un moribondo in casa, si aggiunge quella del cadavere, spesso lasciato nella camera mortuaria dell’ospedale pur di non riportarlo in casa; e se in casa ormai c’è, si allontanano i bambini, si chiude la cassa, si lascia solo nella camera ardente, di modo che nessuno sia “turbato”, men che meno gli “innocenti”, e pazienza se tutti faranno quella fine…

Del resto è proprio questo che si vuole insabbiare, èquesto presagio non solo certo ma prossimo, che si vuol esorcizzare non guardandolo in faccia. A tutto ciò s’aggiunge anche la rimozione del destino escatologico del defunto, e, va da sé, anche la rinuncia al nostro dovere cristiano di mediazione attraverso la preghiera per la sua salvezza, il rifiuto di interagire col defunto. Ossia, è l’abdicazione alla comunione dei santi. Che è stata il grande tesoro del cattolicesimo, la fortuna dei nostri morti, la benedizione dei vivi, la ricchezza dei poveri: tutti potevamo donare e ricevere preziosissimi doni soprannaturali, i vivi e i morti, in un profondo e generoso scambio reciproco.

Per questo i morti – basti pensare alle nostre nonne – fin pochi decenni fa non facevano paura: si era legati in modo pressoché viscerale, materiale, direi quasi materialistico a loro, si piangevano pubblicamente, si toccavano, si baciavano, si teneva in bella mostra il loro ritratto mai mancante di lumini, si “segnavano” le messe. Ed era quasi una festa: “oggi è la messa di mio figlio”, “è la messa della buonanima”… quante volte abbiamo sentito parlare così le nostre nonne? E tutti ci si riuniva in chiesa, ad assistere al Supremo Sacrificio, a beneficio del nostro caro estinto. Così si amavano i morti, così si restava vicini a loro, era così che non facevano più paura. Rassicuravano.

Ma questo sta venendo meno. Ed ecco che i morti sono ritornati a far di nuovo paura. Si ha paura dell’incognito, degli sconosciuti nell’ombra: i nostri “cari estinti” sono diventati ancora quegli sconosciuti nell’ombra. Così stiamo perdendo la loro amicizia e loro la nostra.

Perciò il bravo don Marco Cuneo, nella sua amara omelia alla Trinità si Roma, concludeva: “Ma se non saremo noi, che ancora possiamo, a pregare per i nostri morti, chi pregherà un giorno per noi?”. La comunione dei santi ininterrottamente ci unisce ai nostri padri, e ai padri dei padri, in chi insomma ci ha preceduto in questa fede e in questo mondo. È una catena d’oro che non andrebbe mai spezzata… o molti suoi anelli, che sono uomini, andranno perduti un giorno; quando conclusa la vicenda terrena, mirabile e tremenda di questo mondo, ricongiunta questa catena nei cieli nuovi e terre nuove annunciate dall’Apocalisse, sarà mancante di diverse generazioni. E di troppe persone che un tempo ci furono care. E forse, quasi certamente, di noi stessi.

IL GRANDE ASSENTE AL FUNERALE: IL DEFUNTO

Come si moriva

È tutto questo che è stato rimosso. E sempre più spesso non è necessario osservare le fasi laiche d’un funerale: basta sentire certe messe esequiali. Dove proprio l’essenziale è tacitamente soppresso per lasciare tutta la scena al superfluo, alla celebrazione non della vera morte e della vera vita, ma alla rappresentazione fittizia di questi, all’autocelebrazione di una comunità di morti viventi, alla loro psicanalizzazione rituale e assolutoria. E con questi occhi si guarda alla morte sdraiata su un piano tutto orizzontale. Mentre pare di trovarsi davanti una comunità non di credenti e di cristiani, ma d’agnostici e neo-pagani. Fin nelle omelie: dove si smette – con fraseologia modaiola e politicamente corretta, da ri-triturazione dell’ovvio da sentimentalismo clericale, tutta mondana quando non clinica, con le parole sante dell’ipocrita commozione di circostanza simulante strazio – dove si smette, dicevo, non solo di parlare della morte, ma anche della vita eterna. Ed è proprio così che, paradossalmente, un evento che avrebbe voluto celebrare secondo canoni secolaristici la vita terrestre, con tanto “vivrai sempre nella nostra memoria”, “sei vivo nei nostri cuori”, “non sei morto, resti tra noi”, finisce per diventare la farsa mortifera di un macabro trionfo della morte senza più speranza… cristiana.

