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La Città di Dio (De civitate Dei) Libro XVIII profezie sul Cristo, la Chiesa, il giudizio

Ultimo Aggiornamento: 01/01/2013 12:29
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22/12/2012 22:42
 
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[SM=g1740720] Il Cristo in Zaccaria.

35. 2. Zaccaria dice del Cristo e della Chiesa: Esulta grandemente o figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme; ecco a te viene il tuo re, giusto e vittorioso; umile cavalca un asino, un puledro, figlio di un'asina... Il suo dominio sarà da mare a mare e dai fiumi sino ai confini della terra 143. Si legge nel Vangelo quando avvenne il fatto che Cristo Signore usò in viaggio tale cavalcatura. Vi si richiama anche questo testo profetico in parte, per quanto parve sufficiente all'Evangelista 144. In un altro passo, parlando al Cristo con ispirazione profetica sulla remissione dei peccati nel suo sangue, dice: Anche tu nel sangue della tua alleanza hai estratto i tuoi prigionieri dal lago senz'acqua 145. Si può interpretare diversamente, sempre sul fondamento della retta fede, cosa volesse intendere col lago. A me sembra tuttavia che vi si può simboleggiare più attendibilmente la profondità arida e sterile dell'umana infelicità, in cui non siano le sorgenti della giustizia ma il fango della disonestà. Di esso anche in un Salmo si dice: Mi ha estratto dal lago dell'infelicità e dal fango della palude 146.


La Chiesa e il Cristo in Malachia.

35. 3. Malachia, preannunziando la Chiesa, che costatiamo diffusa a opera del Cristo, dice apertamente ai Giudei a nome di Dio: Non mi compiaccio di voi e non accetterò l'offerta dalle vostre mani. Poiché dall'Oriente all'Occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo sarà sacrificata e offerta al mio nome un'oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore 147. Osserviamo che questo sacrificio si offre a Dio mediante il sacerdozio di Cristo secondo l'ordine di Melchisedec da Oriente a Occidente, mentre i Giudei ai quali fu detto: Non mi compiaccio di voi e non accetterò l'offerta dalle vostre mani, non possono negare che il loro sacrificio è venuto a cessare. Non v'è motivo dunque che attendano un altro Cristo poiché soltanto per mezzo di lui si poteva adempiere ciò che leggono profeticamente preannunziato e costatano in realtà adempiuto. Di lui dice poco dopo, sempre a nome di Dio: La mia alleanza con lui era di vita e di pace e io gli ho concesso di avere timore di me e rispetto del mio nome. La regola della verità era sulla sua bocca, guidando nella pace ha camminato con me e ha trattenuto molti dal male; le labbra del sacerdote infatti custodiranno la scienza e dalla sua bocca cercheranno la legge poiché è messaggero del Signore onnipotente 148.
Non desta meraviglia che Gesù Cristo sia stato considerato messaggero del Signore onnipotente. Come infatti è stato considerato servo a causa dell'aspetto di servo con cui è venuto fra gli uomini, così è detto messaggero a causa del Vangelo che ha annunziato agli uomini. Infatti se traduciamo queste parole greche, notiamo che Vangelo significa "buon messaggio" e angelo "messaggero". Di lui infatti dice ancora: Ecco io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi attendete, e l'angelo dell'alleanza che voi desiderate. Ecco viene, dice il Signore onnipotente; e chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? 149. In questo passo il Profeta ha preannunziato la prima e la seconda venuta del Cristo. Della prima afferma: E subito entrerà nel suo tempio, cioè nel suo corpo, di cui dice nel Vangelo: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere 150.
Annunzia la seconda venuta quando dice: Ecco viene, dice il Signore onnipotente; e chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? La frase: Signore che voi attendete, e il messaggero dell'alleanza che voi desiderate indica metaforicamente che i Giudei, stando alle Scritture che essi leggono, attendono ancora e desiderano il Cristo. Ma molti di loro non hanno riconosciuto che era venuto Colui che attendevano e desideravano, poiché erano accecati nei propri cuori dalle colpe precedenti. Nell'alleanza che Malachia nomina in questo brano, nel primo inciso in cui dice: La mia alleanza era con lui, e nel secondo, in cui ha parlato del messaggero dell'alleanza, dobbiamo ravvisare la Nuova Alleanza, in cui sono promessi valori eterni, e non l'Antica, in cui erano promessi beni temporali. Molte persone superficiali tengono questi ultimi in grande considerazione e poiché servono Dio per la soddisfazione di simili interessi, sono sconvolti quando si accorgono che i miscredenti ne hanno in abbondanza. Perciò il medesimo Profeta, per distinguere la felicità eterna della Nuova Alleanza, che viene data soltanto ai buoni dalla prosperità terrena dell'Antica Alleanza, che spesso è data anche ai malvagi, dice: Avete proferito parole dure contro di me, dice il Signore, e andate dicendo: Che abbiamo contro di te? Avete detto: È sciocco chi serve Dio; che vantaggio abbiamo ricevuto dall'avere custodito i suoi comandamenti e dall'avere camminato in preghiera davanti al Signore onnipotente?
Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicavano e, pur provocando Dio, restano impuniti.
Queste parole si rivolsero fra di loro i timorati del Signore, ciascuno al suo vicino. Il Signore porse l'orecchio e li ascoltò; e fece scrivere un libro di memorie davanti a lui per coloro che onorano e temono il suo nome 151.
In quel libro era simboleggiata la Nuova Alleanza. Ascoltiamo il resto: Essi diverranno, dice il Signore onnipotente, mia proprietà nel giorno che io preparo e li prediligerò come un padre predilige il figlio che gli è sottomesso; e vi convertirete e distinguerete l'uomo giusto dall'ingiusto e colui che serve Dio da colui che non lo serve. Perché ecco viene il giorno ardente come il forno e li brucerà; e tutti i superbi e gli operatori d'iniquità saranno come paglia e quel giorno venendo li incendierà, dice il Signore onnipotente, e non rimarrà di loro né radice né tralcio. E sorgerà per voi, che temete il mio nome, il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete e saltellerete come vitelli liberati dal giogo; e calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto i vostri piedi nel giorno in cui io opero, dice il Signore onnipotente 152. Questo è quel che si chiama il giorno del giudizio. Ne parlerò più a lungo, se Dio vorrà, al momento opportuno 153.

