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L'Ordine domenicano ha compiuto 796 anni, il 22.12.2012..... ci avviamo verso gli 800

Ultimo Aggiornamento: 07/01/2013 11:34
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07/01/2013 11:22
 
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[SM=g1740758] § 4. La preghiera liturgica
     
      Un frate domandava al B. Giordano di Sassonia: “È meglio attendere alla preghiera o applicarsi allo studio?”. E il Maestro gli rispondeva: “Che cosa è meglio, mangiar sempre o bere sempre? Evidentemente è preferibile far l’uno e l’altro successivamente. Ugualmente anche per quanto mi chiedi”.
      Il Frate Predicatore infatti non si determinerebbe mai all’apostolato senza la preghiera.
      A che gli servirebbe la scienza, se non fosse vivificata e fecondata dalla carità? I dotti sono numerosi e i santi sono scarsi, perché molti dotti imprigionano la verità nella loro mente senza permetterle di penetrare il cuore. Per sé, la scienza non determina all’azione, e meno ancora al dono di sé. Senza la carità, essa non farà mai un apostolo.
      E non basta neppure a fare un contemplativo. La contemplazione religiosa, benché risieda essenzialmente nell’intelletto, comincia e finisce nella volontà. Perché si ama Dio, si vuol conoscerlo: perché si conosce, si ama di più. L’amore è il principio e il fine, ed è l’amore, quaggiù almeno, che forma la perfezione ultima della vita.
      Il Frate Predicatore non entrerà dunque pienamente nella sua vocazione a meno che la conoscenza ch’egli ha di Dio per mezzo dello studio cessi d’esser astratta, per divenire una scienza viva e attiva, una scienza che ama e per conseguenza si dedica e si dona.
      Ma la carità è un dono di Dio, per la sua stessa natura, fuori della nostra portata; e si ottiene con la preghiera. Ecco perché la preghiera, nella vita religiosa, e nella vita domenicana in particolare, tiene un così largo posto. Essa ha per scopo di attirare la carità che vivificherà e feconderà la scienza.
      Ora le Costituzioni c’impongono la preghiera sotto una doppia forma: ufficiale e privata. La prima, determinata dalla Chiesa, è la preghiera liturgica; la seconda era designata dai nostri Padri col nome di orationes secretae.