NON È VERO: I GUAI NON SONO DI “CHI RESTA”, MA DI CHI È MORTO

Osservate bene questa foto: la ragazza in posa in mezzo ai due genitori è morta. Una foto-ricordo. Usanza assai in voga a fine ’800

Una danza macabra senza il morto e intorno a noi stessi. Un rituale collettivo di esorcismo dell’escatologia. Autocelebrazione della carne caduca di condannati a morte quali sono tutti i presenti, nella smania di dover in qualche modo –sempre secondo canoni mondani – “consolare chi è rimasto”, i congiunti. Cosa lodevole se la si fa secondo gli insegnamenti e le vicende del Maestro; lodevolissima se non si dimentica che questo è solo un aspetto secondario, e che non “chi è rimasto”, i congiunti, sono i protagonisti della morte del “caro estinto”, non a loro “restano i guai”, non loro sono i veri “bisognosi” di consolazione che spesso si riduce a chiacchiere di circostanza per qualche ora e poi chi s’è visto s’è visto. No. Il defunto semmai è il “protagonista” unico, lui, solo davanti a Dio, è il “bisognoso”. Ma nel senso penitenziale ed escatologico, non delle ciarle di “chi resta” e dei vaniloqui preteschi dal pulpito, dei necrologi da giornale.

“Bisognoso” di preghiere perché Dio mitighi la severità del suo giudizio, di modo che molti peccati gli siano perdonati; perché non sia precipitato nell’inferno e dimenticato per sempre da Dio; perché almeno riceva la grazia impagabile del purgatorio. E se l’ottiene, “chi resta” su questa terra, i congiunti del “caro estinto” (caro spesso solo per i prezzi esorbitanti delle pompe funebri), ha il dovere di aiutarlo. Non con le fesserie sentimentali che possono soltanto tormentarne la permanenza in quel luogo di penitenza: ma con la preghiera, i suffragi, le messe, la carità, le indulgenze, affinché la sua pena purificante sia accorciata e possa egli finalmente ascendere a Dio, in compagnia di chi l’ha preceduto, del coro degli angeli e dei santi, e contemplarne il Suo Santo Volto.

E da lì egli, evocato dalle nostre preghiere d’intercessione, potrà ricambiare il nostro cristiano “favore” di un tempo. È una collaborazione, un aiutarsi a vicenda, tra vivi e diversamente vivi, vivi in questo mondo e vivi nell’altro mondo che presto sarà anche il nostro: noi collaboriamo ad accorciare e rendere sopportabili le loro pene in purgatorio, e loro, i nostri morti, vivi in Cristo, per ricambiarci, collaboreranno dal cielo (ma già dal purgatorio) con la loro intercessione a renderci meno penosa questa vita, magari per allungarcela anche. È una collaborazione tra i vivi e i morti che formano la comunità cristiana, che non è quella solo terrena, Chiesa militante, ma anche quella escatologica, la Chiesa purgante e la Chiesa trionfante, che insieme formano, congiungendo misteriosamente cielo e terra in modo simmetrico e perfetto, trascendendo spazio e tempo, le membra del Corpo Mistico di Cristo: la Chiesa dei nati per volontà di Dio, morti a causa del peccato originale, resuscitati grazie al sacrificio di Cristo. Oggi in solo spirito, domani, alla seconda venuta di Gesù, in carne e ossa, come corpo glorioso.

È la religione dei resuscitati, dei vivi in Cristo, della comunicazione con loro; non, al contrario, la religione dei morti, dei “vivi nella memoria” labilissima “di chi li ha amati”, del soliloquio, dell’eco che dopo essersi dipanato nel vuoto ci ritorna contro deformato, dell’incomunicabilità, in definitiva.