Contributo dei libri di Esdra, Ester e Maccabei.

36. Dopo questi tre Profeti, Aggeo, Zaccaria e Malachia, durante il periodo della liberazione del popolo dalla schiavitù di Babilonia, scrisse anche Esdra. Però egli è considerato più uno storiografo che un profeta. Simile è il Libro di Ester, la cui opera a lode di Dio si esplica, pressappoco, in quel periodo. Si può tuttavia ritenere che anche Esdra ha preannunziato profeticamente il Cristo perché era sorta tra alcuni giovani la discussione che cosa avesse più valore nella realtà. Uno disse i re, un altro il vino, un terzo le donne perché spesso comandano anche ai re, tuttavia costui dimostrò che la verità è vittoriosa su tutte le cose 154. Esaminando il Vangelo apprendiamo che il Cristo è verità. Da questo periodo alla restaurazione del tempio non si ebbero in Giudea re ma principi fino ad Aristobulo 155. Però la cronologia di questo periodo non si ha nei libri della Scrittura, considerati canonici, ma in altri, fra cui i Libri dei Maccabei che non i Giudei ma la Chiesa ritiene canonici a causa della pena di morte subita con ammirevole coraggio da alcuni martiri i quali, prima che il Cristo venisse nel mondo, si batterono fino alla morte e sopportarono indicibili sofferenze per la legge di Dio 156.