§ 4. La preghiera liturgica
1. La liturgia e la vita quotidiana

     
      S. Domenico, benché destinasse i suoi figli a tutte le opere dell’apostolato, non pensò mai a scioglierli da quello che S. Benedetto chiama l’opus Dei. Egli considerava la preghiera liturgica come la preghiera propria del religioso. Avrebbe temuto di diminuire il suo Ordine, se non avesse scritto in capo alle Costituzioni il testo: De Officio Ecclesiae. Pare a lui che un chierico regolare, che non faccia della preghiera liturgica il suo primo dovere, non meriti affatto il suo nome. E tutto quanto il popolo cristiano allora pensava come lui. La pietà conservava ancora le sue forme tradizionali.
      Le Declarationes che spiegano le Costituzioni primitive parlano della Solemnis divini officii recitatio; e ciò indica che S. Domenico voleva il culto esterno circondato di bellezza. Egli adottò l’Ufficio canonicale con tutti i suoi riti e col suo cerimoniale tradizionale, col canto, manifestazione necessaria dell’amore: cantare amantis est29. Volle che dai conventi del suo Ordine salisse perpetuamente una vera lode di gloria. Perché prima di tutto, l’uffizio corale, preparazione o complemento del sacrificio eucaristico, da cui non dev’essere separato, è la solenne espressione del culto divino, la voce del popolo cristiano interpretata dalla Chiesa, voce d’adorazione, di lode, di preghiera e di perdono.
      Infatti è la Liturgia che regola la vita quotidiana del Frate Predicatore. Studi, ricreazioni, perfino il riposo si svolgono nei limiti determinati dall’economia dei divini uffici.
      Nel cuore della notte la campana chiama i Frati all’ufficio di Mattutino: mentre le tenebre coprono il mondo, essi vegliano e pregano per far salire la lode a Dio, riparare i delitti e i disordini notturni: ufficio commovente che scuote l’anima nelle sue profondità. All’alba essi ritornano ad offrire le primizie del giorno nuovo cantando Prima. Sette volte al giorno, il ritorno regolare delle Ore li fa inginocchiare periodicamente a piedi dell’altare: Terza, Sesta, Nona, Vespri alternativamente li ritemprano nel fervore ed impediscono loro di scordarsi di Dio. Finalmente, ritornato il momento del riposo, è ancora la preghiera liturgica che chiude, con la Compieta, sempre solennemente cantata, la giornata ch’essa aprì col Mattutino.
      Come si vede, la preghiera liturgica forma la trama della vita domenicana. I nostri Padri la regolarono in modo ch’essa avvolgesse i lavori del religioso. Ciò essi fecero con un disegno ben definito.
      Oggi, in certi conventi, dove si è smussato il senso liturgico, s’inclina a raggruppare la recita di parecchie parti dell’ufficio a fine di avere poi lunghe ore di studio non interrotto e quindi, si crede, più utile. Ma ciò è un deviare dallo spirito primitivo e un cambiare gli antichi costumi.
      I nostri Padri seguivano le tradizioni apostoliche e recitavano ciascuna Ora nei diversi momenti del giorno e della notte. Vedevano essi meglio di noi la stretta relazione della preghiera e dello studio. Se frapponevano regolarmente lo studio con la preghiera liturgica, non intendevano sacrificarlo: sapevano che per questo sarebbe stato più fruttuoso.
      Il ritorno frequente al Coro impedisce allo studio di essere un semplice lavoro intellettuale, una speculazione astratta e fredda; e mantiene il contatto intimo con Dio e trattiene i Frati nella contemplazione. Se il religioso si dedica allo studio raccomandato dalla sua Regola, quello delle scienze sacre, l’Ufficio, lungi dall’interrompere il suo lavoro, ne è il complemento; esso lo compie fecondandolo; perché la verità che il Predicatore cerca nei libri, la trova in Coro, nelle formule liturgiche, non più astratta, ma viva, avvolta d’amore, più suggestiva, più penetrante.
      In realtà, è con una psicologia finissima che i nostri Padri procuravano queste frequenti interruzioni dello studio propriamente detto. Certo essi avevano per il lavoro intellettuale un gusto tanto vivo, quanto si può avere oggi, e nello studio delle scienze sacre ottenevano dei successi che noi difficilmente riusciamo ad uguagliare. Essi non disprezzavano dunque lo studio; ma l’esperienza aveva loro insegnato che appunto durante quelle stazioni liturgiche l’anima assimila il frutto del lavoro, e la verità dalla testa scende al cuore, dov’essa si riscalda e suscita le risoluzioni che governano la vita.
      “Quando studi, - diceva S. Vincenzo Ferreri - ogni tanto mettiti in ginocchio e fa salire a Dio una breve e ardente preghiera, oppure esci dalla cella, va in chiesa, nel chiostro, là dove lo Spirito Santo ti guiderà: con una preghiera vocale o semplicemente coi tuoi gemiti e cogli ardenti sospiri del tuo cuore, implora il soccorso divino, presenta all’Altissimo i tuoi voti e i tuoi desideri, chiama i Santi in tuo aiuto... Poi richiama alla memoria quello che stavi studiando, e allora ne avrai un’intelligenza più chiara. Ritorna allo studio e di nuovo alla preghiera, combinando i due servizi. Con quest’alternativa, tu avrai il cuore più fervente nella preghiera e la mente più illuminata nello studio”.
      Così studiava S. Tommaso. Il grande dottore faceva il minor uso possibile delle dispense, a cui gli davano diritto le sue lezioni e la composizione delle numerose opere. E non contento d’essere assiduo al Coro, vi giungeva prima degli altri e vi faceva delle lunghe dimore. Quando gli si domandava perchè interrompesse il suo lavoro, rispondeva: “Rinnovo la mia devozione per elevarmi poi più facilmente alla speculazione”.