E NAPOLEONE SANCÌ LA SEPARAZIONE E L’INIMICIZIA FRA VIVI E MORTI: NASCITA DEI CIMITERI

Chiesa militante, Chiesa purgante, Chiesa trionfante

Che cos’è, dunque, questa morte divenuta invisibile? Non posso sentirmi chiamato in causa anche da “storico della morte”, senza notare un fatto e ricordarne un altro. Non sarà mica un ritorno di paganesimo, già iniziato da almeno due secoli?

Non fu proprio con la rivoluzione francese che un pretesto “igienico”, si compì il primo plateale atto di rottura, separazione totale, diffidenza e inimicizia fra i vivi e i morti?

Non fu allora che coi famigerati codici napoleonici si stabilì per la prima volta i morti dovevano materialmente essere allontanati dai noi, dai centri abitati, diventando “invisibili”, estranei e stranieri?

Non fu allora che i morti smisero di essere in nostri numi tutelari, la nostra benedizione e i nostri alleati ultraterreni, e divennero improvvisamente “contaminati” e “contaminatori”, nefasti per i viventi?

Non fu allora che furono strappati dal sacro ventre materno delle chiese – che per secoli li aveva amorevolmente custoditi sotto le sue fondamenta, protetti e scaldati sotto una coltre d’incensi e preghiere incessanti – i corpi dei suoi battezzati, e ostracizzati lontano dalla comunità dei viventi, fuori dalle stesse mura cittadine, isolati con ignominia nelle periferie desolate perché “non contaminassero” chi restava?

Fu allora che nacquero le necropoli moderne, le citta dei morti: i cimiteri. Una cosa nuova si disse. Mica tanto: era qualcosa di già visto e già sentito, in determinati tempi e luoghi: quelli precristiani e pagani! Era il grande ritorno, in un sinistro e schizzinoso revival, alle antiche necropoli pagane, questo era! E con esse, degli antichi orrori e ai terrori propri del paganesimo, compreso il suo peculiare raccapriccio per i morti: essenze minacciose da esorcizzare, non più presenze benefiche da propiziare. Anche per questo erano “contaminanti”.

Paradossalmente, più i defunti erano allontanati dal cuore dei centri urbani, più lontani dai viventi erano traslati, più tutto intorno erano recitati da mura e cancelli che al tramonto dovevano essere chiusi, più erano ghettizzati, e più, paradossalmente, facevano paura. E, paradosso nel paradosso, più i cari defunti venivano allontanati dal cuore degli uomini, più ne turbavano la mente.

Così fu per le epoche avanti Cristo. Sì, i loro stessi morti ai pagani facevano paura; erano entità maligne e minacciose, in perpetua sadica ricerca di esseri viventi da rovinare. Per questo facevano loro sacrifici turpi, non esclusi quelli umani: per sedarne l’ira funesta. Per questo bruciavano i morti: per depotenziarne la portata malefica, disperdendone nel vento le membra “contaminate”. Per questo gli elevavano cerimonie esoteriche: per rabbonirli, assecondarne la cattiveria, indirizzarla altrove, su altri possibilmente, purché lontani dal proprio villaggio, magari sui nemici del villaggio avverso.

IL CRISTIANESIMO PONE FINE AL TERRORE PER I MORTI: SUI LORO CORPI EDIFICA I SUOI ALTARI E TEMPLI

Il cardinale Beran di Praga, perseguitato dal comunismo, con il teschio del patrono della Cecoslovacchia

Il cristianesimo ha posto fine all’orrore pagano per i morti. Sin dalle sue origini: tutto quello che accadrà intorno al corpo morto di Cristo, diventa il fondamento della nostra fede. Che vince la morte, la quale trasfigurata diventa momento drammatico ma di gloria, il corpo caduco trasmuta in corpo glorioso, il cadavere tesoro pietoso da custodire, reliquia che ammonisce sì al memento mori ma invita anche alla dolce speranza; e dopo averci ricordato il Pulvis es et in pulverem reverteris, ci annuncia anche che la polvere si ricomporrà in carne ed ossa e l’anima riprenderà possesso del corpo mortale, fusi in un solo  “corpo glorioso” [su questo complesso tema circa il “corpo glorioso”, vedi qui  e qui, oppure qui ] alla seconda venuta di Cristo.