Anteriorità dei profeti sulla cultura classica.
37. Nel periodo dei nostri Profeti, i cui scritti sono ormai conosciuti da quasi tutti i popoli, e molto tempo dopo di loro, vi furono fra i pagani i filosofi che si designavano ormai con questo nome. Aveva cominciato con Pitagora di Samo, il quale iniziò a segnalarsi per celebrità al tempo in cui ebbe fine la cattività dei Giudei 157. Si deve quindi ammettere che gli altri filosofi vissero molto tempo dopo i Profeti. Si rileva nella Cronaca che visse dopo di Esdra lo stesso Socrate di Atene, maestro di tutti coloro che furono illustri in quel tempo, perché aveva il primato in quella parte della filosofia, che si dice morale o pratica 158. Non molto tempo dopo nacque anche Platone che avrebbe superato di gran lunga gli altri discepoli di Socrate. Possiamo aggiungere anche i precedenti, che ancora non erano chiamati filosofi, cioè i sette sapienti e poi i naturalisti che seguirono a Talete, imitandone l'interesse nella ricerca sulla natura, cioè Anassimandro, Anassimene, Anassagora e alcuni altri prima che Pitagora parlasse del filosofo. Anche costoro cronologicamente non vengono prima di tutti i nostri Profeti. Difatti è noto che Talete, il quale precede gli altri, si è segnalato quando regnava Romolo, cioè quando dalle sorgenti d'Israele scaturì il fiume della profezia in quelle produzioni letterarie che dovevano riversarsi in tutto il mondo. Risulta che soltanto i tre teologi poeti Orfeo, Lino, Museo, e se ve ne fu qualcun altro in Grecia, sono anteriori ai Profeti ebrei 159, i cui libri riteniamo autenticamente ispirati. Però neanche essi precedettero nel tempo il vero nostro teologo Mosè che ha parlato secondo verità dell'unico vero Dio e i cui libri sono i primi nel canone degli autenticamente ispirati. Perciò, per quanto attiene ai Greci, sebbene nella loro lingua la letteratura profana abbia avuto il massimo sviluppo, non hanno alcun motivo di vantare la propria cultura nel confronto con la nostra religione, in cui è la vera cultura, se non più forbita, certamente più antica. Però, bisogna confessarlo, non in Grecia, ma in popoli di diversa civiltà, come in Egitto, vi era prima di Mosè una forma di sapere, che poteva esser considerata come loro cultura, altrimenti non sarebbe scritto nella Bibbia che fu istruito secondo la cultura dell'Egitto, quando, nato nel paese, adottato e allevato dalla figlia del faraone, vi fu anche educato a livello intellettuale 160. Ma non è possibile che la cultura dell'Egitto preceda nel tempo la cultura dei nostri Profeti se anche Abramo fu profeta 161. Non era possibile infatti che in Egitto vi fosse una cultura prima che Iside, riconosciuta e onorata dopo la morte come una grande dea, trasmettesse l'erudizione. Ma si dice che Iside fu figlia d'Inaco, il quale per primo regnò ad Argo quando erano già nati i nipoti di Abramo 162.

Testi autentici e apocrifi.

