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Chiesa e modernità: un dibattito aperto. Mons. Piacenza Prefetto CC a Venezia

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2013 18:12
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Chiesa e modernità: un dibattito aperto (Terza parte)


La "lectio magistralis" del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, all'inaugurazione dell'Anno Accademico dell'Istituto Marcianum


VENEZIA, domenica, 11 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la terza parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, sul tema Essere Chiesa nell’epoca moderna: il contributo del Concilio Vaticano II, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Institutum Marcianum di Venezia.

***

2. Le conseguenze antropologiche di una gnoseologia irrisolta

La Gaudium et spes, anche se con un’analisi culturale e sociale, che oggi è, in parte, oggettivamente “datata”, indica la questione gnoseologica come radice dei mutamenti antropologici e culturali.

Al n. 7, infatti, afferma: «Il cambiamento di mentalità e di strutture, spesso, mette in causa i valori tradizionali, soprattutto tra i giovani: frequentemente impazienti, essi diventano ribelli per l’inquietudine; consci della loro importanza nella vita sociale, desiderano assumere al più presto le loro responsabilità. Spesso, genitori ed educatori si ritrovano, per questo, ogni giorno, in maggiori difficoltà nell’adempimento del loro compito.

Le istituzioni, le leggi, i modi di pensare e di sentire ereditati dal passato non sempre si adattano bene alla situazione attuale; di qui, un profondo disagio nel comportamento e nelle stesse norme di condotta.

Anche la vita religiosa, infine, è sotto l’influsso delle nuove situazioni. Da un lato, un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica del mondo e dalle sopravvivenze superstiziose ed esige un’adesione sempre più personale e attiva alla fede; numerosi sono, perciò, coloro che giungono ad un più vivo senso di Dio. D’altro canto, però, moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione. A differenza dei tempi passati, negare Dio, o la religione, o farne praticamente a meno non è più un fatto insolito e individuale. Oggi infatti, non raramente, un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo».

In quest’ultima affermazione, secondo la quale il fare a meno di Dio verrebbe «presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo», troviamo il nucleo della questione che ci sta a cuore: la modernità, con il grande limite gnoseologico che la caratterizza, è compatibile con l’Avvenimento cristiano?

L’idea di progresso, che dalla modernità emerge, idea che pure porta in se stessa un’eco remota del bisogno di infinito proprio del cuore umano, può aprire alla relazione con il Mistero, o rischia di rifugiarsi in un’utopistica auto-affermazione dell’uomo? E ancora, senza Dio, quale tipo di “nuovo umanesimo” è possibile attendersi?

Emerge chiaramente come, da tali centrali questioni, paragonate con la situazione attuale, dal punto di vista antropologico, prevalga una forma di auto-giustificazionismo; è come se l’intero comportamento umano fosse determinato dal momento storico; come se la morale e il cuore dell’uomo dovessero obbedire ad un meccanicismo determinista, che avrebbe, come unica drammatica conseguenza, l’eliminazione della libertà personale e della volontà di aderire al bene. Tale situazione, come indicato dallo stesso Documento al n. 8, determina una divisione all’interno dell’uomo. Divisione che l’annuncio evangelico, l’incontro con Cristo, la grazia sacramentale e la vita ecclesiale sono chiamati ad aiutare a superare.

«Al livello della persona, si nota molto spesso lo squilibrio tra una moderna intelligenza pratica e il modo di pensare speculativo, che non riesce a dominare, né a ordinare in sintesi soddisfacenti l’insieme delle sue conoscenze. Uno squilibrio si genera anche tra la preoccupazione dell’efficienza pratica e le esigenze della coscienza morale, nonché, molte volte, tra le condizioni della vita collettiva e le esigenze di un pensiero personale e della stessa contemplazione. Di qui ne deriva, infine, lo squilibrio tra le specializzazioni dell’attività umana e una visione universale della realtà».

È proprio questa visione universale della realtà, che include la coscienza dell’esistenza del reale e della sua conoscibilità, il più efficace contributo dato dal Concilio al rapporto tra fede cristiana e modernità; esso è anche il più grande servizio che la Chiesa possa offrire al mondo, nell’epoca moderna.

Potremmo dire, in maniera molto sintetica, ma probabilmente efficace, che essere Chiesa nell’epoca moderna, significa restituire all’uomo la capacità di conoscere il reale, di entrare in rapporto con quella realtà, che le derive gnoseologiche degli ultimi tre secoli hanno volontariamente reso evanescente, perché la realtà è pur sempre il luogo, nel quale il Logos Eterno si è definitivamente manifestato. Censurare la realtà significa, per conseguenza, censurare il luogo in cui Dio si è fatto “storia”, tentando di impedire all’uomo l’incontro con il Mistero.

Come è possibile evincere da tali valutazioni, non ci si trova soltanto di fronte alla discussione dialettica tra differenti legittimi metodi di conoscenza, i quali, peraltro, sono sempre stati ammessi dall’epistemologia cristiana e, anzi, incentivati, perché solo un metodo adeguato all’oggetto è capace di autentico portato referenziale.

La vera questione è che un uomo, privato della capacità di cogliere il reale, secondo la totalità dei suoi fattori, confinato in un metodo di conoscenza di tipo scientifico-positivo, ritenuto l’unico in grado di giungere ad una qualche certezza condivisibile, è un “uomo amputato”, non corrispondente nemmeno a ciò che esso stesso sente profondamente di essere.

Appare evidente come tali passaggi del Concilio possano e debbano essere letti in immediata ed efficace sinossi, sia con la Fides et ratio del Papa Giovanni Paolo II, sia, in modo ancora più evidente, con i continui richiami del Santo Padre Benedetto XVI ad «allargare i confini della razionalità».

Dal Discorso di Regensburg in poi, il Magistero pontificio va, con chiarezza, in questa direzione, indicando, in negativo, il legame oggettivo tra crisi gnoseologica e crisi antropologica, e in positivo, la via del recupero di una corretta gnoseologia, come strada per una corretta antropologia, che spalanchi al rapporto con il reale, nel quale il Mistero si manifesta.

Nel Motu Proprio Porta Fidei, in merito, leggiamo: «La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato ad una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche.

La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità» (n. 12).



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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