Quel cristianesimo che alla Chiesa militante (i vivi) accosta la Chiesa purgante e trionfante (chi ci ha preceduto nella vita e nella fede, ossia i morti), come gemelle siamesi. Sulla terra impastata del sangue dei suoi martiri edifica i suoi templi; intorno al nucleo dei resti lacerati dei loro santi corpi, costruisce e consacra i suoi altari; davanti alle venerabili salme dei suoi santi si riunisce la comunità dei credenti; nel ventre delle sue stesse chiese, proprio laddove col battesimo erano stati svezzati alla vita nuova, la Chiesa, loro madre, custodisce amorevolmente i corpi dei suoi figli che hanno lasciato questa vita. È così che cessa la paura dei morti, endemica fra i pagani: qui nasce il culto dei morti, naturaliter cristiano. Qui per la prima volta s’inaugura l’amicizia e l’alleanza fra vivi e morti: la comunione dei santi.

I morti, per il cristiano, fanno pur essi parte della comunità dei viventi, ossia questa sorta di comunità cristiana allargata: composta dai viventi in terra, in purgatorio, in cielo. La Chiesa militante, la Chiesa purgante, la Chiesa trionfante, sono un solo corpo. E tutte insieme formano le membra vive e perfette del corpo mistico di Cristo. Solo le anime dannate sono per sempre espulse da questa comunità e da questo Corpo Mistico.

CON LA RIVOLUZIONE, IL GRANDE RITORNO DEL PAGANESIMO NECROFOBO: PERCIÒ PROFANAVANO I MORTI DELLE CATTEDRALI

La prima ondata rivoluzionaria radicale e anticattolica in Spagna: “semana tragica” del 1909, dove furono profanate le tombe di santi e religiosi nelle chiese e nei conventi conventi di tutta la Spagna, i cadaveri furono trascinati fuori e “fucilati”

Ma come sempre dopo le rivoluzioni, nel loro furore demolitore e antistorico, la storia marcia indietro verso il futuro. Fu così che si ripiombò di netto all’epoca precristiana. E i primi a pagarne il caro prezzo furono i nostri morti. Non è un caso che tutte le grandi rivoluzioni, dalla luterana alla francese, dalla marxista e alla troskista spagnola, a tutte le altre, la prima cosa che fanno, dopo aver “cassato” la storia precedente, è accanirsi sui corpi dei morti, specie quelli più santi e venerabili (dopo infieriranno sugli edifici di culto, sui libri sacri, sulla bellezza, sulle “parole” mutandole, infine, com’è invitabile, sugli uomini del sacro… e poi su tutti gli altri).

Qual è la prima cosa che fecero i rivoluzionari francesi ovunque giunsero (Italia compresa), per esempio? Entrare nelle cattedrali e nei monasteri, devastare le tombe dei morti e dei santi ivi sepolti, tirarne fuori i cadaveri, profanarli, dileggiarli, distruggerli… persino fucilarli. Gesto emblematico assai: così nasceva l’era post-cristiana, così si annunciava il ritorno infame e terrificante del paganesimo col suo orrore-odio per i morti.

E da quel momento che inizia tutta un’altra storia e tutta in salita, per i corpi (e le anime) dei nostri defunti. Quando man mano, lungo tutto l’Ottocento, al ripiegamento del cristianesimo in Occidente, il terrore e l’odio pagano per i morti si trasforma in qualcosa di peggiore, nella sua ansia di esorcizzarne i significati assoluti, neutralizzarne la potenza sacrale, purgarli da ogni “scoria residua” di cristianità che li aveva sin lì resi tanto importanti.