38. E se risalgo di molto ai tempi più antichi, anche prima del grande diluvio visse Noè, nostro Patriarca, che giustamente dovrei considerare anche come profeta, se l'arca, che costruì e con la quale si mise in salvo assieme ai suoi, fu un preannunzio profetico dei tempi cristiani. Inoltre nella lettera canonica dell'apostolo Giuda si afferma che anche Enoch, il settimo da Abramo, ha profetato 163. La straordinaria antichità ha fatto sì che gli scritti di costoro non fossero ritenuti autentici né dai Giudei né dai cristiani e sembrava opportuno che si ritenessero apocrifi affinché non fossero allegati i falsi per i veri. Difatti vengono allegati degli scritti che potrebbero essere loro attribuiti da persone che, a favore di una loro opinione, li interpretano alla rinfusa come vogliono. Ma la purezza del canone non li ha accolti, non perché sia respinta l'autorevolezza di quegli uomini che piacquero a Dio, ma perché quegli scritti non sono ritenuti genuini. Non deve meravigliare che siano considerate apocrife opere che si presentano col marchio di produzioni archeologiche.
Anche nella storiografia dei regni di Giuda e d'Israele, la quale contiene avvenimenti che accettiamo perché accreditati da libri canonici, vi sono però narrati molti fatti che non sono riportati in essi, si rimanda però ad altri libri, scritti da Profeti, che anzi in qualcuno è citato perfino il loro nome 164, tuttavia non sono inseriti nel canone che il popolo di Dio ha accolto. Mi sfugge, confesso, il motivo del fatto. Ritengo però che anche coloro, ai quali lo Spirito Santo rivelava le verità che dovevano appartenere alla credibilità della religione, hanno potuto scrivere alcuni libri come uomini con storica accuratezza ed altri come profeti per divina ispirazione e che tali scritti furono così distinti in modo che i primi furono aggiudicati ad essi, gli altri a Dio che parlava per loro mezzo. Così gli uni appartennero all'incremento della erudizione, gli altri alla credibilità della religione. Da questa credibilità è difeso il canone. E se fuori di esso si citano scritti col nome dei veri Profeti, i quali non siano validi all'incremento della cultura perché è incerto che siano di coloro ai quali sono attribuiti e perciò non si presta loro credito, soprattutto a quelli in cui si leggono pensieri che contrastano anche con la credibilità dei libri canonici, è chiaro che non sono dei veri profeti.

L'acculturazione in Egitto e in Israele.
39. Non si deve quindi dare ascolto ad alcuni i quali suppongono che soltanto la lingua ebrea fu conservata da quell'uomo chiamato Eber, da cui deriva l'appellativo di Ebrei, e che da lui fu trasmessa ad Abramo. La perizia del leggere e scrivere quindi avrebbe avuto inizio dalla legge che fu data a Mosè. Al contrario, attraverso il succedersi dei Patriarchi, la lingua suddetta fu custodita assieme ad opere scritte. In seguito Mosè stabilì nel popolo individui incaricati d'insegnare a leggere e scrivere, prima che gli Ebrei conoscessero gli scritti della legge divina. La Bibbia li chiama termine che può significare coloro che iniziano o introducono l'attitudine al leggere e scrivere, perché la iniziano, cioè la introducono in certo senso nella coscienza degli allievi o meglio iniziano ad essa gli allievi. Nessun popolo dunque si può vantare per vanagloria dell'antichità della propria cultura in riferimento ai nostri Patriarchi e Profeti, ai quali era inerente la divina sapienza. Neanche l'Egitto, che abitualmente si vanta con imposture e frivolezze delle antichità delle proprie dottrine, può affermare d'aver preveduto nel tempo con una propria qualsivoglia cultura la cultura dei nostri Patriarchi. Non si può assolutamente affermare che fossero buoni intenditori di singolari rami del sapere, prima che imparassero a leggere e a scrivere, cioè prima che venisse Iside e l'insegnasse loro. Infatti la loro famosa dottrina, considerata cultura, era soprattutto l'astronomia o un'altra delle branche del sapere, utile più ad esercitare l'ingegno che ad educare l'intelligenza con la vera sapienza. Per quanto attiene la filosofia, che si prefigge d'insegnare qualcosa per cui gli uomini diventino felici, fu uno studio che nel paese sviluppò al tempo di Mercurio, chiamato Trismegisto, cioè molto prima dei sapienti e filosofi della Grecia, ma dopo Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe ed anche dopo lo stesso Mosè 165. Risulta che nel tempo in cui nacque Mosè, viveva il grande astrologo Atlante, fratello di Prometeo, nonno materno di Mercurio il Vecchio, di cui fu nipote il suddetto Mercurio Trismegisto 166.