§ 4. La preghiera liturgica
2. Liturgia, apostolato, vita interiore

     
      Parimenti essi non videro mai nella preghiera liturgica un ostacolo all’apostolato. Anzi, ad esempio di S. Domenico, giudicarono che la vita attiva trovasse nell’incessante preghiera liturgica la sua più solida base. E chi meglio di questi infaticabili apostoli poteva conoscere le affinità della preghiera e dell’azione?
      I figli di S. Domenico ricevettero la solenne recita dell’Ufficio come un mezzo d’Apostolato. La liturgia è per loro una potenza d’intercessione e il metodo autentico di santificazione che li prepara all’esercizio del ministero.
      Il Frate Predicatore, chierico regolare e apostolo, è costituito mediatore tra Dio e l’uomo. Ebbene è anzitutto in Coro ch’egli compie questa gran funzione. Ivi egli rappresenta l’umanità ed è dalla Chiesa deputato per offrire in nome di tutti il tributo necessario di lode.
      “Magistrato della preghiera”, egli adora, prega, domanda perdono. E perché, in quel momento, egli è la voce della Chiesa, la sua supplica acquista un’efficacia sovrana. Nuovo Mosè, disarma la collera di Dio. Quando in seno alla notte il figlio di S. Domenico lascia il suo duro letto e attraverso i chiostri oscuri si reca in Coro per recitare Mattutino, egli ha coscienza di meritare il suo titolo di Predicatore. Capisce che anche in quell’ora distribuisce la verità alle anime e che le sue preghiere, simili alle onde misteriose della telegrafia senza fili, se ne vanno attraverso il mondo, effluvi viventi e guaritori, a seminar la vita e a risuscitar i morti.
      Per un ammirabile contraccambio, nel medesimo tempo ch’egli santifica è santificato. Quando si compenetra dei riti, delle cerimonie, delle parole sacre, sente subito la vita divina crescere nell’anima sua e il suo essere soprannaturale svolgersi secondo i disegni di Dio. Alla sua intelligenza la preghiera liturgica fornisce un alimento abbondante e scelto. Continuamente il suo cuore è stimolato dalle formule sante, tutte ardenti di fervore, la sua volontà spronata dagli esempi di Gesù e dei Santi ogni giorno ricordati. Giorno e notte, la preghiera liturgica lo mette in contatto con l’Autore e col Modello d’ogni santità. Infatti la missione della Liturgia è di continuare e di dare Gesù, tal quale ce lo fa conoscere l’Apostolo: Christus heri et hodie et ipse in saecula.
      Questa triplice esistenza di Cristo nel seno del Padre, nella sua vita mortale in mezzo agli uomini e nella Chiesa attraverso i secoli, la Liturgia la manifesta e la comunica. Durante tutto il ciclo liturgico, al Frate Predicatore che segue con intelligenza e con fede le cerimonie sante, Gesù apparse sull’altare come è in realtà, vivente, e nell’atto di rinnovare i misteri della sua immolazione sotto il velo dei riti sacri: a grado a grado si svolgono i misteri della sua nascita e della sua infanzia, della sua vita privata e della sua vita pubblica, della sua Passione e della sua morte, della sua gloria e della sua vita mistica nella Chiesa e nei Santi. E per celebrar questi misteri, si presentano le più belle formule, le più ardenti d’amore, le più suggestive, le più commoventi, e il più delle volte anche formule divine, poiché sono tolte dalla Scrittura.
      Senza sforzo, l’anima fa suoi questi pensieri e questi sentimenti; s’appropria le ammirabili preghiere delle più nobili, delle più sante anime, riunite dalla Chiesa nel Breviario e nel Messale. Segue Gesù, l’ammira, l’ama, partecipa al suo sacrificio, s’unisce a lui; e a forza di rinnovare notte e giorno questo commercio coi misteri divini, finisce col non più vivere se non con Gesù e per mezzo di Gesù. Nutrita ad ogni ora di alimenti divini dalla Liturgia, i suoi sentimenti, i suoi pensieri e la sua vita son diventati divini30.
      Così per lunghi secoli si formarono tutti i Santi: essi seguirono le vie liturgiche.
      In queste anime, qual potenza d’intercessione e d’espansione! Esse operano in tutto ciò che le circonda, focolari che riscaldano e illuminano. Basta un’anima contemplativa per convertire ambienti ribelli alla pietà, come a volte bastò un convento, dove fioriva la preghiera liturgica fervente, per trasformare intere regioni. Si moltiplichino questi luoghi della preghiera liturgica, in cui si è rifugiato l’antico spirito della Chiesa, sorgenti abbondanti da cui la vita soprannaturale a fitte ondate si espanderà sul mondo!31.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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