E IL TERRORE PER I MORTI DIVENNE ODIO.  E L’ODIO, MACABRO: NACQUE IL GENERE HORROR

La prima ondata rivoluzionaria radicale e anticattolica in Spagna: “semana tragica” del 1909, dove furono profanate le tombe di santi e religiosi nelle chiese e nei conventi conventi di tutta la Spagna, i cadaveri furono trascinati fuori e “fucilati”

Quell’oscura paura pagana per i morti si traveste di macabro, di legenda nigra, sino a degenerare nel grottesco: privati di tutto l’apparato celeste cristiano, sospesi penosamente sulla terra o in spazi e tempi indefiniti, privati di ogni identità sacra, i morti fanno ancora orrore, certo. Ma è ormai una paura che genera un brivido, un riso nervoso: i morti non solo sono “minacciosi”, ma sono anche “stupidi”. Nasce qui il genere “Horror”. E sarà tutto un proliferare vergognoso di dozzinale letteratura, architettura, passatempi esoterici, tutti quanti macabri… horror… con protagonisti i “morti”, queste indefinibili “anime vaganti” e senza meta se non quella di rompere i coglioni alla gente, far beccare coccoloni, in caso farla divertire.

Nasce il genere cosiddetto “Gotico” che ammorberà tutto il secolo XIX con discariche colossali di pattume soprattutto “para-scientifico”… para-normale… para-psicologico, con al centro sempre loro, i nostri poveri morti, ridotti a pagliacci da circo equestre, a figurine di un gioco di società funereo. Un’operazione colossale per esorcizzare il terrore e l’orrore dei morti. Con un carnevale che del cretinismo tronfio e ignorante fece il suo unico criterio “scientifico”. Qui rinasce la superstizione che, checché ne dicano i più dozzinali critici della storia e sapienza cristiana, proprio col paganesimo aveva raggiunto l’apice, alla quale – come si diceva – pose fine proprio quel cristianesimo accusato tante volte di fomentare “superstizioni”. Ma ecco di nuovo il dilagare della grande superstizione di massa, e ancor più nelle élite, le sedicenti “punte di diamante” dell’intellighenzia “scientista” ottocentesca, che romanticamente precipitò inerte nelle più viete superstizioni.

DAL GRANDE VILIPENDIO DELLO SCIENTISMO ALLA GRANDE SUPERSTIZIONE DEI CETI “ILLUMINATI”

Il massimo buffone partorito dall’Italia: Cesare Lombroso, teorico dell’antropologia criminale, ciarlatano, pervertito, razzista borghese, ebreo scientista, fanatico e microcefalo impareggiabile. Fu il profeta della “nuova Italia razionalista”

E fu tutto un proliferare di spiritismo straccione, di patetiche sedute spiritiche, di risibili “ectoplasmi” che comparivano e scomparivano… di extraterrestri addirittura (pure loro fecero la prima comparsa, fra le superstizioni “illuministe”), di cadaveri da far spolpare a qualche “scienziato” pazzo positivista per esporne lo scheletro o per pietrificarne la carne, nell’illusione di “renderla immortale”. Un’oscena pantomima dell’immortalità nella resurrezione della carne promessa da Cristo.

Si scriveva qui un’altra pagine vergognosa del revival pagano post-rivoluzionario: la nascita della “scienza amena”, ossia del tutto inutile, sta a dimostrarlo. La quale per puro gusto del macabro fine a se stesso, ma anche per spogliare la morte di ogni significato escatologico, per deflorarne la sua sacralità, sotto sotto deridendoli si mise a giocare con i cadaveri, a conciarli in tutti i modi, più schifosi e ridicoli erano meglio era: amputandoli, plastificandoli, pietrificandoli, disossandoli, disseccandoli, mummificandoli, dipingendoli, mettendoli sotto sale, sotto spirito, riducendoli in mille pezzi da esporre “in eterno” qua e là. Il museo del delirio lombrosiano, fase ultima di questa messinscena macabra, fu il vertice e il fondo dello smarrimento di ogni umanità. Persino sul suo stesso cadavere lasciò disposizioni perché s’infierisse e si esponesse nella bacheca in qualche “museo antropologico” torinese (e tuttora c’è, pezzo per pezzo, e a guardarlo fa pena… e fa ridere).