Confronto di culture.
40. Ciarlano invano con boriosa millanteria dicendo che sono passati più di centomila anni da quando l'Egitto ha formulato la teoria delle stelle. Non si capisce in quali libri abbiano scovato questo numero se hanno appreso a leggere e scrivere da Iside, loro maestra, non molto più di duemila anni addietro. Non è uno storiografo di scarso valore Varrone che tramanda questa notizia, la quale non dissente dalla verità della sacra Scrittura 167. Dal primo uomo, chiamato Adamo, non sono ancora trascorsi seimila anni. Quindi costoro diventano oggetto piuttosto di scherno che di polemica, perché tentano di accreditare notizie così diverse sulla estensione della cronologia e molto contrarie a questa verità tanto accertata. A nessun teste, che narra avvenimenti passati, si crede più volentieri che a quello il quale ha anche predetto eventi futuri che ora esperimentiamo presenti. Anche il dissenso degli storici ci offre l'occasione di credere di più a chi non contrasta con la Storia sacra che noi conserviamo. Certamente i cittadini dell'empia città diffusa da ogni parte nel mondo, quando vengono a sapere che uomini assai dotti, la cui autorevolezza non si può respingere, dissentono su fatti molto remoti dagli strumenti di trasmissione della nostra età, non sanno decidere a chi credere. Noi invece, sostenuti nella nostra religione dall'autorità divina, non possiamo dubitare che è falsissima qualsiasi notizia che le si oppone, come che siano gli altri contenuti nella letteratura profana che, veri o falsi, non hanno importanza per farci vivere nell'onestà e nella felicità.

L'autorità dei filosofi e della Bibbia.

41. 1. Ma per lasciar da parte la conoscenza della storia, sembra che i filosofi, dai quali siamo passati alle suddette riflessioni, hanno atteso alle proprie indagini, soltanto per scoprire come si debba vivere in corrispondenza al raggiungimento della felicità. Eppure gli allievi hanno dissentito dai maestri, gli allievi fra di loro, per il solo motivo che hanno svolto queste ricerche da uomini con sentimenti e intendimenti umani. Era possibile che in queste cose vi fosse l'interesse per la fama, per cui ciascuno vuole apparire più saggio e ingegnoso dell'altro, non asservito in qualsiasi maniera al modo di pensare altrui, ma iniziatore della propria teoria e sistema. Posso anche ammettere che alcuni, anzi molti di essi, che l'amore della verità distolse dagli scolarchi e dai compagni di studio, si batterono per quella che ritenevano la verità, sia che lo fosse o no. Ma l'umana infelicità non sa cosa fare, da dove e dove dirigersi per raggiungere la felicità, se non la guida l'autorità divina. Inoltre non può avvenire che i nostri autori, nei quali non inutilmente si stabilisce e si conchiude il canone della sacra Scrittura, siano in qualche modo discordi fra di loro. Quindi a ragione, quando essi trasmettevano quelle verità, non pochi dei parolai intenti a diatribatiche discussioni nelle scuole e nei ginnasi, ma tante e tante popolazioni, nei campi e nelle città, con uomini colti e illetterati, credettero che Dio aveva parlato loro, ossia per mezzo loro. Dovevano esser pochi affinché col numero non si svilisse ciò che necessariamente è di pregio nella religione, tuttavia non così pochi che il loro consenso non sia oggetto di ammirazione. Invece nel gran numero dei filosofi, i quali anche con attività letteraria hanno lasciato documenti delle proprie teorie, non è facile trovarne alcuni, i cui pensamenti si accordino. È troppo lungo dimostrarlo in questa opera 168.

Dissenso nella sapienza classica.

41. 2. Non c'è nella città adoratrice dei demoni uno scolarca così accettato da escludere gli altri che hanno sostenuto teorie diverse o contrarie. Ad Atene, per esempio, erano famosi tanto gli epicurei, i quali affermavano che gli eventi umani non appartengono all'ordinamento degli dèi, quanto gli stoici i quali, sostenendo il contrario, affermavano che gli uomini sono sostenuti e difesi dall'aiuto e protezione degli dèi. Mi meraviglio quindi che Anassagora fu ritenuto colpevole perché affermò che il sole è una pietra infuocata e non un dio 169. Eppure nella medesima città Epicuro eccelleva nella fama e viveva tranquillo, sebbene professasse che il sole o un altro astro non sono dio e sostenesse che né Giove né un altro dio fossero presenti nel mondo in modo che a loro pervenissero le preghiere e le invocazioni degli uomini 170. V'erano nella città Aristippo, che riponeva il bene supremo nel piacere sensibile, e Antistene, il quale affermava che l'uomo diviene felice con la perfezione dello spirito. Erano due filosofi conosciuti e ambedue discepoli di Socrate, eppure assegnavano l'essenza del vivere in fini così diversi e contrari, sicché il primo sosteneva che il saggio deve evitare il governo dello Stato, l'altro che lo deve assumere 171. E ciascuno dei due accoglieva allievi a frequentare la propria scuola. Dunque, all'aperto, nel ben visibile e frequentatissimo portico, nei ginnasi, nei giardinetti, in luoghi pubblici e privati, discutevano a gruppi, ciascuno a favore della propria teoria.
Alcuni affermavano l'esistenza di un solo mondo, altri d'infiniti, alcuni che l'unico mondo aveva avuto inizio, altri che non l'aveva avuto, alcuni che sarebbe finito, altri che sarebbe rimasto per sempre, alcuni che era retto dalla intelligenza divina, altri fatalmente dal caso, alcuni che le anime sono immortali, altri che sono mortali; di quelli che sostenevano l'immortalità, alcuni che le anime ritornano negli animali, altri no; di quelli che sostenevano la mortalità, alcuni che l'anima cessa di esistere assieme al corpo, altri che continua a vivere per un po' o anche a lungo, tuttavia non per sempre; alcuni sostenevano che il bene ultimo è nel corpo, altri nell'anima, altri in ambedue e altri aggiungevano all'anima e al corpo anche i beni esterni; alcuni sostenevano che si deve prestare l'assenso ai sensi sempre, altri non sempre, altri mai. E mai un popolo, un senato, un potere o autorità pubblica della città miscredente ha provveduto a dare un giudizio su queste e le altre quasi innumerevoli teorie discordanti dei filosofi per approvarne e accoglierne alcune, per riprovare e respingerne altre. Anzi disordinatamente, senza discernimento, alla rinfusa, hanno accolto nel proprio interno tante discussioni diatribatiche d'individui in disaccordo non sui campi, sulle case o per un qualche motivo finanziario, ma su significati per cui si conduce una vita infelice o felice. E sebbene in quegli incontri si sostenevano delle verità, con altrettanta libertà però si difendevano gli errori, al punto che non irragionevolmente una simile città ricevette l'appellativo simbolico di Babilonia. Babilonia infatti si traduce "confusione". Ricordo di averlo già detto 172. Né importa al diavolo, suo re, per quali errori contrari si accapiglino, perché li lega egualmente a sé sul fondo di una grande e varia miscredenza.

Accordo nella sapienza rivelata.
41. 3. Al contrario la nazione, il popolo, la città, lo Stato, gli Israeliti, ai quali fu affidata la parola di Dio, non confusero con la parità del libero esercizio gli pseudoprofeti con i veri Profeti, ma erano da loro riconosciuti e accettati come veritieri autori della sacra Scrittura quelli che erano fra di sé concordi e in nulla dissentivano. Essi erano per loro filosofi, cioè amatori della sapienza, sapienti, teologi, profeti, maestri di morale e religione. Chiunque ha pensato e agito in conformità ai loro scritti, ha pensato e agito in conformità al volere non degli uomini, ma di Dio che ha parlato per loro mezzo. Se vi è stata proibita l'offesa a Dio, è Dio che l'ha proibita. Se è stato raccomandato: Onora tuo padre e tua madre, è Dio che l'ha comandato. Se è stato ingiunto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare 173, e gli altri comandamenti, queste non furono parole umane, ma oracoli divini. Alcuni filosofi, a parte gli errori che hanno sostenuto, han potuto scoprire il vero e in laboriose discussioni si sono impegnati a dimostrare che Dio ha posto nel divenire questo mondo e che lo ordina con infinita provvidenza in ordine alla moralità delle virtù, all'amore di patria, alla fedeltà nell'amicizia, alle buone opere e a tutti gli obiettivi che riguardano i buoni costumi, sebbene ignorassero a qual fine tutti questi valori si devono riferire e in base a quale norma 174. Invece nella città celeste essi furono raccomandati al popolo dalle parole dei Profeti, cioè di Dio, sebbene per mezzo di uomini, e non inculcati da discussioni diatribatiche, in modo che chi li conosceva temeva di offendere non l'ingegno dell'uomo ma la parola di Dio.