I promotori di tutto questo scempio sacrilego, di questa profanazione che alle ansie escatologiche faceva finta di aver sostituito ansie scientifiche, furono proprio loro, gli “illuminati”, il flos florum dei sommi sacerdoti della dea Ragione: i massoni, gli “scienziati” del pregiudizio scientista, i Lombroso, la grande borghesia danarosa flaccida e militaresca, le aristocrazie annoiate infoiate e decadenti, i filosofi “ispirati”, i “filantropi” da ballo di gala. Loro, non le masse: quei contadini e quel popolo minuto che discretamente continuò a conservare cristianissima pietà per i propri defunti… non terrore ma timore reverenziale. Per tutti gli altri, per le nuove classi dominanti, per quelli che contavano, i morti divennero carne da macello: le anime sante erano diventate “fantasmi”.

E LE ANIME DIVENNERO “FANTASMI” E I CORPI CENERE: DAGLI SPETTRI ALLA CREMAZIONE

Il macabro spettacolo: militari sabaudi mettono in posa da seduti i cadaveri dei patrioti meridionali trucidati dai vandali piemontesi

Ed ecco il colpo scuro finale, in quell’Ottocento, la grande moda “del futuro”: la cremazione. Ma non era futuro, era passato remoto: prima di loro l’avevano adottata i pagani precristiani. “Moda” che ha un ritorno ai nostri giorni nelle nazioni altamente secolarizzate. Nel XIX secolo perorata con la scusa “igienista” (ancora una volta: la riproposizione della convinzione pagana del cadavere come contaminato e contaminatore); oggi con la scusa della”logistica”, la mancanza di spazio nei cimiteri. Ma in entrambi i casi c’è dietro l’inconfessabile: altro non è che il ritorno trasfigurato degli antichi terrori e orrori per i morti che fu dei pagani. Per questo si è tentato prima di desacralizzare la morte, poi, oggi, di renderla invisibile. I morti non hanno diritto neppure a due metri quadrati di terra… non solo nelle nostre chiese, non solo entro le mura cittadine… non li si vuole più neppure entro le mura della loro stessa Città, la città dei morti, il cimitero. I morti devono scomparire. Possibilmente dandoli alle fiamme, come, appunto, facevano i pagani.

La moda della cremazione e delle urne cinerarie, in una stampa ottocentesca

Grande esorcizzazione di massa della morte, certo. Ritorno di paganesimo e gnosticismo, certo. Ma c’è anche un intento più duramente ideologico, se è vero com’è vero (fra le centinaia possibili vi faccio solo questo esempio), che basta andare al cimitero del Verano per notare una certa cappella. Risalente ai primi del ‘900. Cappella stranissima, ma non misteriosa, patetica semmai: le mura sono coperte da mensole e nicchiette scoperte, dentro le quali sono posati decine e decine di polverosi vasi in terracotta rosso scuro, su ciascuno v’è un nome e una data, alcune sono sbeccate, altre rotte, certe rovesciate, piene di ragnatele e polvere. Sono urne cinerarie contenenti le ceneri di morti che decisero all’epoca di farsi cremare. L’ultimo di questi era defunto nel 1917 se non erro. Ma chi sono? All’occhio inesperto potrebbero sfuggire dei particolari, dei simboli e delle parole qua e là sparsi discretamente: quelli propri delle massonerie radicali, “rosse”, alle quali volta per volta si erano aggiunte quelle socialisteggianti. Ma tutti uniti dall’identico odio furibondo per il cristianesimo, la Chiesa, persino del suo culto per i corpi defunti, se è vero com’è vero che non v’è alcun simbolo religioso in quella cappella, nemmeno per i giudei ivi sepolti. Quei morti sono tutti massoni, garibaldini, social-radicali di poi, socialisti e vetero-femministe, tutti attivi a fine Ottocento. Ideologia pura e dura. Di tutto l’immenso e magnifico cimitero del Verano, con milioni di morti e tombe, questa è la cappella più triste. Sinistra anche. E disperata. Penosa. Ridicola infine. In ogni caso, la sola che susciti ilarità, e una finale risata liberatoria, è inevitabile… Perdona loro Signore: non erano cattivi, erano solo cretini!




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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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