La Bibbia in Egitto.

42. Anche uno dei Tolomei, sovrani d'Egitto, s'interessò a conoscere e ad avere i libri della sacra Scrittura. Avvenne dopo la stupefacente e non lunga egemonia di Alessandro il Macedone, chiamato il Grande, con la quale aveva assoggettato tutta l'Asia, anzi quasi tutto il mondo, in parte con la forza e con le armi, in parte col terrore. Avendo aggredito assieme alle altre regioni dell'Oriente anche la Giudea, la conquistò 175. Alla sua morte, poiché i suoi generali non avrebbero diviso l'impero molto esteso, per possederlo nella pace scambievole, ma l'avrebbero sconvolto devastando tutto con le guerre, l'Egitto cominciò ad avere come re i Tolomei. Il primo, figlio di Lago, trasferì molti come prigionieri dalla Giudea nell'Egitto 176. Il suo successore, un altro Tolomeo, soprannominato Filadelfo, permise che tornassero liberi tutti quelli che il predecessore aveva tradotto in esilio, mandò regali al tempio di Dio e chiese ad Eleazaro, pontefice in quel tempo, che gli fossero dati i libri della Scrittura perché aveva udito, dalla diffusa opinione pubblica, che erano di origine divina e aveva desiderato di averli nella biblioteca che aveva reso molto celebre 177. Poiché il suddetto pontefice glieli spedì in ebraico, egli chiese anche i traduttori. Furono incaricati settantadue uomini, cioè sei per ogni tribù d'Israele, espertissimi in tutte e due le lingue, cioè ebraica e greca.
È invalso l'uso che la loro traduzione sia denominata dei "Settanta". Si tramanda che il loro accordo nelle parole fu così ammirevole, sorprendente e addirittura divino che, sebbene ciascuno attendesse al proprio lavoro per conto suo, poiché Tolomeo volle così esperimentare la loro capacità, non discordarono fra di loro nel significato e nella forma grammaticale delle parole e neanche nella struttura della proposizione. Sembrava che fosse un solo traduttore e la loro traduzione era così omogenea, poiché di fatto c'era in tutti una sola ispirazione. Avevano perciò ricevuto un incarico tanto ammirevole affinché di quei libri, non come opere umane ma divine, quali erano veramente, fosse avvertita l'autorevolezza, la quale un giorno doveva giovare ai popoli che avrebbero creduto. È un evento che oggi osserviamo adempiuto.

[SM=g1740771] Ispirazione anche nei Settanta(?).

43. Vi sono stati altri intenditori che hanno tradotto i libri della sacra Scrittura dall'ebraico al greco, come Aquila, Simmaco, Teodozione; v'è anche una versione, il cui autore è ignoto e perciò a causa della sua anonimia è chiamata la quinta versione. Tuttavia la Chiesa ha accettato quella dei Settanta, come se fosse l'unica e la usano i popoli cristiani di lingua greca, la maggior parte dei quali non sa se ve ne sia un'altra qualsiasi. Della traduzione dei Settanta si ha anche la traduzione in latino, che usano le Chiese di lingua latina, sebbene ai nostri giorni sia vissuto il prete Girolamo, uomo assai colto e conoscitore delle tre lingue, il quale ha tradotto i libri della Bibbia in latino, non dal greco ma dall'ebraico. Ma sebbene i Giudei ritengano valida la sua opera erudita e sostengano che i Settanta hanno parecchi errori, tuttavia le Chiese di Cristo giudicano che nessuno si deve preferire all'autorevolezza di tanti uomini, scelti da Eleazaro, pontefice in quel tempo, a un'opera così grande.
Infatti anche se in essi non si fosse manifestata un'unica ispirazione, certamente divina, ma avessero confrontato reciprocamente, secondo l'uso comune, le parole delle particolari traduzioni, in modo che fosse confermato il testo che era accettato da tutti, non doveva essere preferito a loro uno che aveva tradotto da solo.
Dato che in loro apparve un segno così manifesto dell'intervento divino, è fedele quel traduttore dei libri della sacra Scrittura dall'ebraico a qualsiasi altra lingua che conviene con i Settanta, o se non conviene, si deve avvertire in quel passo un profondo significato profetico.
Lo Spirito, che agiva nei Profeti quando hanno parlato, agiva anche nei Settanta quando hanno tradotto. È possibile che lo Spirito, con autorità divina, abbia suggerito un altro significato nella versione come se il Profeta avesse inteso l'uno e l'altro, poiché era il medesimo Spirito a parlare in ambedue i sensi, o meglio il medesimo significato diversamente cosicché, se non le medesime parole, almeno ai buoni intenditori apparisse il medesimo significato.
Ha potuto far tralasciare qualcosa e qualcosa aggiungere affinché anche da questo fatto si mostrasse che in quell'attività non prevaleva l'umana soggezione, che il traduttore subiva dalle parole, ma un divino potere che riempiva e guidava l'intelligenza del traduttore. Alcuni hanno pensato che si dovesse correggere secondo i codici ebraici il testo greco della traduzione dei Settanta, tuttavia non hanno osato detrarre ciò che il testo ebraico non aveva e i Settanta avevano inserito, aggiunsero però incisi che, rintracciati nel testo ebraico, non apparivano nei Settanta e li contrassegnarono all'inizio dei singoli versetti con alcuni segni tracciati a forma di stelle, che chiamano asterischi.
Hanno egualmente contrassegnato gli incisi, che non ha il testo ebraico ma i Settanta, ai capoversi con lineette orizzontali, come nella scrittura onciale. Molti testi, anche latini, che hanno queste indicazioni, sono diffusi da ogni parte.
Le frasi, che non sono state né omesse né aggiunte, ma espresse diversamente, se hanno un altro significato non incompatibile, oppure si capisce che in forma diversa espongono il medesimo significato, si possono precisare soltanto con un esame comparato di entrambi i testi. Se dunque, come è doveroso, noi cerchiamo nei libri della Bibbia soltanto ciò che ha detto lo Spirito di Dio per mezzo di uomini, dobbiamo ammettere che tutto quello che si trova nel testo ebraico e non si ha nei Settanta, lo Spirito di Dio non l'ha voluto dire per mezzo di costoro, ma dei Profeti. Tutto ciò che invece è nei Settanta e non si ha nel testo ebraico, lo Spirito ha preferito manifestarlo per mezzo dei primi e non degli altri mostrando così che ambedue furono profeti.
Così Egli ha manifestato alcune verità per mezzo d'Isaia, altre per mezzo di Geremia, altre per mezzo di un altro profeta, ma anche in forma diversa le medesime verità per mezzo dell'uno e dell'altro, come ha voluto. Ma l'unico e medesimo Spirito ha voluto manifestare per mezzo di ambedue quel che in essi si trova, ma in maniera che essi precedessero profetando, i Settanta seguissero traducendoli profeticamente. Difatti come nei primi, che dicevano cose vere e concordanti, vi fu lo Spirito della concordia, così negli altri che, senza confrontarsi, tradussero il tutto, per così dire, col medesimo linguaggio, vi fu l'unico e medesimo Spirito.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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